Nel cuore pulsante del 42° Torino Film Festival, in occasione di un evento che celebra il 30° anniversario di una carriera straordinaria partita con il film Kids di Larry Clark, Rosario Dawson si apre durante a un’esclusiva round table con la stampa italiana a un dialogo ricco di spunti, che intreccia arte, vita personale e un profondo impegno sociale. «Essere qui, a Torino, in questa occasione speciale, è davvero emozionante. Torino rappresenta per me una sorta di cuore pulsante del cinema, un luogo che incarna tutto ciò che amo di questa industria».
«Quando pensiamo al cinema, ci immaginiamo l’arte nella sua forma più pura, una narrazione profonda e significativa. A volte, il cinema di Hollywood si focalizza più sull’intrattenimento: azione, pop e divertimento. Non c’è nulla di male in questo, ovviamente, ma qui è diverso. Torino rappresenta la tradizione, la passione, quel tipo di storytelling che ti lascia qualcosa dentro, che ti cambia. In più, essere qui per celebrare il 30° anniversario di Kids è un momento di riflessione su quanto il cinema sia stato importante per me e su come abbia influenzato la mia carriera e la mia vita.», esordisce Rosario Dawson.
Questa concezione del cinema come strumento di trasformazione accompagna tutta la sua carriera. Attraverso ruoli in film memorabili e collaborazioni con grandi registi, Rosario Dawson ha esplorato personaggi complessi e umani, ma ha anche portato avanti battaglie importanti, utilizzando la sua fama per sensibilizzare su temi fondamentali, come certifica anche Time includendola tra le Time100 Climate 2024.
Tra cinema e vita, tra arte e impegno sociale, quella di Rosario Dawson è una voce che non solo racconta, ma agisce. Il Torino Film Festival per lei non è solo una celebrazione del passato, ma un promemoria del potere del cinema e dell’importanza di continuare a lottare per un futuro migliore. Un futuro in cui, come dice lei, «non ci solleviamo da soli, ma insieme, perché è solo uniti che possiamo davvero cambiare le cose».
Cinema e impegno sociale: due facce della stessa medaglia
La connessione tra cinema e società emerge chiaramente nel racconto che Rosario Dawson fa delle riprese di Sette Anime, film che affronta temi di redenzione e solidarietà. «Lavorare su questo film è stato un viaggio intenso, non solo per la storia, ma anche per l’energia che si respirava sul set. Il regista, Gabriele Muccino, è una persona incredibilmente appassionata, e vederlo interagire con l’energia di Will Smith era affascinante».
«Ricordo momenti surreali, come quando Gabriele, con un megafono perché su una collina si trovava distante da noi, chiese a Will di comportarsi ‘come un neonato nudo e vulnerabile’. Fu un momento esilarante: Will era confuso e io cercavo di tradurre ma eravamo così divertiti che non riuscivamo a rimanere seri. È stato un momento dolce e surreale, che mi ha insegnato quanto il cinema sia fatto anche di queste piccole follie che uniscono un cast».
Una missione per il futuro: ambiente, connessione, cambiamento
La visione di Rosario Dawson si allarga ben oltre lo schermo. Attraverso la sua fondazione, Rio Dawn Foundation, si dedica a progetti di sostenibilità ambientale, moda etica e agricoltura rigenerativa. «La mia fondazione è un aspetto della mia vita di cui sono profondamente orgogliosa. Mi occupo di molte iniziative legate alla sostenibilità, alla moda etica e all’agricoltura rigenerativa. Ad esempio, ho prodotto un documentario sul suolo rigenerativo, in cui esploriamo come possiamo guarire la terra e ripristinare il nostro legame con la natura. Questo progetto mi sta molto a cuore perché spesso le comunità più colpite dai disastri ambientali sono anche quelle che ricevono meno attenzione».
«Sono cresciuta a New York, una città dove la natura non è immediatamente accessibile. Tuttavia, da bambina, andavo spesso in campeggio, esploravo, e questo mi ha insegnato il valore della connessione con l’ambiente. Credo che sia criminale come, negli anni, siamo stati alienati dalla natura. La percepiamo come qualcosa di “esterno” a noi, quando invece ne siamo parte integrante. Attraverso il lavoro della fondazione, cerchiamo di sensibilizzare le persone sull'importanza di un rapporto più consapevole con l’ambiente, sia attraverso la moda sostenibile che con iniziative locali come gli orti comunitari. È un impegno che mi riempie di speranza, specialmente per le generazioni future».
