In occasione dell’uscita di So tutto di te, il suo nuovo film su Prime Video, incontro Roberto Lipari in un caldo pomeriggio palermitano. Sebbene si sia entrambi della stessa città e si abbia diversi amici in comune, non c’eravamo mai incontrati prima se non in occasione della conferenza stampa del suo primo film, TuttAPPosto.
L’appuntamento è per le 14 presso un fast food a base di pesce in una zona residenziale della città. ma gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo: a locale chiuso, optiamo per una gelateria nelle vicinanze e, mentre camminiamo, Roberto Lipari comincia ad accennarmi i suoi progetti. Sono diversi e, per scaramanzia, decido di tenerli al momento segreti ma di sicuro qualcuno vi sorprenderà.
Di Roberto Lipari mi colpisce sin da subito una cosa: non l’aspetto da ragazzino (era prevedibile, la televisione sa come rendere tutti più adulti) ma lo sguardo. E capita che nel corso dell’intervista che mi ha concesso per parlare di So tutto di te, film disponibile dal 25 luglio su Prime Video, lo guardi dritto nelle pupille e scopra ora la sua commozione, in particolare quando parla dei nonni, e ora quell’entusiasmo di chi è consapevole di aver realizzato un altro sogno.
Per So tutto di te, Roberto Lipari si fa letteralmente in quattro: del film è sceneggiatore, regista, interprete e, se vogliamo, anche ufficio stampa. Non perché la bravissima Alessandra Costanzo che si occupa della comunicazione non ne sia capace (anzi) ma perché nessuno meglio di Roberto Lipari sa farti entrare nelle atmosfere del film con le parole per restituirtene sia la dimensione comica sia quella più seria e attuale.
La conversazione con Roberto Lipari dura all’incirca un’ora ma decidiamo entrambi di fermarci: avremmo potuto continuare all’infinito a conversare, tanto che distrattamente quando andiamo via dimentichiamo anche di pagare il conto. Ed è una circostanza che ben fa riflettere su come Roberto Lipari si descriva, “goffo, imbranato e antieroe”.
Abbiamo parlato di So tutto di te, certo, ma anche di chi è Roberto Lipari, del legame con la sua famiglia e della sua definizione di amore. Ripercorre anche i suoi esordi, ripensando a quando da studente alla facoltà di Medicina anziché preparare gli esami del terzo anno pensava alla stesura dei suoi pezzi comici, e ci racconta dei suoi amici. Accenna alla sua Palermo, alla sua Castellammare del Golfo e a quei luoghi in cui smette di essere Roberto Lipari ed esiste solamente in funzione di qualcun altro.
E, prendendo in prestito il titolo del suo ultimo film, dopo quest’intervista molti di noi potranno pensare “Roberto Lipari, so tutto di te”. Ma la mia impressione è che Roberto Lipari ci farà conoscere presto altri aspetti dell’uomo e dell’artista che è diventato. Con una promessa, però: deve insegnare a tutti noi quali sono i segreti per diventare dei campioni di Secret Hitler.
Intervista esclusiva a Roberto Lipari
“Più che dalla riflessione sull’intelligenza artificiale, So tutto di te è un film che nasce da un fatto di cronaca reale: lo scandalo Cambridge Analytica, che ha messo sotto processo anche Zuckenberg”, spiega sin da subito Roberto Lipari quando gli chiedo da dove nasce il suo film, disponibile dal 25 luglio su Prime Video. “L’accusa era che fossero stati utilizzati i dati personali di 87 milioni di account Facebook senza il consenso degli utenti per favorire l’elezione di Trump. Siamo realmente così tanto influenzabili? C’è qualcuno sostanzialmente può farci fare quello che vuole?”.
“Ho preso tale concetto, un macrocosmo, e l’ho portato in un microcosmo: il protagonista del film Roberto, da me interpretato, un personaggio goffo che sbaglia sempre tutto, con un potere così enorme riesce a giostrare la sua vita. E, quindi, è da un fatto di cronaca che nasce la commedia”.
