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Orgoglio e pregiudizio, alla scoperta del cinema queer: Intervista esclusiva a Cesare Petrillo

orgoglio e pregiudizio
Al via a Roma la prima edizione di Orgoglio e pregiudizio, rassegna cinematografica che sonda il cinema queer storico e contemporaneo e va alla scoperta di autori che, per logiche commerciali o intellettuali, sono ancora sconosciuti in Italia. Ne abbiamo parlato con Cesare Petrillo, uno dei due curatori, oltre che storico fondatore della casa di distribuzione Teodora, produttore e critico cinematografico.
Nell'articolo:

Orgoglio e pregiudizio è la rassegna cinematografica che, al Cinema Nuovo Olimpia di Roma, dal 25 marzo esplora il cinema queer storico e contemporaneo. Curata con passione e dedizione da Cesare Petrillo e Simone Ghidoni, Orgoglio e pregiudizio si propone, in un'epoca in cui l'orgoglio nella propria identità si scontra spesso con i pregiudizi della società, di sfidare i confini e celebrare la diversità attraverso l'arte del Cinema.

Il titolo stesso, Orgoglio e pregiudizio, richiama immediatamente il capolavoro di Jane Austen, ma qui troviamo una nuova interpretazione, un'affermazione di fierezza e una denuncia delle barriere sociali che ancora persistono. Attraverso una selezione accurata di opere, la rassegna offre al pubblico l'opportunità di immergersi in storie che illuminano le sfumature dell'amore e dell'identità ma anche di scoprire nuovi autori in cerca di affermazione.

Al centro di questa esperienza cinematografica troviamo il regista argentino Marco Berger, il cui lavoro è stato premiato e acclamato a livello internazionale. Con film come Un rubio, Plan B e Taekwondo, Berger ha saputo catturare l'attenzione del pubblico con narrazioni autentiche e coinvolgenti che esplorano la complessità delle relazioni umane. Il regista sarà anche presente fisicamente per i tre giorni a lui dedicati: 1, 2 e 3 aprile.

In questa intervista esclusiva, Cesare Petrillo ci conduce nel cuore della rassegna Orgoglio e pregiudizio, condividendo la sua visione e il suo impegno nel portare al pubblico italiano opere cinematografiche di grande valore artistico e culturale. Attraverso un dialogo appassionato e illuminante, esploreremo il ruolo del cinema queer nel contesto italiano, le sfide che ancora persistono e l'importanza di promuovere la diversità e l'inclusione attraverso l'arte cinematografica. Un viaggio emozionante che invita ognuno di noi a riflettere e a celebrare l'unicità di ogni individuo.

Intervista esclusiva a Cesare Petrillo

“Con FilmTv facciamo un giochetto: ogni settimana gli do 500 battute sul film più bello della storia del cinema. In pratica, ogni sette giorni rinnego me stesso rispetto al titolo della settimana precedente”, mi risponde Cesare Petrillo quando, nel presentarci, gli confesso che per me, dopo una vita passata a FilmTv.it, è un privilegio avere l’opportunità di confrontarmi con lui, incontrato virtualmente diverse volte quando era a capo della distribuzione di Teodora Film.

Ti ritrovo oggi, però, in veste di curatore (con Simone Ghidoni) di Orgoglio e pregiudizio, la rassegna cinematografica dedicata al cinema queer storico e contemporaneo. La prima domanda è la più spontanea: perché chiamarla in maniera austeniana ‘Orgoglio e pregiudizio’?

Per la parola ‘orgoglio’ il riferimento ovviamente al Pride, quella giornata che celebriamo oramai da tanti anni, mentre per la parola ‘pregiudizio’ basta guardare alla realtà: in Italia escono al cinema pochi meno film a tematica lgbtqia+ rispetto agli altri paesi occidentali come Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti. All’estero esiste una fetta di mercato per quel cinema così come ci sono delle distribuzioni ad hoc che portano i film nelle sale: da noi, eccezion fatta per Lucky Red e Teodora, non c’è nessuna particolare attenzione verso certe storie e certi autori.

