Entertainment

Rossella Brescia: “Sono nata indipendente” – Intervista esclusiva

Rossella Brescia
Su RaiPlay nella seconda stagione della serie tv Il Santone e in radio tutti i giorni, Rossella Brescia si racconta a TheWom.it con sincerità, rispetto e gentilezza. Tutte caratteristiche che, anziché essere considerate trend, dovrebbero rappresentare la quotidianità di ognuno di noi.

“Mi aspettavo che mi rispondessi con la voce di Sophia Loren al telefono,” dico scherzando dopo il saluto a Rossella Brescia, cercando di spiazzarla. Ma è lei a sorprendermi per prima, rispondendo con quell'accento che alla radio è diventato un cult, nonché un mio personalissimo guilty pleasure nei momenti di sconforto. "Non ti preoccupare… quando capitano, chiamami e ti ribalto io l’umore: ti dico Milly dal vivo," è la sua pronta risposta. Un inizio inaspettato ma molto indicativo del carattere di Rossella Brescia: spontaneo, accogliente, sempre pronta a sollevare gli spiriti altrui.

Ci troviamo a parlare di Jacqueline, il personaggio tempestoso che Rossella Brescia interpreta anche nella seconda stagione della serie RaiPlay Il Santone 2 - Le più belle frasi di Oscio, prodotta da Stand By Me con Rai Fiction. Dopo un periodo di punizione in campagna, Jacqueline torna a Roma come un uragano, carica di speranze e iniziative, pronta a riconquistare il mondo dello show business con ogni mezzo necessario e con due nuovi santoni con cui ‘giocare’: Teresa e Only Oscio.

In un'epoca dove l'autenticità è spesso messa in secondo piano rispetto agli interessi personali, Jacqueline rappresenta quell'elemento di caos che, con il suo doppio gioco e le sue trasformazioni - da Sophia Loren a Mara Venier - manipola la realtà per raggiungere i suoi scopi. Questa capacità di adattarsi e camuffarsi è qualcosa che Rossella Brescia, con la sua esperienza nel mondo dello spettacolo, conosce molto bene.

La conversazione pian piano si dipana tra risate e riflessioni serie, toccando temi come l'indipendenza, la spiritualità e il cambiamento nel racconto della serialità italiana, soprattutto per quanto riguarda i personaggi femminili. Rossella Brescia si apre su come ha navigato le sfide e le opportunità della sua carriera, mantenendo sempre un legame forte con i valori di base e la sua innata resilienza.

Rossella Brescia (Thanks to Mongini Comunicazione).
Rossella Brescia (Thanks to Mongini Comunicazione).

Intervista esclusiva a Rossella Brescia

‘Mi aspettavo che mi rispondessi con la voce di Sophia Loren al telefono’, dico scherzando dopo il pronto a Rossella Brescia provando anche a spiazzarla. Ma la verità è che mi spiazza sin da subito lei, cogliendo la palla al balzo per restituirmi quel Milly che alla radio è diventato un cult, oltre che un mio personalissimo guilty pleasure, soprattutto nei momenti di sconforto. “Non ti preoccupare… quando capitano, chiamami e ti ribalto io l’umore: ti dico Milly dal vivo” è la sua risposta. Inattesa ma indicativa del carattere di Rossella Brescia: la sua propensione all’altro tornerà nel corso della nostra intervista quando, palesemente di fronte a una donna con un bambino in difficoltà, sarà pronta ad aiutarla, una rarità in un mondo in cui siamo tutti propensi a chiedere una mano anziché prestarci a darla.

Ci ritroviamo oggi per parlare di Jacqueline, il personaggio che nella serie tv di RaiPlay Il Santone 2 torna come una sorta di uragano dopo essere stata in ‘punizione’ in campagna.

Jacqueline è un’agente, un po’ lazzarona e un po’ cialtrona, che sta male giusto due o tre giorni prima che un semplice guizzo la riaccenda per riportarla in forma. In questa seconda stagione, torna quindi carica di speranze, di idee e di iniziative, comportandosi come se fosse una grande agente in piena regola. