Strana è la parola che Romina Falconi si è sentita dire più spesso da parte di chi pretende di relegare la musica al mondo del perbenismo e delle principesse fatate. Eppure, nella sua carriera di cantautrice, Romina Falconi ha dimostrato di saper guardare con estrema lucidità alla realtà che la circonda. La sua corazza platino, come la chiama lei, le ha permesso di guardare con estrema disinvoltura ai nostri drammi emotivi, con ironia, sagacia e un pizzico di divertimento.
Romina Falconi ha saputo, ad esempio, esorcizzare il concetto stesso di morte realizzando Magari Muori, canzone che ha accompagnato una campagna di marketing virale per una nota ditta di servizi funebri. Ma ha anche dimostrato di essere attenta alle relazioni sentimentali di cui oggi parlano tutti. Dalla dipendenza affettiva ai tradimenti, dalla vendetta ai poliamori, rivelandosi una penna tanto lucida quanto critica.
Un esempio ne è ad esempio Rottocalco, l’ambizioso progetto editoriale che accompagnerà l’uscita di ogni singolo che precede l’album Rottincuore, che uscirà nel 2023. Già dal titolo, si capisce di cosa parleranno i brani di Rottincuore: saranno una galleria di personaggi incattiviti e resi sbagliati, un misto tra rottinc**o e cuori infranti, tutti posizionati in una situazione più o meno comune a tutti. A far da apripista è La suora, singolo che Romina Falconi ha rilasciato lo scorso 18 maggio. Rottocalco, ispirato dalla formula del coffee table book, è da intendersi come la spiegazione ai macrotemi trattati dalla canzone: vendetta, tradimento e di come passare dalla ragione al torto.
Nel primo volume di Rottocalco, oltre alle riflessioni di Romina Falconi, si trovano interventi di collaboratori e professionisti, come l’antropologa Elena Nesti, la psicologa Monia D’Addio, gli autori Tito Faraci e Roberto Casalino, il pubblicitario Riccardo Pirrone e molti altri. Importante spazio viene riservato inoltre al campo illustrativo: Marco Albiero ha realizzato un graphic novel basato sul testo della canzone, mentre altri illustratori, tra cui Wallie, Evviart e Don Alemanno, hanno omaggiato La suora con un loro contributo. E ad avallare ogni argomento non mancano poi estratti di grande letteratura, da Verga a Shakespeare.
Amatissima dalla comunità lgbtqia+, Romina Falconi sarà tra gli artisti che si esibiranno durante la serata finale del Pride Milano ma è anche l’artefice di Le dive con qualcosa in più, il primo brano inedito delle Karma B. Da capricorno, è anche fortemente empatica, come potrete capire leggendo quest’intervista, in cui si è aperta come non mai, lasciando trasparire quanta intensità si nasconda dietro a quello sguardo velato sempre di malinconica tenerezza.
Intervista esclusiva a Romina Falconi
È appena uscito Rottocalco, il primo di una serie di libri con cui approfondisci le canzoni che compongono il tuo nuovo album in uscita nel 2023. Il primo Rottocalco è dedicato al tradimento e alla vendetta, i temi che affronti nel brano La suora. A chiunque pensasse di avere di fronte un progetto superficiale, diciamo subito che Rottocalco è qualcosa di molto più struttura, che contiene al suo interno pensieri, esperienze, psicologia e letteratura. Hai in pratica fatto quello che con una parola sola potremmo definire “lavoraccio”.
Ho studiato come una matta. E poi mi sono fatta redarguire dai miei amici psicologici. Sono una nerd e mi piace condividere le mie letture, anche tecniche. Quando scrivi di certi argomenti, non puoi farlo alla leggera: ho voluto insistere su un sacco di robe. Rottocalco era la mia tesina!
Una tesi bella e buona, altro che tesina! Conoscendo la tua bella irruenza, me lo aspettavo meno impegnato. Se servono più di 135 pagine per presentare una sola canzone, non oso immaginare cosa ci sia nella tua testa.
Tutto nasce da qualcosa che ultimamente sto notando nel mondo della musica. Una volta, le canzoni, se escludiamo i tormentoni, avevano una stagione di vita. Oggi, invece, dopo il lockdown sembra che abbiano aperto le gabbie: c’è un modo di accedere alla musica che è oramai scontato. I fruitori di musica adesso sono come i fruitori di PornHub: approcciano alla musica come se fosse gratis. Chi si iscrive a Spotify non lo fa per un artista in particolare: si apre la piattaforma e si ascolta quello che c’è, senza avere particolari attaccamenti a un artista o all’altro.
