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Dietro al successo di Pour parler: Intervista esclusiva a Maria di Biase, Corrado Nuzzo e Francesco De Carlo

maria di biase, corrado nuzzo e francesco de carlo
Si conclude su Rai 2 il primo ciclo di Pour parler, il talk show condotto da Maria di Biase, Corrado Nuzzo e Francesco De Carlo. Abbiamo incontrato i tre attori e comici per un’intervista esclusiva tra il serio e il divertente, che restituisce di loro un’immagine inedita.

Maria di Biase, Corrado Nuzzo e Francesco De Carlo ci hanno fatto compagnia nelle seconde serate di Rai 2 con il programma Pour parler (di cui stasera, 20 settembre, va in onda l’ultima puntata delle previste). In un clima goliardico da talk show in cui l’unica regola è divertirsi, Maria di Biase, Corrado Nuzzo e Francesco De Carlo hanno affrontato con la loro comicità, unica e mai banale, temi diversi, mossi da un unico obiettivo: conversare come se si fosse a casa tra amici, su un terrazzo dopo una cena a sorseggiare un ultimo bicchiere di vino o digestivo.

Con un format del tutto originale, fatto di chiacchiere, finti riassunti e fuorionda che rimandavano a episodi mai avvenuti o a discussioni mai mostrate per intero, il clima di Pour Parler, prodotto da Verve Media, ha permesso a Maria di Biase, Corrado Nuzzo e Francesco De Carlo di mettersi in ascolto non solo degli ospiti famosi ma anche del pubblico parlante che poteva, senza freni alcuni, dire la propria davanti a un microfono.

L’ascolto è qualcosa che Maria di Biase, Corrado Nuzzo e Francesco De Carlo devono alla loro esperienza radiofonica. I primi due, coppia nella vita reale come ben sapete, fanno tuttora coppia fissa tutti i pomeriggi su Rai Radiodue con Numeri Uni mentre Francesco De Carlo deve proprio alla radio la sua trasformazione completa da politico (laureato in Scienze Politiche, ha avuto anche esperienza al Parlamento Europeo) a comico.

Abbiamo voluto incontrarli per un’intervista esclusiva in cui ci raccontano non solo del programma ma anche della loro idea di comicità, di politicamente corretto e di vita privata, tra il serio e il divertente. Anche perché, con tre comici da gestire, è praticamente impossibile rimanere seri.

Corrado Nuzzo, Francesco De Carlo e Maria di Biase.
Corrado Nuzzo, Francesco De Carlo e Maria di Biase.

Intervista esclusiva a Maria di Biase, Corrado Nuzzo e Francesco De Carlo

Pour parler su Rai 2 è giunto all’ultima puntata. Che esperienza è stata?

MDB: È stata un’esperienza fantastica perché è stato molto bello lavorare con Francesco De Carlo (con Corrado, lavoriamo insieme da più di vent’anni!): si è creata una bellissima sintonia, anche non scontata. È stato bello scoprire di avere una grande affinità di gusto e anche lo stesso amore per le cazzate: secondo me, sono gli elementi che hanno reso il programma fresco e come lo volevamo. L’abbiamo pensato così e alla fine, guardando le puntate andate in onda, sento che abbiamo raggiunto quella che era la nostra missione.

CN: Di solito, quando facciamo qualcosa, siamo molto critici sul nostro lavoro, soprattutto Maria. In questo caso, tutti e tre siamo convinti che quello che abbiamo fatto è il massimo di quello che potevamo fare in questo periodo storico e con il tempo e con lo spazio che ci hanno dato. Ci siamo veramente lasciati andare senza pensare di essere in tv, di dover convincere qualcuno o di piacere: abbiamo fatto solo ed esclusivamente ciò che prima di tutto piaceva a noi. E, secondo me, questo ha creato il clima giusto.

