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“Primadonna è la storia dell’autodeterminazione di una giovane donna” – Intervista esclusiva alla regista Marta Savina

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Sky propone l'8 marzo il film Primadonna, esordio alla regia di un lungometraggio di Marta Savina. Abbiamo incontrato la regista per parlare dell’opera e del forte messaggio di emancipazione femminile che trasmette.
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L’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, approda su Sky Primadonna, il film diretto da Marta Savina. Distribuito lo scorso anno da Europictures, Primadonna è prodotto da Capri Entertainment e MedsetFilm, in associazione con TenderStories e in collaborazione con Rai Cinema, Vision Distribution e Sky.

Definito da Cinematografo come “la storia di una pioniera dei diritti delle donne”, Primadonna è anche il film vincitore del concorso Panorama Italia ad Alice nella Città 2022. Abbiamo voluto parlarne con la regista Marta Savina per confrontarci sui temi e sulle questioni affrontate.

Intervista esclusiva a Marta Savina

Marta Savina, siciliana di origine, è da poco rientrata a Roma. È stata per qualche tempo ad Alicudi, impegnata con la scrittura di un altro lungometraggio e con il montaggio per una serie tv girata per Sky. La Sicilia, del resto, è nel suo sangue: il padre è di Galati Mamertino, un paese della provincia di Messina scelto anche per far da sfondo alla storia raccontata in Primadonna, il suo primo film in onda su Sky.

La storia di Primadonna, il film di Marta Savina, è quella di Lia (Claudia Gusmano), una giovane donna che nella Sicilia degli anni Sessanta sfida stereotipi e leggi sia scritte sia non scritte per affermare il suo volere: in un’epoca in cui la fuitina, anche forzata, veniva riparata con il matrimonio, Lia rifiuta di sposare Lorenzo Musicò (Dario Aita), il figlio di un boss. Dopo essere stata rapita contro il suo volere dalla casa di famiglia e costretta a un rapporto sessuale, Lia non accetta il “matrimonio riparatore” consentito dalla legge per porre fine all’oltraggio alla morale e manda a processo quello che tutti vorrebbero fosse il suo futuro marito.

Autodeterminazione ed emancipazione sono i temi che Primadonna, il film di Marta Savina, porta avanti con coraggio e asciuttezza mostrando come reagire agli atti di violenza e prevaricazione evitando vendette e vittimismi. Prendere in mano il proprio destino e andare contro un’intera comunità è quello che fa Lia, supportata da due genitori che non le fa mancare il proprio appoggio (Fabrizio Ferracane e Manuela Ventura), da un avvocato che ha vissuto controcorrente (Francesco Colella) e dall’ultima degli ultimi, una prostituta, Ines (Thony).

Il poster di Primadonna, il film di Marta Savina.
Il poster di Primadonna, il film di Marta Savina.

La trama del film Primadonna, trasmesso da Sky, ci porta inevitabilmente alla memoria la storia di Franca Viola, la cui vicenda ha contribuito, seppur a distanza di quindici anni, a far cambiare una legge che considerare primitiva e barbarica è un complimento. “Ho cercato di svincolarmi dalla storia di Franca Viola”, ci dice come prima cosa Marta Savina, che della vicenda aveva raccontato anche nel cortometraggio Viola, Franca presentato con successo qualche anno fa al Tribeca Film Festival.

“L’ho fatto per libertà creativa e per raccontare una storia universale. È vero che la vicenda di Primadonna è ambientata in Sicilia nel 1965 ma presente un tema che è, purtroppo, ancora attuale. In Italia, ovviamente, non parliamo più di matrimonio riparatore ma esistono altri Paesi e altri realtà in cui non solo se ne parla ancora ma ci sono privazioni alla libertà femminile molto gravi e pesanti. Era essenziale per me sottolineare l’autodeterminazione di Lia: io vado bene per come sono e quello che voglio fare va altrettanto bene”.

“È stato importante, a un certo punto del processo di scrittura, dare un nome alla protagonista che fosse libero dal biografismo. Quando si realizza un biopic, si è tenuti a essere assolutamente aderenti e accurati al reale. Io volevo invece potermi permettere alcune libertà per vari motivi che mi interessavano”.

