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“Che male c’è a sognare un tocco di lusso?” – Intervista esclusiva a Popa, cantautrice e fashion designer

Tocco di lusso rappresenta un sogno che si concretizza per Popa, artista lituana che dall’alta moda è approdata alla musica con un progetto in cui ha sempre creduto. Quella di Popa è anche una straordinaria testimonianza di come l'Italia sia anche un Paese che sa accogliere senza alcun tipo di pregiudizio.
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Tocco di lusso (Futura Dischi) è il nuovo singolo di Popa. Dietro all’enigmatico nome di Popa, classe 1989, si cela Maria Popadnicenko, artista lituana ormai da anni trapianta a Milano. Chi conosce il dietro le quinte del mondo dell’alta moda ha già familiarità il nome di Maria: oltre a insegnare al prestigioso PoliModa di Firenze, è stata per molto tempo designer di moda donna per diverse maison italiane.

Arrivata in Italia appena maggiorenne, Popa ha portato ora la sua creatività nella musica. Del resto, come ci conferma nel corso di questa intervista esclusiva, moda e musica hanno lo stesso processo creativo: guardano al passato per modellare il presente e anticipare il futuro. Dell’esperienza decennale nell’alta moda, Popa conserva un ricordo più che lusinghiero, nonostante il full time che il suo tipo di lavoro richiedeva. Fa di quel settore un ritratto altamente inclusivo, specificando che non tutte le realtà sono così opprimenti o disattente alle esigenze di una donna come quelle che sono finite di recente sui giornali innescando polemiche a non finire.

Tocco di lusso, composta con Carlos Valderamma in collaborazione con Victoria Genzini e prodotta da Filo Vals, è il nuovo passo mosso nella musica da Popa. Nato nel 2020 con il supporto di Salotto Studio, Popa con il suo progetto osserva e riflette sulla cultura della dolce vita, sulla voglia di esagerare e di sognare. In fondo, che male c’è a sognare un abito di Prada o una festa a Dubai, quando il contesto socio-economico che ci circonda non offre garanzie sul nostro futuro?  

Ma quella di Popa è anche una straordinaria storia di inclusione tutta italiana. In un Paese in cui si muore ancora nell’indifferenza generale ma sotto l’occhio vigile di una fotocamera, la storia di Popa rappresenta un faro che fa ben sperare. Gli Italiani l’hanno accolta a braccia aperte, facendola sentire subito a casa, anche quando non riusciva a farsi capire per le difficoltà legate alla lingua.

Popa.
Popa.

Intervista esclusiva a Popa

Cos’è Tocco di lusso?

Tocco di lusso può essere tante cose. L’idea alla base della canzone è nata un bel po’ di anni fa quando sono andata a Bologna per lavoro. L’azienda per cui lavoravo aveva prenotato un albergo che non era proprio in centro e non era di certo un cinque stelle. Quando sono entrata, nella hall tutto era molto basico a eccezione di un enorme lampadario da centinaia di chili di cristallo. Ho pensato: però, che tocco di lusso. Stonava con tutto il resto ma era un tocco di lusso.

Mi ha allora fatto riflettere su come tante volte le persone cerchino un tocco di lusso nella loro vita pur non potendoselo permettere. Spesso, lo cercano anche solo sognando. E cosa sognano oggi le persone? Magari, un viaggio esotico, un abito di Prada, una vacanza a Dubai o alle Hawaii, una vita da bon vivant a New York con l’amante. Si tratta di aspetti un po’ superficiali che in molti casi non portano nemmeno tanti stimoli.

In definitiva, Tocco di lusso prende un po’ in giro la voglia sfrenata di lusso ma sottolinea anche come non ci sia nulla di male nel sognare il lusso. Leggiamo tutti poesie di Patrizia Cavalli ma vogliamo vivere nel Bosco Verticale!

Ciò che mi colpisce di Tocco di lusso è che, nonostante sia una profonda riflessione sulla società che viviamo, quella dell’apparenza, non è una canzone urlata. Scegli una chiave soft, dolcissima e gentilissima, nel cantarla. Come mai?

