Penelope Raggi, volto di Diana nella serie Netflix Adorazione, si racconta come una giovane donna che ha trovato nella recitazione uno strumento di crescita personale. Diana è un personaggio complesso, schiacciato dal giudizio altrui e da un rapporto difficile con la madre. Penelope Raggi ha sentito immediatamente un legame profondo con lei, tanto da risultare a tratti destabilizzante. “Ho avuto un impatto molto forte perché Diana, per molti aspetti, è simile a me”, ci ha rivelato, spiegando come interpretarla abbia richiesto uno sforzo per non giudicarla, ma comprenderla.
Questo viaggio artistico non si è limitato al set. Lavorare su Diana ha permesso a Penelope Raggi di riflettere sul proprio rapporto con le insicurezze, il giudizio e la crescita emotiva. La costruzione del personaggio, guidata dall’esperienza del regista Stefano Mordini, le ha offerto una prospettiva diversa, aiutandola a superare alcune sue fragilità personali e a esplorare la propria resilienza. Diana, con la sua evoluzione interiore, rappresenta un percorso di emancipazione che Penelope Raggi ha vissuto parallelamente, portando avanti una riflessione più ampia sulla pressione estetica e sulle relazioni tossiche, temi centrali anche nella sua vita.
Nonostante le difficoltà del suo primo grande set, Penelope Raggi ha affrontato con grinta e determinazione ogni sfida, dal rapporto con colleghi più esperti come Michele Rosiello alle scene più intime e vulnerabili. Sul set, ha trovato un ambiente protetto che le ha permesso di affrontare con sicurezza situazioni delicate, confermandole che la recitazione è il suo posto nel mondo.
In Penelope Raggi c’è molto più di una giovane attrice: c’è una ragazza che, attraverso il racconto di Diana, ha scoperto parti di sé, imparando a valorizzarsi e a crescere, in un viaggio che è solo all’inizio. Adorazione non è stata solo una serie, ma una tappa fondamentale di scoperta, sia per Diana che per Penelope Raggi.
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Intervista esclusiva a Penelope Raggi
“Ho avuto un impatto molto forte perché Diana per molti aspetti è simile a me”, esordisce Penelope Raggi quando le si chiede di raccontare cosa ha pensato quando si è ritrovata a confrontarsi con il personaggio che interpreta nella serie Netflix Adorazione. “Al primo impatto, la somiglianza mi ha portato quasi a infastidirmi per certi suoi atteggiamenti proprio perché probabilmente ci rivedevo molti dei miei. Essendo la prima volta che mi approcciavo a un personaggio con un suo percorso completo, ho capito con il tempo e con l’aiuto del regista Stefano Mordini che non avrei mai dovuto giudicarlo ed è stato questo che mi ha permesso quasi di distaccarmi da lei, nonostante le nostre evidenti somiglianze, e di comprendere che in scena non c’era più Penelope ma Diana”.
“Ciò mi ha spinta anche a capirla, a comprendere certi suoi comportamenti e a sperimentare empatia nei suoi confronti”, prosegue Penelope Raggi nel suo racconto. “Credo che farlo in qualche modo mi abbia portata intimamente a una grande crescita da un punto di vista umano ed emotivo”.
Diana è anche una ragazza molto dura, soprattutto con se stessa. Qual è il suo aspetto che hai fatto più fatica a metabolizzare?
Sicuramente, la svolta a cui va incontro dopo la scomparsa di Elena. Quella sua evoluzione, con il suo modo di aprirsi al mondo, è la parte che rimane più lontana da me e che, inizialmente, non condividevo. Ho capito solo dopo quali erano le motivazioni che vi stavano dietro imparando quindi a giustificarla: ho compreso che anche lei era vittima di un sistema patriarcale interiorizzato.
Al di là del sistema patriarcale, i ragazzi e le ragazze di Adorazione sono vittime anche di un gruppo di adulti che non hanno ancora compreso cosa sia la genitorialità. Nel caso di Diana, è fortissimo il rapporto di contrasto che ha con la madre. È stato semplice comprenderne le ragioni?
Sì, perché comunque anch’io e mia madre abbiamo un rapporto molto contrastante: finiamo spesso con il litigare. Nonostante l’immenso amore che ci unisce, gli scontri sono diretti e le discussioni anche abbastanza focose. Tant’è che quando i miei genitori hanno visto i primi due episodi della serie hanno anche commentato divertiti che non stavo nemmeno recitando, ero io e basta. Non è stato dunque difficile inscenare quelle situazioni, anche perché credo che in età adolescenziale certe dinamiche riguardino un po’ tutti, ragione per cui è molto comune litigare con i genitori. Certo, c’è poi da comprendere quali siano le motivazioni che stanno dietro agli scontri, generati da motivi ovviamente differenti.
