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Rizzo: “L’autodeterminazione è il motore che manda avanti la mia vita” – Intervista esclusiva

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Al suo EP di esordio, Rizzo si racconta in esclusiva a The Wom lasciando che attraverso la sua musica riveli le sue parti più personali, intime, tristi e divertenti, restituendo il ritratto di un’artista della Gen Z che lotta per i suoi sogni con determinazione e passione.
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Rizzo, classe 2002, è una delle nuove voci emergenti più talentuose del panorama urban italiano. Dopo aver collaborato con artisti e producer del calibro di Mostro, Emis Killa, Roshelle, JVLI, Greg Willen, Mr Moonkey, OkGiorgio, Bcroma, Alessandro Gemelli e DARRN, esce oggi con il suo primo EP, intitolato Mi hai visto piangere in un club (Epic Records/Sony Music Italy), disponibile dal 12 luglio su tutte le piattaforme digitali.

L’EP, composto da otto tracce, rappresenta un punto di svolta per Rizzo, offrendo un viaggio emotivo tra brani già pubblicati e quattro inediti, ciascuno caratterizzato da una combinazione unica di sonorità urban, pop, hard techno e afro. Ma non solo: Rizzo nelle tracce esplora tematiche intime e autobiografiche, tra cui le relazioni e le emozioni della vita quotidiana.

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Nella nostra intervista esclusiva, Rizzo condivide le emozioni che prova alla vigilia dell'uscita del suo EP, paragonandolo alla nascita di un figlio: un mix di felicità e paura. La parola chiave del suo percorso è autodeterminazione: qualcosa che ha sostenuto Alessandra, nome di battesimo di Rizzo, sin da quando era bambina e che l’ha aiutata anche nei momenti più difficili, come quando ha dovuto affrontare le sue paure notturne e il trasferimento in una nuova città.

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Rizzo descrive come la musica sia stata una valvola di sfogo e un’ancora di salvezza durante i periodi difficili. La traccia X1Milly è, ad esempio, particolarmente significativa, poiché racconta un periodo oscuro della sua adolescenza, dimostrando la sua capacità di trasformare il dolore in arte.

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L’EP Mi hai visto piangere in un club non è solo una raccolta di canzoni, ma un racconto autentico della sua generazione. Rizzo spera che questo progetto permetta al pubblico di conoscere la sua parte più personale ed umana, trasmettendo la complessità emotiva della vita di un’artista che lotta per i suoi sogni con determinazione e passione.

Rizzo (Press: Morgana Lupica per Golin Italy).
Rizzo (Press: Morgana Lupica per Golin Italy).

Intervista esclusiva a Rizzo

“Sono molto emozionata e felice: è finalmente uscito il mio primo EP. Aspetto questo momento da tre anni, se non di più”, risponde Rizzo quando le chiedo come sta, alla vigilia dell’uscita di Mi hai visto piangere in un club, suo primo disco contenente otto tracce molto diverse tra loro.

E qual è l’emozione, per dirla à la Inside Out, più forte che provi?

Forse la felicità. Probabilmente, per come sono solita io, in un altro momento sarei stata più ansiosa o agitata. Paragono il momento alla nascita di un figlio, qualcosa che non ho ancora vissuto ma che mi hanno detto essere di una felicità assurda ma ha anche di molta paura: l’hai portato in grembo per mesi e mesi e finalmente viene alla luce. Sono così tante le emozioni in ballo che è anche difficile capire quale predomina: non sono nemmeno stressata ma nel mood giusto.

Chi è stata la prima persona a cui hai fatto ascoltare l’EP una volta ultimato?

Quando in Sony, la mia casa discografica, hanno approvato la tracklist dei brani che avrebbero composto il progetto, all’uscita ho creato un dropbox dei brani scelti e l’ho mandato al gruppo composto da mia madre e mia sorella ma anche a un’altra persona per me molto importante. Si sono commossi tutti quanti: era un percorso che stavamo facendo insieme da tanto tempo e hanno apprezzato la scelta dei brani, anche se mia madre è rimasta un po’ sconvolta da una delle tracce.

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Mi hai visto piangere in un club, oltre a essere un titolo abbastanza originale, ben restituisce la natura dell’EP: dopotutto, chiunque va in un club per divertirsi ma tu ci restituisci anche l’altro lato della medaglia.

