Rossano Ferretti, Maestro dell’hairstyling, è il conduttore insieme al global hairstylist Rudy Mostarda dell’edizione italiana di HairStyle – The Talent Show, il nuovo talent show di hairstyling prodotto da Shine Iberia (A Banijay Company). In onda su Real Time dal 16 novembre in prima serata e in streaming su Discovery+, HairStyle – The Talent Show farà parte anche del catalogo di contenuti esclusivi di Rakuten TV, una delle piattaforme di streaming leader in Europa.
Nel programma, un nuovo formato per tutto il mondo, dieci parrucchieri professionisti provenienti da tutta Italia dovranno dimostrare il loro talento, abilità e creatività davanti a Rossano Ferretti (che condurrà il talent show trasmesso nelle sue cinque versioni in Spagna, Messico, Brasile, Stati Uniti e, appunto, Italia). In ciascuna edizione, Rossano Ferretti valuterà il lavoro dei concorrenti accompagnato da un co-presentatore proveniente da ciascuno dei paesi. Non saranno soli: con loro ci saranno tante celebrities che visiteranno il salone dando il loro contributo alla gara con consigli e suggerimenti.
Del talent che mette in palio un premio del valore di 150.000 euro e non solo abbiamo parlato con lo stesso Rossano Ferretti, uno degli hairstylist più famosi al mondo. È la terza generazione di una famiglia di parrucchieri e da Campegine (RE), un piccolo paese di soli 500 abitanti, ha creato un impero globale. Celebre per la sua linea di prodotti per la cura dei capelli 100% Made in Italy e per i suoi prestigiosi saloni frequentati da numerose celebrità, membri di famiglie reali e VIP di tutto il mondo. Alcuni di questi saloni si trovano a Milano, Parigi, New York, Miami, Dubai e Madrid.
Inoltre, Rossano Ferretti è noto in tutto il mondo come il creatore del rivoluzionario Metodo Rossano Ferretti, conosciuto anche come “invisible haircut”. Da decenni Rossano Ferretti sostiene che il taglio di capelli deve essere personalizzato, tenuto conto della loro natura, della loro texture e del loro movimento. In un momento in cui l’uso di una tecnologia skincare legata al mondo dei capelli era una rarità, Rossano Ferretti è stato un pioniere nella ricerca del legame tra skincare e haircare e ha fatto suo il concetto all’avanguardia di “Skinification”. Il Maestro, da decenni ambasciatore globale dell’industria, ha pubblicato libri didattici e ha collaborato con riviste, tra cui Vogue. La prossima sfida di Rossano Ferretti è dunque quella di calarsi nei panni di conduttore e giudice del nuovo talent show per parrucchieri HairStyle - The Talent Show.
Intervista esclusiva a Rossano Ferretti
Come nasce HairStyle – The Talent Show?
Il progetto è nato da una mia idea: ci ho lavorato per tre anni. Dopo essere stato per trent’anni ambasciatore dell’industria a livello mondiale, con saloni aperti in tutti i più bei posti del mondo, mi sembrava corretto e giusto dare visibilità a una professione che ancora non ha voce. Tutti parlano di cibo, di viaggi, di moda, di architettura o di design, ma nessuno parla mai dei parrucchieri: lo hanno fatto soltanto durante l’emergenza CoVid perché mancavamo a tutti.
Mi sembrava che fosse arrivato il momento di far conoscere a tutti questa meravigliosa professione: in fondo, tutti vanno dal parrucchiere ma non sanno che prodotti usa per fare un colore, non leggono gli ingredienti dei prodotti che si usano e non conoscono le basi della professione o le opportunità che offre. L’intento è anche quello di dare ispirazione ai giovani, facendo loro capire che questo è un lavoro che, al di là dei tanti sacrifici, può offrire anche tante soddisfazioni.
Faccio sempre l’esempio del mio caso. Ero semplicemente un ragazzino di 15 anni che è partito da Campegine, un paesino di 500 abitanti popolato più da maiali e mucche che da esseri umani. Sono figlio di un papà, meraviglioso, commerciante di maiali e di una mamma, altrettanto meravigliosa, parrucchiera, figlia a sua volta di un barbiere. Le mie radici sono molto umili e normali, come quelle della maggior parte degli italiani, ma questo mondo in cui ho cominciato ad avventurarmi mi ha offerto l’opportunità di accrescere e di sviluppare il mio talento al punto di diventare oggi un brand mondiale.
