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Roberto De Paolis: “Princess è una favola” – Intervista esclusiva al regista

Dopo la presentazione al Festival di Venezia, arriva in sala il film Princess, diretto da Roberto De Paolis. Al centro del racconto, tra favola e realtà, la storia di una giovane prostituta nigeriana.

Princess di Roberto De Paolis è stato uno dei film sorpresa dello scorso Festival di Venezia. Secondo lungometraggio del giovane autore romano che aveva convinto tutti con l’esordio Cuori puri, Princess conferma lo straordinario talento di Roberto De Paolis nel raccontare la realtà che lo circonda senza pregiudizio o giudizio. Nel caso del film Princess, prodotto da Young Films e Indigo Film con Rai Cinema e il patrocinio di Piam Onlus, Roberto De Paolis si cimenta con la storia di Princess, una giovane donna clandestina nigeriana che vende il suo corpo alla periferia di una grande città.

Il bosco in cui Princess si muove è una traslitterazione di quello in cui si muovono le protagoniste delle favole. Ci sono gli animali magici (una volpe, in primis), gli orchi più o meno cattivi (i vari clienti), un oggetto del desiderio (i soldi ma anche la libertà e il vero calore umano) e, soprattutto, lei, una principessa in cerca di colui che a bordo del suo cavallo bianco verrà a salvarla da un incantesimo che l’ha privata del controllo sul proprio corpo.

In un mix di realtà e finzione, con il film Princess, in sala dal 17 novembre grazie a Lucky Red, Roberto De Paolis ci restituisce un’immagine inedita dell’immigrazione africana attraverso gli occhi e il punto di vista di Glory Kevin. Attrice per caso, Glory è arrivata in Italia dopo un difficile viaggio e ha trovato, come tante conterranee, la strada ad attenderla. Per quelle come lei, c’è un conto da pagare per riacquistare i propri documenti ma c’è anche l’illusione che forse un giorno tutto cambierà e assumerà altra connotazione. Intanto, nell’attesa, c’è la (dis)umanità con cui la sua anima ferita deve confrontarsi. Con candore e ferocia, al tempo stesso.

Di Princess e dell’importanza che un film del genere ricopre per una società che vuol dirsi inclusiva abbiamo parlato in un’intervista esclusiva con il regista e sceneggiatore Roberto De Paolis, che in questi giorni sta accompagnando la presentazione della sua opera in varie sale sparse per l’Italia.

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Intervista esclusiva a Roberto De Paolis

Princess è un coming of age ma è anche una favola. In senso proppiano, ne ha tutti gli elementi: la protagonista, l’antagonista, l’oggetto magico con cui ricongiungersi, l’ambientazione. Ma anche e soprattutto dei titoli di testa di disneyana memoria.

L’idea della favola è abbastanza esplicita, a partire dall’ambientazione nel bosco, dove alcune ragazze nigeriane si prostituiscono e che esiste veramente. C’è anche l’elemento forte della magia: le ragazze sono legate alle loro tradizioni. E c’è l’idea dell’essere salvate, un classico delle favole: la principessa aspetta sempre qualcuno che possa rompere un incantesimo o porre fine a una situazione di malessere o prigionia. Erano tutti ingredienti presenti nella sceneggiatura che ho solo sottolineato con quei titoli di testa, che fungono un po’ come istruzioni per l’uso.

Il coming of age è chiaramente presente nel racconto. Ma più che di coming of age parlerei di presa di coscienza interiore: la protagonista Princess è inconsapevole di non riuscire più a stare sulla strada. Il dramma delle ragazze nigeriane che si prostituiscono è dato chiaramente dal non poter scegliere e dall’impossibilità di uscire da una situazione di disagio nel momento in cui si rendono conto che è tossica e fa loro male. Mentre altre persone quando riconoscono che qualcosa non funziona hanno sempre altre possibilità, molte di loro non hanno alternativa se vogliono mangiare o sopravvivere. Princess sul finale vorrebbe andare via però non si sa bene dove.

Roberto De Paolis e Glory Kevin alla presentazione del film Princess a Venezia 2022.
Roberto De Paolis e Glory Kevin alla presentazione del film Princess a Venezia 2022.

La presa di coscienza di Princess è sottolineata da una sequenza in particolare. È a casa di Corrado, l’unico che le mostra un briciolo di affetto. Mentre dorme, fa la pipì nel letto. È un qualcosa di tipicamente infantile ma che nel corso della sua vicenda rappresenta un momento di passaggio.

La pipì a letto nasce da un racconto che mi aveva fatto una ragazza nigeriana: dopo molti anni di prostituzione e vicende che definiamo scomode vissute sul proprio corpo in Libia, aveva quel disagio fisiologico. Mi sembrava fosse una sintesi giusta per raccontare sia i segni sul corpo che lascia la prostituzione sia l’emotività della protagonista nel momento in cui si ritrova in un ambiente diverso, in una casa e non nel suo bosco.