Era mio desiderio che l’EP fosse un riassunto totale della mia essenza e di come sono stati questi ultimi mesi, un periodo contrassegnato da tantissimi cambiamenti. Ci sono stati momenti in cui ho provato a reprimere ciò che provavo, andando sempre in giro a far festa e a divertirmi, dimenticandomi quasi delle tantissime cose che in realtà avrei dovuto mettere a posto.  Stavo male per situazioni e circostante che poi, per fortuna, ho avuto il coraggio di aggiustare.

Di mio, sono una persona molto solare e socievole ma allo stesso tempo tendo a essere molto profonda a livello empatico ed emotivo: passo le giornate a rendere felici le persone che amo, a ridere, a fare la scema e a divertirmi, ma quando sono con me stessa esce fuori una vena triste che tengo ad affrontare da sola, senza chiedere aiuto. Mi autoaiuto.

Questi due aspetti fondamentali del mio carattere si riflettono anche nella mia musica: nell’EP, ci sono brani più intimi, con la parte triste di me che si racconta, e altri più leggeri, sospinti dalla me che vuole ballare, emanare spensieratezza e felicità. Motivo per cui, quando dovevo scegliere il titolo giusto, ne volevo uno che non sembrasse forzato: mi segnavo delle note ogni volta che me ne veniva in mente uno potenzialmente adatto, fino a quando è arrivato quello che ben racchiudeva la mia ambivalenza. Mia? Forse di tutti: è la vita a essere così, non si può essere per sempre tristi ma nemmeno allegri, i due stati d’animo convivono.

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Ed è un’ambivalenza che hai voluto sottolineare dietro al titolo di ogni brano, in cui troviamo l’indicazione per come approcciarlo: piangi o balla.

Trattandosi di otto tracce diverse l’una dall’altra, ho voluto che fosse chiaro quali fossero i punti di forza di ognuna. Di fronte a quello che poteva apparire un punto a sfavore per un progetto di non facile comprensione a prima vista, ho dato le indicazioni per ascoltarlo in modo che nessuno possa dirmi che non ha senso!

In 100 anni, uno dei brani, c’è il featuring di gIANMARIA e Mostro. Com’è nata la collaborazione?

È una canzone venuta fuori una notte in studio con i due produttori JVLI e Mr Moonkey. Stavo vivendo delle giornate orribili per cui, scherzando, non ero nemmeno in grado di intendere e volere: quella sera non sono stata nemmeno capace di ultimarne la scrittura perché stavo davvero troppo male. Tornando a casa, ero convinta che quella canzone sarebbe rimasta per sempre lì, che non mi sarebbe servita a nulla… e, invece, il giorno dopo, riascoltandola, mi sono resa conto di quanto fosse real e in grado di restituire il mio reale stato d’animo, tanto che non ho voluto nemmeno rimettere mano al testo tanto enorme era l’emozione che provavo. A modificarlo è poi intervenuto uno dei produttori.

Quando poi si è trattato di pensare alla voce di chi potesse stare bene su quella traccia, sono venuti fuori un paio di nomi interessanti. Ero alla fine indecisa tra gIANMARIA e Mostro, tra loro molto diversi, quando mi son detta “perché sceglierne solo uno”? (ride, ndr). E l’effetto è molto straniante.

La tracklist di Mi hai visto piangere in un club.
La tracklist di Mi hai visto piangere in un club.

100 è un multiplo di 10. E tu a 10 anni mostravi già una bella autodeterminazione andando a iscriverti a canto da sola, dopo che già da piccolina avevi fatto danza. Cos’è per te l’autodeterminazione?

È il motore che manda avanti la mia vita: mi ha dato in ogni istante la forza di seguire quelli che erano i miei sogni e i miei obiettivi, permettendomi di prendere tante scelte. A cominciare dall’andare via di casa, in Molise, per trasferirmi a Milano senza niente e senza conoscere nessuno. L’autodeterminazione è qualcosa che auguro di avere a tutti: ti dà la voglia di metterti in gioco, di scoprire qual è la propria passione, di realizzare qual è il proprio talento e di battersi per affermarlo. È la formula della felicità, oltre che della vita: se non l’avessi avuta, mi sarei veramente persa. Non so cosa o dove sarei adesso: probabilmente non sarei mai andata via dal Molise per cercare la mia strada e avrei scelto una facoltà universitaria che non mi piaceva.