Commedia che è interpretata da un notevole cast di attori siciliani ma che ha per protagonista femminile la giovanissima Roberta Rigano.
Avevo girato TuttAPPosto, il mio primo film, ad Acireale e anche in so tutto di te c’è una quota acese, dal momento che Roberta Rigano è originaria di lì. Ha già recitato al fianco di Mark Ruffalo e Zoe Saldaña… e ora recita con me: o io farò come loro gli Avengers oppure c’è qualcosa che non va (ride, ndr).
Roberta Rigano è un’attrice fantastica che, scovata grazie a chi ha fatto il casting con me, Giovanni Calvaruso (chiamato anche Calvatutto: sa fare tutto bene!), si è rivelata essere una grandissima sorpresa. Non aveva mai fatto commedia prima ma ha un talento naturale.
Chi vedrà il film capirà, a un certo punto il suo personaggio deve comportarsi come il mio, Roberto. Mi ha studiato per riuscirci e il risultato dimostra quanto sia brava nel genere, nonostante abbia alle spalle roba serissima e tragica: chissà perché ma gli americani immaginano sempre le donne siciliane vestite di nero a piangere. Niente da dire sulla qualità delle loro produzioni ma sull’immaginario c’è ancora molto da lavorare.
Sulla decostruzione e l’abbattimento dei cliché punti parecchio. Là dove altri attori e registi siciliani puntano ai cliché per affermarsi, tu provi a sradicarli.
Posso affermare anche con una punta di orgoglio che nei due film girati finora la mafia non entra mai nella storia. L’unica cosa di molto siculo che c’è in So tutto di te è il teatro dei pupi, patrimonio dell’Unesco che a livello cinematografico (a parte, nel Padrino e nell’ultimo Indiana Jones) è poco raccontato. Entrambi i miei film avrebbero potuto essere ambientati ovunque: c’è pochissima gente che parla con i verbi alla fine e quasi nessuna panoramica sulle bellezze dei luoghi. E allora perché girare un film sugli algoritmi a Palermo? La risposta è semplice: vorrei che a sfruttare la terra siciliana siano gli altri, a me interessa altro. È un pensiero anche anti-produttivo, se vogliamo.
La commedia ha da sempre il compito di raccontare i cambiamenti socio-culturali, anche mentre sono in corso. A memoria, a parte Pif, non mi sovviene nessun altro che ci abbia provato a raccontare gli effetti degli algoritmi…
Tra l’altro, proprio mentre scrivevo So tutto di te, mi sono preoccupato: e se io e Pif facciamo due film uguali? Poi, l’ho visto e per fortuna il rischio è stato scongiurato.
Quanto è difficile raccontare qualcosa mentre la si sta vivendo?
È difficile soprattutto per i tempi di un film. Gli instant movie, So tutto di te potrebbe esserlo benissimo, hanno un problema di fondo: potrebbero essere “scaduti”, superati, ancor prima della loro uscita. Ma ci sono anche dei vantaggi. Io mi permetto ad esempio anche una battuta con un riferimento politico che avrà un suo effetto ma che varrà sempre, anche tra quarant’anni… la politica, del resto, è un grande ciclo: non ci si sta inventando niente di nuovo.
Ma non potevo non farlo: parlo sempre del presente, nei miei monologhi o a Striscia la notizia. E, se parlo del passato, è solo in funzione del presente: non voglio rientrare nella categoria dei “vi ricordate una volta…”. Il mio sogno è quello di fare film che possono anche precorrere i tempi. Ancora oggi, tutte le volte che c’è uno scandalo legato al baronaggio, tutti quanti scrivono o commentano “come nel film di Lipari”.
Di So tutto di te sei interprete, sceneggiatore e regista. La domanda sorge spontanea: chi te l’ha fatto fare?
