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“Quella là è chi non corrisponde alle etichette prestabilite” – Intervista esclusiva a Giua

quella là canzone
La cantautrice Giua, in compagnia delle Blue Dolls, ritorna sulla scena musicale con la canzone Quella là, un inno che ci legittima a pensare e amare come e chi vogliamo, senza timore del giudizio delle comari e dei compari del paesino Italia.

Quella là è il titolo della nuova canzone della cantautrice Giua con la partecipazione delle Blue Dolls. Al culmine di un anno di impegni che l’hanno vista protagonista della scena teatrale ma anche del panorama musicale, Maria Pierantoni Giua ci regala un brano ironico dal sapore 60’s in cui ritrae la società contemporanea sempre pronta a puntare il dito contro chi non risponde a certe etichette prestabiliti.

Il senso di Quella là è abbastanza chiaro: tutto si evolve ma non la sottile arte del pettegolezzo che dai quartieri più popolari di una città qualsiasi vola fino agli scranni del Parlamento e anche oltre. Cultura e politica fanno sempre più fatica ad abbracciare quella moltitudine che è propria del genere umano proponendo un inscatolamento binario dal quale occorre decisamente uscire.

Ma chi è “quella là” della canzone? È sicuramente una donna libera che vive la sua vita a partire da se stessa e dai suoi rapporti. Una donna che poco si cura del vociare delle comari e dei compari di un paesino che, come De André ci insegna, non brillano certo di iniziativa e si limitano all’invettiva, al dito puntato e all’arte della denigrazione. Da dietro le loro finestre, da un microfono o dai cortili dei loro social, le comari e i compari giudicano le unicità e le mancate omologazioni, ergendosi a giudicanti del bene e del male.

La cantautrice Giua.
La cantautrice Giua.

Intervista esclusiva a Giua

Come nasce Quella là, la tua nuova canzone?

È una canzone che nasce circa un anno fa. Ero sul mio terrazzo a curare le mie piante e nel frattempo ascoltavo Morgana, storie libere, il podcast di Chiara Tagliaferri e Michela Murgia. Ero rapita dalla storia veramente potente di una delle donne. Mentre sentivo loro raccontare, m’è venuta una di quelle mie urgenze che ogni tanto mi portano a fermarmi per precipitarmi a scrivere ciò che mi sta balenando in testa in quel momento. In quei frangenti, non è che abbia chiaro cosa sia o cosa stia per succedere ma so che devo cogliere l’attimo.

Ed è così che ho scritto di getto la canzone, che in un primo momento avevo intitolato La femminista. È stata una folgorazione, in un’ora avevo composto musica e testo immaginando la conversazione tra le comari di un paesino che giudicavano quella là, la “diversa”, colei che ha una personalità che non risponde ai canoni prestabiliti o che si comporta in modo non reggimentabile.

Reggimentabile, bel termine. Chi ha stabilito cosa lo sia e cosa no?

Evidentemente c’è qualcuno che pensa che regimentare i comportamenti sia possibile. Al di là della legge che stabilisce dei confini di diritto, che trovo sensati, tutto il resto non dovrebbe essere regolamentato. Chi è che si può permettere di decidere ad esempio se è giusto innamorarsi di chi si vuole o come vivere l’amore? È qualcosa che ha dell’incredibile, soprattutto negli ultimi tempi in cui si verificano episodi che trovo allucinanti oltre che gravi sia umanamente che giuridicamente, sintomo di una società brutta che non mi piace e non mi rappresenta. Ho come l’impressione che si viva in una società che, anche rispetto a certi diritti acquisiti, sta facendo dei notevoli passi indietro… diritti che la generazione prima della nostra ha lottato per ottenerli o per vederli avvalorati.

Quella là è una canzone cheha un taglio molto ironico. Perché hai scelto l’ironia come chiave di lettura?

Da sempre, anche in politica, l’ironia permette di dire delle cose anche molto dure e molto ferme ma in una maniera che a prima vista sembra leggera. Ci si ritrova grazie all’ironia a sorridere di qualcosa che, al di là del giudizio immediato che uno può maturare, favorisce con l’ascolto la possibilità di accendere un pensiero che fino a quel momento non si aveva o non si era fatto. L’ironia permette quindi di far pensieri che diversamente non si farebbero.

Al brano partecipano le Blue Dolls. Com’è stato l’incontro?

Con Flavia Barbacetto siamo legate da un rapporto di amicizia da tantissimi anni: abbiamo co-diretto per tanti anni il Coro popolare della Maddalena a Genova. Quando si è trattato di scegliere chi potesse rappresentare il coro di voci di comari della canzone ho pensato subito a loro, un elegantissimo coro che ha già lavorato con Neri Marcorè e Drusilla Foer tra gli altri. Le Blue Dolls hanno quella dose di eleganza e di ironia che ben si mischiavano con le sonorità anni Sessanta della canzone.

