Con l'arrivo dell'estate, Sky e NOW ci regalano un nuovo programma da assaporare: dal 17 giugno, dal lunedì al venerdì, sintonizzatevi per Cocktail Tour. L’arte dell’aperitivo italiano. Questo nuovo format televisivo, ideato e prodotto da Hub4Brand con Level 33, ci porta alla scoperta dei drink più freschi e innovativi dell'estate, combinando le ultime tendenze con la rivisitazione dei grandi classici. Alla guida di questo viaggio c'è Patrick Pistolesi, uno dei volti più conosciuti e rispettati della mixology italiana a livello mondiale.
Patrick Pistolesi, nato nel 1978, vanta un'esperienza di oltre 25 anni nel mondo della miscelazione. Innovatore e pioniere del settore, ha saputo combinare la sua passione per i cocktail con un approccio imprenditoriale vincente. Nel 2018 ha aperto il Drink Kong a Roma, un locale che non solo è stato eletto il miglior cocktail bar in Italia, ma che si è anche posizionato al numero 21 nella prestigiosa classifica dei World’s 50 Best Bars.
In Cocktail Tour, Patrick Pistolesi ci guida attraverso un itinerario che parte da Roma e Milano, due città simbolo della sperimentazione e della tradizione dell'aperitivo italiano. Con la sua maestria e il suo carisma, Patrick ci svela i segreti del bartending contemporaneo, esplorando non solo la miscelazione ma anche gli abbinamenti gastronomici più sorprendenti. Le puntate, trasmesse alle 19.50 su Sky Uno e disponibili anche in streaming su NOW e on demand su Sky Go, ci portano in location suggestive come terrazze panoramiche e giardini urbani, dove l'aperitivo diventa un'esperienza unica e indimenticabile.
Patrick Pistolesi ci racconta come la sua passione per il bartending lo abbia spinto ad accettare questa nuova sfida televisiva. Più che una questione di ego o desiderio di apparire, è stata la volontà di condividere il suo amore per i cocktail e di avvicinare il pubblico a questo mondo affascinante. Per lui, infatti, esiste ancora molto da scoprire e apprezzare nei cocktail, e questa trasmissione rappresenta un'opportunità per sfatare vecchi miti e ispirare nuovi appassionati a frequentare i cocktail bar.
Patrick Pistolesi ci parla della sua visione del bartender moderno, un professionista che deve essere curioso, empatico e comunicativo. Deve saper ascoltare i clienti, creare un'atmosfera accogliente e essere sempre pronto a imparare e sperimentare. Per Patrick Pistolesi, il bartender è un po' come un ambasciatore del genere umano, capace di far sentire i clienti a loro agio e di offrire un'esperienza memorabile attraverso la sua arte.
Nel corso della sua carriera, Patrick Pistolesi ha osservato da vicino l'evoluzione della mixology, un mondo che negli ultimi 25 anni ha fatto passi da gigante. Con l'avvento di Internet e dei social media, la condivisione di tecniche e ricette è diventata globale, portando a una rinascita della cultura del cocktail. Oggi, i bar italiani seguono le orme dei grandi centri internazionali, sperimentando e innovando con creatività e passione.
Il programma Cocktail Tour rappresenta quindi non solo una celebrazione dell'arte della miscelazione, ma anche un tributo alla dedizione e alla professionalità di tutti i bartender che, come Patrick Pistolesi, lavorano ogni giorno per elevare la qualità dell'aperitivo italiano. Con la sua guida, gli spettatori potranno scoprire il lato più autentico e affascinante di questa professione, rendendo le serate estive ancora più speciali con drink dal sapore e dal profumo inediti.
Intervista esclusiva a Patrick Pistolesi
Cocktail Tour questa è la tua prima esperienza televisiva. Cosa ti ha spinto ad accettare la sfida?
La motivazione principale non è stata tanto l'ego o la voglia di apparire, ma piuttosto la passione per il mio lavoro e la voglia di condividerlo con il pubblico. Sono convinto che ci sia ancora molto da scoprire e apprezzare nel mondo dei cocktail, e questa era un'opportunità per avvicinare più persone a questa realtà, sfatando vecchi miti e ispirando curiosi a frequentare i cocktail bar.
Io faccio parte di quella generazione che ha visto crescere e trasformarsi il mondo del bartending, visto spesso un po’ con la puzza sotto il naso. Ho sempre pensato che, in chiave divulgativa, fosse importante valorizzare e far conoscere il lavoro che noi barman svolgiamo ogni giorno. Questa trasmissione televisiva mi permette di mostrare il lato più autentico e affascinante del nostro mestiere, oltre a dare visibilità a tutte quelle persone che lavorano con passione e dedizione dietro al bancone. Insomma, era un'occasione troppo bella per lasciarsela sfuggire.
Barman e bartender sembrano essere due parole diverse tra loro. Non tanto per il loro significato, sono sinonimi, ma quanto per i pregiudizi che possono portarsi dietro.
