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Paola Minaccioni: “Brillare coltivando se stesse” – Intervista esclusiva

Paola Minaccioni
Dal vivo sono molto meglio è il titolo dello spettacolo teatrale che Paola Minaccioni porta negli Stati Uniti, recitando in italiano. Abbiamo colto l’occasione per un incontro ravvicinato con l’attrice (ma anche regista e sceneggiatrice) che si apre a TheWom.it prendendo spunto dai temi (seri) che il suo show affronta in chiave comica.
Nell'articolo:

La nostra Paola Minaccioni vola negli Stati Uniti. Il suo Dal vivo sono molto meglio debutta oltreoceano, invitato dal Kairos Italy Theater di New York, KIT Italia e Casa Italiana Zerilli-Marimò at NYU per la 10ma edizione di In Scena! Italian Theater Festival NY. Si tratta del festival di teatro italiano che si tiene nei cinque distretti di New York dal 1° al 16 maggio (ma che tornerà anche a Boston, arrivando per la prima volta a Los Angeles, Detroit e San Diego).

Dal vivo sono molto meglio (diretto da Paola Rota, con le musiche di Dj Coco) è un monologo flusso di coscienza in cui Paola Minaccioni racconta in modo romanzato la sua penultima esperienza sentimentale, conclusa da qualche tempo.

La sua riflessione sulle relazioni umane viene coadiuvata da grandi personaggi dello spettacolo italiano. C’è Loredana Bertè, musicista ribelle e anticonvenzionale, che le regala perle su come emanciparsi dalla vita borghese e trasgredire, prendersi tutto quello che voglio; ma anche la premier Giorgia Meloni, che punta tutto sull’accudimento, sulla donna crocerossina che si deve immolare in nome del maschio e della famiglia, proponendo un modello di femminilità arcaica ma sempreverde; e pure Sabrina Ferilli, grande attrice italiana simbolo di bellezza femminilità e simpatia, che l’aiuta a tirare fuori il lato sexy.

In un continuo alternarsi di generi, Paola Minaccioni mischia la stand up comedy alcune maschere che richiamano senza dubbio alla commedia dell’arte italiana. Ed è proprio da questo punto che facciamo partire la nostra intervista in esclusiva, un incontro in cui usiamo lo spettacolo per conoscere la donna prima che l’attrice. Scopriamo così il significato che attribuisce alle parole trasgressione, libertà, femminilità e tradizione, rivelando un animo multisfaccettato, ora malinconico ora straordinariamente divertente.

Paola Minaccioni (foto Maddalena Petrosino; abito Alessandro Enrique; scarpe Steve Madden; gioiell
Paola Minaccioni (foto Maddalena Petrosino; abito Alessandro Enrique; scarpe Steve Madden; gioielli Nalì; hair & make up Alessandro Joubert @simone Belli Agency; consulenza d’immagine Romina Piperno; 
location Rome Marriott Grand Hotel Flora).

Intervista esclusiva a Paola Minaccioni

Paola Minaccioni, tu vuò fa l’americana?

Non voglio fare l’americana: in realtà, parto per partecipare a un festival di teatro italiano in America. Più che altro sono un’esportatrice di materiale patriottico: non vado a conquistare l’America a vado a portare un po’ di arte italiana. Scherzi a parte, parto con l’idea di fare un’esperienza di conoscenza e con la curiosità di vedere cosa succede nella patria della stand up comedy, dove sono contenta di arrivare con uno spettacolo che mischia i generi: nel mio Dal vivo sono molto meglio c’è un po’ di stand up ma ci sono anche le maschere della commedia italiana, una tradizione che non ha nulla da invidiare a quella americana. La stand up è una forma di comicità nata negli States, in alcuni casi straordinaria, ma il teatro, il teatro comico, la commedia e le maschere sono italiane, da Pirandello in poi.

Reciterai in italiano?

Si, per varie ragioni. Intanto, perché è proprio la politica del Festival che lo prevede. E poi perché sarebbe complicato fare uno spettacolo tutto in inglese: non tanto per la lingua (ho appena finito uno spettacolo teatrale tutto in veneto settecentesco, più o meno siamo lì: basta studiare!) ma quanto per la difficoltà di tradurre lo humor. Ci sono alcune immagini che non possono essere tradotte e quindi è giusto secondo me portare la comicità così come stava scritta.