Io mi reputo molto fortunata. Facendo parte di una certa nicchia musicale, ho sostenitori e fan che mi seguono perché mi hanno scelta: non sono una di quegli artisti che radio o televisione bombardano in continuazione. Chi mi ha scelto, lo ha fatto per i miei difetti, per la mia semplicità: questa è una gran figata! Volevo allora creare una sorta di collegamento tra me e i miei fans, regalando loro una galleria di peccatori nelle nuove canzoni e spiegando cosa si nascondesse dietro quei personaggi che hanno torto ma che in quel momento hanno ragione ad aver torto. Gente che deve risolvere dei problemi.
Viviamo in un periodo segnato dalle wokeness: tutti quanti ci tengono a far vedere che sono superiori, che sono nel giusto, che possono essere da buon esempio. E però le cagate le facciamo lo stesso tutti! Scusate se son volgare. Il 99% delle volte in cui mi sveglio al mattino sento che è tutto da rifare e, quindi, non mi sento tanto nel giusto: ho trovato allora estremamente attraente prendere il pop e scriverci sopra delle cose anche scorrette perché fanno parte dell’animo umano.
Quando ho finito di scrivere le canzoni che faranno parte di Rottincuore, ho voluto fare tutto al contrario. Solitamente, esce un disco e lo promuovi. Ma viviamo in un’epoca in cui la notizia di un nuovo disco è tanto se dura dodici ore: ho deciso quindi che uscissero prima tutte le canzoni. Il disco sarà solo la chiusura del cerchio. E la prima canzone che ho rilasciato è La suora, che parla di tradimento e di vendetta ma in maniera leggera: è come una persona che si ubriaca e fa una scenata isterica.
Suor Cornina, merita tutta la mia ammirazione. Non ci sarei arrivato neanch’io a chiamarla così.
La prossima invece parlerà della sindrome dell’impostore, del fatto che stiamo imparando tutti a indossare una maschera e a mostrar di star bene anche quando dentro sei crepato. Qualcosa che negli ultimi tempi tutti tendiamo a mettere in atto. Me ne accorgo dai social, che sono lo specchio della nostra realtà: tutti quanti cerchiamo di essere migliori e ci esponiamo come se dovessimo continuamente affrontare un colloquio di lavoro. Hai presente quando dici di saper parlare bene l’inglese e invece poi conosci a malapena la lingua?
È un argomento che mi tocca molto da vicino e la canzone uscirà tra fine ottobre e inizio novembre. Dobbiamo ancora decidere la data: sto scrivendo il Rottocalco dedicato al brano e mi sta levando la vita! Ogni Rottocalco, per ritornare al suo perché, spiega l’ombra psicologica che sta dietro alle canzoni. Le canzoni solitamente durano tre minuti, tre minuti e mezzo. E per renderle speciali ho voluto che fossero accompagnate da qualcosa che nessuno potesse portarmi via, che non assomigliasse a nient’altro in circolazione, che non fosse un romanzo, incentrata su quell’ombra che canto. Sono un’appassionata di Roland Barthes: non potendo toccare le sue vette (lo considero come un dio), ho deciso di fare Barthes mischiandolo con Tata Francesca e zia Yetta. Era il mio sogno più grande in assoluto!
A me piace tantissimo studiare, anche se poi salgo su un palco come Madonna del Petrolio: è la mia armatura. Faccio un po’ di selezione alla porta: se qualcuno dà per scontato delle cose solo guardandomi, è meglio che non mi segua proprio. Volevo quindi mettere insieme questi due aspetti della mia personalità: noi tutti come esseri umani non siamo sempre di prima lettura. Io ho una parte mega cervellotica, sono molto analitica anche se non sembra, ma sono cresciuta a Tor Pignattara, con la risposta sempre pronta e cruda.
In Rottocalco ho dunque voluto unire le viscere con ciò che mi è piaciuto studiare e analizzare. Qual è la cosa più importante della vita, soprattutto di questi tempi, se non imparare più cose possibili? Ecco perché ne è venuto fuori un bel malloppo… Il progetto iniziale doveva essere di cinquanta pagine circa ma non riuscivo a smettere di scrivere. Ho voluto dentro il manga, l’approccio scientifico, i racconti dei miei amici scrittori, gli apporti delle mie amiche antropologhe e psicologhe… Mi piaceva l’idea della coralità e mai avrei voluto farne un romanzo.