Perché, come dicevo prima, non c’è nulla di male nel sognare il lusso e nel sognare cose che, se vogliamo, sono anche molto banali. Il modo di cantare la canzone si rifà un po’ a certe sonorità degli anni Sessanta, Settanta e anche Ottanta, a quelle che avevano certe artiste straniere quando cantavano in italiano. Potevano anche cantare di tragedie o di argomenti molto pesanti ma lo facevano sempre con una voce molto dolce e soft.

Usavano quei toni perché comunque erano legate al periodo che vivevano, il boom economico. Ho scritto Tocco di lusso nel 2018, quando si era appena usciti da un periodo di recessione economica: si pensava che il mondo stesse vivendo un nuovo boom. Come vedi, la storia della musica è quasi ciclica! Nel creare nuove canzoni è importante guardarsi indietro, trovare ispirazione e riproporre in modo nuovo concetti che sono in qualche modo legati a chi ti ascolta. Io sono una straniera che vive e lavora in Italia: per essere percepita meglio e far comprendere la mia musica, devo in qualche modo essere connessa con l’Italia.

Riprendere le atmosfere di molte cantanti dei decenni passati aiuta chi ascolta la mia musica a connettersi un po’ di più con me: propongo qualcosa che già c’era ma con in chiave più contemporanea.

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Guardare al passato è qualcosa che si fa anche nel mondo della moda.

Moda e musica sono lo specchio della storia di una società, di quello che succede nel mondo. La creazione di una collezione di moda è una forma d’arte che ha un processo creativo molto simile a quello della musica. Si trae ispirazione da ciò che è stato già fatto e dai periodi che si è vissuto: si ripropone con maggior cultura e ricerca.

Tu hai alle spalle un’esperienza decennale nel settore della moda. Che tipo di esperienza è stata? Come mai l’hai interrotta?

Continuo ancora a lavorare nel mondo della moda: mi occupo di consulenze per il brand manager e insegno Moda al PoliModa di Firenze. Lavorare nel settore della moda è molto stimolante, oltre che interessante: ecco perché ho trovato delle forme diverse per continuare a rimanere nel settore.

Prima, però, ho lavorato a tempo indeterminato per Max Mara ed Emilio Pucci. Ero immersa totalmente nel lavoro, sette giorni su sette, dalle nove del mattino fino alle dieci di sera. Ricoprire il ruolo di fashion designer è impegnativo ed arrivato il momento in cui mi sono sentita come soffocare. C’era come qualcosa che non mi permetteva di esprimermi al 100%. Certo, avrei potuto creare un brand tutto mio ma ho scoperto che era la musica a farmi sentire pienamente realizzata.

Musica per me non vuol dire pensare soltanto alle parole o alla melodia di una canzone, ma significa occuparsi di tutta la direzione creativa che gira intorno a un brano, dai video alla comunicazione. La musica mi ha permesso di seguire le mie aspirazioni e di avere un team con cui lavorare.

Tuttavia, come accennavo prima, non ho abbandonato la moda. Per me è importante non limitarsi a una sola disciplina: moda e musica possono convivere insieme.

In quale dei due settori è più difficile affermarsi? Sono entrambi ambienti in cui il “maschilismo” è ancora molto forte.

Molti aspetti del mondo musicale sono per me nuovi, non conosco ancora tutte le dinamiche: ce ne saranno di sicuro alcune che sono meno positive ma per fortuna non mi ci sono ancora imbattuta. Risentiamoci tra un paio d’anni, quando avrò una certa stabilità nell’ambiente, per capire qual è la mia impressione. L’ambiente della moda, invece, in cui ho lavorato fortunatamente erano molto inclusivi: persone della comunità lgbtqia+ e donne ricoprivano ruoli importanti e si prestava grande attenzione a circostanze che altrove rappresentano un problema, come la maternità. L’unica difficoltà, se vogliamo, è legata al tempo che lavorare nella moda ti richiede: non è sempre facile conciliare i tempi di lavoro con le esigenze private.