Me ne sono reso conto in prima persona la scorsa estate quando online mi sono imbattuto in un film dal titolo Hawaii di un certo Marco Berger, che mi ha sedotto e rapito, senza che avessi mai sentito parlare dell’autore. Quel film è di bellezza quasi sconcertante e, senza l’etichetta gay, sarebbe stato sicuramente selezionato a qualche importante festival e i nostri critici internazionali ne avrebbero parlato conquistati.

Mosso dalla curiosità, ho recuperato tutti gli altri film di Berger, espandendo presto le mie ricerche sul cinema queer e scovando dei gioielli che abbiamo deciso di proporre nella nostra rassegna, da Pariah (la storia di un’adolescente nera che si scopre lesbica con tutte le difficoltà del caso) a Closet Monster (un horror canadese) e Age of Seventeen (diventato un piccolo classico, nel frattempo, negli Stati Uniti). Chiaramente, se non sono arrivati nelle nostre sale, dove esce tanta robaccia inutile, è perché di fondo c’è un pregiudizio forte.

Le opere scelte sono di grande vitalità, aspetto che spesso manca al cinema italiano. E forse questa vitalità la si deve all’urgenza del racconto. Ma ciò che mi stupisce è come gran parte di loro arrivino dall’America del Sud, da Paesi che hanno un’impronta cattolica che è fortissima: sono tutti realizzati a basso budget ma di una fattura che va dal sufficiente all’eccellente, a dimostrazione che per far cinema non occorrono soldi o grandi nomi ma storie prima di tutto.

Marco Berger sarà in persona a Orgoglio e pregiudizio per ben tre giorni a lui dedicati: 1, 2 e 3 aprile.

L’ho contattato in maniera poco professionale, quasi dilettantistica: gli ho scritto direttamente su Instagram, senza passare dal giro degli uffici stampa o dei rivenditori internazionali. Gli ho spiegato che ero un programmatore di cinema in Italia e che mi sarebbe piaciuto far vedere i suoi lavori. Mi ha risposto “Mi piace questo flirt, parliamone” e, a poco a poco, abbiamo costruito quella che sarà una parte della rassegna, completata poi da una restante parte dedicata al cinema classico con titoli come Domenica, maledetta domenica, Quelle due, Victor Victoria o Tootsie. Tra l’altro, Berger ha completato il suo nuovo film e, avendo avuto la possibilità di vederlo in anteprima, non ho remore nel dire che è bellissimo.

Che in Italia esista un certo pregiudizio nei confronti del cinema queer è abbastanza lampante: un titolo come Eismayer doveva uscire nelle sale ma è stato poi dirottato on demand sulle piattaforme.

È una realtà con cui da distributore mi sono scontrato tante volte in passato. Con Teodora Film abbiamo distribuito molti titoli queer, da Weekend a Lo sconosciuto del lago e Tomboy, e ricordo come spesso venivano considerati semplicemente film per gay e non per tutti quanti. Ma, anche se fosse stato così, nulla avrebbe vietato agli eterosessuali di andarli a vedere, così come i gay vanno a vedere in sala film eterosessuali senza farsi particolari problemi.

Dietro a questa forma di esclusione c’è una censura di mercato da una parte e una ideologica dall’altra: le donne etero si dimostrano più aperte di quanto lo siano gli uomini etero, come accade in tanti altri contesti indipendentemente dal cinema queer… per fare un esempio pratico, una donna etero non fa nessuna fatica nel riconoscere che Belen Rodriguez è una bellissima donna mentre un uomo etero fa una fatica mostruosa nel riconoscere che Brad Pitt è un bellissimo uomo, per paura forse di essere etichettato.

