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Paola Lavini, una donna allo specchio: Intervista esclusiva

paola lavini
Nel cast di diversi film in uscita, Paola Lavini torna a raccontarsi a TheWom.it, prendendo in esame il suo lavoro ma anche quel percorso personale che l’ha portata a fermarsi e a guardarsi allo specchio per recuperare ciò che di importante si era lasciata alle spalle.
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Attrice passionale, verace e con la risata sempre a portata di mano, Paola Lavini è nel cast di tre differenti film che, tra cinema e festival, stanno cominciando a farsi strada nel cuore del pubblico: Il vuoto, uscito al momento nella sola Calabria ma che presto raggiungerà le sale di tutta Italia; Eravamo bambini, presentato alla Festa del Cinema di Roma; e L’isola del perdono, un dramma con Claudia Cardinale, che sta riscontrando i favori del box office in Tunisia prima di approdare nei cinema francesi (e si spera presto anche nei nostri).

Nel film Il vuoto, Paola Lavini interpreta Paola, figura ispirata alla madre del regista Giovanni Carpanzano. Paola è una donna forte che affronta con dignità la malattia che l’ha colpita. Sopra ogni cosa, Paola ama la sua famiglia ed è sempre presente, sostenendo i figli. In particolar modo, è il figlio Giorgio che vorrebbe vedere felice, realizzato e con un compagno che lo ami, trovandosi spesso in disaccordo con il marito Benito.

Ed è partendo da Il vuoto e dall’importanza di rompere alcuni stereotipi che vorrebbero ad esempio la Calabria ancora ancorata al caposaldo dell’omofobia che iniziamo la nostra conversazione con Paola Lavini, un’attrice che qualche stereotipo sulla sua stessa pelle lo ha vissuto. “Vorrei prima o poi girare una bella commedia”, ci dice sottovoce scherzando sui ruoli di madre coraggio che il cinema le riserva. Come darle torto, soprattutto conoscendo quanto sia gioviale il suo carattere, anche quando accenna a episodi tutt’altro che felici della sua vita?

Andata via di casa giovanissima per agguantare il sogno che inseguiva (come ci ha raccontato tempo fa), Paola Lavini vive un momento personale di assestamento e di recupero di ciò che si era lasciate alle spalle. Emerge dalle sue parole il desiderio di stare in pace con se stessa, consapevoli però dall’ultima risposta che ci ha dato in quest’intervista che ci sarebbe ancora molto altro da raccontare.

Paola Lavini.
Paola Lavini.

Intervista esclusiva a Paola Lavini

“Giovanni Carpanzano, il regista, ha dato una possibilità a due attori ancora inesperti di set di far da protagonisti a una storia per lui molto personale come quella raccontata nel film Il vuoto, prendendosi anche un rischio che, fortunatamente, i primi riscontri sembrano scongiurare”, esordisce Paola Lavini quando le chiedo di raccontarmi che esperienza è stata per lei quella di ritrovarsi a recitare nella madre di un giovane omosessuale.

“Ho accettato molto volentieri il ruolo di Paola perché sapevo che il personaggio era ispirato alla vera madre di Carpanzano. Il regista ha ovviamente cambiato alcuni aspetti della storia per non renderla prettamente autobiografica ma ha conservato alcuni dettagli per lui importanti, ragione per cui sono stata molto attenta alle sue indicazioni. Quando si tratta di interpretare persone che sono esistite, che esistono ancora o, come in questo caso, sono tuttora presenti nella vita del regista, la responsabilità è enorme”.

Il personaggio si chiama come te, Paola. Ma per interpretarlo hai dovuto metterti alla prova come attrice andando incontro a una trasformazione fisica.

Una trasformazione che ho voluto fortemente io. Mentre il regista era restio a chiedermi di “imbruttirmi” per mettere scena la malattia della madre, io ero fortemente determinata a dare realismo alle sequenze. In un primo momento, Paola non aveva sulla sceneggiatura tantissime battute ma, durante le riprese, il personaggio ha trovato uno spazio diverso. E sono felice di aver detto sì: per la prima volta, si è di fronte a una storia in cui la Calabria, da sempre connotata come grigia e chiusa, viene mostrata come aperta nei confronti di determinate tematiche.

Sono orgogliosa della mia madre e del suo atteggiamento di apertura nei confronti del figlio. Così come sono orgogliosa di contribuire in qualche modo alla famiglia arcobaleno dello stesso Giovanni: ho conosciuto suo figlio e il marito. Mi è piaciuto poter raccontare sullo schermo quell’inclusione che abbraccio da quando sono nata: non ho mai amato le etichette e le chiusure. Era arrivato anche il momento di rompere quel cliché secondo cui le terre del sud sono omofobe per antonomasia: non è la latitudine a far la differenza.

