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Peter Marcias: ‘Raccontare storie che tocchino il cuore’ – Intervista esclusiva

peter marcias
Alla vigilia dell’uscita in sala del film Uomini in marcia, incontriamo il regista Peter Marcias per un’intervista esclusiva che fa il punto sul suo lavoro e sul suo percorso d’autore. 

Uomini in marcia, il nuovo film di Peter Marcias, ha fatto il suo debutto mondiale alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella Selezione Ufficiale. Potente film documentario, Uomini in marcia sarà distribuito nelle sale cinematografiche italiane da Notorious Pictures a partire dal 1° giugno, proprio alla vigilia della Festa della Repubblica. Prima della distribuzione nazionale, il film ha avuto una speciale anteprima pubblica a Carbonia il 2 maggio, in occasione della Festa del Lavoro, presso il Cine-Teatro Centrale, grazie all'organizzazione della Società Umanitaria - Cineteca Sarda.

In un periodo storico in cui tutto sembra mutare velocemente, Uomini in marcia di Peter Marcias invita il pubblico a riflettere su domande cruciali: Cos’è questa crisi? È forse la fine del capitalismo moderno? O un ritorno alle teorie di Keynes? Il film offre uno sguardo retrospettivo, riportandoci al recente passato per marciare al fianco di coloro che hanno lottato per un diritto fondamentale e sempre più minacciato: il diritto al lavoro e alla dignità che esso conferisce.

Il film è un mosaico di voci e immagini di repertorio, intervallato da testimonianze e riflessioni che risuonano nel cuore dello spettatore. Peter Marcias ci conduce in un viaggio attraverso le campagne e le fabbriche d'Italia, dal Nord al Sud, dalle Isole al continente, per raccontare la storia di chi ha combattuto per il lavoro e la sua dignità. Tra le testimonianze spiccano quelle di figure di rilievo come Ken Loach, celebre per il suo impegno nella narrazione della classe operaia, e Laurent Cantet, noto per il suo sguardo incisivo sui conflitti sociali e generazionali.

La voce narrante del film è di Gianni Loy, professore di diritto del lavoro all'Università di Cagliari dal 1975 al 2014, nonché scrittore e poeta. Il documentario include inoltre preziose testimonianze d'archivio di personalità come Giuseppe Di Vittorio, Giacomo Brodolini, Laura Conti e altri protagonisti delle lotte sindacali e sociali italiane.

Uomini in marcia non è solo un viaggio attraverso l’Italia, ma anche attraverso la memoria delle battaglie dei lavoratori del Sulcis-Iglesiente: dalle miniere alle proteste, dalla chiusura delle fabbriche ai sindacati, dalla marcia per lo sviluppo alla riqualificazione di alcune aree e alla tutela dell'ambiente. Un viaggio che ci ricorda come il diritto al lavoro sia un tema universale, intrecciato con le vite, le speranze, il dolore e la passione di uomini e donne di ogni parte del Paese.

Con questa intervista in esclusiva, esploreremo il processo creativo di Peter Marcias, le sfide affrontate nella realizzazione del documentario e il messaggio che spera di trasmettere al pubblico. Ma faremo anche il punto sul suo percorso professionale e personale.

Il regista Peter Marcias (Press: Mimmo Morabito @Studio Morabito).
Il regista Peter Marcias (Press: Mimmo Morabito @Studio Morabito).

Intervista esclusiva a Peter Marcias

Da dove nasce l’idea di un film come Uomini in marcia?

L'idea del film è nata da un incontro casuale ma profondamente significativo. La Cineteca Sarda della Società Umanitaria mi ha mostrato alcune immagini recuperate attraverso un bando pubblico. Avevano lanciato un appello sui giornali, invitando chiunque avesse documentazione della marcia del 1992-1993 – immagini, fotografie, video – a portarla in Cineteca per il restauro e la conservazione. Così, ho avuto modo di vedere queste straordinarie immagini di una folla di persone impegnate in una lotta per i diritti fondamentali in un territorio estremamente difficile come il Sulcis-Iglesiente.