Ricordiamoci sempre che per una buona fetta degli uomini eterosessuali l’omosessualità rimane gravissima: lo stesso Marco Berger quando ha raccontato al padre di essere gay, si è sentito rispondere che era la cosa peggiore che potesse capitargli. Ed è un pensiero che nella cultura latina e cattolica è molto forte, limita e spaventa.

…è qualcosa che nel 2024, se ci pensiamo, spaventa.

A me preoccupa maggiormente la mancanza di informazione. Anni fa, dopo il poco riscontro in sala anche da parte della comunità gay di un piccolo gioiello come 120 battiti al minuto, me ne uscii con una boutade su Twitter, che era provocatoria, in cui sostenevo che forse ci si meritava Adinolfi.

Fui sommerso di insulti e poi invitato al Torino Film Festival per spiegare tale mia presa di posizione. Risposi spiegando che, se un italiano su tre aveva votato il Movimento Cinque Stelle, significava anche che un gay su tre lo aveva fatto, dimenticando che si trattava del partito che stava facendo naufragare le unioni civili: se non avessimo avuto un cattolico di origine democristiana come Matteo Renzi, in questo Paese non le avremmo ancora.

Ancora oggi sono fortemente convinto di come il famoso campo progressista italiano quando si tratta di andare a tutelare i diritti della comunità lgbtqia+ abbia qualche problema nel concretizzarli. Basti pensare a quello che è accaduto con il DDL Zan: anche in quel caso Renzi aveva previsto come una serie di franchi tiratori avrebbe affossato la legge se non si fosse modificata la parte relativa all’identità di genere. Era stato chiaro: “Cercate di far passare il matrimonio egualitario e lasciate fuori l’identità di genere”… la sua, purtroppo, si è rivelata una profezia ma l’opinione pubblica ha riversato su di lui le colpe dell’affossamento.

Il cinema queer è cinema che racconta storie per tutti e in cui tutti possono ritrovarsi.

Non mi stancherò mai di ripeterlo, anche se può sembrare banale o scontato. Basterebbe semplicemente mettere a disposizione i titoli e lasciare alla gente la possibilità di andare a vederli o meno. Nella mia esperienza da distributore non mi sono mai chiesto per chi fosse un film così come non ho mai interrogato i dipendenti di Teodora sulla loro identità sessuale.

Orgoglio e pregiudizio avrà luogo al cinema Nuovo Olimpia e la mia mente non può non pensare a Nuovo Olimpo, il film di Ferzan Ozpetek, un regista spesso accusato di aver “eterosessualizzato” le storie queer strizzando l’occhio a un certo racconto commerciale.

Ferzan ha avuto il merito di far sì che le sue storie arrivassero al numero maggiore possibile di persone. È un mio amico, anche se a volte gli rimprovero la scelta di alcuni attori eterosessuali, che inavvertitamente sento forzati nei loro ruoli: è accaduto per esempio con il film La Dea Fortuna, dove tra Stefano Accorsi ed Edoardo Leo non sentivo la carnalità. Ma ripeto: Ferzan è stato l’unico in Italia a riuscire a imporre il suo cinema e grande merito va dato anche al suo sceneggiatore e alla sua produttrice, Gianni Romoli e Tilde Corsi. Per cui, anche se c’è stato un po’ di compromesso, che ben venga.

Nessuno è riuscito come loro a proporre sul mercato un film mainstream italiano che parla di amore tra due uomini. Non è che manchino le storie o gli autori: il problema è a monte. Quando presenti una sceneggiatura a sfondo queer a Rai Cinema per la produzione, viene automaticamente rimandata indietro. A me fa uno strano effetto vedere come in qualsiasi film da loro prodotto si veda, da quelli di Virzì a Garrone o Rohrwacher, sia totalmente assente il racconto di quel 10% di popolazione italiana lgbtqia+: è come se non esistesse.

