Il percorso di TheWom.it e quello di Raiz, in questi giorni in tv grazie alla serie Mare fuori, tornano a incrociarsi a distanza di un anno. Mentre la nostra prima conversazione verteva soprattutto sul disco ai tempi in uscita con gli Almamegretta, oggi torniamo a fare il punto con il cantautore, musicista e attore per parlare di Si ll’ammore è ‘occuntrario d’’a morte, un disco in cui rilegge dieci canzoni di Sergio Bruni.
Dopo oltre 30 anni di carriera come voce degli Almamegretta, quattro lavori da solista, la vittoria della Targa Tenco nel 2014 nella categoria “Miglior interprete” per l’album Dago Red realizzato insieme a Fausto Mesolella e l’EP Napoli C.le / Dusserdorf (2021) in collaborazione con il rapper Lucariello da cui è stato estratto Aria, brano che ha aperto la stagione finale della serie televisiva Gomorra, Raiz con Si ll’ammore è ‘occuntrario d’’a morte ci regala un omaggio intimo e rispettoso a uno dei cantanti partenopei più popolari del secolo scorso e che più lo ha influenzato nel corso della sua carriera.
Un lavoro appassionato, tra narrazione e suono, che ripropone dieci brani di Bruni eseguiti insieme ai membri dei Radicanto: Giuseppe De Trizio e Adolfo La Volpe ai liuti, Francesco De Palma alle percussioni, Giovanni Chiapparino alla fisarmonica e Giorgio Vendola al contrabbasso.
“Ho sempre cantato Sergio Bruni, o meglio lui ha sempre cantato dentro di me”, ha spiegato Raiz presentando il disco. “La sua musica ha attraversato la mia infanzia, accompagnando gioie e dolori della mia famiglia; le sue canzoni appartengono alla collettività dei napoletani. È stato un viaggio non sempre facile, poiché le emozioni che queste composizioni evocano sono forti: il solo indugiare su alcune note mi ha riportato al tempo della mia fanciullezza e possibilmente ancora più indietro, fino a toccare il cuore delle generazioni che mi hanno preceduto. Oggi mi sento più completo e in pace, come chi compie un dovere a lungo disatteso”.
È lo stesso Raiz che ci racconta com’è nato l’album, quali suggestioni si porta dietro e cosa ne pensa della Napoli di oggi, profondamente cambiata rispetto a quella cantata da Sergio Bruni. Ma non si può parlare con Raiz senza non pensare al suo don Salvatore Ricci, quel padre della giovane Rosa che nella serie tv Mare fuori muove, nel bene ma soprattutto nel male, le fila del racconto.
Intervista esclusiva a Raiz
Raiz, a cosa si deve la scelta di omaggiare Sergio Bruni con Si ll’ammore è ‘occuntrario d’’a morte?
Bruni è un punto nodale della cultura musicale napoletana. In qualche modo sono partito, anche se molto inconsapevolmente, da lì. Quando ero bambino e adolescente, tutto il background sonoro delle riunioni conviviali, familiari o di quartiere, era segnato da Sergio Bruni, da quel tipo di sonorità e dai suoi messaggi. Bruni era un capo scuola di tutta una generazione musicale che in lui ha toccato il suo punto più alto.
Da adolescente ascoltavo ovviamente altro. Se a vent’anni mi avessero detto che avrei fatto un disco su Bruni o mi avessero chiesto se mi fosse interessato farlo, probabilmente avrei detto “mai nella vita” avrei voluto far altre cose, come poi ho fatto: rock, blues, reggae, dub elettronica, musica afroamericana, hip pop… Bruni non mi sarebbe mai sembrato un punto di interesse.
Poi, quando da grande mi sono trasformato da ascoltatore passivo a interprete attivo, mi sono reso conto che tutta la mia vocalità deriva dall’ascolto di Bruni: l’ho modificata per altre esigenze ritmiche ma fondamentalmente è stato lui il mio grande maestro e ho voluto omaggiarlo. Non ho voluto omaggiare solo Bruni ma un’intera collettività che è cresciuta con sua musica. Il mio oggetto di interesse è senz’altro lui ma anche tutto il mondo, anche emotivo, che mi ha generato e forgiato: il centro di Napoli, quel cuore pulsante che continua a battere e a produrre.