Ho voluto punti di vista anche diversi dal mio e, come si capisce già dal primo numero, ogni argomento esula dai luoghi comuni. Parlando di tradimento, ad esempio, non ho voluto che si mostrasse il traditore per forza come lo stronzo della situazione, anche se è chiaro che lo è nel momento in cui tradisce. Il tradimento è qualcosa che, piaccia o non piaccia, può accadere nella vita per tutta una serie di ragioni.
Rottocalco permette anche di scoprire anche aspetti inediti della tua biografia. Mi son divertito nel leggerti e nell’immaginarti come “investigatrice”.
Ho lavorato come investigatrice subito dopo essermi trasferita a Milano. Una multinazionale mi aveva pagato un disco intero da zero, facendomi firmare un contratto in esclusiva. Con il cambio del presidente, sono rimasta parcheggiata in panchina: pensavo che, pagandomi, il disco si sarebbe prima o poi fatto e, invece, mi sbagliavo, ero un pelino ingenua sul funzionamento di certi meccanismi. Milano, si sa, è una città che costa parecchio e che non ti agevola in nulla. In qualche modo, con il passare del tempo, avevo bisogno di sostentarmi. Non potevo cantare dove mi pareva e non potevo cercarmi nemmeno un lavoro interinale: mi serviva qualcosa in cui sarei stata pagata a ore.
Nel mondo dell’investigazione, le donne vengono ricercate come il pane. E sono stata assunta da un’agenzia di investigazioni private. Dopo un corso di addestramento retribuito, ho cominciato a lavorare. Lo scopo era sempre quello di smascherare le corna… ma non per questioni romantiche, come pensavo io, ma per raccogliere prove da portare in tribunale davanti a un giudice. La maggior parte dei clienti erano uomini: del resto, si sa che le donne sono già di suo un po’ investigatrici.
È stato un periodo molto importante per me, ho imparato a non dare nulla per scontato. Ho capito ad esempio che tradire è in realtà una scappatoia per altri problemi. Così come ho capito che il tradimento è sempre premeditato: non è che uomini o donne ti cadano dal cielo senza che tu ne renda conto.
L’ultima parte di Rottocalco è dedicata al passaggio dalla ragione al torto, quello in cui si mette in atto il vero tradimento nei confronti di noi stessi. Quel tipo di tradimento che ti spinge alla riflessione e all’autoanalisi. Quand’è l’ultima volta che ti sei tradita?
Non è accaduto molto tempo fa. Oltre a scrivere canzoni, mi occupo anche di marketing. Sono stata chiamata da una realtà molto più famosa di me per il lancio di un prodotto. E mi sono sentita un po’ come se mi fossi svenduta. Ero felice all’idea di lavorare e portare la mia creatività al servizio di altri ma ho dovuto confrontarmi con gente che diceva solo a parole di voler cambiare. Ho tirato fuori un bel po’ di idee per robe che sinceramente non lo meritavano.
Con Immanuel Casto (che è diventato un po’ il mio Albano!), Stefano Maggior e Jacopo Levantici, amici da una vita, abbiamo dato vita alla Freak&Chic non solo perché ad esempio io e Immanuel eravamo artisti difficili da “maneggiare”. Lo abbiamo fatto per puntare sulla factory creativa, qualcosa in cui credevo molto. Però, mi rendo conto che bisogna anche trovare gente che ha veramente voglia di buttarsi.
Quell’esperienza mi ha fatto capire che non sempre vale la pena cimentarsi in progetti degli altri. Mi spingeva più che altro la sindrome di Calimero. Quando la tua canzone che ha riscosso più successo si chiama Magari muori, un po’ ti senti fuori dai percorsi regolari. Non sempre tutti hanno capito cosa ci fosse dietro alla mia stranezza, alle mie particolarità, ai miei “difetti”. Ho impiegato tempo a capire che avrei invece dovuto farne un vanto: è ciò che mi caratterizza dal resto del mondo.
Ma tu oggi sei consapevole di essere unica?
Ecco, adesso ti do 200 euro per questa cosa che hai detto (ride, ndr). Non me lo dico e non me lo voglio dire. Però, ho realizzato che le cose che pensavo mi avessero distrutta sono andate meglio di altre che ritenevo adatte. Tant’è che un giorno mi sono svegliata e mi son detta: “Ma sai che c’è? Io son così, cazzo!”. Mi ci è voluto un percorso lunghissimo e faticosissimo, anche di terapia, per arrivarci.
Sei una persona molto empatica, mi sembra di capire.
Per me è così: o è amore subito o niente. Spesso Immanuel, soprattutto nei firmacopie che stiamo portando in giro in tutta Italia, mi prende in giro. L’empatia è qualcosa con cui ho imparato a relazionarmi sin da piccola: sono cresciuta a Tor Pignattara e dovevo capire se uno potesse tirare fuori una pistola da un momento all’altro. Se ho un grande dono, è quello di capire subito che aria tira. Sembrerò arrogante ma giuro che lo devo a una questione di sopravvivenza. Grazie all’empatia, ho schivato un po’ di “proiettili” da adulta. Tutte le volte che non mi sono fidata del mio istinto, l’ho pagata cara!
Rottocalco si chiude con lo Psicoroscopo. Che non è un oroscopo particolare, specifichiamolo subito. Il sottotitolo recita “trova il tuo mostro”. Tu hai trovato il tuo?
Io ho cercato di far crescere bene, modestamente, i miei mostri. Non puoi evitare certe cose, devi accettarle e cercare di migliorare, per migliorare anche la vita delle persone che ti stanno intorno. Tendo a essere istrionica. Da piccolina, ho maturato come qualcosa di sbagliato l’essere me stessa al 100%: ecco perché tendo a nascondere certi miei lati. Credo abbia origine là la sindrome dell’impostore. Sono andata avanti con la paura che la vera me non sarebbe mai piaciuta. I mostri ce li abbiamo tutti: basta solo farci pace e conviverci. Io riesco a raccontarli attraverso le canzoni.
Una delle cose che ultimamente mi ha dato grande soddisfazione sono i commenti della gente che viene ai miei concerti: “Romina, puoi farci vedere anche il peggio di te ma non ti giudicheremo mai: sei stata la prima a mostrarsi per quello che è realmente, anche più cruda”. Ed è vero: sono quella che al primo appuntamento elenca tutte le proprie magagne, tutto ciò che verrà dopo verrà preso come un pregio.
Ho avuto modo di vedere un tuo monologo molto divertente per il 9 Muse. Hai mai pensato di fare la stand up comedian?
Quest’inverno partirò con un piccolo tour teatrale, in cui pensavo di unire le canzoni a parti parlate. Ricordo che tremavo mentre facevo il monologo per il 9 Muse: sono abituata a cantare e non a parlare. La reazione della gente è stata più che positiva. E così, come per Rottocalco, ho voglia di ricorrere anche dal vivo a una formula che fosse diversa da quella del normale concerto.
Hai accennato prima al trasferimento a Milano per questioni lavorative. Com’è stato per te passare da Roma a Milano?
All’inizio è stato un piccolo dramma. Quando stai bene in una città, senti di appartenervi sempre. La mia famiglia era rimasta a Roma ed è tutta lì. Se fossi rimasta anch’io, però, sarei di morta di fame. Il centro della musica non è al sud e di conseguenza ho dovuto scegliere Milano, dove poi ho creato la mia realtà indipendente. Milano mi ha poi adottata a tutti gli effetti e sono felice, anche se adesso sto per trasferirmi vicino a Varese. Ho preso una casa un po’ più grande dove posso continuare la mia vita da nerd: a parte quando sono in giro, mi piace lavorare da casa e adoravo l’idea di avere qualcosa con molto più spazio a disposizione. Gli affitti a Milano sono un vero problema: magari trovi dei buchi veri e propri a costi esagerati!
Roma è comunque la città con cui ritorno sempre con grandissima gioia.
Al di là degli affetti, Roma è la città che per tutta una serie di cose ti ha portata a cantare per la prima volta in pubblico all’età di 12 anni. Eri una bambina, eppure già lavoravi.
Esatto, per tutta una serie di sfighe familiari. I miei genitori si sono separati e non lo hanno fatto amorevolmente: sembrava La guerra dei Roses! A un certo punto, quindi, mamma faceva tre lavori per mantenere noi figli rimasti con lei. Uno dei lavori era quello di cameriera nel ristorante di un amico di famiglia. Ho cominciato lì a cantare e a fare le mie prime serate di piano bar. E a imparare un mestiere: quando fai pianobar, devi cantare anche le cose che non ti piacciono, quelle che non senti nelle tue corde. Tuttavia, mi piaceva da impazzire l’idea di cantare un repertorio da adulta: mi sentivo molto fiera. Da quel momento non ho più smesso di cantare, è diventato la mia vita farlo. Ero felice e vivevo tutto con grande gioia.
