Quattro buone giornate, il film inedito che Sky propone il 19 marzo, ripercorre la storia di Deb, interpretata da Glenn Close, e della figlia Molly, portata in scena da Mila Kunis. Dieci anni di dipendenza dall’eroina hanno gettato l’esistenza di Molly nel caos. Una nuova medicina potrebbe aiutarla a ricominciare da capo se solo riuscisse a rimanere “pulita” per quattro giorni. La volitiva madre Deb potrebbe esserle d’aiuto. Sarà così che l’amore che entrambe professano sarà messo a dura prova come mai prima nella loro vita.
Diretto da Rodrigo Garcia, Quattro buone giornate è un ottovolante emotivo in cui speranza e dipendenza vanno di pari passi in una trama tesa a sottolineare la sofferenza di milioni di persone nel mondo. Ma è anche un film che pone domande a cui è difficile dare una risposta. Si può rifiutare di aiutare un figlio o una figlia in difficoltà, pur sapendo che è per il suo bene? Qual è il confine tra il dare supporto e il chiudere un occhio? Cercare di aiutare un figlio o una figlia a uscire da una dipendenza non è una dipendenza stessa?
Cosa racconta Quattro buone giornate
Il film Quattro buone giornate, proposto da Sky, comincia una notte quando Deb sente bussare alla sua porta e si ritrova davanti a una donna che a malapena riconosce. Si tratta di sua figlia Molly, che a causa della dipendenza decennale dall’eroina vive per strada. Molly ha perso tutti i denti, è pelle e ossa, con i vestiti ridotti a brandelli e con chiari segni di una crisi di astinenza in atto. Disperata, Molly chiede a Deb un ultimo aiuto per superare la sua dipendenza dalla droga.
Deb conosce già quell’antifona. Ha vissuto in prima persona le ricadute, le bugie e le manipolazioni che Molly ha messo in atto nel tempo. Da anni frequenta i gruppi di sostegno alla tossicodipendenza e ha imparato come in determinate situazioni deve reagire con pugno fermo e affidarsi alla fede. Abbassare la guardia sarebbe per Deb un segno di cedimento e accondiscendenza a quel tipo di comportamento. Le dice allora di non poterla aiutare e, con tutta la forza che non sa nemmeno dove trova, le chiude la porta in faccia, lasciandola tremante sul portico.
Con il passare dei giorni, Molly le mostra però che si sta impegnando seriamente a disintossicarsi. Deb, intravedendo la persona empatica e determinata che era sua figlia, si lascia trasportare dai buoni segni che nota. Forse, questa volta sarà diverso… o, forse, più semplicemente, Deb non vuole arrendersi all’idea di aver perso la figlia per sempre. Con riluttanza, decide allora di aiutare Molly a superare i quattro giorni più decisivi del processo di disintossicazione.
Sarà la volta decisiva? Riuscirà Molly a riprendere il controllo della sua vita? O è l’ennesimo passo falso? Deb ha solo un modo per scoprirlo: sacrificare ogni cosa e dare tutta se stessa per il bene di Molly.
Da una storia vera
Quattro buone giornate, film targato Sky, trae spunto da un articolo del Washington Post firmato da Eli Saslow in cui si raccontava la vera storia di Amanda Wendler e Libby Alexander. “Sono rimasto particolarmente colpito dall’articolo di Saslow, dal titolo How’s Amanda?, Come sta Amanda?”, ha dichiarato il regista Rodrigo Garcia.
- Amanda e Libby
“Oltre a raccontare una bella storia su una madre e una figlia, sono rimasto impressionato dal modo in cui l’articolo rappresentava la dipendenza e i problemi che crea all’interno delle famiglie. Ha ritratto la relazione tra madre e figlia con molta attenzione, raccontando come fossero unite, nella salute come nella malattia. Per la sceneggiatura di Quattro buone giornate abbiamo avuto la sua consulenza ma abbiamo anche incontrato le vere protagoniste della storia, Amanda e Libby”, ha continuato.
“Amanda e Libby sono sempre state molto generose nel condividere le difficoltà che hanno attraversato. Sono consapevoli di essere loro le protagoniste di Quattro buone giornate ma allo stesso tempo sanno anche di non esserlo. Ci siamo basati molto sulla realtà ma, sempre con il massimo rispetto, l’abbiamo drammatizzata. Hanno anche incontrato, grazie a un paio di videochiamate, anche Glenn Close e Mila Kunis, i loro corrispettivi sullo schermo”.
“Le storie di dipendenza sono difficili da trattare sullo schermo”, ha concluso Garcia. “L’argomento è spinoso, complicato e traumatico. In tanti lo hanno vissuto sulla propria pelle. Vale, quindi, la pena raccontare una storia del genere? Si, mi sono risposto. Ritrae una dinamica tra una madre e una figlia, aggravata dalla tossicodipendenza, ma in fondo rimane una storia su quanto forte possa essere il loro legame. In cuor mio, spero aiuti a puntare il faro sulle difficoltà create dalla dipendenza e sull’impatto che ha sulle famiglie”.