Lia, la protagonista del film Primadonna, non vive dunque ad Alcamo come Franca Viola ma tra i Nebrodi e, fondamentalmente, non ha quindici anni. “Non raccontiamo la sua età precisa, non c’è mai nessun riferimento”, assicura Marta Savina. “Diciamo quindi che è una ragazza nei suoi vent’anni, più o meno, sicuramente giovane e alle prime esperienze di innamoramento e di incontro con l’altro sesso”.

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Marta Savina, la regista del film Primadonna.

Lia, la protagonista del film Primadonna, non vuole sposare Lorenzo. Tanto che nella scena della fuitina si oppone con tutte le sue forze: la madre viene ferita alla testa e il fratellino portato via con lei. Subito dopo la vediamo reagire con una forza insolita per le donne del suo tempo e affrontare quanto accaduto. Possiamo dire che Lia non voleva accettare Lorenzo perché aveva riconosciuto in lui i segnali di un amore tossico?

Probabilmente sì. Il concetto di amore tossico è molto moderno però è assolutamente vero che, in una delle scene della conoscenza iniziale con Lorenzo, ci sono delle schermaglie in cui lei ribadisce che è lei a decidere come e cosa mettersi e cosa fare. Sicuramente, il personaggio di Lia non ha razionalizzato che quello è un amore tossico ma noi spettatori del 2023 che vediamo il film possiamo farlo: è un pensiero.

È un modo anche per far capire alle donne che devono essere in grado, oggi come ieri, di capire un segnale sbagliato…

Francamente, più che alle donne, penso che Primadonna sia un film indirizzato a tutto il pubblico. Vorrei che sia un film che emozioni e non che punti il dito contro nessuno. Credo che le donne oggi siano molto più in grado di ieri di riconoscere i segnali sbagliati e che, per tale ragione, la responsabilità vada messa sugli uomini. Il film non dice alle donne “Attente ai segnali”, semmai dice agli uomini “Attenti, c’è sempre una strada giusta: non c’è mai una giustificazione per imboccare quella sbagliata. È questo uno dei messaggi del mio lavoro.

Lorenzo, paradossalmente, se avesse incontrato un’altra donna al posto di Lia, oggi avrebbe figli e nipoti. Non sarebbe mai passato da un carcere per un motivo del genere perlomeno. E, quindi, dal mio punto di vista, è lui la vera vittima del film: è un po’ il prodotto del suo tempo e per questo, purtroppo, vittima.

In altre parole, Primadonna non è un decalogo degli atteggiamenti dell’amore tossico: noi donne abbiamo oggi molta più awareness, consapevolezza di quali sono i gesti sbagliati. Il problema è che non dovrebbero farli gli uomini.

E questo ci fa tornare un po’ alla mente i discorsi non sulle pene ma sulla prevenzione dei reati.

Non penso che le pene servano a molto: se servissero come deterrente, non avremmo gli omicidi e tutta un’intera serie di crimini o reati. Serve semmai cambiare radicalmente una mentalità che dice che la donna è un oggetto e l’uomo ha il diritto di possederlo. Lorenzo nel film cresce con questo pensiero e quindi, tragicamente, non pensa di fare niente di male. Con Dario Aita, un attore meraviglioso, ho fatto questo tipo di lavoro e di discorso: “Lorenzo è nel giusto, non sta facendo nulla di male perché è così che si fa e lo hanno fatto intere generazioni prima di te”.

Hai appena citato Dario Aita, che è siciliano come gran parte del cast del film Primadonna.

Ci tenevo molto che fossero tutti siciliani. Con i miei due meravigliosi direttori del casting, Francesco Vedovati e Sara Casani, e con Marta Mancuso in Sicilia abbiamo lavorato su questo aspetto: per me era molto importante avere un cast interamente siciliano dal momento che il film sarebbe stato parlato in parte in dialetto. Era essenziale quindi che gli attori masticassero e mangiassero la parlata: l’unico a non essere siciliano ma calabrese è Francesco Colella.