Tra le due parole, non occorre alcuna differenza. Bartender è una parola che abbiamo importato dagli Stati Uniti, così come tutta la terminologia inerente alla professione: noi italiani siamo considerati tra i migliori host al mondo ma, in questo caso, anziché esportare abbiamo importato i termini da usare. La figura del barman ha forse una connotazione un po’ più romantica ma, poiché in molti, ci tengono a essere moderni e super internazionali e ad avere un termine unico di riconoscimento è più corretto parlare di bartender, un mestiere che comporta grandi sacrifici ma che premia chi ha una grande passione.
Il mio riferimento è a un altro tipo di pregiudizio sulla professione: quella di barman è spesso sottovalutata.
Negli anni, però, molto è cambiato: oggi sono le mamme che portano i figli al bar chiedendo se possono lavorare. Per anni, siamo stati orfani di una storia legata al nostro lavoro ma adesso abbiamo dei padri fondatori, dei nomi illustri che hanno contribuito a elevare la professione e a istituzionalizzarla. Quello del barman o del bartender non è più un lavoro che si fa solo d’estate o mentre si studia o si fa anche altro: è diventato un mestiere fatto di grandi nomi al servizio di altrettanti grandi nomi. Non parlo di me ma di gente come Massimo D’Addezio o Agostino Perrone.
A chi è venuta l’idea di Cocktail Tour, fatto di esaustive pillole di 5 minuti?
L’idea è di Hub4Brand e Level33 ma io l’ho abbracciata in pieno proprio per divulgare con tutti i mezzi possibili cos’è un drink, quanta bellezza ci sia nel farlo e quali dubbi ci siano sul mestiere. L’ho trovata un’occasione d’oro per far avvicinare tutti in maniera gradevole e non troppo invasiva al mondo dei bar. E per farlo abbiamo scelto uno staff formidabile con alle spalle grande esperienze e il formato giusto: 5 minuti che con discrezione, col sorriso e in modo semplice e diretto spiegano cosa c’è dietro a un cocktail, visitando posti meravigliosi.
Sei nel mondo della mixology da molti anni e ne hai osservato da vicino l'evoluzione. Quali sono stati i principali cambiamenti che hai notato?
Negli ultimi 25 anni, la mixology ha fatto passi da gigante. Prima era un mondo per pochi appassionati, con locali nascosti e poco conosciuti. L'avvento di Internet ha cambiato tutto, permettendo la diffusione di nuove tecniche e ricette. La cocktail revolution è esplosa a Londra intorno al 2007, portando con sé un'ondata di innovazione che si è diffusa rapidamente anche in Italia. Abbiamo riscoperto i classici come l'Old Fashioned, il Manhattan e il Martini, elevando il livello del nostro lavoro e attirando un pubblico sempre più vasto.
Prima dell'era di Internet, i bartender erano pochi e spesso isolati. Non c'era un modo semplice per condividere conoscenze e tecniche. Con l'avvento dei social media e delle piattaforme online, tutto è cambiato. Ora possiamo vedere cosa accade nei bar di tutto il mondo, scambiare idee e imparare gli uni dagli altri. Questo ha portato a una vera e propria rinascita della cultura del cocktail. I grandi alberghi e bar internazionali hanno iniziato a investire nella formazione e nella qualità, facendo crescere una nuova generazione di bartender altamente qualificati.
In Italia, questo movimento è stato accolto con entusiasmo. I bar di Milano, Bologna, Napoli e molte altre città hanno iniziato a seguire l'esempio dei grandi centri internazionali, sperimentando e innovando con tanti giovani bartender che eravamo e che siamo tutt’ora molto appassionati. Abbiamo visto la nascita di locali che offrono un'esperienza di altissimo livello, con cocktail creativi e ben bilanciati. Questo ha contribuito a cambiare la percezione del pubblico verso i cocktail, che ora sono visti come opere d'arte da gustare e apprezzare e non più come qualcosa che si serviva in vecchi bar polverosi di qualche albergo random e pure fatti male.
Il mio stesso locale, il Drink Kong a Roma non è un bar nascosto ma un locale di 300 metri quadrati su strada con un laboratorio molto importante in cui creiamo i nostri drink, come fanno gli chef con i loro piatti. L’obiettivo è stato cercare di rendere pop, nel senso di popolare, il mondo dei bar facendo sì che la gente entrasse in un universo sofisticato ed elegante, con un servizio ottimo ma anche molto fruibile, inclusivo e non esclusivo, in tutti i sensi possibile.
Cosa rende un buon bartender? Quali sono le caratteristiche fondamentali che deve avere?
Un buon bartender deve essere curioso, appassionato e comunicativo. Deve avere una conoscenza approfondita dei cocktail e delle tecniche di miscelazione, ma anche sapere ascoltare e interagire con i clienti. È un lavoro che richiede molta empatia e capacità di adattamento, perché ogni cliente è diverso e ogni serata al bar è unica. Bisogna essere in grado di creare un'atmosfera accogliente e far sentire ogni cliente speciale.