FDC: Non si trattava di realizzare un format che già esisteva o da rispettare. Non era una ripresa di qualche altro programma straniero o di ciò che avevamo già fatto in radio: era semplicemente un miscuglio di generi e improvvisazione. C’era molta scrittura per quanto riguarda i monologhi o gli sketch ma anche un pubblico parlante che rappresenta sempre una variabile imprevedibile. La vera scommessa è stata trovare noi tre, che non avevamo mai lavorato insieme, un terreno comune su un’idea completamente inedita. E siamo contenti del risultato.

MDB: Abbiamo tre comicità diverse. Anche se io e Corrado lavoriamo insieme, in Pour parler abbiamo lavorato da single. Ognuno di noi tre ha una caratteristica diversa dall’altro e ciò ha arricchito il programma.

CN: Io ovviamente ero il più preciso all’interno del programma, quello che dava i tempi a loro che mi venivano dietro… perché, diciamolo, loro sono un po’ più “pasticcioni”, non sono dei conduttori veri: ero io a bacchettarli e a tenere dritta la barra.

MDB: Si, la barra energetica perché non capiamo a cosa ti riferisci (ride, ndr)…

Uno dei pregi del programma sta nel fatto che è stato tutto registrato prima di andare in onda e, quindi, senza alcuna ansia da prestazione legata agli ascolti. Vi siete divertiti parecchio e si evince. Alcune delle idee più geniali è il riassunto della mezz’ora precedente con cose mai successe o ospiti mai intervenuti e i fuorionda con gli stessi ospiti spesso arrabbiati per il trattamento ricevuto.

MDB: La cosa bella è che la gente sui social ci crede, soprattutto ai fuorionda. I commenti sotto ai video sui social fanno veramente ridere perché in molti non capiscono cosa stanno guardando: hanno scritto di tutto. C’è ad esempio la clip in cui litigo con Michela Giraud in cui le persone prendono addirittura posizione, dando ragione a lei oppure no.

CN: Ci sono anche spezzoni che non sono andati in onda e che speriamo di recuperare. Proprio oggi m’è venuta in mente una clip in cui Diana Del Bufalo cantava una canzone inedita e io stavo con pupazzo da ventriloquo in mano che vomitava proprio durante l’esibizione. Ci sono sketch molto belli che recupereremo e lanceremo per la prossima stagione che non ci daranno mai ma che speriamo di dare.

MDB: Io invito tutti alla prossima stagione ma nessuno ce ne ha ancora parlato…

CN: Ma per noi è stato talmente divertente che già guardiamo avanti. È stato come andare all’asilo col cestino della merenda e far cavolate: eravamo senza alcun tipo di ansia, seduti come se fossimo a casa a parlare con gli amici a fine serata mentre si sorseggia un limoncello o qualunque altra cosa si beva e si rompono i freni inibitori.

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Francesco, non tutti lo sanno ma prima di diventare un comico hai studiato Scienze Politiche e sei anche stato al Parlamento Europeo. Immagino che non pensassi di fare il comico da bambino…

FDC: E invece no. Ho sempre avuto l’idea di fare il comico: da bambino mi facevano ridere ad esempio i film con Lino Banfi che, soprattutto, facevano ridere mio padre… ne ero attratto. Ricordo che all’esame di quinta elementare mi chiesero cosa volessi far da grande e che risposi “il comico”. Ho ancora dei video in cui, intorno ai dodici o tredici anni, realizzavo finti tg e negli anni del liceo con un gruppo di compagni mi divertivo a realizzare scherzi, molto divertenti, in classe o ai professori.

Poi, ci ho messo di mio del tempo a capire la finta querelle tra stand up e cabaret. A me è sempre sembrata stupida: c’erano dei comici in dei programmi tv che mi facevano molto ridere e altri no e lo stesso vale per gli stand up comedian. Tuttavia, avevo sempre in mente l’idea del monologo anglosassone, qualcosa che era difficile da portare in televisione. Fortunatamente, la radio ha cambiato tutto: attraverso il linguaggio radiofonico si può mantenere una certo equilibrio tra il tono del cabaret e quello dello stand up. E loro due, Corrado e Maria, sono molto bravi in questo. Considerate che li guardavo già quando avevo due o tre anni…

MDB: Eh, sì. Mi ricordo che c’eravamo già quando c’era la tv in bianco e nero, che tra l’altro sfina rispetto a quella in hd di oggi… comunque, grazie Francesco per i complimenti, cose che non possiamo dire di te!

