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Romina Falconi, l’emancipazione di una donna che vuole essere ascoltata e non giudicata – Intervista esclusiva

romina falconi
“Scelta” è una parola fondamentale nel percorso di Romina Falconi. La incontriamo in occasione del rilascio di Maria Gasolina, nuovo singolo lanciato da un’operazione di guerrilla marketing che ha diviso l’opinione pubblica e accompagnato dal Rottocalco Vol. 3, terzo capitolo della sua galleria di peccatori.

“Tesoro mio bello, ma come facciamo a fare quest’intervista in maniera professionale?” è il saluto con cui mi accoglie Romina Falconi, appena tornata in radio e nei digital store con Maria Gasolina (Freak&Chic/ADA Music Italia), il nuovo singolo che scritto in coppia con “sua casalinità” (come lo chiama lei) Roberto Casalino. E del resto ha ragione: tra chi intervista e Romina Falconi intercorre un rapporto personale molto stretto che esula dalla sfera lavorativa nuda e cruda e sfocia nell’intimo di quei rottincuore che anche da lontano si riconoscono.

Con Romina Falconi ci siamo conosciuti in occasione di una prima intervista, ricercata e voluta, e non ci siamo più lasciati. Ci siamo ritrovati a collaborare per Rottocalco Vol. 2, il secondo capitolo del suo ambizioso e riuscito progetto letterario, e abbiamo ripetuto l’esperienza anche per Rottocalco Vol. 3, presentato in questi giorni nella prestigiosa cornice del Lucca Comics & Games, dove eccezionalmente Romina Falconi terrà anche il suo amatissimo Centro d’Ascolto. Ma andiamo per ordine: la carne al fuoco è tanta e rischiamo di perdere sin da subito la bussola, soprattutto quando più nessuno dei due, intervistatore e intervistata, sa qual è il limite da porre a domande e risposte.

“Ho appena annunciato prima su Telegram e nella newsletter dedicata ai miei fedelissimi il mio unico concerto di quest’inverno a Milano, il prossimo 5 gennaio”, mi racconta Romina Falconi con la gioia di chi è soddisfatta di un percorso che l’ha tenuta impegnata in lungo e in largo per l’Italia, anche insieme al suo socio, non solo musicale, Immanuel Casto.

“Mi sembrava carino, prima di annunciarlo via social, comunicare il concerto ai fans che ci sono da sempre offrendo loro la possibilità di accedere ai biglietti con uno sconto particolare: sono loro a cui devo sempre dire grazie. È un periodo di cui sono mega contenta: non voglio nemmeno dirlo ma sta andando tutto bene. È come se le stelle si fossero allineate: Maria Gasolina è finita nel giorno di uscita in un’importante playlist su Spotify e non è scontato che accada per un indipendente come posso esserlo io”.

Romina Falconi.
Romina Falconi.

Intervista esclusiva a Romina Falconi

La data del concerto milanese è il 5 gennaio 2024 alla Santeria Toscana 31: sarà un po’ come l’arrivo della Befana.

Me la farò sotto fino a gennaio, già lo so: sono fatta così. Mi piaceva l’idea di cominciare l’anno nuovo col botto: il 1° gennaio è anche il mio compleanno. Non lo festeggio mai ma questa volta ho deciso di farlo, seppur qualche giorno dopo, sul palco, stando insieme alla gente che mi ha scelto. Essere scelti consapevolmente non ha prezzo soprattutto quando si è un’outsider: sarà un’occasione per concedersi a loro e raccontarsi… nei miei live parlo anche troppo ma è sempre bello darsi al pubblico che ha voglia di ascoltare la tua musica ma anche di conoscerti.

In quell’occasione, proporrai dal vivo anche Maria Gasolina. Chi è questa tua nuova peccatrice?

