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Phobia, il tema della salute mentale in un film – Intervista esclusiva al regista Antonio Abbate

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Con protagonista Jenny De Nucci, Phobia è un film che, diretto da un giovane regista, parla ai ragazzi della generazione z e agli adulti di un tema delicato come la salute mentale e le conseguenze che comporta non prendersene cura. Ne abbiamo discusso con il regista Antonio Abbate.

Phobia è il titolo del primo film diretto da Antonio Abbate, regista ventiseienne originario di Foggia. Ve lo abbiamo raccontato attraverso le parole di tre delle sue protagoniste, Jenny De Nucci, Beatrice Schiaffino e Francesca De Martini, ma ci ritorniamo sopra perché convinti che meriti l’occasione di essere visto. Attraverso la chiave del thriller, Phobia è un film che affronta un tema di massima importanza: la salute mentale. E lo fa attraverso le conseguenze che vive Chiara, una giovane che, complice il ritorno nella casa di famiglia, è costretta ad affrontare tutto ciò da cui scappava.

In un clima che alterna realtà e percezione alterata della stessa, Phobia è un film che tra suspense e colpi di scena lascia allo spettatore il compito di farsi delle domande e di trovare le risposte agli eventi che vede raccontati. Il tutto senza abbandonare mai il punto di vista di Chiara e della sua salute mentale. Di tutto ciò abbiamo voluto parlare direttamente con Antonio Abbate che, nonostante la giovane età, ha al suo attivo ampia esperienza sui set italiani e internazionali grazie anche al suo lavoro di assistente e aiuto regista di Michael Mann, maestro quattro volte candidato all’Oscar. A dimostrazione che la l’età non è un limite quando si crede nei propri sogni.

Antonio Abbate, regista del film Phobia.
Antonio Abbate, regista del film Phobia.

Intervista esclusiva ad Antonio Abbate

Come nasce Phobia, il tuo film?

Phobia nasce da una sceneggiatura scritta da Giacomo Ferrauiolo e Michele Stefanile. In un primo momento, la storia virava verso toni più horror ma con il mio coinvolgimento ha preso la forma definitiva diventando il film che è oggi, in bilico tra ciò che realmente accade e ciò che passa per la mente della protagonista Chiara. Mi affascina l’idea che un film dia agli spettatori elementi su cui ragionare e non una chiave di lettura unica: chi guarda Phobia deve porsi delle domande su ciò vede. I diversi piani permettono di avvicinarsi al punto di vista di Chiara e ai suoi problemi di salute mentale.

La salute mentale è diventato negli ultimi tempi uno degli argomenti maggiormente discussi. Se ne sente parlare spesso, a differenza di qualche anno fa.

Il cinema di genere da sempre, con tanti titoli che hanno fatto la storia, sceglie l’intrattenimento (anche leggero) per portare sullo schermo le ansie sociali e le paure del periodo storico in cui i film sono realizzati. Phobia è stato per me un’occasione per dar voce a una problematica dei nostri tempi, abbastanza presente e sentita soprattutto tra le fasce più giovani. Sebbene si parli più spesso della questione, dispiace sottolineare come ancora oggi sia forte lo stigma che accompagna chi soffre di disturbi della salute mentale.

Chiara, la protagonista interpretata da Jenny De Nucci, vive momenti di panico e di terrore ma non è quella che si potrebbe definire una screaming girl. Anzi, è l’esatto contrario dell’archetipo dell’eroina di tanti film horror o thriller.

L’idea di base era quella di allontanarsi dai modelli più classici e, se vogliamo, anche più datati della donna in pericolo che deve essere salvata da qualcuno perché minacciata da qualcosa. Volevo avvicinarmi a un modello un po’ più tridimensionale e moderno, anche più realistico. E poi, diciamocelo, trovo a volte davvero irritante sentire per tutta la durata di un film una persona che grida continuamente, anche senza alcuna ragione effettiva.

Affidi il peso della storia quasi tutto sulle spalle di Jenny De Nucci, che per la prima volta si cimenta in una storia dalle venature drammatiche e gialle. Com’è stato lavorare con lei?