CN: Riusciamo a lavorare insieme perché non abbiamo mai visto niente di tuo! Battute a parte, ci unisce il gusto per i vari tipi di comicità e la radio, anche se non c’eravamo mai trovati prima tutti insieme davanti a un microfono. La radio ci ha unito: se si è bravi a condurre, si riesce a far sembrare vero ciò che è finto e finto ciò che è vero.

In Pour parler, le persone del pubblico che si alzano e parlano liberamente raccontando cose che non vogliamo sentire prima: nessuno è stato selezionato prima e nessuno è stato mai censurato. Noi stessi rimaniamo stupiti dai loro racconti e ciò è in qualche modo anche il frutto del costante lavoro giornaliero che io e Maria facciamo anche su Rai Radiodue: ci permette di essere rilassati e di avere ascolto. Se avessimo fatto quest’esperienza televisiva dieci anni fa, non sarebbe stata così viva.

Corrado e Maria avete insieme attraversato tutti i mezzi di comunicazione: televisione, radio, cinema, teatro, internet. E siete sopravvissuti ai cambiamenti.

MDB: La tv è sicuramente il mezzo che è cambiato più degli altri. Non sembra più al passo coi tempi e ce ne rendiamo conto anche noi. Quando andiamo in diretta in radio, siamo contemporanei all’istante che si sta vivendo: possiamo commentare qualsiasi cosa accada. Lo stesso non può dirsi della televisione, dove sempre più si propende alla registrazione: bisognerebbe ritornare ai programmi in diretta, permetterebbero di stare sull’attualità, su notizie freschissime e sui casi del momento analizzandoli con ironia.

CN: Per resistere così tanti anni non devi solo adattarti al linguaggio che cambia ma devi anche ogni tanto tradire il tuo pubblico. È quasi una regola aurea: qualcuno ti abbandonerà ma qualcun altro si avvicinerà. Siamo ad esempio appena tornati dalle prove teatrali di Delirio a due, un classico di Ionesco…

MDB: È sempre bello poter fare progetti che piacciono a te come artista, non si può vivere sempre proiettandosi sulle aspettative del pubblico. È in qualche modo il pubblico che deve capire qual è il tuo viaggio e amarlo. Altrimenti cambi pubblico: non puoi tradire te stesso.

CN: Il pubblico prima o poi si stufa del già visto. Prima che lo faccia, come artista devi essere tu a cambiare. Per Pour parler, ho letto dei commenti in cui si diceva che rispetto al solito Maria parlava in maniera più veloce ed io ero meno cinico di come mi conoscevano. Ho risposto di trovarsi altrove situazioni in cui io ero cinico e Maria lenta!

Lavorare con Francesco è stato bello anche perché ci siamo trovati anche su questa consapevolezza: è forse l’idea più malsana, quella anche meno televisiva… ma se ci viene in mente qualcosa che ci piace, in un attimo è pronta: siamo fatti così, siamo proprio fatti così, come cantava la D’Avena nella sigla di Esplorando il corpo umano!

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Pour parler era una chiacchierata tra amici, in cui siete stati molto attenti a non offendere nessuna minoranza.

MDB: Il comico non ha il diritto di offendere in quanto tale. È sempre brutto quando si offende qualcuno, non fa ridere. Un comico deve invece far ridere, anche stando sul filo del rasoio: se offende, ha perso…

CN: O gli è venuta male la battuta.

La comicità è forse oggi una delle sfere più interessate dal politically correct. Siete tre comici molto differenti: quando scrivete le vostre battute, pensate mai alle eventuali conseguenze che possono avere?