Maria Gasolina è una peccatrice solo agli occhi degli altri. Fa parte dei personaggi della galleria dei rottincuore ed è una donna che se ne infischia del giudizio degli altri. Ai suoi occhi, Maria Gasolina non è una peccatrice ed è da una vita intera che vorrei essere come lei ed avere la sua stessa consapevolezza. Avrei anch’io voluto fregarmene del giudizio della gente quando qualche hanno fa ho avuto una relazione con l’unico gran partito della mia vita, più grande di me di ventuno anni (Freud ci andrebbe a nozze sul perché e avrebbe qualcosa da dire in merito) e un conto in banca di gran lunga più cospicuo del mio.

Nel quartiere romano in cui vivevo, chiunque notava la differenza, anche perché con me ventiseienne e lui quarantasettenne non passava inosservata. Ci guardava chiunque e sentivo addosso il peso dei pensieri: le mie intenzioni erano considerate da tutti orribili senza nemmeno sapere quali sentimenti io provassi. Non mi ero mai accompagnata a un uomo che avesse più soldi di me, solitamente era il contrario, ma lo stigma sociale era molto forte.

Ma perché esistono, secondo te, amori che vengono così facilmente criticati e osteggiati?

È una domanda che mi accompagna sin da allora e su cui ho voluto ora riflettere. Insieme all’antropologa Elena Nesti, abbiamo quindi intrapreso uno studio vero e proprio, un percorso che ci ha portato a puntare i fari su tutti quegli amori chiacchierati per via del divario anagrafico, del divario sociale, del divario di potere e del divario estetico. Ma anche del divario che viene sottolineato quando uno dei due della coppia è una persona con disabilità. Sono tutti divari che generano pettegolezzo e cattiveria: basti pensare ai commenti delle signore dal parrucchiere mentre sfogliano riviste di gossip e notano coppie che non rispondono agli standard condivisi, signore a cui avrei voluto tante volte dire “ma che ve frega a voi?”.

Spesso ciò nasce dal sentirsi tutti quanti moralmente superiori agli altri. Un ragionamento di cui ci accorgiamo anche sui social media, dove chiunque si sente in dovere di dire la propria pensando che l’altro si sia spiegato male, si stia comportando in maniera sbagliata e così via, trasformando una virtù in un vizio. Ci sentiamo tutti dalla parte del giusto ma chi dice che non lo siano anche i rottincuore a cui sto dedicando il disco che a breve uscirà? Ogni canzone servirà a far porre domande a chi l’ascolta e farlo mettere nei panni del soggetto in questione: sei sicuro che nei panni dell’altro, col suo stesso trascorso e vissuto, avresti fatto di meglio?.

Sarà come rimettere al centro la parola empatia, quel sentimento che ultimamente è venuto a mancare. Ci riempiamo tutti la bocca della parola inclusione, eppure basta un cartellone in Duomo a Milano per far scattare i nostri peggiori istinti dando per scontato che tra Gastone e Maria non ci siano di mezzo i sentimenti e che tra i due ci siano un vincitore e un perdente.

Il tema è abbastanza delicato ma hai deciso di declinarlo con leggerezza nel videoclip che accompagna Maria Gasolina

La mia idea era quella di proporre qualcosa che ricordava l’avanspettacolo di un tempo, quello a cui assistevano i nostri nonni quando andavano al cinematografo, portato avanti dalle piccole compagnie teatrali e che spesso si vede anche nei film con Aldo Fabrizi. Volevo rendere Maria Gasolina deliziosa nella sua essenza: doveva comunque uscirne vittoriosa nella scelta di puntare alla serenità e non alla felicità.

Hai anticipato il singolo con un esperimento sociale alla stazione Metro Duomo di Milano con un cartellone che, come ricordavi, ha generato sul web e non solo una marea di reaction. Hai vissuto tutto dall’esterno come se non fossi tu la protagonista di quel messaggio. Quale commento ti ha colpito maggiormente?

Tanti. Dal più divertente di un certo Giuseppe che scriveva “Mi chiamo Maria” a quello di una donna che si chiedeva che ne era stato del femminismo… ma il femminismo non è omologarsi tutte: è semmai lottare affinché vengano riconosciuti a tutte gli stessi diritti. E tra questi c’è anche il diritto di poter vivere come ci pare e piace, anche se questo vuol dire scegliere arbitrariamente di voler fare la mantenuta. Trovo da sempre orribile quando una minoranza se la prende con un’altra minoranza: è una perdita di energie che non porta a nulla alla lotta per l’uguaglianza agli occhi di uno Stato che dovrebbe concedere a tutti pari diritti e pari doveri. Essere femministi significa lottare affinché tutti e tutte abbiano la possibilità di affermare la propria voce.