Sono tutti ruoli che ho ricoperto “con”. Ho co-diretto il film con David Serge, l’ho co-sceneggiato con Roberto Anelli, Paolo Pintacuda e Ignazio Rosato, e l’ho interpretato con tutto il cast: c’è sempre un lavoro di team dietro. Dico, però, la verità: non era nei piani, soprattutto la regia. Per tutta una serie di dinamiche, mi sono ritrovato alla regia, dietro la macchina da presa, e mi sono assunto una grossa responsabilità: per TuttAPPosto avevo seguito ogni aspetto della realizzazione e della produzione a eccezione della regia, lasciata a Gianni Costantino.
So tutto di te è un’opera prima e, come tale, ha tutti i suoi pregi e i suoi difetti ma è stata una grande scuola. Lo rifarei volentieri e mi sono divertito a inserire delle citazioni, da Quentin Tarantino a Mel Brooks, passando per Woody Allen e Giuseppe Tornatore. Una volta che c’ero, ho voluto omaggiare a mio modo il cinema che mi piace.
Dici di esserti divertito. Difficoltà, invece?
Woody Allen sostiene che il cinema è l’arte di risolvere problemi. Le riprese sono state irte di difficoltà, a cominciare dal fatto che abbiamo girato a settembre in Sicilia dopo una fase di preparazione ad agosto, in un periodo in cui non c’erano nemmeno tecnici disponibili: o erano in vacanza o si trovavano impegnati sui set delle tre o quattro grandi produzioni che si stavano girando o preparando contemporaneamente, da I leoni di Sicilia a Il Gattopardo. È stato un set pieno di complicazione ma nel mondo del cinema c’è un assioma consolatore che dice che quando la lavorazione di un film è così complicata è perché quel film è destinato a grande successo: speriamo sia così.
Nel film, affidi la parte di tuo nonno a Leo Gullotta. Perché lui e non qualcun altro?
Mentre scrivevamo la sceneggiatura, avevamo in mente dei nomi che ci aiutavano: il mio capo era Barbara Tabita, il miglior amico Sergio Friscia e nonno Leo Gulotta. Non era detto che poi loro potessero prendere parte al film e invece ci sono. Una volta contattato, Leo Gullotta è stato gentilissimo: aveva appena finito Incastrati, la serie tv di Ficarra e Picone, ma non si è risparmiato.
Perché lui? Lo associo ai miei nonni: era con loro che guardavo Leo Gullotta. Il film è dedicato ai miei nonni e la cosa bella è che mio nonno, venuto sul set, e Leo si sono conosciuti. Ancora oggi, ogni tanto, Leo mi chiede come sta nonno Mimmo: si è creato tra loro un bel rapporto.
Perché hai dedicato So tutto di te ai nonni?
L’idea del film nasce durante la pandemia. Prima ancora di trovare la meccanica del film, mi ero messo in testa di raccontare una figura anziana in risposta a un ministro che aveva dichiarato che gli anziani, in quanto non produttivi, valevano di meno del resto della popolazione. Ma è dedicato ai nonni anche perché mia nonna è riuscita a vederlo concluso pochi giorni prima che se ne andasse: l’amore dei nonni è diverso da tutti gli altri che incontrerai nella tua vita.
Di nonni oggi te ne è rimasto solo uno, nonno Mimmo, per l’appunto. Ma hanno avuto prima di andarsene la possibilità di vederti affermare. Qual è la prima cosa che ti hanno detto quando hanno realizzato che ce l’avevi fatta vedendoti su Canale 5?
Canale 5 per i nonni è la rete televisiva istituzionale al pari di Rai 1. Durante la pandemia non potevo per ovvie ragioni vedere i nonni ma è stato quello il periodo in cui sono stato loro più vicino: ogni volta che vedevano un mio servizio a Striscia (non ero ancora conduttore ma inviato) mi chiamavo per i loro commenti. Non ricordo le esatte parole che mi hanno detto la prima volta ma sono sicuro che mio nonno mi ha chiesto tra le prime cose quanto guadagnassi. E tuttora il quanto mi danno è una delle preoccupazioni principali di nonno!