Ti ricordi ancora la prima canzone che hai cantato?
Ricordo che mettevo su compulsivamente la colonna sonora di The Bodyguard e cantavo I Will Always Love You di Whitney Houston con una teatralità incredibile. E poi mi piaceva tantissimo Riccardo Cocciante: amavo le sue performance e quelle sue prove quasi sofferte. Ricordo che quando mi proponevano repertori da piccola, quasi mi offendevo. Non so come dire, volevo essere adulta e cantare da adulta.
Del resto, la voce ti ha sempre accompagnata. Se c’è una cosa di cui puoi andare fiera è l’estensione vocale, paurosa, che ti ritrovi. Puoi permetterti di cantare Whitney Houston senza temere confronti.
Ma è bellissimo che l’hai notato. Non è così scontato farlo.
Lo dimostri anche in Insegnami la vita, il pezzo con cui duetti con Immanuel Casto nel suo nuovo disco, Malcostume. Hai scritto parte del testo e sei stata quasi premonitrice: il “gestiscimi la f**a” è arrivato nel momento in cui il Vaticano è tornato a ribadire il no ai rapporti sessuali prima del matrimonio.
Questa cosa mi sconvolge. Così come mi sconvolge la decisione della Corte Suprema americana sull’aborto. È ancora peggio della caccia alle streghe: in quel caso, ci si poteva salvare fingendo di non esserlo. La situazione ora è ancora più subdola perché c’è chi cavalca un’onda pericolosa che è figlia anche di tutto l’odio che imperversa sui social.
Ancora una volta, sono stati gli uomini a decidere per le donne, basti vedere la composizione della stessa Corte Suprema. È come se io domani pretendessi di decidere qualcosa sulla prostatite, sull’eiaculazione maschile o sull’erezione: certo, potrei informarmi ma si tratta di questioni che non potrei mai conoscere a fondo. Continuiamo a vedere gente che si esprime su cose che non dovrà mai vivere direttamente. Tutto ciò mi sconvolge: stiamo davvero tornando ai tempi di The Handmaid’s Tale. È inquietante. È inquietante che gli esseri umani non siano liberi.
Sono sconvolta che in America si gestisca l’utero e non si pensi alle armi. Penso all’immagine che lasciamo alle nuove generazioni: puoi sparare e ammazzare liberamente ma non puoi decidere che cosa fare di quello che accade dentro di te. È un ritorno al maschilismo imperante e alla creazione di dislivelli più pesanti di quelli che già viviamo.
Mi auguro che a qualcun altro nel mondo non venga la stessa idea.
Giù è difficile in Italia per una ragazza informarsi. C’è un grosso problema in merito. Se una giovane desidera informazioni sull’aborto e non vuole parlarne in famiglia, si affida alle strutture. Ma non sempre nelle strutture sanitarie si trova chi è favorevole. Non sono stati pochi i casi incredibili e allucinanti, anche accaduti di recente. E lo sappiamo come il panico possa farla da padrone.
Mi auguro che si metta davvero in atto una riforma scolastica per cui sia possibile parlare di certi temi, tra cui anche l’aborto. Non è possibile che sia ancora gente che si scandalizza per il cosiddetto “gender” o per il ddl Zan, scambiando fischi per fiaschi in nome del populismo. Siamo ancora fermi a chiederci quale bagno debba utilizzare una persona transgender.
Non ci siamo evoluti così tanto, nonostante i social. Siamo diventati la generazione dei memi, che odia le etichette ma che etichetta tutto, diamo un nome a ogni cosa. Io ho scoperto recentemente da una mia amica sessuologa, ad esempio, di essere demisessuale: ho attrazione sessuale per persone con cui ho un forte legame emotivo senza necessariamente esserne innamorata. Io so come sono fatta ma non credevo che ci fosse un nome anche per questa cosa!
Ci sono molte divulgazioni stupende in giro ma non capisco come mai spesso non vadano a segno. Dipenderà dalla testa delle persone: se non reputano una cosa importante perché magari non fa parte della loro vita, non hanno voglia di approfondire. Una volta, l’ignoranza era qualcosa che ti capitava e di cui non avevi colpa, era una tragedia. Adesso, invece, è quasi una scelta. Ma come si fa a non porsi domande? Siamo la prima generazione che vive peggio della precedente, eppure nessuno si fa domande.