Questo territorio, originariamente minerario, ha vissuto una storia industriale travagliata e oggi soffre di una disoccupazione endemica. Quando ho visto quelle immagini, ho capito immediatamente che c'era una storia potente da raccontare, una storia di resistenza e di richiesta di diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto al lavoro. La marcia di cui parliamo era una lotta per il riconoscimento di questi diritti, e mi è sembrato fondamentale recuperare questo episodio storico e inserirlo in un contesto più ampio, riflettendo su ciò che è successo in Italia negli ultimi 120 anni. È stata questa la scintilla che ha dato il via al progetto.

Come sei riuscito a coinvolgere figure come Ken Loach e Laurent Cantet, da poco prematuramente scomparso, in questo progetto?

Coinvolgere figure di grande rilievo come Ken Loach e Laurent Cantet è stato un processo lungo ma gratificante. Quando ho iniziato a lavorare su Uomini in marcia, sapevo che non potevo fare a meno di ascoltare la voce di Ken Loach. Il suo contributo al cinema sociale è inestimabile, e ha raccontato storie di lavoratori e delle loro lotte in modo incomparabile. Tuttavia, ottenere un'intervista con lui non è stato facile. Mi ha rimbalzato per un po' di tempo a causa dei suoi numerosi impegni: i suoi film sono sempre molto richiesti e lui è costantemente occupato.

Ho dovuto aspettare con pazienza, ma sapevo che non potevo rinunciare alla sua partecipazione. Alla fine, dopo molta attesa, mi ha invitato a Londra. Ho trascorso due giorni con lui, durante i quali abbiamo chiacchierato di molte cose, anche di calcio, visto che lui è un grande tifoso. L'intervista vera e propria è stata più breve, ma il tempo passato insieme è stato fondamentale per il mio progetto.

Per quanto riguarda Laurent Cantet, il processo è stato più semplice. Laurent era stato a Carbonia per il Carbonia Film Festival e aveva presentato il suo film L'Atelier. Avevo già un legame con lui, e sapevo che aveva un rapporto speciale con la città, poiché il protagonista del suo film era originario di Carbonia. Laurent era una persona molto disponibile e generosa con il suo tempo. Quando gli ho parlato del progetto, è stato entusiasta e ha accettato di partecipare senza esitazioni. Anche lui è un regista che stimo moltissimo, le sue opere hanno sempre un forte impatto sociale e umano, e la sua presenza nel documentario è stata preziosa.

Che sfida è montare un documentario che copre 120 anni di storia del lavoro in soli 75 minuti?

Montare un documentario che copre un arco di tempo così vasto è stato davvero una sfida enorme. La prima fase è stata quella della ricerca. Abbiamo lavorato come dei veri e propri topi d'archivio, esplorando materiali provenienti da diverse fonti, tra cui l'Archivio Luce, l'Archivio Movimento Operaio, varie cineteche, archivi personali e internazionali. È stato un lavoro meticoloso e dettagliato, perché ogni frammento di pellicola, ogni fotografia, ogni documento poteva aggiungere un tassello importante alla narrazione.

Abbiamo trovato materiali di documentaristi meno conosciuti, come Salvatore Sardo e Tonino Casula. Questi documentaristi hanno catturato momenti cruciali della storia del lavoro in Sardegna e in Italia, ma molti dei loro materiali erano quasi dimenticati. Il montatore Fabrizio Federico, con cui collaboro da anni, è stato essenziale in questo processo. Fabrizio è noto per i suoi lavori con registi come Gianfranco Rosi e Pietro Marcello, e ha un'abilità straordinaria nel dare coerenza e ritmo a materiali molto diversi tra loro.

Le nostre sessioni di montaggio erano intense. Visionavamo ripetutamente i materiali, cercando di trovare il filo conduttore che potesse legare insieme 120 anni di storia in modo coerente e significativo. Raccontare una storia così lunga in soli 75 minuti richiede un'abilità particolare nel fare sintesi, nel selezionare i momenti più significativi e nel costruire una narrazione che sia comprensibile e coinvolgente per il pubblico. Abbiamo lavorato su questo progetto per un anno e mezzo, con un'attenzione maniacale ai dettagli, cercando di fare giustizia a tutte le storie e a tutte le lotte che volevamo raccontare.