FDC: Tutto dipende anche dal contesto. Il contesto è quello che il comico si crea prima di pronunciare una battuta. Se è bravo, come diceva prima Maria, può dire qualsiasi cosa: non si offende nessuno e tutti ridono o, se qualcuno si offende, lo fa per un momento e poi gli passa. Oltre al contesto, è fondamentale il mezzo: a teatro faccio cose diverse rispetto alla televisione o alla radio: non posso proporre gli stessi contenuti che propongo a un pubblico pagante che si aspetta di sentire battute che non trova altrove.

La televisione è più accessibile: chiunque può passare da un canale e ascoltare qualcosa che non si vuol sentire, ragione per cui secondo me a restituire maggiormente il livello di un comico è lo spettacolo dal vivo. Per quanto mi riguarda, il mio prossimo spettacolo teatrale sarà ancora più scorretto: c’è un pubblico che ha fatto un patto con il comico e che si siede per ascoltare determinate cose che mai mi sognerei di portare in televisione, pur amando la comicità politicamente scorretta.

Tra l’altro, nonostante spesso si pensi il contrario, il politicamente scorretto non viene portato dai comici in televisione non solo in Italia ma anche negli altri Paesi del mondo. In Italia, semmai, ho la sensazione che siano certi talk show politici a usare un linguaggio che a Londra non si sognerebbero neanche nei club.

CN: Io e Maria non siamo stati mai identificati come due comici scorretti. Tuttavia, guardando indietro nel tempo, è impressionante come abbiamo una cartella di battute che fino a cinque anni potevamo fare e che oggi non possiamo. È impressionante notare come il cambiamento e l’attenzione verso certi temi siano andati a influenzare anche i contenuti che si propongono.

MDB: Quella verso il politicamente corretto è una sensibilità che maturi piano piano. Nessuno di noi fa comicità perché vuole offendere: la fa semmai perché ci piace far ridere. Se avessimo voluto offendere, non avremmo fatto i comici.

CN: C’è però un altro lato della medaglia che rischia di rovinare la comicità stessa. La troppa sensibilità in determinati contesti porta verso un’esclusione anziché all’inclusione. Pensiamo alla storia di Apu, l’indiano dei Simpson che per non urtare la sensibilità di nessuno è stato cancellato. Dicevano che offendeva gli indiani ma togliendolo, secondo me, ha finito con l’allontanare l’attenzione da quella minoranza. Come capirete, è un tema delicato da affrontare ma molto importante e interessante soprattutto per chi fa il nostro mestiere.

FDC: Chiaramente, molte persone reclamano più spazio di rappresentazione. È vero che la comicità, soprattutto nei monologhi, ha sempre vissuto di stereotipi, di uomini che si lamentano delle donne, di donne dipinte in un certo modo o di meridionali o romani tratteggiati in maniera diversa dai settentrionali, ma pian piano si aggiorna e cerca di stare al passo dei tempi. Ma è anche vero che a volte le recriminazioni sono un po’ pretestuose o altoborghesi, mi verrebbe da dire. Molti di quelli che noi pensiamo si offendano alla fine sono quelli meno attenti alla questione, sono altri a difenderli per procura: per le minoranze, il problema non sta nelle battute ma forse nel mancato riconoscimento di certi diritti.

CN: Se fai comicità sapendo di quello che stai parlando, non puoi essere offensivo.

MDB: Sembra ormai esserci la regola non scritta per cui se sei sovrappeso e parli delle persone con qualche chilo in più va bene o se sei omosessuale puoi dire ciò che vuoi sui gay: l’importante è avere il “tesserino” ed essere iscritto a quella categoria. È un problema che riguarda noi comici ma anche gli attori e i doppiatori: in America, un attore nero non può essere doppiato da un doppiatore non nero… ma che vuol dire? La voce ha per caso colore? Rasenta la follia quasi.