“Dal vivo sei molto meglio”: quante volte te lo sarai sentita ripetere?

Molto spesso ma non necessariamente a teatro ma anche per strada, dove spesso quando mi fermano le persone mi dicono che dal vivo sono più carina, più giovane, meglio. E in qualche modo hanno ragione: essendo spesso convocata dai registi per fare dei ruoli comici, questi prevedono che tu sia una sciura o un’imbruttita, quando poi nella vita magari sono tutt’altro.

Lo spettacolo nasce fondamentalmente da una tua esperienza sentimentale: è stata così disastrosa?

Non si tratta della mia ultima storia ma della penultima. Sono ormai passati degli anni e, naturalmente, ci ho ricamato sopra. L’ho trovata divertente da raccontare e mi ha offerto un ottimo pretesto per poi parlare di relazioni e di amore oggi. Non parlo solo di amore ma anche di mezzi e tecniche per superare i momenti di crisi e, quindi, c’è la meditazione di Baba Nanda, ci sono le chat su internet di notte, c’è la telefonista rumena…

Mi faccio anche consigliare molto in amore da personaggi che, almeno in Italia, sono importantissimi perché rappresentano con la loro psicologia e la loro storia un aspetto della femminilità. C’è Loredana Berté che interviene consigliandomi di essere libera trasgressiva, ribelle. C’è Sabrina Ferilli che mi dà consigli sulla femminilità, sull’essere sexy e su come non si può far stancare un uomo. E c’è il nostro premier Giorgia Meloni che invece mi rimanda a un’immagine di donna italica crocerossina che si immola per la famiglia.

Si parla quindi della fine di quella storia e, come tutte le fini, anche di fallimento. Anche quando è giusto che una storia finisca perché non ci sono le basi per andare avanti è comunque sempre un fallimento. Ma si gioca insomma intorno al tema delle coppie e a tutte le sue possibili declinazioni: si parla di rapporti con una donna che è più grande anagraficamente di un uomo ma anche di amore dal punto di vista della terza età.

La trasgressione è cercare di non seguire uno schema precostruito, nascosto nei meandri subdoli dell’educazione borghese.

Paola Minaccioni

Cos’è la trasgressione per Paola Minaccioni?

È cercare di non seguire uno schema precostruito, nascosto nei meandri subdoli dell’educazione borghese. Secondo me, la trasgressione, per esempio, è informarsi e cercare di informarsi. Avere i mezzi per vivere una vita propria è la più grande delle trasgressioni, essere liberi… che non vuol dire vivere di notte o impasticcarsi ma è molto più difficile.

E tu sei stata una donna libera?

È tutta la vita che provo a esserlo ma alla fine sì, si può essere liberi, anche con sofferenza. Mi fanno ridere quelli che rilasciano interviste in cui sembra che siano nati con la consapevolezza di tutto: non è così, la vita è complicata. Si fanno scoperte passo dopo passo, attraverso anche dei traumi: a volte vai avanti, altre fai due passi indietro.

A forza di raccontare la vita come qualcosa che alcune persone hanno in mano da quando sono nati, si corre il rischio di far sentire gli altri come dei poveri reietti, degli inconcludenti che non riescono a capire cosa fare della propria esistenza. E, invece, sarebbe importante cominciare a raccontare che la vita è per tutti complessa e che è in questa complessità che risiede la ricchezza della vita stessa, la ricchezza dei personaggi.

Anche perché, se andassimo a vedere al cinema un film con un protagonista che ha una vita libera, tranquilla, realizzata e piena di bellezza, di amore e di gioia, dopo dieci minuti usciremmo dal cinema. E la stessa cosa accadrebbe con un film in cui il protagonista ha deciso di abbandonarsi a uno stato di perenne sopraffazione. Raccontiamo che ‘sta vita è bella perché facciamo fatica non perché le cose ci vengono facili. È interessante vedere quale sforzo si fa… io, per esempio, farò lo sforzo di andare negli Stati Uniti a recitare in italiano agli americani! (ride, ndr).