Hai parlato delle difficoltà nel reperire alcuni materiali. Puoi darci un esempio?

Un esempio emblematico è il materiale di Tonino Casula. Tonino era un grande artista sardo, ma dopo la sua morte, la sua famiglia non aveva accesso ai suoi materiali. Ho contattato i suoi figli, che inizialmente non sapevano dove si trovassero le pellicole. Ho suggerito loro di cercare nelle cantine, dove alla fine hanno trovato una quantità enorme di pellicole. La famiglia ha portato tutto alla Cineteca per il restauro, permettendoci di recuperare quelle immagini. È stato un lavoro di ricerca scientifico, impegnativo, ma ne è valsa la pena.

Recuperare questi materiali ha richiesto un impegno costante e una grande pazienza. Ho coinvolto le famiglie dei documentaristi, cercando di far capire loro l'importanza storica di questi materiali e la necessità di preservarli. Ad esempio, quando ho visto le pellicole di Casula, ho capito subito che dovevano essere incluse nel film. Ho contattato la famiglia, e dopo molte discussioni, una delle figlie ha finalmente trovato le pellicole in una cantina. La Cineteca si è occupata del restauro, ma senza la collaborazione della famiglia, quei materiali sarebbero andati persi.

È stato un lavoro scientifico di ricerca, ma anche un lavoro di persuasione e di costruzione di fiducia con le famiglie dei documentaristi. Questo processo ha richiesto molto tempo e sforzo, ma il risultato è stato prezioso. Abbiamo recuperato immagini che altrimenti sarebbero state dimenticate, e abbiamo potuto includerle nel documentario, arricchendo così la nostra narrazione.

Come vedi l'influenza della gig economy sulla percezione del lavoro e dei diritti dei lavoratori?

La gig economy ha un impatto profondo e pervasivo sulla percezione del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Sta colpendo duramente le nuove generazioni, ma anche una parte della generazione di mezzo. La precarietà è diventata una realtà quotidiana per molti, e questo influisce negativamente sulla stabilità economica e sulla qualità della vita. Purtroppo, le uniche soluzioni possono venire dalle classi dirigenti politiche e dai sindacati. È necessario un dialogo internazionale tra lavoratori e politici per affrontare queste problematiche.

La gig economy, con i suoi lavori a breve termine e spesso senza tutele, mina la sicurezza e i diritti dei lavoratori. Le nuove generazioni si trovano a dover affrontare un mercato del lavoro estremamente instabile, dove i diritti che le generazioni precedenti hanno conquistato con fatica vengono continuamente messi in discussione. La classe politica deve prendere atto di questa situazione e lavorare in concerto con i sindacati per trovare soluzioni efficaci. Questo è un problema globale, non limitato a una singola nazione, e richiede una risposta coordinata a livello internazionale. I lavoratori di tutto il mondo devono unirsi per far sentire la loro voce e per rivendicare i loro diritti. Come diceva Ken Loach, i lavoratori internazionali devono unirsi per affrontare le sfide comuni. Solo così possiamo sperare in un cambiamento reale e duraturo.

Il poster del film Uomini in marcia.
Il poster del film Uomini in marcia.

Tu hai un legame forte con la Sardegna. Come vedi la situazione lavorativa nella tua regione?

La Sardegna, nonostante sia una regione a statuto speciale, soffre di problemi politici e sociali simili a quelli del resto d'Italia. Molti giovani se ne vanno, ma alcuni restano e trovano il loro posto. La Sardegna potrebbe fare molto di più dal punto di vista del lavoro, ma manca una politica adeguata. Nonostante tutto, vedo una certa apertura e voglia di fare nelle nuove generazioni. C'è una necessità di cambiamento e di miglior gestione delle risorse e delle opportunità.

La Sardegna è una regione ricca di potenziale, sia dal punto di vista economico che culturale. Tuttavia, spesso questo potenziale rimane inespresso a causa di una gestione politica inefficace e di una mancanza di investimenti strategici. La disoccupazione è un problema serio, e molti giovani si sentono costretti a lasciare l'isola in cerca di migliori opportunità altrove.