Quando hai capito che avresti fatto il comico?
Da sempre. Tutti i bambini egocentrici come lo sono stato io da grandi vogliono fare tendenzialmente il mago o il comico: piace avere una platea che ride o che si stupisce. Come mago non ero bravo e ho ripiegato sul comico (ride, ndr). Non essendo un mestiere classico che prevede un iter di studi standardizzato, ho sempre coltivato il desiderio di diventare un comico come piano b tant’è che mi ero iscritto alla Facoltà di Medicina.
Al terzo anno di università, anziché sostenere gli esami, scrivevo i miei pezzi. Ero fuori sede a Caltanissetta (gli ultimi 50 posti della facoltà di Palermo frequentavano la sede distaccata) ma a metà settimana rientravo sempre a Palermo per provare i miei pezzi nei laboratori comici. Ho capito allora che non potevo fare a meno della comicità: o ci provavo seriamente o non lo avrei fatto mai più. E due anni dopo vincevo Eccezionale veramente.
Medicina e comicità: due strade totalmente differenti. Come convivevano in te la razionalità della scienza con la magia della comicità?
Lasciando medicina credo di aver salvato molte più vite di quelle che avrei potuto salvare facendo il medico: è la battuta che faccio sempre quando affronto l’argomento. Quando facevo tirocinio al pronto soccorso, trascorrevo tutto il tempo a far battute soprattutto ai pazienti che stavo per essere dimessi. Lo facevo soprattutto per non dimenticarmi del lato umano della medicina. In quel settore, si viene (giustamente) abituato al distacco ma qualcuno lo prende fin troppo seriamente ma il lato umano dovrebbe essere sempre presente, come lo è nella comicità. Medicina e comicità hanno per me lo stesso fine: godi nel vedere gli altri stare bene.
Il realismo magico, se vogliamo, torna anche nei tuoi film. Quelli che negli anni Ottanta erano nei lungometraggi inneschi magici, nelle tue opere sono stati sostituiti da altro…
Oggi non c’è più bisogno degli inneschi magici: il 90% di quelle cose è in grado di farle un computer. Per ribaltare i professori basterebbe un’app mentre per sapere tutto della gente basterebbe un algoritmo. Mi piace giocare con le strutture del vecchio cinema e attualizzarle sostituendo l’elemento magico con quello informatico.
Un po’ come se i tuoi film fossero favole moderne.
Sì. So tutto di te ha una narrazione fiabesca anche perché si ispira alla tradizione dei pupi. Mentre nel teatro dei pupi l’eroe è perfetto, nel mio caso si trasforma in antieroe che sbaglia tutto.
Goffo, imperfetto e impacciato: cos’è che non sbagli mai nella vita?
Credo di sbagliare quasi sempre. Forse non sbaglio mai nei giochi da tavolo: ne sono un grande appassionato e ne ho due pareti piene a casa: per una serata, azzecco sempre quello giusto. I giochi da tavolo sono in grado di trasformare anche le persone più timide in coraggiose e sicure: è un mondo idilliaco in cui, anche se perdi, non accade nulla e puoi ricominciare da capo. Uno dei miei preferiti rimane Secret Hitler ma l’elenco potrebbe essere infinito.
Dicevi che da bambino eri egocentrico e quindi ti piaceva concentrare su di te l’attenzione.
Non ero uno di quei bambini che salgono sui tavoli… ero semmai quello che faceva salire gli altri sui tavoli! Facevo da eminenza grigia: capivo chi fosse l’elemento da fomentare e la serata decollava. E, quindi, mi circondavo di amici che salivano sui tavoli ma anche di amici che mi ascoltavano: mi sedevo e raccontavo loro barzellette. E i miei genitori fomentavano il mio desiderio organizzando dei concorsi truccati di barzellette in cui tra bambini e adulti a vincere ero sempre io: mi hanno fatto credere che ero bravo…
Sei giovanissimo. Come si vive il grande successo alla tua età?
Non è facile spiegare come lo vivo. Una cosa che mi aiuta molto è che sono spesso in imbarazzo, sono timido, sono goffo… tant’è che nella prima parte il personaggio che interpreto in So tutto di te sono io realmente. Il fatto che la gente sappia già chi sono mi ha aiutato soprattutto ad acquisire sicurezza. Non mi tiro mai indietro di fronte alla gente che mi ferma o che mi chiede una foto mentre mangio: sento spesso colleghi lamentarsi ma credo che faccia parte del gioco. C’è un episodio di To Rome with Love, il film di Woody Allen, in cui Roberto Benigni diventa improvvisamente famoso: il maggiordomo gli dice che tra il non essere famoso e l’esserlo è sempre meglio esserlo.
Vivo bene quello che mi è capitato, forse non a pieno, perché mi sento fortunato. Non so quanto durerà ma so solo che un giorno guardandomi indietro mi dirò “Ma guarda che fortuna che hai avuto!”.
I tuoi sono originari di Palermo?
Papà di Palermo e mamma di Castellammare del Golfo. Ho le stesse origini di Sergio Mattarella, il nostro Presidente della Repubblica. E svolgiamo anche un lavoro simile: io lavoro con i comici a Striscia e lui con i comici al Quirinale! Trascorrevo da piccolo le estati a Castellammare: ora il paese è diventato meta turistica d’eccellenza ma ai tempi eravamo soltanto io, i contadini, i pescatori e le cassatelle. Hanno aspettato che crescessi per farlo diventare Ibiza… è pazzesco!
Ci torni spesso?
Ci torno. A me piacciono due posti: dove lavora mio papà, in cui sono il figlio di Giovanni, e Castellammare, dove invece sono il figlio di mia mamma o il nipote di mio nonno. Sono gli unici luoghi in cui non sono Roberto Lipari in quanto tale ma sono Roberto Lipari in funzione di quelli che sono venuti prima di me e che erano più “famosi”. Non mi chiedono mai di me ma di mia mamma, ad esempio: sono i posti in cui sono più importanti i parenti che le veline. Vorrei essere tutta la vita il figlio o il parente di qualcun altro: hai meno responsabilità dell’essere tu.
So tutto di te è una commedia romantica. Che ruolo ha l’amore nella vita di Roberto Lipari?
Una cosa che ho imparato nel 2020, quando tutto si era fermato, è che tutto ciò che rimane è l’amore di chi mi sta accanto, della mia famiglia e delle mie nipotine. Tutto il resto, anche il mio lavoro, è scenografia. Lo spettacolo si può fare con o senza scenografia, soprattutto nel mio mestiere, dove bastano solo un palco e un microfono. Che ben venga una bella scenografia ma non è essenziale: i sentimenti sono il vero motore della vita. A volte ci si concentra solo sulla scenografia e non sullo spettacolo… ed è un peccato!
Microfono e palco, tutto ciò che hai a disposizione per lo stand alone che nella prossima stagione tv sarà mandato in onda in prima serata da Italia 1, registrato al Teatro Al Massimo di Palermo, un luogo poco usato per la tv.
Inizialmente, non doveva aver luogo a Palermo. Si pensava di registrarlo altrove e mi sono chiesto perché. Possibile che in tv vadano in onda programmi registrati solo a Roma, Milano o Napoli? Raramente ho visto Palermo come luogo prescelto, motivo per cui ho voluto per una volta portare la tv a casa mia anziché prendere come al solito la valigia e spostarmi. È stato emozionante perché per me si chiudeva un cerchio.
Appartieni alla schiera di quelli che in tv alle dieci del mattino controllano i dati Auditel con apprensione?
