Avevamo imparato a conoscere Roberto Oliveri grazie alla serie tv Gomorra, dove interpretava il personaggio di Ronni, il braccio armato di Enzo Sangue Blu. Lo ritroviamo oggi nel cast della serie tv di Canale 5 La voce che hai dentro: è Vincenzo, il giovane cantante che, respinto anni prima dal protagonista Mimmo, firma per un’etichetta discografica rivale della Parthenope. Chi sia nello specifico Vincenzo ce lo racconta meglio Roberto Oliveri nell’intervista in esclusiva che ci ha concesso.
Un’intervista a tutto tondo in cui Roberto Oliveri traccia le tappe del suo percorso di vita ma anche del suo essere un attore in costante formazione per arricchire l’aroma e il profumo delle sue interpretazioni. Nella mezz’ora che lo separava da un importante provino (“per un film di cui per scaramanzia non dico nulla”), Roberto Oliveri si è soffermato molto spesso sulla recitazione, una passione che ha riscoperto casualmente dopo che la vita lo aveva messo spalle al muro.
Nato in Argentina ma cresciuto a Napoli sin da quando aveva due anni, Roberto Oliveri ha visto andare in fumo il sogno di diventare un calciatore professionista a causa di un incidente in moto a diciotto anni. Un’esperienza traumatica che ha avuto però un risvolto positivo quando, a piedi nudi su un palco di un villaggio turistico, ha provato una strana sensazione, la stessa che da allora lo accompagna ogni volta che recita.
Intervista esclusiva a Roberto Oliveri
Ti stiamo vedendo in questi giorni su Canale 5 in La voce che hai dentro, la serie tv con Massimo Ranieri. Interpreti il ruolo di Vincenzo, un cantante: un ruolo che è una novità per te…
Beh, si. Dopo aver cominciato a lavorare nella serie tv Gomorra nel 2016, ho iniziato come attore una carriera da criminale, da cattivo… anche se, nel mio piccolo, ho avuto modo anche di interpretare personaggi diversi, come nel caso della piccola parte in È stata la mano di Dio, il film di Paolo Sorrentino, e ora Vincenzo. Ma siamo ancora a metà della serie tv e non sappiamo come andranno realmente le cose.
Chi è Vincenzo?
È un ragazzo che credeva tanto nella musica e che voleva sicuramente avere successo. Dotato di talento, per tutta una serie di ragioni non è riuscito a portare avanti il suo sogno e si è abbattuto. Ma nessuno può spegnere la voce che ognuno di noi ha dentro: il titolo della serie tv, per nulla banale, fa riferimento proprio a quel qualcosa di grande che tutti noi abbiamo dentro e che primo o poi siamo chiamati a tirarla fuori. E anche Vincenzo, firmando un contratto con l’acerrima rivale della Parthenope, avrà la possibilità di mostrare chi è e cosa sa fare nel canto.
Di sicuro, non sa come tenersi lontano dai guai.
L’aver firmato con l’etichetta rivale della Parthenope ne è la prova concreta.
E Roberto ha la sua stessa tendenza?
Roberto amava tanto mettersi nei guai molto tempo fa. Sono nato in Argentina ma ho vissuto a Napoli per tanti anni. Napoli è una città abbastanza accesa sotto tanti punti di vista e anch’io ho avuto i miei anni da scugnizzo. Lo stereotipo attribuisce alla parola “scugnizzo” una connotazione negativa quando invece lo scugnizzo è semplicemente un ragazzo che, alla fin dei conti, gioca e scherza in strada…
Oggi mi piace molto mettermi in difficoltà ma per ragioni diverse: mi piacciono gli stimoli nuovi che mi mettono alla prova e mi spingono a superare i miei limiti. Non amo molto la monotonia, tanto che cerco sempre di trovare del nuovo anche in ciò che è abitudinario. Sono alla ricerca continua di stimoli in amicizia come in amore, nella vita di coppia, nel lavoro e nello star da solo.
Per citare uno spettacolo teatrale di cui hai scritto il testo qualche anno fa, non userei il termine “scugnizzo” ma “guappo ‘e cartone”.