Diana soffre molto il peso del giudizio altrui, soprattutto se riferito alla sua sfera estetica: di fondo, è la competizione che viva con la madre alla base dei loro scontri. Come vive invece Penelope il giudizio?
Interpretare Diana, da questo punto di vista, mi ha aiutata: sono una persona che ha vissuto tanto del giudizio altrui, nel bene o nel male. Per me, l’opinione dell’altro è sempre stata importante e talvolta, sbagliando, quasi più di ciò che pensavo realmente io. Portando in scena la crescita di Diana è come se anche Penelope fosse riuscita a svincolarsi dal problema: piano piano, seppur ancora con grandi difficoltà, sto cercando di concentrarmi sul mio pensiero e sulle mie impressioni. E anche l’esposizione a cui sto andando incontro grazie alla serie mi sta insegnando molto, a partire dal fatto che le critiche ci saranno sempre: non è su quelle e basta che dobbiamo focalizzare la nostra attenzione, occorre semmai capire cosa queste siano in grado di apportare a livello di arricchimento umano.
Ti tocca un eventuale giudizio estetico nei tuoi confronti?
Come tutti, purtroppo in quest’epoca, mi giudico per prima io da un punto di vista estetico. Ho sempre fatto molta fatica ad apprezzarmi ma negli anni sono andata incontro a un miglioramento, dando meno peso a ciò che a 14 o 15 anni cattura maggiormente la tua attenzione. È solo con la maturità e la crescita che si capisce come l’aspetto fisico sia solo una piccola parte di ciò che si è: c’è tanto, tanto altro in più in gioco.
Questa consapevolezza di ha aiutata a giocare con il corpo, dal momento che il ruolo di Diana ti richiedeva di farlo?
Si, perché se non si è confident con se stesso non si può di certo esserlo di fronte a una macchina da presa. Ma tocchiamo comunque una questione per me complessa e controversa: ho vissuto bene alcune scene di nudo e meno bene altre. Con una battuta, potrei dire di essermi spogliata più in Adorazione che nella vita reale, dove invece sono molto più pudica e riservata…
Quando mi hanno detto che avrei dovuto girare delle scene di nudo, in un primo momento l’ho presa molto alla larga provando a non pensarci più di tanto. Ma, nel momento in cui ho dovuto girare, fondamentali per me si sono rivelati la presenza sul set di una intimacy coordinator e la sintonia estrema con il regista Stefano Mordini, in grado di capire con un solo sguardo quando fossi in ansia per qualcosa. Da quanto ho potuto percepire anche dai racconti dei colleghi con cui ho condiviso l’esperienza, è veramente raro trovare un regista che, come Stefano, faccia sentire gli attori come gemme da tutelare e curare in qualsiasi modo, forma e momento.
È stato semplice confrontarsi per la prima volta con un nutrito cast formato da un lato da giovani alle prime esperienze e dall’altro da attori più navigati, a cominciare da Michele Rosiello con cui hai condiviso le scene forse più complesse per la storia di Diana?
L’ansia dell’aspettativa e la sindrome dell’impostore erano fedeli compagne, sia quando lavoravo con i giovani sia quando mi confrontavo con chi ha alle spalle maggiore esperienza attoriale. C’è stato in ogni caso un arricchimento dal punto di vista lavorativo, soprattutto confrontandomi con chi come Michele mi ha aiutato molto spesso in scena e guidato su alcuni aspetti. Con lui, persona molto, molto gentile, ci siamo sottoposti a un piccolo training con l’actor coach Barbara Chiesa per creare l’intesa che i nostri personaggi avevano all’interno del racconto: non ci eravamo mai conosciuti prima e, sebbene a lui non servisse particolarmente, è stato molto generoso nel farlo insieme a me.
Adorazione: Le foto della serie tv
1 / 38Nonostante la sua durezza, pian piano Diana manifesta barlumi di dolcezza e gentilezza. In questo, quanto Penelope è differente?
Dovrei lasciar la risposta alle persone che mi conoscono però so di essere molto dura, molto razionale, molto con i piedi per terra e poco emotiva. Mi lascio trasportare poco dalle emozioni ma credo di avere anche una grande forma di amore e gentilezza che riesco a esprimere solo dopo tanto tempo, quando entro in contatto con la parte profonda di coloro a cui mi lego.
Diana vive anche in una provincia che sembra quasi un inferno dantesco. Quanto è diverso il contesto in cui sei cresciuta tu?
Non ho mai vissuto una realtà di provincia come quella di Sabaudia, dove è ambientata la serie, perché sono cresciuta a Roma, una grande città che offre comunque infinite possibilità per sfuggire a quella sensazione di soffocamento che provano i ragazzi del racconto. Per rendere in scena la sensazione, mi sono rifatta al periodo che ho vissuto in prima persona quando frequentavo le scuole medie: sentivo particolarmente anch’io la costante voglia di rientrare all’interno di un qualcosa che non mi apparteneva. Non conoscendo ancora cosa c’era al di fuori del mio quartiere e della mia scuola, sentivo di dover fare anche delle cose che non erano mie ma che mi costringevo a fare per uniformarmi agli altri.