Se uno pensa alla femminilità, spesso la associa a dei canoni estetici precostituiti e invece io trovo che la femminilità prescinda dal livello ormonale che si ha in corpo: è il continuare a brillare coltivando se stesse.

Paola Minaccioni

Cos’è invece la femminilità per Paola Minaccioni?

È la grazia. Per me, la femminilità è il mistero e l’armonia. È personalità ed è molto più misteriosa e meno banale di quello che conosciamo. Se uno pensa alla femminilità, spesso la associa a dei canoni estetici precostituiti e invece io trovo che la femminilità prescinda dal livello ormonale che si ha in corpo: è il continuare a brillare coltivando se stesse.

Nel tuo percorso hai dovuto confrontarti con i canoni esteti precostituiti?

Anche in questo caso, da tutta una vita. Eh, sì, perché intanto sono stata un po’ sovrappeso. Ma non era tanto il fatto di avere qualche chilo in più: si può essere felici e ci si può amare lo stesso, cosa che io invece per una serie di questioni, anche di educazione familiare, non riuscivo a fare. Ero molto insicura quindi il peso in più era proprio il mio scoglio.

Ho sempre avuto un rapporto molto conflittuale con il mio corpo, che mi sono portata dietro. Nella prima parte della mia carriera d’attrice, per esempio, non cercavo vestendomi di esaltare me stessa e la mia personalità ma cercavo di riprodurre quello che mi mancava. E farlo ti rende una persona poco attraente: cerchi di comare dei difetti ma non di stare bene con te stesso. Ovviamente, sono considerazioni che faccio da grande e che mi fa piacere condividere con qualche ragazza che in questo momento sta vivendo la stessa condizione.

La disistima nei miei confronti è qualcosa che mi sono portata dietro anche nel lavoro. Mi offrono ruoli da cornuta o da arcigna ma, al di là della mia faccia che avendo delle punte ben si presta, credo che dipenda molto da come io mi sia posta nei confronti del mondo del cinema. è importante che tu riesca a vederti bene per poi farti accettare anche su altri fronti. Poi, per carità, al di là della mia personale responsabilità, la standardizzazione dei ruoli dipende anche dal cinema, che vuole vedere sempre le stesse facce per gli stessi ruoli.

Mi sarebbe piaciuto raccontare personaggi femminili diversi, soprattutto per quanto riguarda le commedie. È stato un limite per me. Finalmente qualcosa sta cambiando ma con i cliché, da attrice comica dalla bellezza non classica, ho sempre dovuto fare i conti.

Mi sarebbe piaciuto raccontare personaggi femminili diversi, soprattutto per quanto riguarda le commedie. È stato un limite per me. Finalmente qualcosa sta cambiando ma con i cliché, da attrice comica dalla bellezza non classica, ho sempre dovuto fare i conti.

Paola Minaccioni

Il nostro premier ti riporta invece a una figura femminile molto più “tradizionale”, definiamola così.

Ho usato queste tre icone per raccontare tre colori diversi, tre maschere dell’essere donna. Mi ripropongo attraverso il premier di parlare di tutto quello che è legato alla tradizione, al già conosciuto: l’immagine della donna crocerossina che è apparentemente vecchia ma che in realtà è molto più diffusa nella nostra cultura di quello che pensiamo. È un evergreen quello della donna che si immola: stiamo facendo un bel percorso di liberazione ma c’è ancora tanto da fare per non essere considerati soltanto una spalla per l’uomo.

Paola Minaccioni (foto Maddalena Petrosino; abito Paul Smith; scarpe Steve Madden).
Paola Minaccioni (foto Maddalena Petrosino; abito Paul Smith; scarpe Steve Madden).

A un uomo nessuno si sognerebbe mai di chiedere della comicità al maschile, se porta in scena uno spaccato della condizione maschile o se fa una carrellata di tutti i tipi di uomini. A noi donne lo chiedono...

Paola Minaccioni

E a te è capitato di sentirti considerata solo una spalla?