Il chiacchierato cartellone alla Stazione Metro Duomo di Milano.
Il chiacchierato cartellone alla Stazione Metro Duomo di Milano.

Maria Gasolina fa anche da apripista al Rottocalco Vol. 3, presentato in anteprima al Lucca Comics & Games, dove sarà per cinque giorni “accompagnato” dal Centro d’Ascolto. In cosa consiste il tuo Centro d’Ascolto?

Il Centro d’Ascolto è un posto aperto a tutti in cui ognuno può confessarsi, chiedere pareri, sfogarsi e parlare delle proprie soddisfazioni, rinascite o crepe. È nato con l’intento di non far sentire nessuno solo perché per tutta la vita io in prima persona mi sono sentita “strana” e poco etichettabile, in qualche modo volevo restituire una carezza alla Romina bambina che non si sentiva mai a posto rivolgendola a chi deve ancora trovare la sua isola felice.

Ai primi incontri partecipavano in pochi perché si faceva fatica a far capire che si trattava di una roba gratuita ma pian piano la situazione è cambiata: le persone hanno bisogno di essere ascoltate ed è quello che facciamo io e Monia D’Addio, mia carissima amica nonché psicologa e presidente Agedo Novara che garantisce anche maggior senso di protezione e vicinanza.

Il mondo non è fatto solo di luci ma anche di tante ombre: per me, non contano solo i numeri generati dalle visualizzazioni ma anche il desiderio di far qualcosa di buono che arrivi anche agli altri. È bellissimo poter cantare ma non lo sarebbe senza la condivisione, l’incontro con gli altri che può passare anche da una chiacchierata e dalla consapevolezza che non per forza i vasetti rotti siano qualcosa di negativo nelle nostre esistenze: a volte, sono portatori di grandissimi insegnamenti.

A Lucca saranno cinque giorni intensi in cui ci potrà dedicare a diversi approfondimenti importanti come la dipendenza affettiva, la positività tossica, i confini e le crepe interiori, la lotta intersezionale e l’importanza del consenso, prima di dedicarsi al “confessionale” di gruppo o personale, aperto a qualsiasi tipo di confronto passando dalla cosa più tetra a quella super divertente.

Un’isola felice per chi li frequenta ma cosa lasciano in te i centri d’ascolto?

Sono come una spugna: non riesco a farmi scivolare di dosso le emozioni che trasuda ogni incontro. Ma mi piace tanto. Mi colpisce la fiducia che gli altri ripongono in me, a volte non me ne sento nemmeno degna: per me è un privilegio enorme che qualcuno decida di raccontarmi un episodio della sua vita o che abbia voglia di confrontarsi con me.

Non scorderò mai due persone che sono venute da me: una molto bella ma insicurissima e l’altra che aveva vissuto nella vita le sette piaghe d’Egitto ma con una carica interiore fortissima. Delle due, quella che aveva provato le peggiori tragedie dava conforto all’altra che sulla carta non aveva mai conosciuto altre ombre al di fuori della sua insicurezza. Davanti a loro due ho pianto tantissimo: ognuno di noi ha tanto da insegnare all’altro, anche sdrammatizzando sui propri traumi: mi piace da morire chi sa rinascere dalle proprie ceneri e impara persino a sorridere delle proprie disgrazie. Significa che nella vita ha fatto goal, che ha incassato la lezione e che ha imparato a cavalcarla alla grande. In un’occasione.

Ma ricorderò anche come una volta durante un centro d’ascolto una persona abbia raccontato di un abuso subito da piccolissima. In quel caso, l’empatia generale è stata palpabile: ci siamo stretti tutti in un abbraccio collettivo che voleva dire molto.