Tuttavia, c'è anche un forte senso di comunità e di appartenenza che spinge alcuni a rimanere e a cercare di costruire qualcosa di significativo nella loro terra natale. Ho incontrato molti giovani che hanno scelto di rimanere in Sardegna e di investire nel loro futuro lì, nonostante le difficoltà. Questo mi dà speranza e mi fa credere che con le giuste politiche e un maggiore sostegno, la Sardegna possa prosperare e offrire opportunità significative ai suoi abitanti.

Come riesci a bilanciare tra il cinema di finzione e il documentario? Cosa ti spinge a unire questi linguaggi?

Mi considero principalmente un documentarista, anche se spesso mi viene associata la parola "docufiction". Nei miei lavori, come Nilde - Il tempo delle donne con Paola Cortellesi, cerco di evocare storie reali con un tocco personale. Sono molto curioso e attento ai temi sociali e politici. Le storie di donne mi interessano particolarmente perché sono spesso meno raccontate. Mi piace raccontare figure come Piera Degli Esposti, Liliana Cavani e Nilde Iotti, donne che hanno lasciato un segno nella storia italiana. Mi impegno affinché questi documentari siano realizzati bene e abbiano la giusta visibilità. Allo stesso tempo, lavoro anche su progetti di finzione, come un film su Grazia Deledda, la prima e unica donna italiana a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.

La mia passione per il documentario nasce dalla curiosità e dall'interesse per le storie reali e per le persone che le vivono. Il documentario mi permette di esplorare temi sociali e politici in profondità, di dare voce a chi spesso non ne ha e di affrontare questioni complesse con un approccio diretto e sincero. Le storie di donne, in particolare, mi attraggono perché credo che abbiano ancora molto da raccontare e che meritino maggiore visibilità. Piera Degli Esposti, Liliana Cavani, Nilde Iotti – sono tutte figure straordinarie che hanno contribuito in modo significativo alla cultura e alla politica italiana, e raccontare le loro storie è per me un modo per renderle giustizia e per ispirare le nuove generazioni.

D'altra parte, la finzione mi offre la possibilità di esplorare la creatività in modo diverso. Nei film di finzione posso giocare con la narrazione, con i personaggi, con le atmosfere, creando mondi che, pur basati sulla realtà, possono prendere direzioni inaspettate e sorprendenti. Sto lavorando su un film su Grazia Deledda, una figura straordinaria della letteratura italiana, e questo progetto mi permette di unire la mia passione per le storie di donne con l'arte della narrazione cinematografica. In fin dei conti, sia nel documentario che nella finzione, il mio obiettivo è lo stesso: raccontare storie che possano toccare il cuore e la mente del pubblico, che possano far riflettere e ispirare.

Uomini in marcia: Le foto del film

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Quali sono state le figure femminili che hanno influenzato la tua vita e carriera?

La figura femminile che mi ha influenzato di più è stata mia madre. Era una persona riservata, ma ci ha sempre lasciato una grande libertà, insegnandoci l'importanza di prendere responsabilità e di cercare la nostra strada. Mia madre veniva da un piccolo paesino dell'Oristanese e si era trasferita a Cagliari. Anche se era molto chiusa e non aveva tantissime amicizie, si è sempre dedicata totalmente alla famiglia. Ci ha cresciuti con l'idea che dovevamo essere liberi di fare le nostre scelte e di seguire i nostri sogni, ma anche di prendere le nostre responsabilità. Ha fatto molti sacrifici per noi, ma ci ha anche insegnato l'importanza della libertà personale e della responsabilità. Ho capito col tempo quanto fossero preziosi i suoi insegnamenti, che ci hanno permesso di crescere come individui indipendenti e sicuri di sé.