Vivendo quella situazione di tenerezza e abbraccio, Princess entra in un territorio che ha dimenticato e che sicuramente la spaventa molto: è qualcosa di molto universale che riguarda un po’ tutti noi. Nel momento in cui si spogliamo di fronte a un’altra persona, ci affidiamo totalmente esponendoci al rischio anche di essere abbandonati o feriti. Avendo vissuto la strada, Princess è completamente fuori allenamento rispetto al linguaggio “amoroso”: come la volpe che si vede all’inizio della storia, è stata costretta a comportarsi come un animale e a vivere in un mondo di istinti, in una dimensione quasi primordiale.

La sequenza della pipì potrebbe anche essere intesa come il momento di rottura da quella che è una credenza di Princess: secondo il racconto che fa a un’amica, il suo corpo in Africa è stato sostituito con quello di un’altra donna.

Esatto. Il suo corpo le manda un segnale di allarme: è una spia che accendendosi le fa capire che forse quel corpo non è proprio quello della ragazza che ha lasciato in Africa.

La credenza sottolinea quanto sia forte in Princess la superstizione. Ma Princess è anche molto religiosa: il film si apre con una particolare preghiera a Dio. Come hanno convissuto religione e superstizione nel tuo racconto?

È un universo molto complicato che non credo di aver compreso del tutto. Nelle ragazze nigeriane è molto forte la religione cristiana ma la vivono da un certo punto di vista in maniera anche intimidatoria: la vivono con un’accezione che nel mondo occidentale è oramai superata. Ma contemporaneamente c’è tutta una tradizione ancestrale che è rimasta nel loro DNA. C’è una sorta di sincretismo che genera in loro anche confusione. Come dire? Per loro Gesù e Dio sono un’altra forza che si mette in contrapposizione, da quanto ho capito io, con le forze maligne della magia. Infatti, le ragazze che riescono a trovare una connessione più forte con Dio e a frequentare più la Chiesa si fortificano maggiormente rispetto alla possibilità di essere soggette alle forze della superstizione e, quindi, al voodoo, al jiujiu e ai vari stregoni che possono decidere di colpirti perché qualcun altro li ha pagati.

Di ciò è stata costellata anche la mia relazione con Glory Kevin, la protagonista. Prima di cominciare a girare Princess, Glory ha contratto il COVID ed era convinta che fosse perché qualcuno in Africa era geloso del fatto che stava per fare un film. Anche la stessa pipì, di cui abbiamo parlato prima, per lei aveva un’interpretazione diversa: qualcuno era invidioso che un uomo le volesse bene e le aveva lanciato una maledizione. Il loro universo è pieno di suggestioni diverse: ho cercato di non infittire troppo la trama del film perché filmare la religione, la fede o le credenze sarebbe stato un po’ complicato.

Glory Kevin viene dalla strada, come lei stessa ha dichiarato. In un certo senso, l’hai salvata da un destino già scritto. Com’è stato lavorare con lei in fase di sceneggiatura? Quanto c’è di tuo nel film e quanto di suo?

C’è molto di mio e delle mie ricerche. Dopo che ho stabilito la struttura e i temi che mi interessava trattare, Glory è stata libera di raccontarsi e di esprimersi come voleva. Ci tengo però a sottolineare anche un altro aspetto: è vero che veniva dalla strada ma veniva anche da un viaggio molto faticoso e da una situazione in Africa altrettanto faticosa. Credo che la sua vita fosse segnata dalla costrizione e, quindi, ho pensato che non avrei potuto coinvolgerla in un altro processo in cui veniva costretta a interpretare un personaggio nella maniera in cui volevo io.

Ho capito che l’unico modo per raccontare la sua storia era quello di sprigionare quell’energia che aveva represso per tutta una serie di vicende della sua vita. Le ho fatto allora leggere la sceneggiatura e le ho chiesto di dirmi cosa ne pensava: ero aperto all’ascolto e al dialogo su qualsiasi punto. Sul set, Glory ha introiettato la storia e la vicenda interiore del suo personaggio, un personaggio che era lei, e l’ho lasciata libera di reagire come voleva e di seguire il suo istinto.

È stato molto bello vedere come da ragazza che inizialmente si comportava un po’ come fanno tutti gli immigrati con noi – un po’ da cane bastonato, con la paura di esprimersi, sempre accondiscendente – sia diventata un’altra, concedendosi anche attimi di rabbia, paura e intolleranza. In un certo senso, si è liberata: ha tirato fuori cose che secondo me erano lì pronte a esplodere.