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Pour parler, come dice il titolo stesso, è un programma fatto di chiacchiere leggere, dove proponete argomenti ai vostri ospiti su cui conversare. Adesso ribaltiamo le parti in gioco e propongo io a voi delle questioni leggere da indagare. Cominciamo dalla vostra prima volta (non quella lì!). Quando siete saliti su un palco per la prima volta?

CN: A parte le recite, la prima volta che ho capito che recitare poteva essere un lavoro plausibile è stata quando un gruppo del mio paese faceva uno spettacolo dedicato a Gaber. Ero giovanissimo, scrivevo poesie (sembra strano ma nasco come poeta) e mi hanno chiamato per degli intermezzi in cui avrei dovuto leggerle. Mi sono sentito prima veramente gratifico e ho provato poi la sensazione di bellezza che dà stare sul palco: ero molto timido e lo sono ancora, in me c’è una componente di timidezza che nascondo e maschero bene, più o meno. Mi ricordo anche il senso di liberà provato: l’idea di avere un pubblico davanti a cui leggere ciò che scrivevo nella mia cameretta mi ha fatto provare quanto bellissimo sia raccontare qualcosa su un palco.

MDB: A parte le varie recite, mi ero iscritta a un corso di recitazione dove bisognava scrivere dei monologhi. Avevo tirato giù il personaggio della studentessa e l’ho presentato durante una serata che era un saggio davanti a trenta o quaranta persone, tra amici e parenti di quelli che si erano iscritti al corso. Il pezzo è andato talmente bene che ho pensato in quel momento “vuoi vedere che posso farcela anch’io?”. Come Corrado, ero molto, molto, molto timida ma di una timidezza imbarazzante. Ma è proprio dall’imbarazzo che nasce la mia curiosità, ancora adesso…

CN: Solo che prima era lei a provare imbarazzo mentre adesso il pubblico!

MDB: L’importante è che ci sia imbarazzo nella stessa sala in cui ci sono io: è questo il bello!

FDC: Io credo di avere un falso ricordo sulla mia prima volta. Mi ricordo che alle elementari c’era un concerto quando a un certo punto, rompendosi un microfono, salgo sul palco e canto una canzone di Eros Ramazzotti, con tutto il pubblico che mi acclamava. Non sarà mai avvenuto ma ne ho il ricordo, anche se è pieno di falle: come si fa a cantare senza microfono?

CN: Il microfono te lo ha poi portato direttamente Eros Ramazzotti sul palco per acclamazione!

FDC: I primi ricordi certi di quando ho poi cominciato a fare il comico sono legati a episodi particolari: prima di salire sul palco, vomitavo. L’emozione a volte mi prendeva allo stomaco e altre volte all’intestino! Fortunatamente questo lavoro è talmente bello che l’ansia a poco a poco è andata via.

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Quand’è invece la prima volta in cui avete capito che ce l’avevate fatta?

MDB: Non ho mai pensato di avercela fatta, tuttora. Penso che sia una sensazione che mi accompagnerà per tutta la vita… anzi, tutte le volte che con Corrado ci siamo ritrovati in un periodo buono abbiamo sempre fatto qualcosa per toglierci il pubblico e avere un calo di consensi.

CN: Non abbiamo mai fatto niente di esaltante nella nostra carriera e quindi non siamo ancora arrivati. Ogni tappa è un trampolino per andare avanti e trovare altre strade per raccontare il comico. E, poiché il comico potrebbe invecchiare, la vedo come una possibilità per allungare la propria carriera.

FDC: La grande sfida è rappresentata con il misurarsi sempre con uno spettacolo migliore del precedente, soprattutto live, dove il comico è libero di fare ciò che veramente vuole. Ogni spettacolo che scrivi è la rappresentazione di ciò che sei in quel momento.

Cosa avete comprato con i primi soldi guadagnati?

CN: Sicuramente cazzate, sia con i primi sia con gli ultimi. Non ricordo nello specifico cosa ma sicuramente stupidaggini… sono amante di roba vintage e di design, compro cose non fighe ma da risistemare, per cui deve perderci ulteriori soldi!