Sei quindi demisessuale. Ma hai una certa propensione per gli stronzi. Com’è che te li ritrovi tutti tu?
Ho passato una vita a dire: “Madonna, me li cerco così” … In realtà, anche per me è arrivato un momento in cui la questione andava affrontata seriamente. Chi ha la dipendenza affettiva non si accorge di averla ma, purtroppo, è un problema molto serio. Volenti o nolenti, la dipendenza affettiva ci contamina e ha a che fare con le proprie radici.
Se tu hai associato, in un periodo fondamentale della tua vita come quello in cui da piccoli si forma il tuo carattere, l’amore al sacrificio e al doversi sudare ogni cosa, passerai tutto il resto della tua vita a doversi fare il mazzo più di una persona che, paradossalmente, è stata più fortunata. Il problema, però, è che, anche se stai dentro alla famiglia del Mulino Bianco, la società è malata. Soggetti sani non ne vedo, mi sembrerebbero strani.
Sicuramente, ho passato molto tempo a dirmi, dopo la terza convivenza finita veramente male, che non poteva essere sempre colpa degli altri. Guardandomi allo specchio, mi son detta che potevo essere stata io ad essermeli cercati. Ho dunque fatto mea culpa: il mea culpa non è sempre negativo, eh. Me li son cercati di quarta lettura, difficili, perché dentro di me non volevo essere io l’anello debole della storia. Come può essere che associato tutta la vita l’amore come a una cosa difficile: per me, poteva arrivare il principe sul cavallo bianco ma lo vedevo come un signore della droga! Era più familiare il codice “difficile” che quello “regolare”.
Ognuno di noi ha un “copione” della sua vita: ti ricapitano delle cose perché sembrano più familiari, anche se poi sono sbagliate. Dovremmo prendere ‘sto copione e stracciarlo: si fa con la terapia e mettendo veramente le mani nel fango della tua vita. Le lezioni più importanti che impariamo sono quelle che non avremmo mai voluto imparare: non arrivano con carità e leggerezza.
Da qui la decisione di presentarmi ai primi appuntamenti come una iena, mostrando i lati peggiori di me, ridendoci anche su. Mi rendo conto che l’altro rimane spiazzato, non si aspetta mai tanta sincerità. Vado un po’ contro quello che hanno contribuito a creare le app di dating, da Tinder a Grindr, dove tutto è un po’ una farsa. Sui profili o agli incontri, ti presenti come vorresti essere nella vita e non come sei.
Ecco perché la società da narcisistica sta diventando istrionica: ci si adatta alle maschere che man mano ci si costruisce per bene. Viene fuori anche dai social: sono tutti perfetti, superiori, giusti, eppure ci sono le guerre, i tradimenti… Penso sempre a come si possa sentire un adolescente che, svegliandosi in un giorno no, si vede circondato da gente così “brava”: diventa un po’ coglione di fronte a ciò che è tutto una maschera.
A proposito di social, quanto ti ha sorpreso l’endorsement di Tiziano Ferro?
Quel giorno mi sono sentita male. Ricordo che ero a Roma per promozione. Ero stata impegnata tutto il giorno quando la sera, a casa di mia madre, mi ha chiamato un amico per dirmi che Tiziano aveva fatto una storia su di me. Ho pensato inizialmente a uno scherzo, a una pagina fan o a un fake. Ho allora controllato e ho visto la spunta blu… quando ho realizzato che era veramente lui, m’è preso un colpo, mi sono sentita male. S’è accorta anche mia madre che sono diventata paonazza in volto. Gli ho subito scritto per ringraziarlo, mi ha risposto con dei messaggi molto belli. È stato per me come un regalo inaspettato.
Hai appena citato tua madre. Che rapporto hai con lei?
È tutto per me. Ho avuto la sfortuna di far parte di una famiglia un po’ disgraziata: quando due si separano e si fanno la guerra non è il massimo. Mentre con mio padre sono stati più gli anni con cui ho litigato che quelli in cui siamo andati d’amore e d’accordo, mia madre è come una sorella, la mia migliore amica. Forse è sbagliato dire così ma chissenefrega! È vero che è bello rispettare i ruoli di madre e figlia ma io sono cresciuta in simbiosi con lei: non dimenticherò mai il periodo in cui abbiamo lavorato insieme al ristorante. È strana da vivere come situazione… mia madre è quella che, quando non avevamo davvero nemmeno gli occhi per piangere, attaccava a urlare le canzoni in macchina con lo scopo di farci ridere.