Qual è stato l’ostacolo più grande che hai dovuto affrontare una volta a Milano? Cosa ti ha generato più dolore?

La notte. Sin da quando ero piccola, avevo paura della notte per una serie di problemi ed eventi che non ero mai riuscita a superare, per cui ho avuto poi bisogno della terapia. Il dover affrontare la notte da sola in un posto diverso da casa mia e lontano dalla mia famiglia mi metteva tantissima ansia ma dovevo superare l’ostacolo, altrimenti avrei rischiato di non poter vivere nemmeno il giorno: quando non dormi la notte, difficilmente riesci ad affrontare le ore successive.

Poi, chiaramente, ci sono stati gli ostacoli pratici, dal posto in cui vivere al come mantenersi: per un periodo, ho fatto anche tre lavori contemporaneamente. E di mezzo c’è stato anche il lockdown per la pandemia da CoVid che ha compromesso ulteriormente la mia spensieratezza. Fortunatamente, con me avevo il mio ragazzo, che mi ha fatto sentire meno sola.

Il mio desiderio di voler cambiare tutto è stato però confortato dal vedere intorno a me tantissima altra gente nelle mie stesse condizioni che, arrivando da lontano e da contesti con mentalità molto diverse dalla grande città, erano lì per un motivo e per un obiettivo: come me, lottavano per qualcosa. Quando nel mio paese parlavo dei miei sogni, mi prendevano quasi per matta: a Milano, invece, venivo capita. Segno che dovevo stare nel posto giusto!

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A inizio conversazione, hai accennato alla reazione di tua madre di fronte a un brano. Quel brano è il più intimo dell’intero EP: X1Milly. Racconti di quando avevi sedici anni e sognavi di cambiare vita, salvandoti da un contesto non proprio idilliaco.

Quando penso a quello che ha vissuto la me adolescente, mi do una pacca sulla spalla da sola perché forse oggi non avrei la stessa forza di quando ero più piccola per affrontare il tutto. Sono stati anni in cui ho dovuto crescere in fretta e responsabilizzarmi più del dovuto: non era quello il momento in cui mi sarei potuta permettere di essere debole, dovevo tirare fuori il coraggio e trovare una soluzione. Ho odiato quello che stava accadendo ma allo stesso tempo l’ho combattuto, senza soffermarmi troppo sulle dinamiche in atto: era più importante provare a cambiarle.

Cosa ti è stato di grande aiuto?

Sicuramente la musica. Trovavo in essa una valvola di sfogo, qualcosa che mi facesse di concentrare anche sul bello che avevo. Se non avessi avuto questa passione che un po’ mi portava via da casa e mi faceva evadere con la mente, sarebbe stato tutto più difficile. Avere l’obiettivo di farcela mi è stato di grande aiuto.

“Se quella stanza potesse parlare” è un verso che dà adito a diverse interpretazioni.

Quella frase in realtà si riferiva a una seconda strofa che poi ho deciso di cancellare e che raccontava della me appena arrivata a Milano e di ciò che ho affrontato. Non racconta di qualcosa avvenuto alla me sedicenne ma è un reminder di altro che al momento ho preferito non rivelare perché non volevo che la gente ci concentrasse su quei dettagli: il vittimismo è qualcosa che non mi appartiene.

Nei tuoi brani racconti anche delle speranze della Gen Z, la stessa a cui tu appartieni. Se ti perdi per un momento a sognare a occhi aperti, cosa speri per te stessa?

Mi auguro di potermi dire che ho fatto bene, che tutti gli sforzi fatti e che sto ancora facendo abbiano avuto un senso. Spero di essere stata in grado di aiutare me e la mia famiglia, oltre che di aver raggiunto degli obiettivi. Ecco, spero di guardarmi e di dirmi “Minchia, hai spaccato, sii fiera di te stessa!”, andando a letto a dormire con la sensazione di aver fatto tutto ciò che volevo fare, al di là del risultato raggiunto. Poi, se andasse bene, sarei ancora molto più felice! (ride, ndr).

Rizzo.
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