MDB: Io invece ho saldato dei debiti. Mi ero laureata in Matematica e avevo deciso di fare l’artista. I miei genitori da quel momento non mi hanno più dato soldi per farmi capire quanto difficile fosse la vita d’artista in modo da capire se potessi farcela. Non avevo ancora una carriera che in qualche modo mi permettesse di vivere e, quindi, un po’ mi aiutava Corrado (ci eravamo già fidanzati), un po’ guadagnavo dalle prime serate e un po’ mi aiutavano gli amici, per cui accumulavo debiti su debiti. Quando ho firmato il primo contratto per Bulldozer su Rai 2, i primi soldi li ho dati a chi li avanzava…

CN: Ma non a me…

MDB: Tu ti sei preso il massimo di quello che potevi avere!

FDC: Con i primi soldi guadagnati (il primo premio del concorso del Festival di Grottammare di cabaret del 2009), ho avuto il coraggio di cambiare lavoro. Avevo lasciato il Parlamento Europeo proprio in quell’anno e il Festival, per la sua 25ma edizione, aveva previsto un premio di tremila euro che mi ha aiutato a fare il salto.

CN: E, poi, con i primi soldi guadagnati quando ho cominciato a lavorare bene, ho comprato casa ai miei genitori e ai miei fratelli… No, non è vero ma molti comici o attori dichiarano di averlo fatto (ride, ndr).

Maria ha sollevato una bella questione: come i genitori hanno preso la vostra scelta di diventare comici…

MDB: Mia madre mi diceva che non era un lavoro e che non avrei potuto vivere facendo l’artista. I miei genitori mi proponevano dopo la laurea di mandare in giro i curricula e di provare a insegnare matematica: era una scena che si è ripetuta tutti i giorni per almeno due o tre anni, hanno smesso quando hanno capito che non avrebbero sortito nessun effetto. È arrivata molto dopo la fase in cui hanno cominciato a dichiarare di avermi sempre sostenuta e adesso siamo al punto che raccontano di avermi addirittura spinta a fare questo lavoro.

Già finito il liceo, avevo detto che mi sarebbe piaciuto diventare un’attrice di teatro: lo trovavo affascinante perché già a 11 o 12 anni, da piccola, avevo avuto un’esperienza in una compagnia teatrale di paese, composta da persone dai 25 anni in su. Ero piccola ma, appena arrivata, prendevo in mano i copioni e segnavo ciò che andava e ciò che non andava, sistemandolo. Non lo facevo perché ero spocchiosa ma perché da sempre ero appassionata di testi teatrali, che amavo leggere anche non recitandoli.

CN: I miei non mi hanno mai ostacolato…

MDB: I tuoi si sono liberati, “basta che te ne vai di casa”…

CN: Da ragazzo mi ero appassionato al teatro e, quindi, sono andato a Bologna al Dams. “Basta che non ti droghi, puoi fare quello che vuoi”: a loro interessava che rimanessi nella linea del lecito. Gli ho spiegato che quello del teatro non è proprio un ambiente di gente rock’n’roll… ho poi intrapreso un percorso di accademia da attore serio, studiando il metodo di tutte le scuole possibili. Ho studiato tanto però poi ho capito che avevo un fisico (allora ero magrissimo) che faceva virare verso il comico tutto ciò che facevo: avevo provato ad andare verso la parte drammatica ma facevo comunque ridere, tanto valeva approfittarne e diventare comico, no? Mia madre ancora adesso si collega tutti i giorni sul canale tv di Rai Radiodue, sul 202, per guardarmi e mio padre, che oggi non c’è più, ha fatto in tempo a vedermi riuscire a fare questo percorso.