Immagino quanto difficile possa essere stato per Maria Sole Tognazzi proporre un film come Io e lei

Mi ricordo di quel suo progetto perché me ne aveva parlato. Avevamo noi di Teodora distribuito Viaggio sola: il suo intento era quello di rendere omaggio a un film iconico del padre, Il vizietto. In quel momento, Maria Sole era reduce del successo enorme riscontrato da Viaggio sola, portato in sala proprio da Teodora: improvvisamente, era diventata la regista di cui occorreva fare il prossimo film. Ed è riuscita a prendere una delle attrici più forti in quel momento in Italia, Margherita Buy, e affiancarla a quella che era la diva iper popolare riconosciuta come una bomba sexy eterosessuale, Sabrina Ferilli.

Ciò le ha permesso di avere le porte aperte ma a discapito di un racconto edulcorato in cui non si avvertiva la stessa fisicità che si può avvertire in film come Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, in cui invece erano palpabili la passione, il desiderio e la paura delle due protagoniste, Noémie Merlant e Adèle Haenel, o come Weekend di Andrew Haigh. Ma anche in film come Rubio di Marco Berger, che proponiamo in rassegna: tocca il cuore e senti veramente il dolore e l’amore.

Dopo aver combattuto contro i mulini a vento per decenni, hai però deciso di lasciare Teodora Film. Perché?

Nessuna costrizione: è stata una mia libera scelta. Sentivo la fatica di continuare a fare un mestiere che era sempre più difficile perché sottoposto al giudizio continuo di tutti quanti gli altri. Delle televisioni che non acquistavano i diritti di trasmissione dei tuoi film; dei rivenditori che reputandoti “piccolo” non ti vendevano le loro opere o di quelli che, vendendo un tuo successo, aumentavano il costo delle loro opere; dei critici che si svegliavano la mattina e che decidevano di stroncare un film da te distribuito senza alcuna ragione valida… a noi è capitato ad esempio con Happy End di Michael Haneke, massacrato come se fosse il peggior cinepanettone del mondo; delle piattaforme che ti snobbano e degli esercenti che dicono “no” perché le loro sale devono andare al blockbuster di turno.

Ero stanco del cumulo. Il tutto è avvenuto anche in un momento particolare della mia vita privata. Mio marito Vieri Razzini si era ammalato: desideravo stargli il più vicino possibile e non passare dieci ore al giorno in ufficio a farmi il fegato amaro per poi tornare a casa incazzato. E, quindi, senza dare spiegazioni a nessuno me ne sono andato, decidendo di trascorrere con Vieri gli ultimi quattro anni della sua vita. Ed è questa la verità.

Sei stato al fianco di Vieri per 32 anni. Cosa è accaduto nella tua testa nel momento in cui se n’è andato?

Nel momento in cui muore la persona con cui stai, non capisci nemmeno cosa sta accadendo: entri in una fase di shock totale: è come essere in aereo e stare precipitando… ti piomba addosso lo stesso tipo di terrore e smetti anche di ragionare, per cui diventa irreale anche la morte. Tutto quello che era la tua vita finisce e ne comincia una nuova per cui non sei forse nemmeno pronto.

Tu hai un archivio personale di circa 12 mila film. Che ruolo hanno giocato i film nel tentare di sanare una ferita ancora aperta?

I film, alcuni film, sono la cosa che più mi tengono vicino a Vieri: se guardo un titolo con Fred Astaire e Ginger Rogers, piango come una fontana. E si tratta di film per cui nessuno penserebbe che possa accadere… ma sono quelli che maggiormente mi fanno pensare alla mia vita con lui: li guardo sapendo che soffrirò. Essendo dei musical, hanno una magia tutta loro: basandosi sulla musica e sulle coreografie e non sulla trama, li puoi guardare e riguardare senza mai annoiarti.

Se la tua vita fosse un film, quale sarebbe?

Blue Sky, con Jessica Lange. E di più non aggiungo… quando ci vedremo dal vivo, te lo racconterò.

Orgoglio e pregiudizio: Le foto dei film

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