A dimostrazione che la sostenibilità non è solo una parola, ma un modo di vivere. Che si tratti di moda, di agricoltura o di educazione, tutto parte dal riconoscere il nostro ruolo nel proteggere il pianeta e nel creare un futuro equo per tutti.
Le nuove generazioni: speranza e sfide
Parlando delle nuove generazioni, Rosario Dawson esprime sia preoccupazione che speranza. «Oggi i giovani affrontano un livello di esposizione e pressione senza precedenti, soprattutto a causa dei social media. Spesso mi chiedo se non stiamo perdendo il contatto con le realtà più semplici, come il dialogo con i nostri vicini o il senso di comunità».
«Tuttavia, vedo nei giovani una forza straordinaria: non tollerano più l’ingiustizia, non accettano che il loro futuro venga sacrificato per i profitti di pochi. È una generazione impaziente, e questo mi dà speranza».
La sua fiducia nei giovani si riflette anche nel suo impegno a promuovere il cambiamento collettivo. «Il mio sogno più grande è vedere le persone connettersi di più tra loro. Siamo così abituati a pensare di dover fare tutto da soli, di dover “sollevarci con le nostre forze”, ma la verità è che il cambiamento vero avviene solo quando collaboriamo».
«Il 2020 ci ha mostrato quanto siamo capaci di adattarci e cambiare rapidamente. È stato un anno difficile, certo, ma ha dimostrato che il modo in cui le cose sono sempre state non è l’unico possibile. Questo mi dà speranza. Lavoro costantemente per creare connessioni tra persone, comunità, generazioni diverse. Credo che il futuro sia nella collaborazione, nel riconoscere che la diversità è una forza e che insieme possiamo affrontare sfide enormi come il cambiamento climatico».
Un futuro di possibilità
In un’industria spesso ossessionata dalla giovinezza, Rosario Dawson riflette anche sul tema dell’età. «Da quando ho iniziato, mi è stato detto di godermi il momento perché sarebbe finito presto. Ho iniziato a 15 anni e, inizialmente, il mio aspetto e la mia giovinezza, erano una parte importante della mia carriera. Con il tempo, ho dimostrato che c’era molto di più in me, ma è stato un percorso».
«Ora ho 45 anni e non ho mai lavorato tanto come in questo momento. Mi ispiro a donne come Jane Fonda, che continuano a lavorare e a innovare nonostante l’età. Penso che il cinema offra un’opportunità unica: puoi continuare a crescere come artista. Per me, non si tratta solo di recitare, ma di trovare sempre nuovi modi per raccontare storie, anche dietro la macchina da presa o attraverso il mio lavoro nella moda e nel sociale».
Le donne nel cinema: una storia di riscatto continuo
Parlando del ruolo delle donne nel cinema, Rosario Dawson si esprime con passione e frustrazione. «Il cambiamento c’è, ma non è abbastanza. Continuo a ricevere domande su come sia essere una donna nell’industria, e, se da una parte capisco l’importanza del tema, dall’altra mi frustra che siamo ancora qui a parlarne come fosse una novità. Le donne sono state fondamentali sin dagli albori del cinema, ma continuano a essere scritte fuori dalla narrazione storica».
«Pensiamo ad Alice Guy-Blaché: ha realizzato il suo primo film nel 1896 ed era avanti rispetto ai suoi tempi, addirittura anticipando i talkies, i film parlati. Eppure, nonostante il suo contributo straordinario, il suo nome è poco conosciuto rispetto a quello di registi maschi della stessa epoca. Oggi vediamo più donne registe e produttrici, e c’è più spazio per raccontare storie diverse, ma non dovremmo parlare di “progressi” perché le donne sono sempre state lì. Il problema è che ci siamo sempre dovute riconquistare uno spazio che ci spettava di diritto».
HIV, giovani e consapevolezza sociale
Tra i temi sociali che Kids, celebrato al Torino Film Festival, c’è anche quello dell’HIV, ragione per cui Rosario Dawson si è anche espressa sull’impatto che il virus ha sulle nuove generazioni. «Negli anni ’90, l’HIV era una minaccia concreta e spaventosa, qualcosa che obbligava a un confronto serio con la realtà: almeno allora c’era una certa saggezza o adulti a cui appellarsi. Ma oggi le persone sono molto più isolate e le generazioni molto più separate. Questo è uno dei motivi per cui vediamo anche un aumento di suicidi, problemi di salute mentale, bullismo ed emozioni problematiche: i pericoli sono amplificati dai social media e dall’accesso illimitato a contenuti dannosi».