Mi capita soprattutto quando reputo bella la puntata di Striscia della sera prima. Io e Sergio Friscia improvvisiamo tanto e mi piace l’idea che quando la performance è bella possa essere vista da molta più gente possibile. Ma non sono ossessionato dagli ascolti, anche quando vanno bene del solito non è mia abitudine addossarmene la responsabilità: il sistema è molto più grande della capacità o meno dei conduttori e incolparsi sarebbe stupido. Certo, mi dispiace…
La colonna sonora di So tutto di te, firmata da Giuseppe Vasapolli, presenta due brani del cantautore catanese Mario Biondi.
Mario Biondi dice di essere un mio fan ed io sono un fan suo: si è messo molto a disposizione del film. Lo avevo conosciuto in occasione di un servizio per Striscia quando in tempo di restrizioni avevano ridotto il tempo per i concerti a 15 minuti.
Insieme a Leo Gullotta, Roberta Rigano e Barbara Tabita, Mario Biondi rappresenta nel film la parte orientale della Sicilia che si fonde con la restante parte occidentale. E lo stesso tipo di fusione tra le due parti dell’isola è presente in come si fanno muovere i pupi. Esistono infatti due differenti scuole, quella catanese e quella palermitana, che prevedono movimenti e ingressi diversi per i pupi. Con la fusione, abbiamo creato un modo di muovere i pupi che in realtà non esiste.
Mi piaceva l’idea di abbattere lo stupido conflitto tra Catania e Palermo che in realtà non esiste. Quando noi siciliani andiamo fuori, nel momento in cui ci chiedono da dove proveniamo, non diciamo mai il nome della città, come fa il resto degli italiani, ma “Sicilia”.
E in tutta questa sicilianità che ci fa Andrea Pisani?
Andrea è uno dei miei pochi amici comici: il nostro è un legame vero e sincero che va al di là di tutto. Per ovvie ragioni, non avevo un grande ruolo per lui ma ho tenuto che ci fosse anche per un semplice cameo, che si traduce in una delle scene più divertenti del film. Andrea è bravissimo attore ed è una grande penna. Di quelli che appartengono alla generazione di fine anni Ottanta e di inizio anni Novanta è uno dei migliori: rispetto a quello che sa fare, abbiamo visto ancora poco.
So tutto di te: Le foto del film
1 / 93Ritorniamo un attimo ai cliché con cui avevamo aperto la nostra conversazione. Per i servizi da inviato a Striscia andavi in giro con la coppola.
Ed era una scelta ben precisa non per avallare il cliché ma per smantellare l’idea che la coppola sia un simbolo mafioso. Il tutto nasce da una volta in cui mi sono ritrovato a fare uno spettacolo a San Gregorio Armeno. Come da mia abitudine, indossavo la giacca. Qualcuno mi disse che mi mancavano solo la coppola e la lupara e sarei stato “perfetto”. Da lì, il desiderio di decostruire tale luogo comune sul siciliano.
A parte i cliché legati alla malavita, quali pensi che siano i più difficili da smantellare sui siciliani?
Quello di cui scrisse Tomasi di Lampedusa (il sonno piace ai siciliani) e che in parte è anche vero: il nostro non voler fare niente e il nostro non voler cambiare le cose. La storia in realtà ci racconta tutto l’opposto: Peppino Impastato non era di Verona, così come non lo era Paolo Borsellino, di cui è ricorso l’anniversario della morte proprio in questi giorni.
È incredibile come la Sicilia, forse la regione con più esempi di gente che ha provato a cambiare le cose, sia sempre raccontata come una terra popolata da gente che non abbia voglia. Ma è anche vero e non lo nego. Ma un conto è la realtà e un conto è lo stereotipo che diventa farsa: la mia comicità destruttura i cliché ma non li nega. Può essere utile parlare dello stereotipo quando tange la realtà e non quando diventa parodia.
Attore comico siciliano come tanti altri che si sono affermati o affacciati sulla scena negli anni. Riuscite a fare squadra tra di voi?