Il mio senso dell’umorismo, molto black, lo devo a lei: è sempre stata la mia complice perfetta, è la persona con cui ho sempre potuto parlare di tutto. E menomale… se ripenso a tutto quello che ho vissuto nella mia vita, se non avessi avuto lei sarebbe stata veramente molto, molto, molto dura andare avanti.
Dietro la facciata forte, nascondi tantissima fragilità. Qual è stata la critica che ti ha ferito maggiormente in questi anni?
Non è che le critiche non mi tocchino: a me arrivano delle coltellate! Non mi vergogno nel dire che mi feriscono, soprattutto se sono gratuite. Una che mi ha toccata particolarmente è legata a Magari muori.
I primi commenti che ho letto su YouTube mi hanno fatto star male: qualcuno scriveva che “questa qui porta male” … da fan accanita di Mia Martini, so quanto un’affermazione del genere possa far male a una persona. Ho d’istinto risposto che, qualora si fosse detto un giorno qualcosa del genere sul mio conto, gli avrei lanciato per davvero una maledizione. Di nessun essere umano si dovrebbe mai dire una frase del genere.
Oppure, qualche altro leone da tastiera si permetteva di scrivere che avrei dovuto vivere la morte ogni giorno per capire cosa si prova. Ecco, forse non sanno che purtroppo ho avuto un’intera famiglia decimata dalla morte. È qualcosa che conosco molto bene: ho perso qualcuno di molto caro in un incidente stradale e ho avuto amici e parenti che hanno sofferto di malattie molte lunghe. Avevo scritto Magari muori apposta, sono cresciuta con il senso della morte che mi ha segnato l’esistenza. Quando si subisce un lutto da piccoli, continuerà a trivellarti il cervello finché campi.
Sono consapevole che da molti addetti ai lavori sono considerata troppo strana. Oggi, se vuoi far musica pop, sembra quasi che il cantante debba soccombere la propria biografia. Gli addetti ai lavori si aspettano che i cantanti siano come Miss Italia, tutti con il sogno della pace nel mondo. Io invece sono strana perché ho voluto usare un gergo un po’ particolare, che forse è il mio marchio di fabbrica. Grazie a quello, ciò che fino a qualche anno fa era solo un sogno adesso è fattibile.
Quindi, la mia stranezza in qualche modo funziona: quello che mi ha dato più concretezza sono state quelle cose che, se passate sotto la lente del giudizio altrui, non sarebbero mai emerse. Prima che alla pace nel mondo, ho voluto pensare alla guerra che ho dentro. L’immagine della ragazza della porta accanto, perfettina, per cui ti devi amare non mi è mai appartenuta: perché mi devo amare? Le più grandi rivoluzioni della mia vita sono nate nei periodi in cui non mi amavo manco per niente! Ho imparato ad amarmi proprio soffrendo. ‘Sta cosa per cui uno deve accettarsi in tutti i momenti della propria vita non è mica scontata.
Mi fa paura quest’aspetto legato a un certo conformismo. Sottintende un po’ alla censura. È normale che un cantautore subisca la sua biografia: certe cose è meglio non dirle, non ti passano in radio… sembra invece che sia più importante il percepito di quello che sei realmente, della tua unicità. Io negli anni mi sono innamorata di tutti quei personaggi che non erano imitabili. Io ancora mi struggo con i film di Mario Monicelli, Lina Wertmuller o Massimo Troisi: hanno fatto della loro particolarità un’arma.
Con tutta quest’ondata di perbenismo, come fai? Se volessi trasformare in musica il “bottana industriale” della Wertmuller sarebbe un flagello. In tanti, ad esempio, mi hanno detto che La suora era un po’ troppo. Ma che ho cantato di sconvolgente? È tutto un gioco di parole. Non mi sono inventata niente. Negli anni Ottanta c’erano i film di Pierino con le suore finte e il cappello ad aeroplanino: avevo persino paura di essere banale nel creare un personaggio già visto nell’immaginario comune. Il politicamente corretto che si subisce nella musica è qualcosa che mi spaventa: si rischia che non si possano più raccontare storie.