‘O guappo ‘e cartone è un modo di dire napoletano che fa riferimento a chi crede di sapere sempre tutto e si sente appunto un guappo senza avere idea di essere di cartone, ovvero di non valere realmente niente. Per lo spettacolo teatrale, si trattava di un titolo di facciata perché nella narrazione il cartone era un elemento determinante dal momento che raccontava la storia di un giovane clochard che viveva per la strada e cercava di contrastare ciò che la società di oggi vuole, ovvero trasformarci in un “gregge di pecore”. Aveva scelto di essere a suo modo un ribelle prima di rendersi conto che non era lui a decidere per se stesso ma la vita stessa.
È un testo che ha girato tutta l’Italia e che è stato presentato anche in una rassegna curata da Massimiliamo Bruno. L’aver portato da Milano a Palermo quel testo, se vogliamo, restituisce quanto dicevo prima: non mi piace che il lavoro sia monotono. Amo interpretare personaggi vari e viverli realmente. È un mestiere che porto avanti di pancia e non, anche se può sembrare banale, per la fama, la notorietà, gli applausi o i selfie. Anzi, questi ultimi sono aspetti che mi hanno sempre imbarazzato perché è come se si desse un valore umano diverso a questo lavoro, sicuramente magico, rispetto a tanti altri.
Hai alle spalle esperienze molto importanti che ti hanno portato a recitare con mostri sacri della recitazione. Pensiamo a Diavoli dove c’erano Alessandro Borghi e Patrick Dempsey, al film I due papi con Jonathan Pryce e Anthony Hopkins o alla stessa serie serie tv La voce che hai dentro con Massimo Ranieri e Maria Pia Calzone. Cosa significa per un giovane attore stare al loro cospetto?
In linea di massima, la recitazione non cambia: resta sempre un mistero. Per cause di forza maggiore, cambiando i tempi, cambia un po’ la ricezione: vedere all’opera Massimo Ranieri è come apprendere le basi del teatro di una volta. Gli si vede sul volto la fatica che un artista ha fatto negli anni rispetto a noi giovani e non si può che imparare dalla sua forza, dalla sua voglia e dal suo entusiasmo. Quando lavori con artisti di quel calibro ti permette di riempire continuamente la tua valigia… Sul set di La voce che ho dentro la presenza di Maria Pia Calzone restituiva, poi, sempre una sensazione di amore: è stata veramente una mamma per tutti noi. Più gli attori sono grandi più sono legati alla semplicità.
Sei nato a Rosario, in Argentina, ma a due anni sei arrivato a Napoli. Com’è andata?
I miei quattro nonni sono tutti italiani, anche se appartenenti a regioni diverse: i nonni sono uno napoletano e l’altro della provincia di Messina mentre le nonne sono originarie una di Siena e l’altra di Macerata. Le loro origini vivono tutte dentro me: come ognuno di noi, sono un mix di quello che sono stati i nostri antenati.
I miei nonni erano commercianti di stoffa. Hanno concepito in Argentina i miei genitori e loro hanno concepito me lì. Ci si è trasferiti a Napoli dopo che mio nonno napoletano ha deciso di tornare a casa e mia madre, vista la situazione politica argentina sempre molto traballante, ha deciso di seguirlo con suo fratello. In pratica, tutto la restante parte della famiglia è rimasta oltreoceano.
Crescere a Napoli mette sempre davanti a un bivio, in cui sei chiamato a scegliere la strada da seguire. Com’è stato per te?
Vivo oramai a Roma dal 2018 ma Napoli resta per me una città unica al mondo, per la sua storia, la sua arte, la sua cultura. Ringrazio Napoli perché penso che sia una città che ti insegna, direttamente o indirettamente, a poter affrontare i vari aspetti della vita. Chi è nato e vive a Napoli con una mentalità aperta come la mia può vivere la città in tutte le sue componenti.
Per me, non è stato difficile prendere la retta via perché appartengo a una famiglia che mi ha dato saldi principi. Ho avuto amicizia anche un po’ discutibili ma anche quello mi è servito e mi è tornato utile nel lavoro portandomi a vincere il provino per la serie tv Gomorra per un personaggio a cui ho portato in qualche modo una verità di vita vissuta. Ma non è solo Napoli ad avere le sue problematiche: ce le ha come ce le ha Roma e come ce le hanno tantissime altre città ma lo stereotipo è difficile da abbattere.
Cos’è che ti ha portato a studiare recitazione e a voler fare l’attore?
