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Chris Bacco: “Il produttore musicale è come il regista di un film” – Intervista esclusiva

Chris Bacco è il produttore musicale dello Studio 2 di Padova, arrivato alla soglia dei 10 anni. A lui abbiamo chiesto in che cosa consista la figura del produttore e come si è dovuta adattare ai cambi della tecnologia.
Nell'articolo:

Cosa fa un produttore musicale? È la domanda che molto spesso ci facciamo senza trovare una risposta concreta. E non ci aiutano di certo i tanti video sparsi su YouTube con la scritta “produced by”, in cui si crea più confusione che certezza.

Il produttore musicale è “come il regista di un film”, ci assicura nel corso di quest’intervista Christopher Bacco. Produttore musicale di artisti emergenti ma anche dalla consolidata carriera, Chris Bacco è il titolare dello Studio 2, una realtà ben radicata a Padova, che in questi giorni compie dieci anni di attività. Nel corso degli anni, lo studio ha raggiunto artisti e gruppi provenienti da tutta Italia, lavorando con nomi del calibro di The Winstons, Bobby Solo e Marco Cocci ampliando sempre di più la clientela e i servizi per chi è in cerca di un Recording Studio all'avanguardia.

Del ruolo del produttore musicale e dei cambiamenti a cui la professione è andata incontro per via della tecnologia ma anche della pandemia abbiamo discusso con lui. Gli abbiamo anche chiesto come si comporta un produttore musicale davanti a un brano che ancora “vergine” passa per le sue mani. O come si reagisce di fronte a qualcosa che non incontra i gusti di chi dopo la deve produrre.

Chris Bacco, produttore musicale e titolare dello Studio 2.
Chris Bacco, produttore musicale e titolare dello Studio 2.

Intervista esclusiva al produttore musicale Christopher Bacco

Questo è un momento particolarmente impegnativo dal punto di vista della produzione musicale.

Sono in studio a lavorare a una ventina di progetti, cercando di tenere sempre di tenere alta la qualità. E provando a far qualcosa di nuovo. Una volta, per cambiar sonorità occorrevano 15 anni mentre adesso bastano tre mesi per chiedersi se quello che stai facendo è ancora attuale oppure no.

Spiegaci prima di tutto cosa fa un produttore musicale. Spesso c’è tanta confusione intorno alla tua figura, non si capisce chi fa cosa.

La confusione è nata soprattutto negli ultimi anni con il proliferare su YouTube di video con la scritta “prod. by”: in quel caso non parlerei di produttori ma di bit maker, come si chiamavano fino a qualche anno fa. Sono due professioni completamente diverse. Per intenderci meglio, si potrebbe usare il paragone tra il produttore e il regista di un film. Il produttore musicale è per certi versi il regista del disco.

Lo Studio 2 a Padova compie dieci anni, un traguardo importante considerando i cambiamenti anche tecnologici intercorsi nel frattempo. Prima di ogni altra cosa, quanto hanno impattato sul tuo lavoro i due anni di pandemia?

Paradossalmente, i due anni di pandemia – è quasi brutto a dirsi – hanno fatto incrementare la produzione musicale, sono stati come un’aggiunta di benzina a quello che era già un motore ben avviato. Lo studio è rimasto chiuso per i due mesi di lockdown totale: non si poteva accedere agli studi in presenza ma siamo riusciti a portare avanti la nostra attività occupandoci di post produzione per la televisione. Ho adattato le mie competenze a un lavoro che è sempre audio ma non musicale.

Dopo i due mesi, abbiamo cominciato a ricevere un numero sempre crescente di richieste da parte dei discografici, di artisti emergenti o di artisti con certa carriera alle spalle. Stando a casa, la gente consumava molti più contenuti multimediali come le canzoni ma anche con i live in studio, concerti registrati dal vivo e non in diretta streaming. Le richieste dei nostri servizi sono aumentate del 25%. Sono sfumati invece i progetti legati agli album.

Un dato che è in controtendenza rispetto ad altri settori che hanno vissuto pesantemente gli effetti della crisi pandemica.

L’incremento ci ha in qualche modo ripagato dei due mesi di chiusura totale, per intenderci. Nessuno di noi era preparato o aveva avuto il tempo di organizzarsi o portarsi a casa la strumentazione, quindi la riapertura ci ha avvantaggiati. Essendo una srl che non fornisce servizi primari ma servizi a terzi, abbiamo potuto lavorare senza particolari restrizioni e ottenuto anche dei permessi speciali per lavorare in presenza con artisti già affermati e in possesso di partita iva. Lo sottolineo per evidenziare quanto è importante essere come struttura totalmente in regola.