Il suo comportamento era quello di tutti gli immigrati: purtroppo nella nostra società hanno una tale piccola quantità di potere, anzi nessuna, che li porta a essere sempre molto impauriti di esprimersi e di mettersi in relazione con gli altri come persone su un livello paritario. Hanno sempre paura di risultare invadenti e per questo sembrano quasi fantasmi: stanno lì, hanno quei 10 cm entro i quali muoversi ma non osano mai farlo. È anche il motivo per cui non impariamo mai niente da loro: non li conosciamo veramente nella loro complessità di persone. Dietro a Princess ci stava anche la volontà di guardare uno di loro nella sua complessità, compresi i lati più complessi e difficili.

La locandina del film Princess.
La locandina del film Princess.

Hai girato in un bosco vicino a Ostia, luogo di reale prostituzione. Ti è mai capitato mentre giravi di entrare in contatto con la criminalità che può gravitare intorno al mondo delle prostitute?

No, perché il mondo della prostituzione delle ragazze africane ha un modus operandi diverso da quello delle ragazze dell’Est, ad esempio. Loro sono in strada perché sono psicologicamente condizionate al debito che devono pagare: le loro madame o i loro papponi possono anche stare in Belgio o in Francia, le tengono in pugno attraverso la sfera psicologica ed emotiva. Non sono come le ragazze dell’Est che hanno il pappone a dieci metri che le controlla e le punisce fisicamente.

Il debito è ciò che fa la differenza. Le migranti africane riescono a estinguerlo mentre le ragazze bianche continueranno a pagare il protettore per tutta la vita. Le ragazze africane riescono a saldare somme che arrivano anche ai 25 o 30 mila euro. Dopo averlo fatto, sono libera. Ma nel momento in cui sono libere nasce una nuova disillusione: nulla è cambiato rispetto a prima, l’unica realtà possibile per loro è rimanere sulla strada e lavorare per se stesse. Ed è lì che subentra una depressione più forte: non c’è più un orizzonte diverso o qualcosa su cui sperare.

Ostia fa tornare in mente la figura di Pasolini. Lo hai tenuto come fonte di ispirazione?

Il modello di Pasolini è così lirico e poetico che non è replicabile. Trarre ispirazione dai suoi film? Ovviamente sì, penso soprattutto ad Accattone, un film che racconta delle vicende ai margini. Ma parliamo di un cinema così specifico che, secondo me, è molto difficile anche provare a tradurre certe cose nella contemporaneità. Princess come film si ispira molto, nel senso che cerca di ricreare, a qualcosa che è stato fatto da un altro genio assoluto: Le notti di Cabiria di Federico Fellini. O, almeno, ha con quel film molte assonanze negli intenti.

Fellini raccontava la prostituzione quand’era ancora in mano agli italiani, quando a vendersi erano le donne italiane. Nel finale di quel film, la protagonista viene risollevata moralmente da un gruppo di musicanti ma erano altri tempi e c’era una speranza diversa: chi viveva per strada, trovava maggior empatia proprio perché italiana. La sequenza “musicale” è richiamata in Princess: in un momento di disperazione, la protagonista cammina per la strada e cerca di fermare una macchina con della musica a tutto volume ma manca l’aspetto solidale.

È vero che ho girato nei pressi di Ostia e in quei posti il fantasma di Pasolini è sempre incombente. Però, per quanto possibile, ho cercato di decontestualizzare l’ambientazione. Tant’è che gli attori italiani hanno tutti origini diverse: fiorentini, napoletani, romani. Il bosco doveva essere una speciale di luogo sospeso in cui, attraverso gli occhi di una ragazza nigeriana, hai uno sguardo sull’Italia e sugli italiani.

Princess: Le foto del film

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In quel bosco, è stato difficile per Glory girare le sequenze che la vedevano intrattenersi con i clienti?

Non è stato molto difficile. Aveva vissuto quelle situazioni e per di più di notte, quando il rischio di essere aggredita o violentata era maggiore. Era in questo casa protetta da me, dalla troupe e da tutti quanti. Rivivere il passato non è stato per lei un problema: come tutti gli africani, ha una concezione di riflessione sul passato diversa dalla nostra. Quando ha rivisto il film, ad esempio, ha riso molto.

Ha sì vissuto quelle esperienze drammatiche ma ha vissuto il film e tutto ciò che è accaduto dopo con un certo slancio: non era atterrita dal rivivere certe situazioni ma era semmai contenta di farlo per raccontare la vita delle ragazze nigeriane. Ha capito che il film era un’occasione per raccontare la vita di tante ragazze come lei ma soprattutto che finalmente qualcuno era interessato a farlo.

Il film le ha cambiato totalmente la vita.

Glory è da poco diventata mamma e per almeno due anni vuole occuparsi solo della figlia. Comunque siamo d’accordo che proveremo a farle fare una scuola di italiano, di recitazione o per diventare mediatrice culturale.

Il regista Roberto De Paolis.
Il regista Roberto De Paolis.
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