Paola, la madre che interpreti, per amore del figlio non teme di scontrarsi nemmeno con il marito.

Attenzione, però. Il malcontento del marito nei confronti del figlio Giorgio non nasce dalla sua omosessualità: in realtà, la sua è solo preoccupazione per la scelta del giovane di voler fare teatro. Teme in qualche modo il suo futuro ma Giorgio è determinato a rifiutare il lavoro del padre e le certezze che gli darebbe per inseguire il suo sogno di far teatro. Capisco la sua autodeterminazione: è la stessa che ha portato me ad andare via di casa giovanissima. Ma comprendo, a distanza di anni, anche i dubbi e le preoccupazioni di un genitore per un lavoro come quello di attore o attrice, precario e inquieto… un lavoro che non dipende direttamente da te ma che è in balia di mille correnti differenti, che spaventa e che tante volte si rivela logorante.

Com’è stato interpretare la madre di un uomo che nella realtà corrispondeva al regista che ti ritrovavi davanti sul set?

Giovanni era molto consapevole della materia. Chiaramente il personaggio di Paola e la linea narrativa della sua malattia erano sì ancorati alla realtà ma romanzati. Ciò ha fatto sì che il regista fosse molto consapevole di come voleva che si restituisse quella figura: è sempre la regia che decide, coadiuvata in questo caso dal fatto di sapere com’era dal vero il personaggio a cui ci si ispirava e di averlo visto con i propri occhi.

Paola Lavini nel film Il vuoto.
Paola Lavini nel film Il vuoto.

Mentre la tua di madre è inclusiva, quella interpretata da Valentina Persia (in uno dei rari ruoli drammatici che le sono stati finora assegnati) lo è molto meno. Da attrice, ti muovi in quello che dovrebbe essere l’ambiente inclusivo per eccellenza: il cinema. Lo è realmente?

Purtroppo, non ancora. Sono pochi i casi di attori ma soprattutto di attrici che hanno fatto coming out forse per paura di rimanere incasellati in ruoli poi stereotipati e non poter più interpretare il macho o la femme fatale. La mia sensazione è che poi sia ancora più difficile dichiararsi per una donna (io stessa ho carissime amiche che non hanno mai palesato il loro orientamento), che già soffre di tante altre limitazioni sul lavoro.

Basti pensare come, se non rispondono a canoni prestabiliti di bellezza, vedono ridursi i ruoli a loro destinati. È qualcosa che colpisce anche me: mi ritrovo spesso a interpretare la parte della madre del sud quando prima o poi vorrei recitare in un ruolo da figa prima che sia troppo “vecchia” per farlo. Il body shaming nei confronti delle donne è all’ordine del giorno: te ne accorgi anche quando, dopo una premiere, i giornali si divertono a elencare tutta una serie di giudizi su come siamo vestite, sul nostro look, sulla cura… giudizi che intaccano molto meno la sfera maschile.

Anche in Eravamo bambini interpreti il personaggio di una madre… calabra.

Rispetto ai soliti ruoli che mi propongono, Elena è una madre un po’ più figa. Vive tranquilla in Calabria e si diverte in costume da bagno al mare con la famiglia durante un’estate dei primi anni Duemila che avrà ripercussioni sul futuro dei giovani protagonisti.

Il film sottolinea come gli errori del passato presentino prima o poi un prezzo da pagare anche a distanza di decenni. Ti è mai capitato di pagare il conto di un errore anni dopo?

Non ho mai commesso nulla di illecito: sono una persona piuttosto onesta che ha il terrore della polizia e degli avvocati. Temo sempre che mi becchino per qualcosa che non ho fatto bene: ho sempre pagato tutte le multe, ho l’incubo di Equitalia e non ho mai acceso un mutuo pur di non aver carichi pendenti sulle spalle! Battuta a parte, se nella vita si scappa da qualcosa, questa si ripresenterà per regolare i conti.

In questo momento, sto affrontando a livello personale ciò che mi sono lasciata dietro: mi sono fermata a guardarmi allo specchio e, forse per la prima volta, mi sono posta diverse domande sulla vita condotta fino a oggi e sul come o perché sono andata via di casa in quel modo quand’ero ragazzina. Sto cercando di recuperare il rapporto con i miei genitori, con i loro fratelli e con le loro figlie. Ho fatto dei giri immensi andando da nord a sud per cercare una parte di me ma era arrivata l’ora di chiudere il cerchio.