Vorrei far capire a tutti quei genitori che non permettono ai loro figli di fare i parrucchieri perché lo considerano un mestiere “strano” che questo è invece un lavoro straordinario che fa conoscere gente altrettanto straordinaria, amplia la cultura e permette di viaggiare. Non riesco ancora a capire il perché di quel pregiudizio che ruota intorno alla professione: fare i parrucchieri non è una vergogna.
Quanti anni avevi quando hai preso le forbici in mano per la prima volta?
È bizzarro raccontare come è andata. Già a dodici anni lavoravo nel negozio di mamma e mi sanguinavano le mani perché facevo gli shampoo con i prodotti molto alcalini che si usavano allora. Avrei voluto fare l’architetto ai tempi e chiesi a mia madre se davvero fosse convinta che potessi fare il parrucchiere. “Guarda che è un bel lavoro, hai delle belle mani con cui ci sai fare e disegni benissimo… sicuramente, potrai disegnare anche sui capelli”, fu la sua risposta.
A spingermi ad applicarmi in una scuola per parrucchieri fu mio nonno. Stava per morire e, come voto nei suoi confronti, decisi di frequentare le lezioni, dove si insegnavano tecniche che oggi non esistono più ma che allora andavano di moda. I professori erano contenti delle mie prestazioni ma, quando vidi su una rivista, un caschetto con una minigonna di Mary Quant mi si aprì davanti agli occhi un mondo completamente diverso: è in quel momento che ho espresso a mia madre il desiderio di voler andare a Londra per fare il parrucchiere. “Ma sei sicuro?”, mi chiese in dialetto mio padre.
Lo ero, ovviamente. Grazie a mio padre che mi diede fiducia (conosceva il mio impegno sul lavoro, nello sport e in tutto ciò in cui mi cimentavo, e la mia determinazione) e i soldi necessari per una settimana, andai a Londra. E, dopo una settimana, mi cimentai nel mio primo taglio di capelli senza aver visto mai le forbici in vita mia. Il risultato fu esattamente uguale a quello del parrucchiere esperto che avevo davanti, incredulo sia della mia inesperienza con le forbici sia sulla mia età. Gli diedi la carta d’identità per dimostrargli che non mentivo… la menzogna non mi è mai appartenuta e non mi appartiene tuttora: a 63 anni, la mia vita è fatta di autenticità assoluta, non so parlare di ciò che non conosco.
Fu quel parrucchiere dopo quel taglio a offrirmi di rimanere nella sua scuola, con tutto pagato da loro. Risposi che avrei dovuto rifletterci sopra e rientrai in Italia da mamma. Volevo capire cosa fare della mia vita e se quello che avevo scoperto era realmente un talento. Lo era e cominciai a fare il parrucchiere come lavoro e a scoprire il mondo.
Iniziai con la moda, che mi ha dato la possibilità di scoprire il pianeta lavorando con i più grandi fotografi e le più grandi modelle quando la moda aveva una voce importante sulla cultura globale. Considero quel periodo quello in cui è avvenuta anche l’incubazione del mio metodo: ho cominciato allora a capire cosa e come fossero i capelli di tutto il pianeta, non c’era ancora Google a cui chiedere. E, conoscendo le etnicità dei capelli, ho potuto costruire quello che è poi diventato il mio metodo di taglio oggi famoso in tutto il mondo, l’invisible cut.
Il taglio invisibile nasce dalla mia insoddisfazione di non trovare mai una risposta alla bellezza naturale delle donne e dal voler dare a ognuna la possibilità di farsi i capelli da sole, senza andare necessariamente dal parrucchiere, grazie a un look più naturale, autentico e personalizzato, che parlasse di loro e della loro unicità. Per anni, la società ha puntato sull’uniformità e sul proporre prototipi in cui identificarsi: niente di più sbagliato. Ognuno di noi dovrebbe identificarsi semplicemente in quello che è e far emergere la propria anima, anziché vivere in quell’insicurezza costante dettata dal sembrare quello che non si è. Mi piacerebbe che questo messaggio arrivasse finalmente a tutti gli esseri umani in generale.