Anche mia nonna e la mia bisnonna Clementina hanno avuto un grande impatto su di me. Mia nonna era una donna forte e determinata, mentre mia bisnonna Clementina era una viaggiatrice instancabile. Viaggiava molto per lavoro, spesso in Francia, e ha vissuto esperienze che l'hanno resa una persona molto indipendente e aperta. Clementina era una dama di compagnia per famiglie nobili, un ruolo che le ha permesso di viaggiare e di vedere il mondo in un'epoca in cui le donne non avevano molte opportunità di farlo. Queste donne mi hanno trasmesso il valore della libertà e dell'indipendenza, e mi hanno insegnato che è possibile seguire i propri sogni e realizzarli, anche quando le circostanze sono difficili.

Inoltre, ho sempre avuto una grande ammirazione per le donne che ho incontrato nel mio percorso professionale. Ad esempio, Piera Degli Esposti, una grande attrice di teatro e cinema, ha avuto un'influenza enorme su di me. La sua dedizione, il suo talento e la sua passione per il suo lavoro mi hanno ispirato profondamente. Anche Liliana Cavani, una delle più grandi registe italiane, ha lasciato un segno indelebile nella mia carriera. La sua capacità di raccontare storie complesse e di esplorare temi sociali e politici con grande sensibilità mi ha sempre affascinato.

Infine, Nilde Iotti, la prima donna a diventare Presidente della Camera dei Deputati in Italia, è un'altra figura che mi ha ispirato. La sua determinazione, la sua intelligenza e il suo impegno politico sono stati un esempio per me. Raccontare la sua storia nel mio lavoro è stato un modo per onorare il suo contributo alla storia italiana e per sottolineare l'importanza delle donne nella società. Questi sono solo alcuni esempi delle donne che hanno influenzato la mia vita e la mia carriera, ma ce ne sono molte altre che mi hanno ispirato e che continuano a farlo ogni giorno.

Come valuti il ruolo dei premi nel tuo percorso professionale?

I premi sono sicuramente gratificanti, ma non sono tutto. Essi possono aiutare nella promozione del film, ma ciò che conta davvero è il lavoro che si fa per divulgare il film e farlo arrivare al pubblico. I premi sono un riconoscimento, ma non devono essere l'unico obiettivo. Ti segnalano e ti danno visibilità, ma la cosa più importante è il lavoro che fai per portare il tuo film al pubblico.

È il lavoro quotidiano di promozione, di comunicazione, di dialogo con la stampa e con il pubblico che fa la differenza. Ad esempio, il documentario su Piera Degli Esposti continua a essere proiettato e visto dopo dieci anni. Questo è un segno che il film ha avuto un impatto duraturo e che continua a interessare e a coinvolgere il pubblico. Questo per me è un successo molto più grande di qualsiasi premio. Significa che il film ha trovato il suo posto e che continua a vivere e a comunicare il suo messaggio. I premi sono importanti, ma il vero obiettivo è creare qualcosa che resista nel tempo e che continui a parlare alle persone.

Ci vuole tempo per realizzare un film, per ottenere finanziamenti, per trovare le persone giuste con cui collaborare. Ho imparato a essere paziente e a lavorare con costanza per raggiungere i miei obiettivi. La pazienza è una qualità essenziale in questo mestiere e nella vita in generale. Mi ha permesso di superare momenti difficili e di non arrendermi mai, anche quando le cose sembravano impossibili.

Qual è la sfida più grande che hai affrontato nel tuo percorso?

Non credo di aver vinto nessuna sfida in particolare. Piuttosto, mi sono imbattuto in storie che sentivo mie e sono riuscito a raccontarle. La sfida quotidiana è quella di fare bene il proprio lavoro, di applicarsi con dedizione e di cercare di migliorare continuamente. Il cinema ti salva, ti arricchisce e ti fa crescere. La sfida è continuare a fare ciò che ami, con passione e impegno, affrontando le difficoltà con pazienza e determinazione.

Ogni progetto cinematografico è una sfida a sé. Ogni film richiede un approccio diverso, una comprensione profonda del tema e dei personaggi, e una grande attenzione ai dettagli. La più grande sfida è forse quella di rimanere fedele alla propria visione artistica mentre si navigano le numerose pressioni e aspettative che vengono dall'esterno. Spesso ci sono compromessi da fare, ma è importante non perdere mai di vista ciò che si vuole davvero raccontare.