Tra i personaggi che supportano Lia c’è la prostituta interpretata da Thony. Si chiama Ines, un nome atipico per una siciliana se vogliamo.

Quel nome è frutto di un aneddoto che forse può essere anche divertente. A un certo punto, per trovare dei nomi che ci piacessero, io e il mio aiuto regia Daniela Baldassarre siamo andate a fare un giro nel cimitero del paese. Volevo dei nomi che fossero in qualche modo credibili: i nomi inventati suonano sempre strani. Abbiamo quindi tratto ispirazione dalle lapidi, stilato una lista di nomi e cognomi che abbiamo poi incrociato per trovare combinazioni che ci piacessero. Ines viene fuori da quest’esperimento: non è la solita Rosa o Catena.

Lia, Ines e Sara, la madre di Lia, sono tre donne molto diverse tra loro. Possiamo considerarle come tre diverse sfumature della personalità femminile?

Non è che sono tre sfumature: dobbiamo cominciare a parlare di pluralità al femminile. Credo ci sia ancora un vizio di rappresentazione che vuole che si rappresentino solo donne forti, eroiche o che hanno alterato il corso della storia. Ma non è così: come ci sono uomini cacasotto e uomini eroi, ci sono donne cacasotto e donne eroine. Quindi, sono semplicemente tre donne e basta. E sono diverse perché diverse sono tutte le donne: io sono diversa da mia madre e mia madre è diversa da sua sorella. Semplice, no?

Per natura, siamo tutti persone diverse e loro non sono tre sfumature di una donna, di questa sorta di creatura mitologica unica. Abbiamo oramai sdoganato il racconto della storia al femminile, cominciamo adesso a raccontare veramente storie diverse perché ci sono pure donne malefiche, donne mediocri, donne inconcludenti… credo sia questa la vera parità di genere, la pluralità: non togliamo le storie al maschile ma inseriamone di nuove, plurali, per tutti. Usciamo da questa dicotomia, siamo fluidi.

Hai usato il termine “fluido”. A pensarci bene, in Primadonna abbiamo un personaggio fluido: Amedeo Orlando, l’avvocato interpretato da Francesco Colella.

In effetti, hai ragione. È abbastanza fluido ma questa sua fluidità occupa solo una piccola parte della storia, non è un punto centrale ma è sicuramente un petalo del fiore maschile. Anche gli uomini, come le donne, sono tutti diversi. Anche tra i “cattivi”: pensiamo a Lorenzo e all’amico Tindaro (interpretato da Maziar Firouzi), sono sempre insieme ma sono molto diversi… Tindaro ha una componente di violenza e spietatezza che Lorenzo non ha, così come ce l’ha il prete, don Zaina (Paolo Pierobon).

La fluidità di Orlando sottende da un lato la volontà di rappresentare un colore in più e dall’altro lato la voglia di inserire in un contesto come quello siciliano degli anni Sessanta, un mondo comunque un po’ arcaico, una persona che poteva capire Lia e accettare di rappresentare il suo caso in tribunale. Come Lia, anche Orlando si trova per qualche motivo ai margini della società.

Claudia Gusmano in una scena di Primadonna.
Claudia Gusmano in una scena di Primadonna.

Com’è stato girare Primadonna, il tuo film, in Sicilia?

Sono andata a girarlo a casa, in un luogo che per me era protetto: ci torno ogni estate fin da quando ero una bambina piccolissima. C’era un grande fermento in paese, erano tutti felicissimi: ho trovato il modo di coinvolgere tutti quanti con ruoli da comparse e piccole figurazioni o con lavori dietro le quinte. È stata una festa girare a Galati Mamertino, non abbiamo avuto nessun tipo di frizione rispetto al girare in Sicilia: anche quando abbiamo pensato di poter realizzare alcune scene a Palermo e Messina, abbiano trovato tutte le porte aperte.