Mi è successo in un progetto televisivo di cui tra l’altro ero anche la fondatrice. Ero affiancato da un uomo e, quando facevamo le riunioni, una donna che curava il progetto non si rivolgeva mai a me ma solo al mio collega, nonostante io fossi la “leader” di quel gruppo. E sono rimasta anche particolarmente scioccata: parliamo tanto degli uomini che di default sono abituati a prendere più sul serio gli altri uomini ma ci sono anche donne che mettono in atto lo stesso comportamento.

Questo significa che siamo così imbevuti di quel tipo di cultura patriarcale e maschilista da averla talmente interiorizzata mettendola in atto senza accorgercene. Si insinua subdolamente anche nei contesti più normali. Mi stupisce, ad esempio, quando a volte delle giornaliste mi domandino della comicità al femminile. A me piacerebbe che si parlasse di comicità in generale, della qualità di uno spettacolo o della sua riuscita.

A un uomo nessuno si sognerebbe mai di chiedere della comicità al maschile, se porta in scena uno spaccato della condizione maschile o se fa una carrellata di tutti i tipi di uomini. Ma a noi donne lo chiedono... le insidie sono ancora tante ma qualcosa si sta muovendo anche su questo fronte: abbiamo attivato una riflessione sul linguaggio e sull’identità che qualche risultato porterà.

Hai citato prima tra le righe L’attesa, lo spettacolo teatrale diretto da Michela Cescon che ti vedeva in scena con Anna Foglietta in un’opera che sfiorava il drammatico.

È stata una bellissima esperienza: protagoniste assolute era due donne, dirette da una regista e con una produzione femminile, anche se l’autore, un bravo autore, Remo Binosi, era un uomo. Come in qualsiasi altro mio lavoro, ho avuto un approccio neutro al personaggio, senza sapere se fosse comico o drammatico. Il finale è molto drammatico ma mi ha stupito come il pubblico ridesse per gran parte del tempo: la gente era in empatia con la storia, stavano con me e Anna e si immedesimavano con i nostri personaggi.

Non credo che l’attore comico sia inferiore al drammatico, credo anzi nella sacralità della possibilità di poter far ridere le persone. Non riesco a concepire una differenza tra il comico e il drammatico perché, secondo me, tutto nasce dalla verità. La ricerca della verità è l’obiettivo da raggiungere ed è indifferente il risultato. Anche nelle commedie, quindi, il mio approccio di approfondimento al personaggio è sempre drammatico.

Michela Cescon ha voluto fare uscire sia me sia Anna da alcune gabbie e preconcetti che il mercato ci ha creato intorno e c’è riuscita. Ritrovarsi a interpretare una serva veneta settecentesca che parla in veneto stretto è stato per me un bel viaggio.

Come un bel viaggio deve essere stato farsi dirigere dalla giovane Luna Gualano in La guerra del Tiburtino, in uscita prossimamente.

È una commedia di altissimo livello e di grande impatto popolare perché i personaggi sono tutti un po’ poetici, buffi e disperati. Sono molto curiosa di vedere il film: è molto originale e mi ha dato la possibilità di lavorare con piacere con Antonio Bannò e Paolo Calabresi, oltre che a una serie di altri giovani. Luna Gualano, la regista, si è fatta le ossa nell’horror e non fa nulla in maniera convenzionale: gira i suoi film e le sue storie senza perdere il suo tocco, una possibilità che non sempre prima del #MeToo le donne non avevano.

È una delle poche donne che non è caduta nella trappola di parlare di problemi di donne: per molti anni, quelle pochissime registe che riuscivano a fare film sulle donne dovevano quasi sempre farlo. Ed è molto bello che ci siano oggi delle registe che fanno dei film di genere che non parlano di donne, che vanno oltre noi stesse e il nostro stesso genere.

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A proposito di donne registe, anche tu nel tuo passato sei passata dietro la macchina da presa. Hai diretto il cortometraggio Offro io, dove tra l’altro dirigevi anche Carolina Crescentini e Calabresi, entrambi nel cast del film di Gualano. Mai avuta la tentazione di dirigere un lungometraggio?

