Patrizio Rispo è uno die protagonisti del podcast Tre desideri. Realizzato da Chora Media in collaborazione con LILT, Tre desideri è un progetto culturale di dodici puntate che racconta desideri, paure e cambiamenti di chi ha affrontato un tumore ed è ora in fase di remissione.
Tre desideri, scritta da Elisa del Mese e raccontata da Daniela Ducoli, è una serie podcast con la cura editoriale di Sara Poma che indaga il rapporto tra mattia e speranze: trovarsi in una condizione di impotenza e paura spesso rende manifeste le nostre volontà più profonde. Di fronte a una parola che spaventa (“tumore”), emergono desideri e bisogni antichi, che illuminano il percorso anche quando tutto sembra buio.
Attore di teatro, cinema e televisione, Patrizio Rispo è noto al grande pubblico per essere per il ruolo di Raffaele, il custode di Palazzo Palladini nella celebre soap opera di Rai 3 Un posto al sole. Ma è anche un uomo che si è ritrovato a dover affrontare, poco dopo i suoi 60 anni, una diagnosi di tumore alla prostata. Tra la paura di non riuscire più a vivere il suo desiderio sessuale, la confusione del non sapere se operarsi immediatamente o meno, il ricordo di sua mamma mancata da poco e il bisogno di confidare tutto ai suoi fan, Patrizio Rispo racconta nel podcast in maniera sincera e impetuosa la sua esperienza.
Ne viene fuori una dichiarazione d’amore alla vita, al piacere e, soprattutto, alla prevenzione e alla scienza. Nel ripercorrere insieme a noi sia il momento della diagnosi sia ciò che ne è conseguito dopo, Patrizio Rispo si lascia andare a ricordi personali e aneddoti di vita, concentrandosi sul valore di quest’ultima e su quanto debba alla ricerca scientifica stessa.
Intervista esclusiva a Patrizio Rispo
Perché hai deciso di raccontare la tua storia nel podcast Tre desideri?
Ho moltissima fiducia nella comunicazione: chi vive un’esperienza come la mia, ha il compito di comunicarla a quante più persone possibili per essere loro eventualmente d’aiuto. ricordo la sensazione di panico che si prova quando alla prima visita medica mi è stato prognosticato il tumore alla prostata: non conoscevo i rischi e, se non avessi indagato o ascoltato altri pareri, mi sarei affidato al parere del primo specialista, sottoponendomi a un’operazione. In quel momento, si fa fatica persino ad accettare la parola “tumore”…
La mia avventura si è però rivelata particolare. Avevo deciso di sottopormi all’operazione, nonostante tutte le domande del caso e le rassicurazioni mediche, che lasciavano un margine di incertezza. Ma mancò la corrente elettrica mentre mi trovavo già pronto in sala operatoria. L’ho preso come un intervento divino: cominciai allora a informarmi delle conseguenze di ciò a cui stavo andando incontro, lessi quali potevano essere i rischi per un uomo di sessant’anni e scoprii che erano notevoli per quanto concerneva l’attività fisica e sessuale. Andai in paranoia: tutti gli amici si sentivano in dovere di darmi consigli ed ero completamente nel pallone.
Passarono da quel tentativo di operazione dieci giorni di travaglio prima che mi chiamasse un mio amico oncologo: aveva visto la mia situazione e, studiando il mio tumore, mi consigliò la sorveglianza attiva. Mi affidai allora a un urologo, a cui chiesi fondamentalmente due cose: il rimanere sano e potente da un lato e il desiderio che mi facesse da regia, vista la mia confusione.
E per sei anni sono stato in sorveglianza attiva. Poi, il progresso scientifico e tecnologico ha portato a un nuovo macchinario: ho eliminato così i due tumori alla prostata con la radiofrequenza e gli ultrasuoni senza alcuna conseguenza.