Ci siamo trovati sin da subito in perfetta sintonia. Una delle prima cose che mi ha detto è di essere da sempre appassionata di thriller, ragione per cui era entusiasta di girare un film come Phobia: le dava la possibilità di sperimentare qualcosa di diverso rispetto a ciò che aveva fatto fino a quel momento. Sul set, Jenny si è dimostrata una persona molto preparata, in grado di fare un grande lavoro su se stessa per entrare nei panni del personaggio. Non posso che ricordarla come un’esperienza assolutamente positiva: Jenny regge gran parte della storia ed è brava a portarne il peso.

Phobia: Le foto del film

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E tu che peso hai retto sulle spalle nel dirigere un film a poco più di 25 anni?

25 anni non è l’età media con cui si esordisce, soprattutto in Italia dove il primo film si realizza solitamente intorno ai quarant’anni di età. Non ce la facevo però ad aspettare: smaniavo per girare il prima possibile la mia opera prima. Più che la diffidenza nei confronti dell’età, l’ostacolo maggiore incontrato è stata la diffidenza per la mia inesperienza… fortunatamente, però, dalla mia avevo un’esperienza di alcuni anni come assistente aiuto regista che mi ha sicuramente aiutato sia ad affrontare il set sia a guadagnarmi, probabilmente, la fiducia di chi nel film ha investito.

E il maestro a fianco di cui hai lavorato non era il primo che capitava ma Michael Mann, regista di Ferrari, film con Adam Driver visto in concorso al Festival di Venezia e prossimamente in sala. È stato facile stargli accanto?

Non è stato semplice ma mi ha dato l’opportunità di imparare molto. Il tempo in cui gli sono stato vicino è stato molto prezioso: mi ha permesso di capire cosa si cela dietro un film e quanta cura, preparazione e meticolosità serva. Non è un caso che abbia girato pochi film ma che siano quasi tutti dei capolavori o dei cult.

Ha visto Mann il tuo film?

Non ho ancora avuto modo di mostrarglielo. Gliene ho parlato prima che fosse pronto ma non lo ha ancora visto.

Com’è che da Foggia, città di cui sei originario, ti sei ritrovato a lavorare a fianco di Mann?

Nel momento in cui ho lasciato la mia città non conoscevo nessuno che lavorasse nel cinema. Ma nella vita sono convinto che si tratti sempre di ritrovarsi nel posto giusto nel momento giusto. Ragione per cui ho sempre cercato di cogliere tutte le opportunità che mi si presentavano, anche le più piccole o stupide. E una cosa dopo l’altra mi hanno portato anche a un’opportunità che non potevo lasciarmi scappare.

Cos’è che ti ha avvicinato al cinema?

Sono da sempre uno spettatore onnivoro: guardavo tantissimi film da piccolo. E, a un certo punto, non so nemmeno quando, ho cominciato a considerare l’idea che i film non avrei voluto solo guardarli anche farli. Non mi bastava più osservare i lavori degli altri ma volevo fare un film mio per dare un contributo a qualcosa che mi piaceva così tanto.

Cosa ne pensano i tuoi concittadini del fatto che sei diventato un regista?

Domanda interessante ma non ho una risposta. Non credo che i miei concittadini lo sappiano: Phobia è uscito al momento in un numero limitato di sale e non è ancora arrivato a Foggia, città che non ha dato chissà quali nomi alla settima arte. Forse, a parte me, c’è solo un’altra regista foggiana: Luna Gualano. Siamo gli unici esempi di registi foggiani che mi vengono in mente. Quand’ero ragazzino e dicevo di voler fare cinema non dico che mi prendevano per pazzo ma notavo un certo scetticismo nell’ascoltare un ragazzo che parlava di sogni e non di cose concrete.

E tra le tue varie esperienze, prima di arrivare al tuo film di regia, c’è anche il set di Heart of Stone, il film Netflix con Gal Gadot.

Ho lavorato come assistente alla regia per quanto riguarda la parte italiana. è stata un’esperienza “carina”: ho preferito di gran lunga lavorare in Ferrari. Non sto valutando criticamente i due film: sono entrambi due grosse produzioni americane ma uno dei due aveva una connotazione autoriale molto forte e l’altro, banalizzando, era un’americanata commerciale.

Scorrendo la tua pagina Imdb, è impossibile non notare come l’horror sia qualcosa che in un modo o nell’altro torna fuori. Passione o casualità?

Beh, Phobia non è un horror tout court, ma non nascondo che una certa passione per il genere c’è stata da sempre. Non mi sento però necessariamente legato al genere proprio perché sono stato e sono uno spettatore onnivoro.

Antonio Abbate.
Antonio Abbate.
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