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Rapito: La vera storia dietro al film di Marco Bellocchio

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Esce in sala il film Rapito di Marco Bellocchio, dopo la sua presentazione in concorso al Festival di Cannes. Grazie alla consulenza storica di Pina Totaro, cerchiamo di capire cosa è successo realmente al piccolo Edgardo Mortara.
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Rapito, il nuovo film di Marco Bellocchio al cinema da giovedì 25 maggio grazie a 01 Distribution, ha avuto la sua presentazione in concorso al Festival di Cannes 2023, dove è stato accolto con 13 minuti di applausi a fine proiezione.

La storia di Edgardo Mortara, il bambino ebreo che nel 1858 fu strappato alla sua famiglia per essere allevato da cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX suscitando un caso internazionale, ha colpito la stampa internazionale in attesa di colpire anche il pubblico italiano prima e francese dopo (il film uscirà Oltralpe tra cinque mesi esatti, il 25 ottobre).

“Prima di scrivere il film Rapito non sapevo niente della vicenda Mortara”, ha raccontato il regista. “L’ho scoperta grazie a un libro di Vittorio Messori, un autore molto cattolico e conservatore che ha ricostruito la vita di Edgardo Mortara e ha difeso le ragioni che hanno portato il Papa a separarlo dalla sua famiglia. Il libro svela le contraddizioni esistenziali di Mortara. Pare che, al di là del suo rapimento, Mortara non godette di una vita molto serena”.

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La trama del film

Interrogandosi tra fede e dogma, Rapito comincia nel 1858 quando, nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei mesi, il bambino aveva ricevuto segretamente il sacramento del battesimo. La legge papale è inappellabile: deve ricevere un'educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall'opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.

“È evidente che quanto vissuto da Mortara non potrebbe accadere oggi, nell’era del dialogo e di un papa estremamente aperto”, ha sottolineato Marco Bellocchio. “All’epoca dei fatti, la fede cattolica non era discutibile Ma Rapito non è un film politico, non l’ho fatto per affermare un principio ideologico o fare un discorso contro la Chiesa. Ero semmai attratto e affascinato dal destino di quest’uomo, la cui storia mi ha trasmesso emozione e tensione. La mia solidarietà va chiaramente a quel bambino che subì un atto di estrema violenza”.

Il poster del film Rapito.
Il poster del film Rapito.

La vera storia di Edgardo Mortara

Ma qual è la vera storia che si nasconde dietro al film Rapito? Per dare una risposta, ci siamo serviti della consulenza storica di Pina Totaro, dirigente di ricerca CNR presso l’ILIESI a Roma con all’attivo incarichi di insegnamento di Storia della Filosofia presso diverse Università in Italia e all’estero.

“Il film Rapito racconta la vita di Edgardo Mortara nel suo singolare e straordinario sovrapporsi e quasi confondersi con gli eventi storici più importanti del Risorgimento italiano: la caduta del potere temporale dei papi, la presa di Roma e l’Unità d’Italia.

Edgardo Mortara era nato a Bologna nel 1851 in una famiglia di origini ebraiche. Sesto degli otto figli di Salomone (Momolo) Mortara e Marianna Padovani, nel 1857 viene sottratto (“rapito” è termine più adeguato a esprimere la drammaticità dell’evento) alla sua famiglia dai gendarmi pontifici e condotto a Roma su mandato del Sant’Uffizio dell’Inquisizione sotto il diretto controllo del papa Pio IX. Nell’ordine di cattura non compare alcuna motivazione.

Si scoprirà poi che una fantesca di religione cattolica era stata a servizio in casa Mortara quando il piccolo Edgardo si era ammalato di una febbre molto alta all’età di poco più di un anno. In realtà il bambino non era mai stato in pericolo di vita, ma temendo che potesse morire, la giovane domestica Anna Morisi lo aveva segretamente battezzato per evitargli, a suo dire, di restare per sempre nel limbo, il luogo destinato, secondo la teologia cattolica, ai bambini morti senza aver ricevuto il primo sacramento.