La copertina di Tocco di lusso.
La copertina di Tocco di lusso.

Tu sei di origine lituana. Com’è stato per te arrivare in Italia? Quali differenze hai incontrato tra il tuo Paese e il nostro?

Sono arrivata in Italia a diciotto anni. Avevo finito in liceo e sono partita per Firenze per studiare moda, proprio lì dove oggi insegno: al PoliModa. Per me, venire a vivere in Italia era un sogno che si realizzava. Sin da piccolina, avevo imparato ad amare l’Italia e la sua cultura grazie alle canzoni che passavano in radio: Toto Cutugno, Albano e Romina, i Ricchi e Poveri. Ero affascinata dalla lingua e dalle melodie.

Mia sorella più grande si era trasferita in Italia molto prima di me. Ricordo che una volta, ancora adolescente, andai a trovarla ed è stato cruciale: ho pensato subito che mi sarebbe piaciuto venirci a vivere e costruirci la mia vita. Sono rimasta colpita sì dalla bellezza del Paese ma anche dalle persone, dal cibo, dalla moda e da tutta l’arte che ho incontrato. Vi intravedevo molta creatività e, sin da quando ero bambina, la creatività era per me la cosa più importante. Volevo anche imparare una nuova lingua e quella italiana era perfetta.

La differenza maggiore che riscontro tra l’Italia e la Lituania sta nell’indole della gente. In Lituania le persone sono un po’ più fredde e meno aperte (anche se, dopo un buon bicchiere di vino ci si apre subito!). Per il resto, italiani e lituani condividono molto, a cominciare dal senso dell’umorismo. Non è stato difficile integrarmi subito quando sono arrivata: gli italiani sono molto affettuosi e mi hanno accolta bene.

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Ti danno fastidio i pregiudizi nei confronti della tua gente?

Fortunatamente, non mi sono mai capitate situazioni dispiacevoli. Spesso gli italiani non sanno nemmeno dove sia la Lituania o che lingua si parli. Chiaramente, dall’aspetto fisico, si nota che sono una ragazza dell’Est Europa, mi scambiano spesso per moldava o russa. Quando rispondo che sono lituana, non è difficile che mi senta rispondere “ah, io ho un’amica della Moldavia”, come se i due Paesi fossero la stessa cosa. Sarà perché in Italia non esistono chissà che grandi comunità lituane ma non c’è nessun pregiudizio, c’è una visione molto neutra. E poi i lituani non è che siano poi così tanti: siamo solo in tre milioni.

Gli Italiani non mi hanno mai fatto pesare di essere una straniera, anche quando non parlavo nemmeno la loro lingua. Anzi, anche in quei casi, cercavano di essermi di supporto e di incoraggiarmi, facendomi sentire a casa. Poiché tanti italiani che ho incontrato non parlavano nemmeno inglese, si riusciva a comunicare con i gesti e con la passione condivisa per l’arte, la musica, la moda… si comunicava in un altro modo.

Comunque, mi ci è voluto un po’ di tempo per capire la complessità della cultura italiana, dei riferimenti artistici o politici, dei modi di dire. L’Italia è divisa in tante regioni, in Nord e Sud, e quindi ci sono modi di fare, dialetti e subculture che sono totalmente differenti tra loro. Non andrei mai via oggi: ti godi un paese quando finalmente conosci le persone e la storia del posto. Non mi immagino altrove.

Che cosa ti aspetti adesso dalla musica? Che percorso pensi di portare avanti?

La musica per me è nata un po’ come un gioco, per esprimere la mia creatività, fare qualcosa di stimolante e lavorare a contatto con le persone. Vorrei che rimanesse sempre tale e conservare questo tipo di approccio, leggero, spontaneo e creativo. Il mio obiettivo è far sì che non si perda mai questo spirito propositivo. Nei prossimi mesi, vorrei lanciare tante nuove canzoni, fare altri concerti, proporre collaborazioni ad altri artisti.

Popa.
Popa.
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