Nel tuo racconto, è emersa la parola “talento”. Ai partecipanti di HairStyle – The Talent Show viene richiesto talento, abilità e creatività. La tua definizione di talento è abbastanza chiara. Cosa sono invece per te abilità e creatività?
L’abilità consiste nel sapersi mettere in discussione ogni giorno. Se hai tale capacità, il tuo talento diventa abilità e la tua abilità progredisce. In definitiva, l’abilità non è altro che un progresso del proprio talento, per cui si necessità anche di disintegrare il proprio ego: quando si diventa egoriferiti, non si riesce più a parlare con gli altri e ad ascoltarli, lo vediamo tutti i giorni in politica ma anche in tutti gli altri campi. Un buon hair stylist deve sapere ascoltare la propria cliente o il proprio cliente, interpretare le loro esigenze e dialogare, senza mai imporre né una moda né un taglio o uno stile. Non è semplice mettersi in discussione ma riuscirci è meraviglioso: il mondo ci insegna qualcosa tutti i giorni e, se non siamo disposti a imparare, avremo una vita molto complicata.
Reputo il programma una grande opportunità per l’industria dell’hair styling, per tutti e non solo per me o per quelli che vi partecipano. Mi piacerebbe quindi che tutti i parrucchieri siano uniti e orgogliosi nel sostenerlo: facendolo, si sostiene l’intera industria e ne verrà qualcosa di buono per tutti.
Ad HairStyle – The Talent Show prendono parte dieci concorrenti. Sei riuscito a individuare sin da subito chi sarebbe stato il vincitore finale?
L’ho individuato trenta secondi dopo che erano cominciate le registrazioni, senza aver mai visto prima nessuno dei partecipanti. A far la differenza era non tanto la capacità di tagliere i capelli ma l’attitudine verso i capelli, la predisposizione verso la bellezza, la capacità di ascolto, il movimento delle mani e il saper parlare con i capelli stessi. Talvolta esagero ma bisognerebbe saper fare l’amore coi capelli per interpretare la loro vera bellezza.
HairStyle - The Talent Show: I concorrenti
1 / 10Per il tuo metodo, sei diventato famoso in tutto il mondo, tanto che ormai chiunque ti conosce come “Metodo Ferretti”.
In tutto il mondo ma in Italia sono molto meno conosciuto che negli Stati Uniti o negli altri posti del mondo. Una giornalista di un’autorevole testata americana la prima volta che mi ha intervistato era convinta che mi chiamassi “Metodo Rossano Ferretti”. Alla fine, nessuno è profeta in patria: ho dovuto spaccarmi le ossa all’estero e soffrire tantissimo per realizzarmi. Quando ho cominciato a lavorare come parrucchiere, non venivo trattato di certo bene: a quattordici anni, quando ho manifestato la mia volontà, gli amici mi consideravano matto, cominciando a prendermi in giro. Non ho mai giudicato le loro vita e mi sarebbe piaciuto che loro non giudicassero la mia: credo sia giusto che ognuno di noi scelga la strada che vuole percorrere nella più totale libertà.
Il bullismo esisteva anche cinquant’anni fa, non lo si scopre oggi, ma se non ci fosse stata quella sofferenza dietro probabilmente non avrei tirato fuori tutto il coraggio necessario per mettere a rischio la propria vita personale e imprenditoriale per aprire i miei negozi in luoghi meravigliosi come Parigi, New York, Dubai, Milano, Madrid, Miami, Montecarlo e così via. Non sarei oggi qui a concedere interviste.
Ecco perché ripeto a tutti di essere coraggiosi e di scommettere su se stessi: fate su di voi le scommesse più importanti che potete, guardate come dicono i giapponesi all’ultima mela in alto e non a quella in basso che tutti possono prendere, cercate di superare i vostri limiti ampliando i vostri orizzonti ovunque voi siate, ascoltate il mondo e capite cosa vuole insegnarvi.
Nonostante tu non sia un profeta in patria, hai puntato su una linea di prodotti al 100% Made in Italy.