Le confessioni possono dunque essere di vario tipo ma della regola fondamentale del centro d’ascolto tutti possono stare certe: quello che si dice al centro d’ascolto rimane al centro d’ascolto. Da quando va avanti dal 2018, nessuno ha mai tradito la regola, nemmeno coloro che rimangono in ascolto e non si espongono: si creano connessioni reali che niente hanno a che vedere con quelle virtuali, nessuno è giudicante… anche perché tutti quanti abbiamo peccato!

Rottocalco Vol. 3: Anteprima esclusiva

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Quello che si cela dietro al Rottocalco è sempre un gran lavoro, che comincia anche molti mesi prima che una canzone venga rilasciata. Al Rottocalco Vol. 3 si è lavorato ad esempio per mesi e mesi.

È vero: c’è dietro un lavoro mastodontico ma bellissimo perché mi so affiancata di persone, tra cui te (questa adesso la devi scrivere, mi dispiace, altrimenti chiedo la registrazione dell’intervista come controprova!), che hanno la capacità non solo di vedere il bello e il brutto di questo e del loro mondo ma anche di descriverlo con una penna incredibile. Sono, siete tutte persone profonde alle quali affido quella che è la mia vita in tutti i sensi!

Il Rottocalco nasce per essere una costola che permette all’ombra narrata in una canzone di essere sviscerata in maniera multi sfaccettata da persone della quali mi fido ciecamente e tra le cui mani nasce qualcosa a cui neanch’io pensavo di arrivare. La potenza del Rottocalco consiste proprio in ciò: dove arrivo fino alla B, altri vedono oltre e arrivano fino alla Z non perché io sia limitata ma perché ognuno porta le proprie esperienze e il proprio sguardo diverso sulla vita. Ho trovato tra i collaboratori al libro delle mogli e dei mariti, persone che hanno sposato la mia causa e l’hanno presa a cuore con estremo impegno. Non c’è un autore che dica qualcosa di simile a un altro, ognuno ha la sua propria unicità difficile da replicare o emulare.

Adoro il genere di lavoro che hai fatto tu con i tuoi scritti ma anche l’approfondimento sociologico e quello letterario così come il fumetto. Siamo arrivati al terzo volume e sono orgogliosa, come dimostrano i messaggi ricevuti, di essere anche stata anche in questo caso d’aiuto a chi, leggendo il Rottocalco o preparandolo, è riuscito a tirar fuori cose su cui non aveva mai riflettuto o lavorato prima. E lo dico senza arroganza o spocchia, non appartengono al mio mondo. Chi lavora per il Rottocalco non sa che nel momento in cui scrive sta facendo una carezza al lettore.

Magari muori, una delle tue principali hit, farà da sigla dal 2 novembre a Questa cassa non è un albergo, il programma di Real Time di cui è protagonista la famiglia Taffo, titolare dell’azienda di funeral service più famosa d’Italia.

Non avrei mai creduto di poter dire un giorno “Sono in una sigla!”. La famiglia Taffo e Riccardo Pirrone, il social media manager dietro la loro comunicazione, sono stati geniali nell’usare l’ironia in un settore che si occupa di un servizio che è tutt’altro che ironico. Ogni volta che penso a loro mi scorrono davanti ricordi bellissimi: Magari muori è nata come gioco ma è diventata una hit virale. Sarò per sempre grata a loro… sono curiosa di vedere com’è stato realizzato il programma ma sono già impazzita nel guardare come hanno realizzato il lip sync!

“Insegnami a metter su famiglia mentre guardi il culo delle amiche di tua figlia” è uno dei versi di Insegnami la vita, il tuo ultimo duetto con Immanuel Casto. Non c’era il culo delle amiche della figlia ma il Blu Estoril di mezzo. Come si fa a essere così in avanti?

Ti rigiro la domanda: ma come si fa nel 2023, ricoprendo un ruolo così importante che rappresenta anche la persona che ti sta accanto, a esprimersi in un determinato modo? Non siamo stati noi avanguardistici: sono certe espressioni a essere da boomer e d’altri tempi. E non è una giustificazione il fatto che sono state colte fuorionda…

Con Immanuel Casto, hai anche condiviso un tour orchestrale che ha ridato nuova vita ad alcune vostre storiche hit. Che ne sarà di quell’esperienza?