Da argentino, come si può ben immaginare, avevo la passione per il calcio nel sangue. Ho giocato per tanti anni fino a quando un incidente in moto mi ha causato la rottura di entrambi i legamenti crociati della gamba destra e ho dovuto fermarmi. A farmi riscoprire la passione per la recitazione sono stati i villaggi vacanze, anche se sin da piccolo, già a scuola, volevo recitare ed essere il protagonista delle varie recite per stare al centro dell’attenzione.
In un villaggio, in un giorno di un periodo non facile della mia vita, ho provato una sensazione di benessere che mi ha fatto rivalutare il mio percorso. A piedi scalzi (amo stare così) su un palco, ho avuto la pelle d’oca ed ho capito in quell’attimo che recitare mi rendeva felice: è come se fossi in quel momento rimasto traumatizzato ma in senso positivo. Finita la stagione, sono partito per Roma e ho cominciato il mio percorso accademico e ho iniziato a fare tanto teatro. Ho realizzato così che per la recitazione, che rimane per me molto un mistero, noi attori siamo veramente un mezzo in divenire.
Un mio maestro diceva che funzionava un po’ come per la macchinetta del caffè: il risultato cambia in base alla cialda che usi. Siamo noi che pian piano con l’esperienza arricchiamo la qualità, il sapore, l’aroma e l’odore. E così ho fatto e faccio: rubo molto a ogni persona che incontro arricchendo la mia formazione. Quello di attore è un mestiere che va di pari passi con la vita vissuta proprio perché si lavora con le emozioni, in grado di cambiare da un giorno all’altro: è tutto ciò che vivi che ti forma.
Come ti sei sentito quando hai dovuto rinunciare al sogno di diventare un calciatore affermato?
Ricordo bene quel momento, è come se fosse accaduto tutto stamattina. Si tratta di sensazioni che ricordi per tutta la vita e so quanto sono stato molto, molto male. Ho vissuto anche una sorta di depressione: ero molto giù di morale in un momento della mia esistenza, avevo quasi diciott’anni, cruciale. Sono sempre stato molto poco banale, anche a rischio di sembrare pesante…
Fortunatamente, la mia reazione è stata abbastanza veloce. Nel giro di qualche mese ho capito che se quella cosa è accaduta a me c’era un perché: doveva andare così… Nei due o tre anni che sono trascorsi dall’incidente alla convinzione di voler recitare, ho studiato Economia all’Università e ho fatto mille lavori diversi ma è stato tutto molto formativo. È vero che i miei sogni erano andati in fumo ma avevo la fortuna di essere ancora vivo e di imparare che l’importante era non stare fermo: abbiamo questo tempo a disposizione, non sprechiamolo.
La voce che hai dentro: Le foto della serie tv
1 / 31Hai accennato più volte a Gomorra. Di recente un pm ha sostenuto che prodotti come Gomorra o Mare fuori fungono da pessimi modelli per i ragazzi di oggi, incitandoli alla violenza e a condotte di vita estreme.
Il telecomando è abbastanza democratico: basta cambiare canale e chiunque è libero di scegliere cosa vedere. Il cinema, la televisione, il teatro e l’arte in genere raccontano tutto ciò che ci circonda, il bello come il brutto. A dover discernere sono le persone e in quel caso la discriminante diventano le radici di ognuno di noi: è la famiglia che ha il compito di formarci, di starci vicino e di fornirci le giuste basi. Non possiamo attribuire ai racconti colpe che derivano dagli esempi diseducativi che si danno tra le mura di casa, dove si ha il dovere di adempiere a una corretta educazione.
E a te quali valori sono stati insegnati dalla tua famiglia?
I miei mi hanno cresciuto all’insegna dell’apertura. Avere una mentalità aperta non vuol dire essere menefreghista ma adattarsi alle varie situazioni del mondo e apprezzarle. Mia madre, donna molto sensibile e legata alla vita, mi ha insegnato ad amare e continua a farlo ancora oggi. Mi ha amato anche troppo se vogliamo: troverò mai persone che mi ameranno come mia mamma? (ride, ndr).
Scherzi a parte, mi ha trasmesso i valori della semplicità e dell’uguaglianza: qualunque sia la posizione che uno occupa nella vita, non bisogna mai dimenticare di come abbiamo tutti lo stesso valore. La saggezza napoletana di mio nonno mi ricordava a non dimenticare che tutti quanti, indipendentemente dal suo ceto sociale, dal suo aspetto fisico e da tutte le variabile possibili, ci sediamo sulla tavola del cesso: una verità che funziona e che cerco di tenere a mente quando ho davanti a me persone molto importanti.