I miei sponsor sono tutti italiani… ma perché l’Italia è meravigliosa, è unica e rappresenta un valore aggiunto spaventoso, nonostante nessuno in Italia mi abbia mai reso la vita facile. Il motivo del Made in Italy è semplice: condivido il pensiero di alcuni dei nostri più grandi imprenditori sul futuro, “non avremo problemi a vendere ciò che produciamo ma non sappiamo più chi lo farà”. Due milioni di grandi artigiani andranno presto in pensione e nessun giovane vuole più fare il loro mestiere. La grande challenge del futuro consiste nel dare ispirazione e aspirazione ai giovani per portarli a riprendere in mano quella piccola industria che ha da sempre tenuto in piedi l’Italia. Anche il talent, come dicevo prima, nasce con questa mission…
Non mi si venga a dire poi che non c’è lavoro: i capelli si taglieranno sempre e nessuna intelligenza artificiale potrà farlo. Di mio, ho come l’impressione che invece a volte manca proprio la voglia di fare un mestiere e di sacrificarsi. Tutti noi abbiamo fatto dei sacrifici per anni prima di vedere un ritorno: non capisco perché i giovani non si avvicinano come facevano decenni fa alle opportunità che possono venire dal cucire un abito o dal tagliare i capelli, mestieri favolosi che garantiscono anche grandi opportunità. Spesso, sostengono che è per colpa di pagamenti non adeguati ma, in molti casi, ognuno di noi guadagna in base a quanto vuole sacrificarsi e a quanto vuole rischiare. Se io a 63 anni lavoro ancora 18 ore al giorno, un motivo ci sarà.
Hai citato ancora una volta la parola sacrificio: qual è il più grande sacrificio che pensi di aver fatto per portare avanti il tuo lavoro?
Ho rinunciato alla mia vita personale e alla mia famiglia. Ho visto crescere i miei figli da lontano e ne ho sentito la mancanza come loro hanno sentito la mia. Ancora oggi, la prima cosa che faccio quando mi sveglio è scrivere loro, alla mia compagna, alla loro madre (la mia ex moglie), a mia madre e a mia sorella, per chiedere loro come stanno e per ribadire che mi mancano. Ma trent’anni fa ho fatto una scelta mettendomi a disposizione della mia professione: non so se è giusto o sbagliato ma ho fatto quello che amavo fare.
Fortunatamente, con i miei figli sono riuscito a costruire un rapporto meraviglioso. Mi hanno anche dato due nipotini stupendi che amo alla follia… perché alla fine non è tanto la quantità del tempo che si passa insieme a far la differenza ma la qualità. Abbiamo sempre vissuto tutto in serenità evitando incomprensioni e discussioni: alla fine, il papà per loro c’è sempre stato quando e come doveva esserci.
Nessuno dei tuoi due figli hanno avuto voglia di far l’amore con i capelli?
No. Hanno sempre voluto fare i calciatori sin da bambini. Uno ha militato da professionista in molte squadra, dal Carpi al Pavia passando per il Cardiff, in Inghilterra. L’altro, invece, era stato comprato dal Milan a diciassette anni ma una serie di infortuni lo hanno allontanato dal professionismo: gioca ancora a livello amatoriale ed è felice di farlo. Un genitore, per come la vedo io, non dovrebbe mai obbligare i figli a seguire le proprie orme ma deve lasciarli liberi di far le proprie scelte e di vivere la propria identità: si creerebbero altrimenti degli infelici.
Ti reputi un self made man?
Si. Ma anche un pioniere, se vogliamo, per aver percorso delle strade che nessuno aveva mai calcato prima. Tutto ciò che altri oggi promuovono, dalla colorazione naturale dei capelli ai tagli a caduta naturale, sono qualcosa che Rossano Ferretti raccontava già trentadue anni fa. Sarà per questo che spesso vogliono intervistarmi per capire cosa succederà domani: per me, è motivo di grande orgoglio ma anche di grandissima responsabilità.
Anche perché non è facile capire in anticipo cosa accadrà…
Il mondo ci riserva ogni giorno molte sorprese, anche non piacevoli. Ma per quanto riguarda la mia professione, sostengo la sostenibilità da molti anni. Sostenibilità del pianeta, finanziaria ma anche dei prodotti che usiamo.