Edgardo arriva così a Roma nella Casa dei Catecumeni o Neofiti (“Domus Catecumenorum”, come si legge sulla porta d’ingresso del collegio in una inquadratura del film), un seminario espressamente istituito per la conversione dall’ebraismo, dall’islam e da altre confessioni religiose. Da quel momento, insieme a un cospicuo numero di bambini di religioni diverse, Edgardo riceve una rigorosa educazione cattolica e si forma come sacerdote. Del tutto inutili si riveleranno i ripetuti tentativi dei genitori di riportare a casa il proprio figlio. Affranti e disperati a causa del rapimento, i coniugi Mortara non esiteranno a 14 impiegare tutte le loro risorse, anche finanziarie, per ottenere giustizia. Le diverse comunità ebraiche, in Italia e all’estero, si mobiliteranno per sostenerli in ogni modo in quello che ben presto sarebbe diventato un vero e proprio “affaire” internazionale.

Con la liberazione di Bologna dallo Stato Pontificio nel 1859 sembra che la vicenda possa presto risolversi felicemente. In base al decreto varato dal nuovo governo laico, che sanciva l’uguaglianza dei cittadini di ogni fede religiosa davanti alla legge e l’abolizione dell’Inquisizione negli ex territori pontifici, lo stesso inquisitore, per il rapimento del piccolo Edgardo si arresta e si processa il domenicano Pier Gaetano Feletti. L’esito del procedimento penale si rivela però deludente: il tribunale accoglierà la tesi dell’avvocato difensore Francesco Jussi, il quale sosteneva che l’inquisitore aveva agito secondo le leggi all’epoca vigenti, eseguendo gli ordini dei suoi superiori e del papa stesso. Il primo dei casi penali trattati a Bologna dal nuovo regime si conclude così con un verdetto di assoluzione del padre Feletti.

Mentre da Roma, Pio IX rispondeva con un netto “Non possumus” al tentativo del governo italiano di entrare in Roma col consenso della Chiesa, quelle stesse parole esprimevano anche l’intransigente rifiuto alle richieste di restituire Edgardo alla famiglia avanzate da ogni parte del mondo.

Il “caso Mortara” si proietta così drammaticamente sullo sfondo di una storia che non è più soltanto nazionale né esclusivamente ebraica, e le cui figure cruciali sono il papa Pio IX, l’imperatore francese Napoleone III, Camillo Cavour e il segretario dello Stato Pontificio Giacomo Antonelli, il quale presagendo l’esito della “questione romana”, afferma significativamente: “Noi siamo finiti! Siamo finiti!”.

Il 20 settembre del 1870, la “breccia di Porta Pia” segna la fine dello Stato della Chiesa e del potere temporale dei papi. Tra i primi ad attraversare il varco aperto nelle mura della città eterna è Riccardo, il maggiore dei fratelli Mortara. Il ritorno a casa di Edgardo è finalmente possibile. Ora però Edgardo, in un gioco perverso di illusioni e aspettative tradite, rifiuta di 15 abbandonare il convento dei Canonici Regolari Lateranensi a San Pietro in Vincoli, dove vive in apparente adesione alla politica del papa di cui assumerà anche il nome, Pio, al momento di venire ordinato sacerdote. Troppo forte è stata la pressione esercitata in età infantile e troppo sottili le logiche dei condizionamenti subiti e dell’educazione ricevuta per restarne immuni e non recarne i segni nella vita adulta.

Edgardo Mortara continuerà a fare opera di proselitismo a favore di Santa Romana Chiesa sino alla morte, avvenuta nel monastero dei canonici regolari di Bouhay, in Belgio, nel 1940. Si conclude così una vicenda per molti versi tragica, in cui la politica e i mezzi di informazione svolgono un ruolo decisivo, le ragioni e i torti sono sempre opinabili e la violenza degli eventi cancella, riformula e ricostruisce la memoria privata e collettiva”.

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Rapito: Le foto del film

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