Dalla sterminata produzione di Bruni, come arrivi a scegliere dieci canzoni?
Bruni è stato un grandissimo interprete. Pochi, però, lo conoscevano come autore. Ha scritto canzoni rimaste nella storia ma è stato famosissimo anche per la sua attività di interprete, specialmente nella prima parte della carriera, tant’è che in molti lo ricordano con canzoni notevolissime ma che non sono state scritte da lui.
Quando mi sono approcciato a questo lavoro e ho dovuto scandagliato la sua produzione, mi sono avvalso dell’amicizia ormai quindicennale con il poeta Salvatore Palomba, autore dei testi fondamentali di Bruni come Carmela o Amaro è ‘o bene e di quelli più sociali. Ho chiesto a lui cosa fosse più interessante fare e mi ha suggerito di cimentarmi nelle canzoni di Bruni come autore: “Prendiamo dieci canzoni di cui ha scritto musica e melodie (Bruni non scriveva le parole)”. Le dieci canzoni scelte sono quindi le “sue” ed è stata questa la cifra stilistica che mi interessava concettualizzare.
Il disco si apre con Napole dolceamara, che racconta di una città di contraddizioni. Se dovessi tu oggi descrivere Napoli, ricorreresti ancora a quell’immagine dolceamara della canzone di Bruni?
Ma certo, con tutte le iperboli del caso quella è Napoli. Continua a essere un grandissimo esempio di umanità, di convivenza e coesistenza di opposti, di diplomazia sociale. È un posto dove grazie a questo atteggiamento sono nate cose incredibili: dai muri alzati e dal non volersi conoscere e parlare non nasce proprio niente, c’è il deserto della tranquillità.
Napoli è anche l’esatto contrario. Come diceva Pino Daniele, è anche il posto dove senti le voci dei bambini e lo sai che non sei solo, anche quando vorresti esserlo e ti danno fastidio. Ha anche tantissimi altri vantaggi ed è per tale ragione che è dolceamara: ha problemi incredibili ma allo stesso tempo continua a essere un esempio di umanità attiva. Che non vuol dire che sia sempre un esempio positivo: noi continuiamo a essere una giungla rigogliosa, piena di serpenti sicuramente ma siamo sempre una giungla rigogliosa.
Tu comunque ascolterai molto anche della musica napoletana odierna. Riesci a intravedere in qualcuno lo stesso spirito di Sergio Bruni?
È difficile replicare Bruno: era un cantautore del tutto trasversale: riusciva a parlare all’intera città, anche perché la città era comunque molto unità e si riconosceva nella sua napoletanità. Non c’erano distinzioni di identità tra borghesia o proletariato. Oggi invece c’è la napoletanità borghese, quella addirittura aristocratica e quella del sottoproletariato: la città è molto divisa e, quindi, produce cose diverse. Bruni è stato probabilmente l’ultimo autore che è riuscito a unificarla: quando scriveva, comunicava con la città.
Ci è riuscito anche Pino Daniele ma solo dopo moltissimo tempo, non dico post mortem ma quasi: dalla borghesia napoletana era sempre identificato come in un certo modo: “Ma chi è quello?”. In Bruni, invece, si riconoscevano un po’ tutti.
Oggi con la spaccatura in atto è difficile trovare qualcuno in cui riconoscersi tutti. Vedo spesso nei giovanissimi un’incredibile bravura accompagnata però da una mancanza a volte di sentimenti profondi o dall’arrendersi allo stile che arriva da oltre oceano. Tentano di riprodurre qui un universo che, al di là dei punti di connessione e delle somiglianze, tradotto in italiano diventa un po’ ridicolo.