Abbiamo registrato tutte le esibizioni, servivano anche a noi per monitorarci. C’è quindi del materiale a disposizione ma dobbiamo capire, non appena entrambi siamo più liberi dagli impegni di questo momento (Immanuel Casto è impegnato nella presentazione sempre al Lucca Comics del suo nuovo party gam, Non si può più dire niente! – Indignazioni perenni, e con il monologo metacomico Non erano battute, in giro per l’Italia dal 22 novembre, ndr), cosa farne. Non ce ne siamo dimenticati ma dobbiamo raccapezzarci per capire come formulare un’eventuale release di quei live.

Live che ha segnato il sold out in ogni teatro in cui è stato portato.

È stato un sogno che si è realizzato. Sentire canzoni come Ringrazia che sono una signora, accompagnata dai violini, è stato qualcosa di speciale: mai avrei pensato di vivere una sensazione simile. Così come vedere il teatro intero urlare Magari muori o Vuoi l’amante è stato incredibile. Se alla me che scriveva le sue canzoni in cameretta e con i bigodini in testa qualcuno l’avesse predetto, l’avrei preso per matto o ubriaco. La mia stranezza ha in un certo senso trovato posto: essere di nicchia ti permette di avere maggiore libertà ma ti permette anche di non essere imposta dall’alto ma scelta da chi in te si riconosce.

E io sono stata scelta senza che le mie canzoni martellassero in tv o alla radio. In quei live, ne ho avuto la prova concreta: mi sono ricongiunta con la mia infanzia di merda, il bullismo e tutto ciò di pesante che la vita mi ha regalato, compresi tutti i no incassati perché avrei dovuto somigliare, secondo i discografici, a qualcun altro… mi sentivo dire che ero troppo pop da chi lavorava nel settore indie e troppo indie da chi lavorava nel pop. Mi sentivo come in A Beautiful Mind: “Mi spiegate che vuol dire? Che ne so io? Io so’ bionda”, rispondevo, sentendomi ancora più stupida di quanto non fossi.

Ma bisogna proprio apporre tutte queste etichette? C’è necessariamente l’esigenza di assomigliare a qualcun altro per dire la propria? Io non ho mai avuto etichette: mi vedete tutta fru fru quando salgo su un palco ma poi sembro mio nonno Elio che faceva il muratore! Il mondo è bello perché è vario, no?

Il legame con chi ti ha scelto è molto forte. Dopo ogni esibizione, ti regali lunghi momenti con chi è venuto a vederti.

È la mia forma di abbraccio verso chi è venuto ad applaudirmi. Per questa ragione, sono anche odiata dai gestori dei locali o degli spazi di tutti Italia: prima di tenere un concerto, chiedo sempre se, a esibizione finita, mi lasciano il tempo di incontrare la gente. “Per quanto tempo?”, solitamente mi chiedono: “Fino a quando vogliono” è la mia risposta. Anche perché gli incontri con il pubblico sono per me fondamentale: si creano anche legami che perdurano nel tempo. Chi vuole solo cantare senza parlare, può sempre farsi un podcast, no?

Sono quelli i momenti in cui raccogli il frutto del tuo lavoro: va bene l’applauso ma io voglio incontrare e conoscere l’essere umano e tutto ciò che comporta. È come quando dopo aver scalato una montagna ci si incontra con i compagni di ventura: ci si riconnette col mondo intero e si trova pace.

E tu hai trovato pace?

Non la troverò mai. Ma il non trovarla mi dà la benzina per continuare ad andare avanti e far tutto così come lo faccio io. La sindrome dell’impostore è ancora viva: ho imparato a conviverci, attutendone i colpi e usandola a mio vantaggio. Se qualcosa non è invalidante, può diventare anche il nostro motore. Il giorno in cui troverò pace temo che non riuscirò più a scrivere una parola perché, in fondo, è dalla mia instabilità da piuma che nasce il desiderio di migliorarmi sempre. Chi si sente completo, difficilmente si evolve.

Romina Falconi.
Romina Falconi.
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