No. Partiamo dal presupposto che il comico è narcisista ed egocentrico, non farebbe squadra con nessuno. E, in genere, i comici non fanno squadra: quelle poche volte che accade, i collettivi comici fanno la storia. Basti pensare ai Cavalli Marci a Genova, ad Aria Fresca in Toscana, alla prima squadra dello Zelig o a Made in Sud. In Sicilia, non è mai successo: persistono sempre sotto categorie e micro gruppi. Non so spiegarmi il perché.
Ma il non far squadra in Sicilia è applicabile a tutto, dalla politica alle rivoluzioni storiche. Forse perché siamo abituati alle dominazioni: non si conta più quante ce ne siano state su una sola isola… di amici comici strettissimi ne ho pochi.
Chi sono gli amici di Roberto?
Uno dei miei amici è Antonio Pepati, il comico con cui ho mosso i primi passi in coppia. Ci chiamavamo i Sale e Pepe perché la prima volta ci siamo esibiti in una pizzeria in cui ci hanno pagato con la pasta e l’unica cosa che c’era sul tavolo erano appunto sale e pepe.
Un altro mio amico si chiama invece Manfredi - lo vedrete nel film in una scena girata al Museo dei Pupi - e ha un problema: è il sosia di Piero Barone del gruppo Il Volo: quando siamo insieme, ci chiedono le foto perché convinti che Roberto Lipari sia con Roberto Barone! Tra l’altro, quando abbiamo girato la scena in questione, sul set c’era in visita Salvo Ficarra, che in qualche modo ha diretto la scena stessa: per me era un sogno!
Non mi fido di coloro che dicono che hanno tanti amici, per citare una recente intervista di Carlo Verdone. Quelli che ho, però, fanno parte di quella cerchia di affetti che prima ho definito spettacolo e non scenografia.
Dimenticavo, Sergio Friscia… Sergio è un amico e non era detto che lo diventasse. Ha una carriera più lunga della mia ma è rimasto una persona molto umile e generosa: sembra che sia tessuto adiposo ma quello che vedete è tutto apparato cardiaco, ha un grandissimo cuore. Andai a vederlo già a quattro anni, nel 1995, a uno spettacolo all’Arena delle Rose a Castellammare del Golfo: è stata la prima volta che ci siamo visti ma lui sul palco e io tra il pubblico! È anche un bravissimo attore a cui poter affidare qualsiasi ruolo, peccato che lo vedano sempre come Sergio Friscia, il comico.
Un po’ la maledizione dei comici…
Ma qui, in Italia. All’estero non esiste una suddivisione così netta tra attori e registi comici o drammatici: hanno dato un Oscar a Todd Phillips, che aveva diretto Una notte da leoni. Mi auguro che le cose possano cambiare e forse qualche passo si sta già facendo: Claudio Bisio, ad esempio, ha esordito alla regia con un film sulla Shoah. Ricordiamoci che in Italia abbiamo vinto gli Oscar con film di Troisi, Benigni, Salvatores e De Sica, tutti comici, e un Premio Nobel con Dario Fo, anche lui un comico. E poi siamo anche il Paese in cui i comici hanno anche vinto le elezioni!
Mai avuto voglia di cimentarti con qualcosa che non sia comico?
Paradossalmente, mi è capitato di sostenere dei provini a cui, chiamato per la linea comica, mi proponevano di far qualcosa di più serio. Probabilmente perché porto con me un lato serio nascosto. Ma sono sempre stato così innamorato della comicità che la vivo un po’ come una fede: non potrei mai dare priorità ad altro ma mi piacerebbe prima o poi tentarci.
È facile per un attore comico farsi prendere sul serio nella vita?
Per me, sì. Non ho la faccia prettamente da comico. Con la comicità che propongo cerco di rendermi credibile: non essere preso sul serio era il mio timore più grande. Mi piace semmai spiazzare diversamente: quando tutti pensano che stia per dire qualcosa di serio, vado di comico. Il mio gioco preferito è quello di farmi credere più intelligente di quello che sono.
Tornerai a Striscia?
Si. Ed è l’unica cosa che posso dire: il resto toccherà ad altri annunciarlo.