MDB: Ma anche da lassù ti guarda…

FDC: I miei, più che altro, non hanno mai capito bene il perché del salto o chi me lo facesse fare: ancora oggi mi chiedono perché non sono rimasto in politica. Negli anni ho fatto il comico con spettacoli in giro per il mondo ma a loro non è mia importato granché. È cambiata la loro percezione solo quando mi hanno visto comparire in Rai: mio padre ora va in piazza orgoglioso di me! Bastano anche solo tre minuti in Rai per un’ospitata da qualche parte che per lui è qualcosa di incredibile e più importante rispetto allo spettacolo di un’ora e mezzo in inglese che potevo portare in scena in Corea, dove non è mai andato nessun comico italiano.

(Nota: Francesco De Carlo conclude l'intervista per via di un impegno medico)

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Maria, sei la sola donna tra due uomini a condurre…

MDB: Grazie per avermi riconosciuta in quanto tale (ride, ndr)! Ma ho un bel carattere per cui non mi sento mai in minoranza, anzi…

CN: È la sola donna ma è anche l’unica al comando. Noi siamo ai lati: è lei la conduttrice, l’eroina a cui far l’applauso come detto in una battuta che è passata in tarda serata.

Il gender gap rimane comunque un problema che so essere abbastanza presente nella scena comica, dove le donne faticano maggiormente a rendersi credibili e a imporsi.

MDB: Lo sto notando soprattutto adesso, con il senno di poi. Mentre mi formavo e in tutta la mia carriera, non ho mai pensato alla differenza di genere: mi concentravo sul fare dei buoni pezzi e sull’essere una brava comica. Dopo tanti anni, invece, posso dire che forse in effetti per un uomo è tutto un po’ più semplice, anche se oggi le possibilità sono aumentate anche per le donne. Era molto brutto sentirsi dire “Nonostante tu sia donna, mi fai ridere”…

CN: Se vogliamo, anche il peso delle volte può essere una discriminante.

MDB: Il non rientrare nei canoni estetici che vanno per la maggiore… per non parlare di come anche l’età sia un problema enorme. Per le attrici di cinema, è la più grande discriminante: passati i quarant’anni, i ruoli si dimezzano…

CN: E si ritrovano a dover fare la nonna di qualcuno che magari ha solo pochi anni in meno di loro. Ora, non voglio aprire una polemica, ma per fare un film Maria è dovuta andare a letto con il regista… fortunatamente ero io! (il riferimento è a Vengo anch’io, titolo codiretto e interpretato da entrambi, ndr).

Citando gli stereotipi, non posso non ricordare a Maria come una delle cose più googlate sul suo conto riguardi il perché indossi il turbante.

MDB: O quale malattia io abbia per indossarlo. Ma che malattia hai tu che lo scrivi o te lo chiedi? Purtroppo, viviamo in una società in cui chi fuoriesce leggermente dai canoni del condiviso viene visto come diverso e tale diversità viene avvertita come un segnale strano. Cresciamo tutti con questa mentalità ma dal punto di vista artistico non ce ne preoccupiamo: anzi, la usiamo come stimolo per far nascere nuovi interrogativi e divertirsi. Andrei in scena con una pancia enorme solo per far chiedere agli altri cosa c’è dentro (ride, ndr). È così difficile essere creativi, si hanno tante cose a cui pensare, che non mi preoccupo di tutto il resto.

CN: L’importante è stare bene con se stessi…

MDB: Sfatiamo questo mito: io non sto bene con me stessa. Se fossi stata bene con me stessa, non avrei mai scritto niente di divertente. La mia comicità nasce proprio dal disagio, dal sentirmi costantemente fuori luogo: è attraverso la comicità, l’ironia e l’autoironia che ho trovato un modo per dire “non mi fate niente”.

CN: Durante tutto il nostro percorso, abbiamo cercato di aprire una porticina sulle nostre personalità, di scoprirci e di ironizzare anche su quello che siamo. Ironizziamo prima di tutto sui nostri difetti che, grandi o piccoli, sono gli stessi in cui si rispecchia tantissima gente.