Un'altra grande sfida è quella di trovare il giusto equilibrio tra vita professionale e personale. Fare il regista è un lavoro molto impegnativo, che richiede molte ore di lavoro e una dedizione totale. Tuttavia, è fondamentale trovare il tempo per se stessi e per le persone care. Questo equilibrio è essenziale per mantenere la creatività e la motivazione.

Il cinema è un'arte che richiede una continua evoluzione e un costante impegno. Ogni film è un nuovo inizio, una nuova sfida. Non si tratta solo di raccontare una storia, ma di farlo in modo che possa toccare il cuore e la mente del pubblico. Questo richiede un grande lavoro di ricerca, di scrittura, di preparazione e di realizzazione. È un processo lungo e complesso, ma è anche incredibilmente gratificante.

Inoltre, c'è la sfida di far arrivare il film al pubblico. In un'epoca in cui l'offerta di contenuti è enorme, riuscire a far emergere il proprio lavoro e a farlo vedere è una sfida enorme. Questo richiede un grande lavoro di promozione, di comunicazione e di relazioni pubbliche. Ma quando vedi che il tuo film riesce a toccare le persone, a farle riflettere, a emozionarle, allora sai che ne è valsa la pena.

Quando hai capito chi eri e quando hai deciso di affermare la tua identità come regista?

Fin da piccolo, ho sempre voluto fare ciò che desideravo. Non ho mai cercato la libertà, perché la sentivo già dentro di me. Quando ho deciso di trasferirmi a Roma, volevo vivere un'esperienza diversa e crescere personalmente e professionalmente. È stata una scelta difficile, con molti momenti drammatici, ma anche una grande opportunità di crescita. Ho sempre avuto pazienza e determinazione, due qualità essenziali per fare questo lavoro e affrontare le sfide della vita quotidiana.

La mia decisione di trasferirmi a Roma è stata motivata dal desiderio di esplorare nuove opportunità e di immergermi in un ambiente che sentivo più adatto ai miei obiettivi. Roma mi ha sempre attratto per la sua ricchezza culturale e per le opportunità che offre nel campo del cinema. Tuttavia, trasferirsi in una nuova città non è stato facile. Ho dovuto affrontare molte difficoltà, dalle porte chiuse agli amici che non sempre erano presenti come speravo. Ma queste esperienze mi hanno reso più forte e determinato.

Sono una persona prepotente e paziente allo stesso tempo. La prepotenza mi ha spinto a seguire i miei sogni senza compromessi, mentre la pazienza mi ha permesso di affrontare le sfide con calma e perseveranza. Fare il regista richiede un'enorme dose di pazienza. Le cose non succedono da un giorno all'altro. Ci vuole tempo per realizzare un film, per ottenere finanziamenti, per trovare le persone giuste con cui collaborare. Ho imparato a essere paziente e a lavorare con costanza per raggiungere i miei obiettivi. La pazienza è una qualità essenziale in questo mestiere e nella vita in generale. Mi ha permesso di superare momenti difficili e di non arrendermi mai, anche quando le cose sembravano impossibili.

Il trasferimento a Roma è stato un passo importante per me. È stato un periodo di grandi cambiamenti e di crescita personale e professionale. Roma mi ha offerto l'opportunità di incontrare molte persone influenti nel mondo del cinema, di partecipare a eventi e festival e di entrare in contatto con una comunità artistica vibrante e stimolante. Queste esperienze mi hanno aiutato a definire la mia identità come regista e a trovare la mia voce nel mondo del cinema.

Inoltre, c'è la sfida di far arrivare il film al pubblico. In un'epoca in cui l'offerta di contenuti è enorme, riuscire a far emergere il proprio lavoro e a farlo vedere è una sfida enorme. Questo richiede un grande lavoro di promozione, di comunicazione e di relazioni pubbliche. Ma quando vedi che il tuo film riesce a toccare le persone, a farle riflettere, a emozionarle, allora sai che ne è valsa la pena.

Il regista Peter Marcias.
Il regista Peter Marcias.
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