Sì, ce l’ho. E ho anche scritto un film a cui stiamo lavorando. Non ne parlo ancora perché mancano alcuni punti da incasellare ma ci sto lavorando ed è anche un progetto abbastanza concreto.

Qual è stata la difficoltà maggiore che hai riscontrato passando dall’altro lato della barricata?

In quel caso, le difficoltà sono state legate a una valanga di problemi produttivi da risolvere. Nei tre giorni di quell’esperienza ho capito che un regista bravo, non parlo assolutamente di me, è colui che, nonostante tutto, riesce a portare a casa qualcosa di proprio, che abbia la sua firma e il suo segno. È quello il vero talento, a parte la buona storia da cui partire. Se non avessi avuto tutti quei problemi, sarebbe stato anche abbastanza semplice: ho avuto la fortuna di girare con attori straordinari che erano perfetti, tra cui anche Maurizio Lombardi.

Sei romana de’ Roma. Cosa ti mancherà della tua città nei giorni in cui sarai negli Stati Uniti?

A grandi linee, in dieci giorni, non dovrebbe mancarmi nulla. Mi piace perdermi in altri posti per fare esperienze e per provare tutto ma solitamente, al rientro, mi rendo conto che l’unica cosa che riabbraccio con più gioia è la cucina italiana. So di dire una cosa banale ma è così. In America, soprattutto a New York, devi prenotare anche con largo anticipo e si fa una fatica allucinante a mangiare anche quella cosa che loro chiamano organic, che di organic non ha nulla.

Ma è il bello del viaggio: per me è tutta una scoperta ma sono sempre contenta di tornare a casa… l’Italia sarebbe un Paese straordinario se non fossimo tutti così depressi. Viaggiare dovrebbe aiutare a capire quanto gigantesco potenziale abbiamo e a recuperare un po’ di fiducia in noi stessi e nella nostra capacità di essere brillanti.

Depressione: è una parola che conosci?

Penso che tutte le persone un po’ intelligenti debbano necessariamente andare a braccetto con forme di depressione. Sentire il vuoto è indice di intelligenza: vivere o dare un senso alla propria vita è poi una questione di scelta. Parliamo di forme leggere e non di depressione patologica: quella è pericolosissima ed è mostruosa.

Tra le tante cose fatte da te, ce n’è una che da dieci anni ci costringe a far le levatacce: Il ruggito del coniglio su Radio 2. Cosa rappresenta per te la radio?

È nata dalla voglia di esperienze nuove e di mettermi in gioco diversamente. Per me la radio rappresenta un’isola felice, un posto dove gioco. Sono molto legata a Marco e Antonello: in questi dieci anni di lavoro, mi hanno insegnato cos’è la diretta radiofonica. Lavorare con loro è una continua sessione jazz: ci sono pezzi scritti e altri improvvisati al momento. E questo è un grande allenamento per l’ascolto.

Il pubblico del Ruggito è vasto ed è una bella comunità. Si tratta del programma più ascoltato al mattino da 25 anni e la ragione è da ricercare nel fatto che mantiene ancora vivo il principio della satira di costume. Siamo tra i pochi che hanno un po’ il coraggio di continuare a sottolineare i buchi neri di personaggi forti e potenti con garbo e intelligenza.

Purtroppo, da un paio di anni non si fa più satira a grandi livelli: forse è rimasto solo Crozza in tv a farla… Non vanno più di moda i comici che massacrano il sistema, dimenticando come la satira sia proprio fonte di speranza. Ci siamo scordati il suo potere per varie ragioni: nessuno ha creduto più nella politica e nella possibilità di cambiare e quindi non ci sono più i comici che cercano di offrire un altro punto di vista. Ma è anche giusto che ci siano delle fasi di passaggio, però ci sono sempre dei comici nuovi bravissimi, giovani e stupendi.

Ti manca far televisione?

Mi manda ma a oggi non saprei quale potrebbe essere il contesto per ritornare a farla.

Paola Minaccioni (foto Maddalena Petrosino;  pantaloni Alessandro Vigilante; top Sandro Paris; giac
Paola Minaccioni (foto Maddalena Petrosino;  pantaloni Alessandro Vigilante; top Sandro Paris; giacca Scotch & Soda).
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