«C'è una disconnessione generazionale enorme: i giovani vivono in un mondo digitale che molti adulti non capiscono. C’è anche una certa mancanza di rispetto per la realtà delle malattie sessualmente trasmissibili (STD). Questa generazione di giovani sembra pensare: ‘Prendi una pillola e tutto va bene’. Non è più percepito come qualcosa di così spaventoso come una volta».
Note su Kids
Il film Kids di Larry Clark del 1995 affronta il tema dell'HIV/AIDS in modo diretto e brutale, rendendolo uno degli elementi centrali della storia.
La trama segue un gruppo di adolescenti di New York immersi in comportamenti distruttivi, tra cui sesso non protetto, uso di droghe e violenza. Il personaggio di Jennie, interpretato da Chloë Sevigny, scopre durante un test che è positiva all'HIV, nonostante abbia avuto rapporti sessuali con una sola persona, Telly, il protagonista. Questo evento diventa il motore narrativo del film, mentre Jennie cerca disperatamente di rintracciare Telly, che ignaro continua ad avere rapporti non protetti con altre ragazze, diffondendo potenzialmente il virus.
Il film usa l'HIV/AIDS come una lente per esplorare temi più ampi come la disinformazione, l'incoscienza e il senso di invulnerabilità tipico dell'adolescenza. La rappresentazione cruda e senza filtri ha reso Kids un film controverso, ma anche un'opera che ha acceso il dibattito sulla salute pubblica e sull'educazione sessuale negli anni '90.
La figura dell’Intimacy Coordinator: una rivoluzione necessaria nel cinema
Uno degli argomenti che emergono durante la conversazione con Rosario Dawson è il ruolo cruciale degli intimacy coordinator, figure professionali introdotte negli ultimi anni sul set per garantire sicurezza e rispetto durante le riprese di scene intime o vulnerabili. L’attrice ricorda episodi della sua carriera che mettono in evidenza quanto fosse necessario un cambiamento.
«Quando ho girato Alexander, c’era una scena particolarmente intensa in cui ero nuda accanto a Colin Farrell. La situazione era delicata: ero giovane, lontana da casa, con una troupe intera alle spalle e una telecamera puntata su di me. Ricordo che, in un momento di incertezza, la mia voce è cambiata e ho sentito il bisogno di fermarmi. Era un meccanismo di autodifesa, un modo per ritrovare il mio equilibrio».
Oggi, osserva, queste situazioni vengono gestite diversamente grazie alla presenza degli intimacy coordinator. «Mi rende felice sapere che le giovani attrici non devono più affrontare da sole momenti come quelli. Finalmente esiste qualcuno che si occupa di proteggere il loro spazio, di garantire che tutto venga fatto nel rispetto della loro dignità e del loro comfort. È un cambiamento che avrei voluto vedere prima, ma che mi dà speranza per il futuro».
Questa figura rappresenta un passo avanti non solo per il rispetto sul set, ma anche per il benessere emotivo degli attori. «Non si tratta solo di proteggere la privacy», ha spiegato Rosario Dawson, “ma di creare un ambiente di lavoro sano e sicuro, dove ogni artista possa sentirsi valorizzato e rispettato. Questo è un segnale che l’industria sta cambiando, che si sta finalmente adattando alle esigenze di chi vi lavora».
Il discorso si collega a un tema più ampio: il cambiamento culturale portato da movimenti come il #MeToo e il Times Up. «Questi movimenti hanno innescato una trasformazione reale. La figura dell’intimacy coordinator è solo un esempio di come, con l’organizzazione e la comunità, possiamo rendere il nostro ambiente più equo e rispettoso. È una piccola grande rivoluzione, ed è una delle cose di cui sono più orgogliosa nell’evoluzione dell’industria cinematografica».
I grandi franchise e i loro messaggi
Rosario Dawson si è anche confrontata con le ragioni che si celano dietro la scelta di lavorare in grandi franchise. «Le storie di Star Wars o della Marvel sono molto più che semplici racconti di fantasia. Parlano di ideali universali, di lotte interiori ed esteriori che rispecchiano la nostra realtà. Consideriamo Star Wars, ad esempio: il rapporto tra mentore e allievo, l’eterna lotta tra il bene e il male, e la consapevolezza che ogni giorno siamo chiamati a scegliere chi vogliamo essere».
«Mi affascina il modo in cui queste storie riflettono su temi così profondi. Anche Star Trek ha sempre immaginato un futuro utopico in cui l’umanità ha superato divisioni come la povertà e la guerra per concentrarsi sull’esplorazione e la conoscenza. Sono storie che non si limitano all’intrattenimento, ma ci ispirano a essere migliori, a riflettere su chi siamo e su cosa possiamo diventare».