Paola Lavini sul set di L'isola del perdono.
Paola Lavini sul set di L'isola del perdono.

Giri immensi che ti hanno portato fino in Africa a girare L’isola del perdono, al fianco di Claudia Cardinale, film uscito già nelle sale tunisine.

È un film girato a Djerba, in Tunisia, in cui interpreto un’altra Elena, una donna siciliana che, come tanti altri italiani, viveva lì negli anni Cinquanta. In quel periodo, sono stati molti gli immigrati che hanno trovato fortuna nel Nord Africa integrandosi perfettamente in un contesto in cui convivevano arabi, ebrei e cattolici, in perfetta armonia. All’epoca, anche in Tunisia c’era molta libertà di costumi, tanto che le donne portavano le gonne come le italiane.

Elena non si è mai sposata, è un’amante della musica lirica e si immedesima nei personaggi delle opere. Ha perso la testa per un soldato tedesco che non ha fatto più ritorno, sta in casa con il fratello e la di lui famiglia e impartisce lezioni di canto alla nipote. È una donna che vive nel suo mondo e nei suoi ricordi, senza preoccuparsi di ciò che le accade intorno. Claudia Cardinale interpreta la madre della ragazza che ha sposato il fratello ci Elena e che abita con tutti loro.

La convivenza pacifica tra culture diverse, però, si interrompe nel momento in cui gli arabi comincia a prendere campo e a tentare di convertire le famiglie a Maometto, un argomento molto più che attuale vista la cronaca di questi giorni. Ciò costringerà la famiglia a ritornare in Italia… e il resto mi auguro si possa vedere presto nei nostri cinema.

Hai quindi recitato anche in arabo?

Eh, sì. Sul set eravamo in pochi gli italiani e tutti gli arabi parlano francese. Ma per me non era una novità parlare in arabo o confrontarmi con una cultura che dà un peso diverso alle donne. In Tunisia, è stato come sentirsi a casa. Conoscevo già le abitudini dei musulmani ed ero in grado di rispettarle, pur riconoscendo le diversità rispetto alle nostre: a vent’anni, me n’ero andata in Marocco e ci sono stata per diverso tempo.

Per un gemellaggio tra l’Accademia d’Arte Drammatica della Calabria e con quella di Casablanca, ero stata scelta perché parlavo bene il francese per far da traduttrice alla compagnia. Ho vissuto una fase di innamoramento per un direttore artistico marocchino. Sebbene tra noi non ci sia mai stata una grande storia d’amore, mi sono innamorata degli usi e dei costumi del suo Paese, dove sono ritornata per molti estati. Ho vissuto lì sempre da donna molto libera, rischiando col senno di poi anche molto. Mi sono anche spinta fino al deserto con le mie amiche ma ho cercato di non rimanere mai da sola: m’ero fatta molti amici arabi con cui mi muovevo facilmente. Ne ho fatte di esperienze al limite ma all’epoca non mi rendevo conto di quanto potesse essere pericoloso.

Claudia Cardinale e Paola Lavini sul set di L'isola del perdono.
Claudia Cardinale e Paola Lavini sul set di L'isola del perdono.

Sinonimo della libertà che ti ha sempre caratterizzata…

Ma la libertà ha un costo da pagare. Ecco, qual è il conto che si paga per rispondere alla domanda di prima. Per me, la libertà è imprescindibile e da donna sono consapevole di quanta strada ci sia ancora da fare per poter affermare che il mondo femminile è libero: basta guardarsi intorno nel mondo per vedere ciò che ancora accade a chi non si sottomette ai desiderata maschili. L’uomo è decisamente più libero di fare ciò che vuole: non è sottoposto a giudizio in nessun ambito, nemmeno in quello familiare… è raro che nei suoi confronti si punti il dito.

Cosa ti aspetta adesso?

Ho cominciato a fare delle masterclass e a insegnare recitazione e canto ai bambini, un pubblico per me nuovo. Ma sono sempre curiosa del mondo, ragione per cui mi piace esplorare ambiti e universi diversi, tra cui il doppiaggio. Continuo anche a collaborare con il maestro Vince Tempera, penso a un disco tutto mio come cantante e spero di farvi vedere Knockdown, film che ha appena vinto un premio al Siena Film Festival e che affronta, tra le altre cose, il difficile tema della violenza sulle donne durante il lockdown. È un film di cui ho scritto anche i monologhi che si sentono in voice over: per me, è stata una rivincita su me stessa… qualsiasi donna dovrebbe scappare da certe situazione per essere un individuo migliore non per gli altri ma per se stessa.

Paola Lavini.
Paola Lavini.
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