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Ti sei mai sentita personalmente quella là?

Si, assolutamente sì. Perché sono l’artista, l’estrosa, la femminista, la madre separata di un figlio… diverse volte non sono rientrata nei canoni prestabiliti ma non sempre ho avuto la forza per difendermi. Ci sono state delle volte, soprattutto quand’ero più piccola, in cui non avevo gli strumenti per farlo e ne ho sofferto anche molto. Adesso, invece, più vado avanti nella mia vita, più sono consapevole delle mie scelte e del mio modo di vedere la vita: ciò che dicono gli altri non mi interessa (a meno che non sia il pensiero di una persona che stimo), non ho più intenzione di farmi dire cosa fare o essere e cosa no dagli altri.

Quella là nella canzone è “per forza di sinistra, odia i maschi, non si cura, la ceretta non fa”… ma è solo così?

No, quella là può anche essere di destra, amare i maschi, lavarsi e così via. Nel caso della canzone, era chiaramente un omaggio se vogliamo al podcast che stavo ascoltando e un modo per mettere di fronte il pubblico alla rozzezza di certi cliché imbarazzanti che ogni tanto emergono anche dalle interviste a determinati esponenti politici, in grado di dirne di ogni quando si pone loro una domanda un po’ più approfondita. Quando si va sul dettaglio, non sanno nemmeno di cosa parlano: basta sentire come rispondono a domande sul femminismo o sull’omosessualità, ad esempio.

Ed è raccapricciante: per avere una posizione, bisognerebbe prima documentarsi, studiare, leggere dei libri e farsi un’idea. Trovo imbarazzanti le prese di posizione senza conoscenza dell’argomento, restituiscono un’immagine che non corrisponde più al vero e che sembra essere ferma nel tempo.

Quella là è ovviamente una canzone che può estendersi a chiunque si senta additato o “brucerà all’inferno”, come la figlia con due madri o chi ha la propensione all’orgia. Siamo nel 2023 quanta strada si deve ancora percorrere affinché non esistano più quella o quello là?

Temo che ce ne sia ancora tanta da fare. Un po’ perché tutti, me compresa (non mi voglio togliere dal coro delle comari), abbiamo la tendenza al giudizio: si fa presto a indicar senza sapere dall’altra parte chi c’è, cosa vive, da dove arriva o cosa è successo. Ci sono state tante volte nella mia vita in cui sono stata giudicante o approssimativa ma dobbiamo pensare di non poter applicare il nostro metro a chi ha tutt’altra storia diversa dalla nostra. È purtroppo una tentazione umana quella di erigere il proprio punto di vista a totalizzante.

E un po’ perché viviamo in una società che presenta una profonda spaccatura tra ciò che si vuole e ciò che è reale: non si può incontrare Elon Musk e riservagli tutti gli onori del caso quando si è contro l’utero in affitto. Perché lo si fa? Solo perché è eterosessuale e quindi per lui il ricordo a quella pratica va bene mentre per chi ha un’identità di genere diversa no? Trovo che sia un atteggiamento da ipocrita, oltre che imbarazzante e incostituzionale.

Tuttavia, ho fiducia soprattutto nelle nuove generazioni, per le quali mi sembra di capire che siano molto più acquisite e comprese tutte quelle cose che noi invece abbiamo dovuto conquistarci. Anche se potrebbe esserci il rischio che certe posizioni vengano prese perché di moda. Ricordo che da ragazzina anch’io facevo determinate cose per presa di posizione adolescenziale quando invece bisognava avere gli strumenti intellettuali, psicologici e culturali per sostenerle. Rispetto a me, i ragazzi di oggi accedono molto rapidamente all’informazione ma non so se sono già in grado di padroneggiarla.

Noi ci sentiamo incontrati non molto tempo fa. Eppure, nel frattempo hai portato avanti numerose attività. Oltre a finire la tournée di Maria Stuarda e a incidere la canzone Quella là, hai portato in scena insieme a Neri Marcorè La buona novella. Che esperienza è stata?

Molto bella. La buona novella è uno dei dischi più incredibili che siano stati scritti della canzone italiana. a proposito di contenuti da padroneggiare e del non andare contro per presa di posizione, Fabrizio De André era un uomo che leggeva, sapeva e, quando si pronunciava, era consapevole di cosa parlava. In La buona novella ci ha regalato la visione laica dei valori di Gesù realizzando un’opera commovente su cui sono stata felice di poter mettere mano come interprete con gli arrangiamenti di Paolo Silvestri e Marco Re. Mi ha permesso di confrontarmi con un materiale artistico, culturale e umano che non ha eguali.

La cantautrice Giua.
La cantautrice Giua.
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