Chiaramente, abbiamo dovuto rallentare i ritmi sulla produzione degli artisti emergenti: per loro, la musica non viene considerata dallo Stato un lavoro perché non è una fonte di reddito. Molti, ad esempio, non potevano nemmeno venire.

https://www.instagram.com/p/CZJ5ZPBoLJd/

È chiaro che venendo a mancare l’attività live in qualche maniera gli artisti volevano tenersi impegnati.

Per un artista “produttivo” è impensabile stare fermo per tutto il periodo delle restrizioni. Con molto più tempo a disposizione, ogni artista si teneva impegnato con la scrittura. Ci siamo veramente ritrovati sommersi di lavoro, un trend che continua tuttora. Il trend avrebbe potuto esserci anche senza lockdown ma sarebbe stato più lento. Dal mio punto di vista, il CoVid lo ha solo accelerato.

Certo, se la chiusura fosse durata molti più mesi, non so cosa sarebbe potuto accadere: per uno studio di registrazione è difficile fare programmazione a lungo tempo, è impossibile che un artista sappia cosa farà sei mesi dopo, a meno che non abbia una grossa etichetta o una major alle spalle.

Come si arriva al traguardo di certo non facile per i dieci anni?

Adattandoci ai cambiamenti che hanno messo in ginocchio altri studi, come l’avvento del digitale e dello streaming. La tecnologia ha fatto sì che fossero accessibili a tutti i software di registrazione così come i microfoni. Nelle case, ognuno ha creato un proprio studio. L’ho sempre vista come una cosa positiva, dal momento che noi vendiamo un servizio e non lo studio. È vero che lo Studio 2 ha una strumentazione che nessuno a casa potrebbe permettersi ma il quid in più che offre è legato all’esperienza della produzione, all’orecchio esterno che capisce che direzione dare al tuo lavoro. Una volta il servizio era considerato inutile. Bastava avere uno studio figo, se il fonico aveva orecchio bene, bene. Altrimenti faceva il tecnico.

Adesso non ci sono più i soldi per pagare tre figure: fonico, assistente di studio e produttore. Si paga solo una persona, quindi si punta più sul servizio da offrire: un bell’arrangiamento e una bella produzione. da produttore, ti seguo, ti do consigli e ti offro una visione del brano differente dalla tua. È un modo per sfruttare la situazione a proprio vantaggio: basta vendere studio, strumenti o spazio, quelli ormai sono accessibili a chiunque, è quello che dico a tutti quei produttori che si piangono addosso, offriamo servizi e vendiamo l’esperienza che abbiamo accumulato.

Metaforicamente, si tratta di ristabilire il potere dell’uomo sulla macchina. Lo studio però a Padova e non a Milano o Roma. Si potrebbe dire che è decentrato rispetto all’industria musicale.

In Italia c’è una lunga tradizione di studi decentralizzati. Padova è stata una scelta quasi spontanea. Sono nato a Vigonovo, in provincia di Venezia, in un posto però più vicino a Padova che alla Laguna. Mi è sembrato quasi naturale avvicinarmi un po’ di più verso Milano ma senza perdere ciò che già avevo portato avanti con il mio primo studio a Vigonovo. E quindi Padova, a metà strada, facilmente raggiungibile grazie ai mezzi e all’autostrada. Gli artisti vengono volentieri, ne approfittano anche per visitare la città, di sicuro a misura d’uomo. Spostarsi oggi a Milano sarebbe inutile: lieviterebbero solamente i prezzi di gestione e la concorrenza.

Abbiamo paragonato il produttore alla figura del regista di un film. Cosa si fa concretamente quando arriva un brano da produrre?

Il brano arriva quasi sempre in forma embrionale, chitarra e voce o pianoforte e voce. Si lavora dunque solo su una base a cui devi cucire sopra un vestito. Lo si fa partendo dall’armonia e dalla melodia e confrontandosi con l’artista: tutto deve essere sempre in sintonia con la scrittura. Ci si confronta ad esempio sulla malinconia, sull’allegria e sulla velocità del brano. Una volta decisa la direzione da prendere, si decidono gli aspetti tecnici, dagli strumenti da inserire alla tipologia di microfono da usare.

Quindi, il produttore è per certi versi psicologo e tecnico.