Un bartender deve essere un po' un ambasciatore del genere umano. Deve sapere un po' di tutto: dal risultato della partita di calcio, alla politica, ai trend culturali. Deve essere in grado di sostenere una conversazione su qualsiasi argomento e far sentire i clienti a loro agio. Inoltre, deve avere una grande capacità di osservazione per capire le esigenze del guest anche prima che le esprima. La discrezione e la professionalità sono fondamentali. Infine, deve essere un eterno studente, sempre pronto a imparare nuove tecniche e a sperimentare nuovi ingredienti.
Tornando al paragone con gli chef, ciò che ci differenzia è il fatto che siamo sempre in prima linea, in accoglienza del cliente. Uso sempre la metafora dell’ultimo aristocratico della working class per descrivere un bartender e la sua capacità di far sì che il momento dell’aperitivo, quello in cui chiunque, senza distinzione alcuna, si stacca dal suo mondo di impegni o lavoro, sia il più sereno possibile.
Preferisci rielaborare un cocktail classico o crearne uno nuovo da zero?
Entrambe le cose hanno il loro fascino. Rielaborare un classico è come suonare un grande standard jazz: richiede rispetto e conoscenza, ma anche la capacità di metterci del proprio. Creare qualcosa di nuovo, invece, è stimolante e permette di esplorare nuovi sapori e tecniche. Mi piace sperimentare con ingredienti esotici e innovativi, che spesso scopro durante i miei viaggi in giro per il mondo.
Prima della nascita dei miei figli, ho avuto modo di aver viaggiato molto in tutto il mondo e mi reputo fortunato ad aver assaggiato e sperimentato tante tecniche, ingredienti, mercati, temperature, climi e culture diverse. E da persona intraprendente, curiosa e innamorata del genere umano, reputo che da bartender sia per me inevitabile giocare con gli ingredienti sia culturali sia fisici.
Sono innamorato ad esempio del Giappone, ragione per cui cerco di incorporare nei miei cocktail ingredienti o sapori che possano offrire ai clienti un'esperienza unica, uno storytelling che lo porta a fare un viaggio non solo sensoriale pur rimanendo fermo.
Interpretare un classico è un esercizio di maestria e rispetto per la tradizione. Saper fare un Martini perfetto o un Negroni bilanciato richiede competenza e sensibilità. Ogni dettaglio conta, dalla scelta degli ingredienti alla tecnica di miscelazione, alla presentazione finale. È un modo per onorare la storia della mixology e offrire ai clienti una garanzia di qualità.
Hai mai incontrato difficoltà con qualche ingrediente particolare?
Un ingrediente che mi ha dato filo da torcere è stato la rapa rossa. È molto terrosa e difficile da lavorare, ma alla fine dopo aver sperimentato molto anche con varie tecniche sono riuscito a trovare il modo giusto per usarla nei miei cocktail. Ogni nuova sfida è un'opportunità per imparare e crescere, e la sperimentazione fa parte del processo creativo che rende questo lavoro così appassionante: alcune volte si vince, altre si rinuncia. Un’altra sfida che ricordo bene è quella legata al fungo shiitake: volevo a tutti i costi ricreare il sapore umami…
Segno di come non si finisca mai di studiare…
…e di imparare. Ed è forse il divertimento più bello: gli ingredienti sono milioni e le combinazioni miliardi. Un giovane bartender deve essere appassionato: l’improvvisazione non aiuta. Ricordo come una volta mi sia stato proposto un drink con infusione del sigaro che quasi mi mandava in ospedale: non si può far tutto, occorre informarsi bene per lavorare in un mondo sempre più complesso come il nostro. Bisogna essere pronti e capaci così come bisogna conoscere bene la materia prima e fare ricerca per trasformare un sapore in qualcosa di bevibile.
Qual è stata la tua prima esperienza come bartender?
Ho preparato il mio primo cocktail a 19 anni. Ero molto nervoso e avevo la visiera del cappellino abbassata per la vergogna, ma è andato tutto bene e mi sono innamorato di questo lavoro. Da lì in poi, ho continuato a studiare e migliorare, e questi 26 anni sono volati.
A chi o cosa si deve la tua fascinazione per il mondo dei bar?
A un piccolo pub irlandese (sono per metà italiano e metà irlandese), in cui sono entrato a 13 anni. Sono rimasto affascinato dalla figura del bartender, che vedevo come un superuomo capace di gestire tutto con abilità e carisma, un uomo impegnato in una guerra in cui non si fanno prigionieri. Da allora, ho cominciato con le mie preparazioni amatoriali ma il primo lavoro da bartender mi è arrivato in maniera inaspettata quando ho raggiunto la maggiore età. Si apriva un nuovo bar e per preparare la mia prima creazione ho studiato tutto quello che si poteva studiare: il risultato è stata una Pina Colada, un drink che mi è rimasto nel cuore.