E di storie tu ne racconti tante. Sei l’autrice anche di Le dive con qualcosa in più, la prima canzone delle Karma B.
È una canzone che mi ha fatto impazzire. Le amo alla follia. Non tutte le drag queen cantano bene: loro cantano invece da dio, una caratteristica che è un valore aggiunto e che non è per nulla scontata. Hanno uno storico incredibile alle spalle e un’umiltà pazzesca: è proprio vero che i più grandi sono sempre i più umili. Quando si è deciso di far cantare loro un inedito, mi sono ritrovata davanti una delle prove più difficili per me come autrice.
Scrivere per qualcuno che canta per la prima volta un inedito, significa firmare quello che diventerà un po’ il suo brano bandiera. Le Karma B hanno poi un pubblico trasversale: non potevo quindi usare troppo slang perché l’avrebbe capito solo la comunità lgbtqia+. Serviva qualcosa che fosse universale ma non didascalico. Ho sudato parecchio per evitare un linguaggio che risultasse poi stucchevole. Quando scrivi per qualcun altro devi poi entrare nel loro mondo e uscire dalla tua comfort zone. Le ho allora coinvolte nella scrittura e ho preteso che ci fosse anche un parlato nella canzone, memore delle situazioni teatrali molto fighe da cui provengono. Una canzone, del resto, è come un vestito che devi indossare: io ho fatto da sarta per un abito che portano in maniera stupenda.
Ti sblocco ora un ricordo. Tu hai partecipato a Sanremo nel 2007 con il brano Ama.
Sanremo è Sanremo. Sono una fan girl del Festival da sempre. Da piccola, dicevo alla maestra che volevo fare il Freddy Mercury come se fosse il pompiere: trovavo incredibile il suo personaggio. Avrò avuto quattro anni, ascoltavo e cantavo le sue canzoni compulsivamente. Qualche anno dopo, ero sempre piccolissima, ho visto invece Giorgio Faletti cantare Signor Tenente e ho capito allora che si potessero scrivere anche canzoni di un certo tipo, con argomenti anche forti al suo interno: mi era arrivato come un pugno allo stomaco. La cantava al festival di Sanremo e da quel momento sono diventata una drogata totale del festival. Per farti capire come lo vivevo: ero un po’ come Fantozzi davanti alle partite della Nazionale, frittata, birra e rutto libero!
Mi hanno presa a Sanremo dopo cinque anni in cui ci provavo. Ero comunque ancora una bambina ma venivo già dal mondo dei matrimoni e del piano bar. Mi sono ritrovata da un giorno all’altro in un contesto super professional: capivo per la prima volta che potevo cantare anche fuori Roma e fuori da quell’universo a cui ero abituata. È stato bellissimo… tuttora guardo Sanremo ma non perché è tornato di moda: non ho mai smesso di seguirlo. Se ci pensiamo, è l’unica grande vetrina musicale che abbiamo in Italia e che esiste da più di settant’anni. Ho visto cantanti di serie A tremare dietro le quinte per l’emozione: è incredibile la magia di quel palco. Spero di avere prima o poi nella mia vita la possibilità di tornarci.
Magari con il nuovo progetto che stai preparando, Rottincuore.
Ho un paio di canzoni completamente diverse che potrebbero andare bene. Mi piacerebbe tantissimo riprovarci, soprattutto ora che Amadeus ha aperto le porte a nomi che vengono considerati di nicchia. Ha coinvolto tutti i colori della musica e abbracciato tutte le realtà.
Visto che funzionano tanto i featuring, con chi ti piacerebbe andarci?
Beh, gioco in casa: con Immanuel, potremmo riscrivere la storia del buonsenso: mi piacerebbe tantissimo. E poi ho un sogno che spero prima o poi di concretizzare: cantare con Roberto Casalino. Ha scritto delle cose immortali ed è una persona bellissima a livello umano. Io lo chiamo Sua Casalinità: è bravo come autore ma è altrettanto bravo come performer.
E se invece dovessi scegliere un nome che ha fatto la storia di Sanremo?
Amo tutte le donne che hanno calcato quel palco. Ho adorato lo scorso anno Rettore. Ti direi Loredana Berté: per lei sarei capace di incatenarmi anche sotto casa sua! È veramente una regina. Mi piacerebbe però andarci sempre con qualcosa che mi rappresenti e non con una roba più istituzionale, come invece ho visto fare ad altri. Lo troverei altrimenti incoerente.