Non c’è nessuno che si è lamentato della rappresentazione che poteva venirne fuori? Dopotutto, c’è anche l’elemento mafia…

No, anche perché l’elemento di mafia è solo accennato e quasi in modo “culturale”: serviva per mostrare la riverenza nei confronti della famiglia di Lorenzo, una famiglia potente. Siamo noi che sappiamo che è una famiglia mafiosa perché in quel contesto e in quegli anni i potenti probabilmente erano mafiosi. Primadonna non è un film che parla di mafia e non restituisce della Sicilia un’immagine negativa. Paradossalmente, abbiamo avuto più problemi a girare in Chiesa. Il prete ci ha chiesto “Ma non si sposano?”.

Sei al tuo primo film. Difficoltà nel realizzarlo?

È stato difficilissimo: abbiamo girato comunque in una zona impervia, logisticamente molto difficile, in montagna, lontano da tutto e in un paesino di 1200 persone… complicato, no? Il mio è un piccolo film, per metà in dialetto, ma è stato produttivamente complesso da mettere in piedi, faticoso. Su 35 giorni di riprese, 31 sono stati di pioggia: c’era un microclima a Galati Mamertino particolare per cui non credo di aver preso mai tanta acqua, fango, vento e freddo in vita mia.

Una delle scene verso la fine, quella della conversazione fra Lia e Orlando, non doveva essere sotto la pioggia ma col sole. Ma il giorno in cui dovevamo realizzarla diluviava, non smetteva di piovere e c’era nebbia. L’abbiamo girata ugualmente e alla fine mi piace anche: restituisce un’immagine della Sicilia u po’ meno vista, non è quella assolata e rassicurante che siamo soliti vedere.

E, comunque, molto più in generale, è stato facile per una giovane donna come te realizzare il suo primo lungometraggio? Sono pur sempre passati sette anni da Viola, Franca…

Ho bussato a tante porte. Ed è stato per certi versi paradossale. Quando ho cominciato a pensare al film, era il 2017, il momento esattamente post #MeToo. In prima battuta, c’era un’attenzione fortissima per una storia come quella di Lia dato che tutti sembravano alla ricerca di storia del genere. Ma io non volevo cedere ad alcune delle richieste che mi venivano fatte e su alcuni punti ero molto ferma: attori siciliani, uso del dialetto e Galati Mamertino come location.

C’è stato chi mi chiedeva di inserire attori molto conosciuti ma non siciliani o di girare altrove per i finanziamenti ma non era quello che volevo io: si possono fare dei compromessi ma questi non devono mai danneggiare il film che hai in testa. Ci sono voluti quindi diversi anni ma Virginia Valsecchi ha avuto il coraggio e forse anche l’incoscienza di affrontare quest’avventura insieme a me.

Il titolo di lavorazione non era però Primadonna ma La ragazza del futuro. Perché?

La ragazza del futuro è il titolo che il film ha mantenuto per alcuni paesi esteri. “La ragazza del futuro” perché Lia è una giovane che ha un’idea e un’autodeterminazione anacronistica rispetto al tempo in cui vive ma la spiegazione dovresti chiederla al distributore. Per noi è stato sempre Primadonna: mi interessava molto la connotazione negativa con cui si usa il termine “primadonna” e volevo giocarci.

In una società che cerca sempre di incasellarti, schiacciarti e metterti in un angolino, essere una primadonna a volte ti salva la vita, come nel caso di Lia. Ho lavorato tanto con Claudia Gusmano per rendere Lia al limite quasi dell’antipatico, mi interessava percorrere questa strada e vedere fin dove ci si poteva spingere e cosa poteva accadere.

Quando è nato in te da bambina il desiderio di essere la “regista del futuro”?

Avevo otto anni. Ho scritto allora una specie di pièce teatrale ispirata ai personaggi della commedia dell’arte. Ho costretto tutti i miei amici a recitarla e le loro madri a cucire i costumi sui miei bozzetti. Mia madre non ha messo alcun freno alla mia megalomania e mi ha aiutata addirittura con lo sbigliettamento per lo spettacolo!

Io interpretavo Arlecchino. Non c’era la protagonista ma il protagonista: ero io il capo. Ho preso da lì l’attitudine a comandare… ma sono una donna, pensa che tempi che viviamo! (ride, ndr).

Primadonna: Le foto del film

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