Per certi versi, sì. Bisogna capire la sensibilità di capire che si sta lavorando a un’opera che ha scritto un’altra persona. Spesso, è stata scritta in un momento delicato della sua vita; altre volte, è frutto dell’impeto e altre volte ancora è semplicemente una canzone leggera. Se non si ha il giusto approccio, si rischia anche di scatenare gelosie e lavorare male. Solo il tempo aiuta a capire chi si ha di fronte e a lavorare con artisti con sessant’anni di carriera alle spalle come con giovani emergenti.

Da un punto di vista tecnico, invece, devi conoscere un po’ tutti gli strumenti e ciò che gira intorno alla musica, dal solfeggio all’elettronica. Ma anche, banalmente, come funziona un microfono, a che distanza tenerlo o qual è il migliore per un certo effetto da ottenere. E tutto ciò solo per ottenere un’emozione che si adatti perfettamente al brano a cui stai lavorando.

Su che tipo di canzone preferisci lavorare? D’impeto, profonda o leggera?

Prevedono approcci totalmente diversi. Da un punto di vista del gusto personale, preferisco la canzone più impegnata, arrangiata e cervellotica. Ma sono utili anche le canzoni leggere: distraggono dalle pesantezze di una giornata. Come i film, le canzoni si adattano a tutti gli umori.

E come si reagisce quando ci si trova di fronte a progetti che valgono poco?

Fortunatamente, il mio lavoro non comporta contratti di vendite e non promette il successo. L’andamento commerciale non dipende dal produttore: un produttore, per essere tale, deve sempre cercare di ottenere il massimo dal brano che ha davanti. Quando qualcosa non mi convince, chiedo di farmene ascoltare versioni differenti: spesso, gli stessi artisti mi permettono di spulciare tra i provini che hanno realizzato per capire quale secondo me è il migliore. Solitamente, cerco qualcosa nel brano a cui appigliarmi.

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Come hanno invece stravolto Spotify e i social il tuo lavoro?

Si fanno sicuramente meno dischi. Si lavora più sui singoli per cui molto spesso ci si ritrova a lavorare con lo stesso artista più volte nel corso di un anno. Ciò è frutto dalla velocità con cui si fruisce la musica: un singolo oggi viene considerato vecchio già a un mese dal suo rilascio. Per via dei social, certi artisti puntano all’orecchiabilità o alla funzionalità delle canzoni in vista dei reel, delle stories o di TikTok.

Ma questo modo di intendere e fare musica non rischia di far perdere l’identità musicale allo stesso artista?

Eh. A me piace molto la scelta degli Arctic Monkeys: fanno un disco ogni quattro anni, lo fanno bene e non si interessano a tutti gli aspetti legati ai cambiamenti, dai social in poi. Per me, quello è far musica: vanno in studio, fanno quello che piace loro e vien fuori un prodotto di altissima qualità. Ogni cosa, video compresi, è curata nel minimo dettaglio. Ma non tutti possono permettersi ai tempi di TikTok di pagarsi l’affitto con un disco e di conseguenza si adattano.

Non c’è il rischio che tutta questa iper produzioni porti lentamente a un allontanamento della musica? Spesso la troppa presenza genere assenza.

Sono d’accordo con te. E lo dico anche contro i miei interessi. Si registrano tantissime canzoni, gli uffici stampa ne promuovono altrettante ma le radio sono sempre le stesse, così come le orecchie. Io tornerei all’idea di produrre meno come qualche anno fa, investendo un budget adeguato alla produzione. Ben venga il proliferare delle etichette e la liberazione dalle logiche delle major ma il mercato necessita comunque di essere ordinato, di talent scout che scoprono artisti veri e di investimenti di valore. La qualità media, purtroppo, si è abbassata tanto.  

Che formazione serve per lavorare come produttore?

L’esperienza, prima di tutto. Non avendo molti soldini a disposizione, ho cominciato a lavorare presto. Ho fatto il barista, il dj e tutto ciò che si poteva fare. Anche perché non esisteva una scuola superiore che potesse insegnarmi questo mestiere. Ho quindi imparato vedendo lavorare gli altri, studiando da solo o frequentando scuole private. Molto si scopre in studio: quando vedi qualcosa di cui ti accorgi di avere una lacuna, vai a recuperare un libro e approfondisci. Di certo, non un tutorial su internet. Puoi improvvisarti cantante o musicista a casa ma non produttore.

Lo Studio 2 di Padova.
Lo Studio 2 di Padova.
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