Il sesso è stata una delle tue preoccupazioni…
Non perché sia un sessuomane ma per me un uomo la sola idea di non poterlo più fare è devastante da un punto di vista psicologico e identitario. Al di là del fatto che lo si faccia o meno, il sesso è una condizione psicologica: non avrei forse mai potuto convivere con il trauma di sapere che non avrei mai più potuto farlo o di ricorrere a soluzioni “alternative”, che già solo a sentirle mi spaventavano.
L’idea i rinunciarci si riversa inevitabilmente sulla psiche: è come se dovessi spegnere una parte di te stesso. Ti passa la voglia di uscire di casa o di mettere in atto atteggiamenti di seduzione nei confronti dell’altro (al di là che termini con un atto sessuale o meno, c’è sempre un meccanismo di seduzione quando ci relazioniamo verso gli uomini e verso le donne). Viene anche minata la vanità stessa, tutti fattori che portano a chiuderti, isolarti e invecchiarti.
Hai associato il blackout elettrico a un intervento divino… che, nel podcast, racconti essere quello di tua madre da poco scomparsa. Che rapporto avevi con lei?
Io l’ho vista così: ai posteri l’ardua sentenza. Però, che manchi per ben due volte la corrente in un ospedale universitario di un certo livello è curioso: non era mai successo prima. Quello con mia madre era un rapporto da figlio devoto e affettuoso. La mia è da sempre una famiglia molto legata: mia madre è stata colei che mi ha stimolato la vena artistica, facendomi amare la musica, l’arte, il teatro e la lettura.
Tra noi, c’era una grande feeling intellettuale: al di là dell’essere mia madre, è sempre stata per me un riferimento molto importante, così come anche mio padre. Ho avuto due genitori molto rispettosi che hanno permesso a tutti noi quattro figli di spiccare il volo, assecondando le nostre voglie, i nostri talenti e le nostre autonomie.
I sei anni di sorveglianza attiva sono stati segnati anche dal tuo desiderio di non far pesare la malattia sulla tua famiglia.
Non ho pensato più di tanto alla malattia per un fattore, se vogliamo, anche di incoscienza e di rimozione. Mi sottoponevo agli esami due volte all’anno e, non avendo fastidi di nessuna natura, tendevo a non soffermarmi sul mio tumore. I sei anni che sono intercorsi sono una dimostrazione concreta dell’importanza della ricerca: sono stati fatti incredibili passi avanti anche grazie alle donazioni. Ragione per cui sono sempre in prima linea nelle campagne dei miei amici medici. Ricerca e prevenzione sono fondamentali.
Una volta scoperto il fastidio, come lo definisci tu (“la parola tumore spaventa”, come sostengono anche altri intervistati del podcast), non hai nascosto la tua condizione ai fan. Per loro, sui social, sei diventato in breve tempo un punto di riferimento.
Hanno cominciato a scrivermi in molti. Ho salvato in tanti e ad altrettanti ho consigliato di informarsi sulla sorveglianza attiva. Come avevo potuto constatare in prima persona, la diagnosi manda nel panico e, con una certa tranquillità, ho provato a indirizzare chi mi scriveva facendo quasi da informatore sanitario. Lo faccio ancora adesso. Mi sono ritornati indietro tantissimo affetto, stima e considerazione che hanno aiutato anche me, infondendomi sicurezza e facendomi sentire non solo forte ma anche circondato da attenzione e gentilezze.
Ho anche voluto condividere la mia esperienza sul set, cominciando persino a dare indicazioni sui giusti ospedali a cui rivolgersi anche per patologie diverse dalla mia: sono diventato la risposta a Carlo Verdone in Campania. Stando vicino a tantissime realtà e prendendo parte a molte campagne, non dico che si diventi ipocondriaci ma ci si informa accuratamente e si cerca di capire quali soluzioni o azioni mettere in atto.