Detto ciò, cominciano però a emergere delle cose interessanti. È il caso del nuovo disco di Geolier, che ha alcuni spunti veramente notevoli. Spero che questo giovane ragazzo, ha soltanto poco più di vent’anni, ci addentri ancor più profondamente nella strada che ha intrapreso. Dell’attuale scena è indiscutibile il valore musicale, quello che metto in discussione è il messaggio che viene fuori ma nel disco di Geolier, stilisticamente e tecnicamente impeccabile, c’è qualcosa di notevole e interessante.
Dedichi Si ll’ammore è ‘occuntrario d’’a morte a tua madre Anna e a tua figlia Lea, facendo diventare la musica di Sergio Bruni qualcosa da passare di generazione in generazione. Quanto pensi che la Generazione Z, appassionata del Raiz in Mare fuori, possa apprezzare la musica di Sergio Bruni?
Non l’apprezza chi non la conosce o chi ne viene tenuto involontariamente all’oscuro. Ascoltando le sue canzoni, molti potrebbero conoscerne la sensibilità e apprezzare quel tipo di vocalità o di sentimento che passa.
Trovo che sia importante che a farsi tramite del sentimento di quelle canzoni sia tu che in questo momento sei particolarmente amato dai giovani. Grazie al ruolo di don Salvatore Ricci in Mare fuori in molti si identificano in ciò che fai.
E ciò non è necessariamente negativo. Attraverso un personaggio negativo si possono far passare dei messaggi positivi. Spesso non si ascolta ciò che ha da dire un “vecchio” come me, ci si chiede cosa canti. Ma se il vecchio è un grande vecchio di una serie tv molto vista e apprezzata il messaggio arriva. Per il ruolo di don Salvatore ricevo messaggi privati incredibili di giovani che mi scrivono che vorrebbero che fossi il loro padre. Penso ai poveri papà, padri fantastici che vengono sostituiti da un criminale… Però, se questo mi serve per far arrivare ai giovani, qualcosa di bello e sentimentalmente importante come la musica di Sergio Bruni, perché no?
Tu, Raiz, ti sei mai dato una spiegazione del perché piaccia tanto Mare fuori?
Perché presenta un racconto semplice che parla di cose molto vere che vanno al di là della stessa condizione dei protagonisti, dei ragazzi carcerati e comunque devianti. La serie lancia in maniera molto semplice e senza nessun intellettualismo un paio di messaggi che sottolineano come ci sia sempre un altro modo di fare le cose. Vado spesso all’IPM di Napoli, sto facendo un lavoro come musicista con i giovani ospiti della struttura e ho imparato a vederli non solo come i nostri figli che hanno sbagliato, spesso anche tanto, ma anche come quelli a cui deve essere data una nuova possibilità e che possono essere recuperati. Abbiamo il dovere di lavorarci su.
Inoltre, tutti i personaggi di Mare fuori, anche i più oscuri come il mio, hanno un taglio umano molto profondo. L’amore che ho io come Raiz per mia figlia Lea è lo stesso che ha il mio personaggio, don Salvatore, per la sua Rosa: anch’io sarei pronto a far qualsiasi cosa per mia figlia. C’è dunque una continua identificazione, dove il bene e il male sono separati da una carta velina: la sottile trasparenza tra devianza e non rende Mare fuori molto popolare.
Soprattutto a Napoli, dove ci sono tantissime famiglie con una spiccata diversità interna. Puoi trovare la famiglia onestissima ma con il cugino che sta in galera perché ha frequentato le persone sbagliate: ma è sempre sangue del proprio sangue, probabilmente non tanto lontano da te e con un’educazione diversa dalla tua. La vita lo ha portato lì: lui ha sbagliato, non c’è nessuna assoluzione, ma lavorarci è importante. Secondo me, questo dalla serie tv passa ed è probabilmente una delle ragioni del suo grande successo.
Si ll’ammore è ‘occuntrario d’’a morte si chiude con la canzone Palcoscenico. Cos’è il palcoscenico per Raiz?
È un cerchio magico dove può succedere tutto, dove la finzione diventa realtà e la realtà diventa finzione, dove avere due o tre vite contemporaneamente… un posto totalmente magico.