Un altro tema particolarmente importante che la serie tv Adorazione tratta sono le relazioni tossiche. Da giovane donna, quali sono le red flag che ti fanno capire che una relazione sta per trasformarsi in qualcosa di tossico?
In tema di relazioni, la mia esperienza è al minimo: nella vita, mi sono fidanzata una sola volta e con il mio attuale ragazzo. Tuttavia, credo che il primo segnale arrivi anche dalle piccole concessioni che l’altro dà in un rapporto. Molto banalmente, mi fa impazzire il concetto per cui a un ragazzo può essere concesso tutto, dall’andare a ballare da solo alla partita a calcetto con gli amici, mentre una ragazza, qualora abbia i suoi spazi di libertà, è costretta a confrontarsi con un tartassamento di messaggi per sapere costantemente cosa sta facendo, dove sta o con chi va. Sembra quasi che la libertà sia scontata ma a senso unico.
Da un punto di vista dell’educazione sentimentale, chi ha provveduto alla tua?
Di mio, credo che il compito dovrebbe essere esteso a tante altre figure che circondano la vita di un giovane e non solo ai genitori a cui al momento è esclusivamente deputato. Non parlo solo di educazione sentimentale ma anche sessuale: purtroppo, nelle scuole non si fa molto in tal senso e spesso anche gli incontri organizzati sul tema si traducono in un nulla di fatto. Nel mio caso, hanno provveduto i miei genitori: sono stata fortunatissima nell’essere stata cresciuta da loro come una donna libera sotto ogni aspetto.
Nessuno si è mai permesso di ledere la mia libertà: i miei si sono battuti per farmi comprendere cosa fosse giusto all’interno di una relazione e cosa non lo fosse, a partire da quelle amicali perché sono quelle le prime in cui si mettono in atto limitazioni o manipolazioni. Lo hanno fatto con delicatezza e mai con la forza: hanno sempre aperto un dibattito con me portandomi a capire i miei errori, quelli che ho inevitabilmente fatto e in cui ho sbattuto la testa come è giusto che sia.
Lo abbiamo ripetuto un paio di volte: Adorazione è la tua prima grande esperienza su un set. Ma come è entrata la recitazione nella tua vita?
Banalità delle banalità, mi era sempre piaciuta e la sentivo mia ma, a causa dei miei problemi di gestione dell’ansia, non mi ero mai sentita pronta a lanciarmi in qualcosa di così grande. È stata la mia psicologa a dirmi di provare a farlo perché avrebbe potuto aiutarmi a confrontarmi con quella timidezza che spesso sta alla base dell’ansia. Grazie a un giro di contatti, arrivo all’Act School di Nicola Donno (che è poi divenuto il mio agente): volevo solo studiare recitazione per liberarmi dall’ansia quando poi ho invece scoperto di aver trovato la mia dimensione ideale.
E come hai gestito l’ansia sul set?
Pensavo sarebbe andata molto peggio e invece sono riuscita a placarla: è come se avessi trovato il mio posto nel mondo, Sabaudia dove abbiamo girato è stata per me casa. Forse, ora che la serie è disponibile per tutti, vivo un po’ più di agitazione: è nelle mani del pubblico, giudice supremo per chi sceglie questo lavoro.
Inevitabilmente, senza spoilerare nulla, la serie si concentra anche sul momento in cui si realizza chi si è. Quando Penelope ha capito chi era?
Ho vent’anni e non so se ho ancora capito chi sono. Sicuramente Adorazione mi ha dato la possibilità di capire una parte di me che dentro di me sapevo essere legata al sogno di diventare attrice. La considero una sorta di rinascita ed è stata un’emozione meravigliosa che spero di poter rivivere.
Quando hai imparato allora a voler bene a te stessa?
Anche questo è ancora un percorso in divenire, su cui sento di dover lavorare tanto. Di sicuro, mi ha salvato la terapia, che mi ha aiutata a comprendere tanti lati di me, a perdonarmi in qualche modo tante cose e, a poco a poco, ad apprezzarmi di più.
Ho perso le parole, ho un buco in mezzo al cuore, canta Fabri Fibra in una delle canzoni della colonna sonora di Adorazione. Cosa fa perdere le parole a Penelope?
In positivo, sicuramente la gentilezza e la generosità, due qualità che nel mondo in cui viviamo non sono più così scontate. In negativo, l’incapacità di vedere la realtà quando questa è lampante, come se avessimo il prosciutto negli occhi.