Ciò mi ha permesso di capire anche come il rapporto con la malattia sia come l’andare in guerra: si deve essere allenati, sani mentalmente e ottimisti per arrivare sul campo di battaglia prima del nemico e studiare la posizione migliore per combatterlo. La prevenzione è di sicuro la prima tattica o strategia da mettere in atto, è fondamentale… com’è fondamentale che non si taglino i fondi alla Sanità. “Tumore” è un termine che manda nel panico e che spesso fa fare scelte affrettate: la sola parola richiama la morte ma la scienza ha fatto passi notevoli, motivo per cui tutti quanti dovremmo sottoporci a dei check-up continui: arrivare prima salva la vita.
Hai mai pensato in quei sei anni all’ipotesi “e se non ce la faccio”?
Non ci ho pensato perché ero fiducioso nell’essermi affidato a dei medici competenti. Si deve avere fiducia nel medico: nel mio caso, la situazione non era allarmante e, quindi, non solo ero abbastanza rassicurato ma anche molto controllato grazie agli esami periodici a cui mi sottoponevo. Chiaramente, esistono situazioni più angoscianti o di maggiore tensione ma non è stato il mio caso.
Nel non far pesare la tua condizione alla tua famiglia, hai messo in allerta, comunque, i tuoi due figli maschi su quelli che potevano essere i rischi e i pericoli di un tumore alla prostata?
Sono sempre cresciuti con un rapporto sano nei confronti degli esami e dei controlli. Uno dei due è anche allergico ed è abituato ad autocurarsi sin da bambino nei casi di emergenza: questo per dire che sanno sempre ciò che devono fare senza farsi prendere dall’ansia quando si verificano certe situazioni. Hanno sempre condotto anche una vita sana: sono due sportivi cresciuti con una madre fissata con l’alimentazione.
In Tre desideri, parli anche del rapporto con tua moglie…
Prima di scoprire di avere un tumore alla prostata, ho avuto un esaurimento nervoso per le conseguenze di episodi che si sono concentrati e susseguiti: mia moglie ebbe un tumore al seno e mi ritrovai in una sparatoria in una serata. Mentre mia moglie si sottoponeva alla chemio terapia, facevo finta di niente tenendo alto l’umore in casa per i nostri due figli, che erano ancora piccoli. Però, come spesso capita, la mia macchina “cervello” si è dopo rotta: andai in depressione, altra patologia che dovrebbe essere colta al primo segnale.
La depressione è infima: arriva e ci convivi senza nemmeno rendertene conto. Pensi che si tratti semplicemente di uno sbalzo d’umore quando invece c’è sotto uno stato latente pronto a esplodere per cui occorrerebbe chiedere aiuto subito. Fortunatamente, il ribellarmi alla depressione e curarla ha fatto sì che affrontassi il tumore in uno stato umorale forte.
Ti ha aiutato il lavoro? Oltre al far l’attore nella soap Un posto al sole, sei anche proprietario di un ristorante nel centro di Napoli.
La cucina è la mia passione di famiglia. Ci ho scritto anche un libro qualche anno fa, Un pasto al sole.
In Un posto al sole, interpreti Raffaele, il custode di palazzo Palladini. Com’è che la gente oggi ti considera l’host di quella splendida location?
La confusione nasce da un concorso indetto da AirBnB in tutto il mondo. Scegliendo in ogni nazione quello che era un programma molto popolare, dava la possibilità agli utenti che cliccavano per primi, a una data e a un’ora prestabilita, di trascorrere del tempo nella location simbolo del programma stesso. Il concorso si è trasformato per me in una sorta di incubo: per due mesi, hanno continuato a chiamarmi credendo che avessi aperto un b&b a Palazzo Palladini e chiedendomi di poter prenotare un soggiorno.
Nessuno aveva capito che si trattava soltanto di un concorso che per una sola volta dava la possibilità di trascorrere una notta nella villa e di vivere una giornata sul set: sono i rischi di internet, dove quasi nessuno approfondisce ciò che sta leggendo soffermandosi solo al titolo… ma Palazzo Palladini non è mio: non potrei mai aprirci un b&b! (ride, ndr).