MDB: Siamo tuti più pieni di difetti che di pregi. Per quanto uno poi voglia far finta di averne, di pregi ne abbiamo tutti pochissimi mentre i difetti sono molteplici. E, quindi, se si riesce in qualche modo a minimizzarli e a trattarli con ironia, su quelli si vive.

CN: E poi occorre essere aperti al cambiamento, anche di opinione. Tentiamo nel nostro piccolo di portare una comicità che abbia dietro un pensiero, anche sottile, che dopo la risata può modificare piano piano anche il modo di vedere le cose ritrovandosi a fare dei ragionamenti. E quando la gente ride vuol dire che da quel punto di vista hai sbloccato qualcosa.

Maria, quindi per te la comicità è stata terapeutica in un certo senso?

MDB: Sì, per me lo era. Durante i primi anni di università mi sentivo diversa, strana. Ero goffa, cadevo in continuazione ed ero un clown vivente, una sensazione che per me non era bella e che vivevo continuamente con disagio perché tutti mi guardavano: per me che ero timida, non era il massimo. Poi, a un certo punto è cambiato qualcosa. Mi son detta: “Sai che c’è? Oh, e fatevi una risata! Ognuno è com’è”.

Attraverso i testi comici ho un po’ elaborato il disagio vissuto e accumulato: mi aveva dato come un superpotere.

Continui a sentirti ancora oggi fuori luogo?

MDB: Io mi sento sempre fuori luogo, però con una consapevolezza diversa. Non mi sono mai sforzata di essere qualcosa che non ero e mi sento più forte nel sentirmi fuori luogo.

CN: Si sente fuori luogo ma è risolta… una cosa strana.

MDB: Sì, mi sentirei peggio in un ambiente dove sono tutti come me!

CN: Quando ci siamo conosciuti, ci abbiamo messo un anno a capire che potevamo incontrarci perché avevamo veramente paura l’uno dell’altra. Pensavamo che ci saremmo rovinati la vita ma così non è stato: ci siam detti rimaniamo insieme per altri 5 minuti, 5 minuti che sono diventati 25 anni.

Quanto vi siete stati reciprocamente d’aiuto?

MDB: Tanto. Perché eravamo veramente due disagiati che si son trovati. Ci siamo aiutati tanto a crescere e a sognare. Eravamo due sognatori e abbiamo trovato chi era da sprono ai sogni dell’altro. È questa la nostra forza, ancora adesso.

CN: Sogniamo ancora adesso ma non solo il lavoro: la cosa bella è che, crescendo, capisci che non è il successo la meta.

MDB: Il vero successo è la felicità e non la popolarità: è riuscire a essere felice o comunque ad avere momenti di felicità e un buon equilibrio con te stesso e con quelli che hai intorno.

CN: Sembra una chimera ma è la mission di una vita. Solo dopo viene il resto: si possono vivere momenti di grande esposizione e creatività e altri in cui arranchi ma il nostro obiettivo è sempre stato uno solo: divertirci. Lo facciamo in radio e lo abbiamo fatto con Pour parler, trovando oramai la nostra quadra: riusciamo a fare quello che ci piace anche divertendoci.

Rimpianti e rimorsi: pensate di averne?

CN: Nessun rimpianto: sì, poteva andare meglio ma siamo già molto fortunati. Quando riceverò un premio, ringrazierò tutti quelli che non hanno creduto in noi. È un consiglio che do a tutti i giovani attori e a tutte le giovani attrici: bisogna crederci. È un percorso difficilissimo, con tanti ostacoli, ma solo credendoci qualcosa succederà.

Ringrazio quelli che non hanno creduto in noi perché ogni volta che abbiamo trovato qualcuno che ci ha chiuso la porta in faccia per noi è diventato uno stimolo a far meglio. Magari quel qualcuno aveva ragione e ti ha spinto a impegnarti di più, nonostante tutto. Siamo da sempre due lavoratori e ci impegniamo tanto per arrivare a degli obiettivi: crediamo in noi stessi e, nonostante tutto, andiamo avanti.

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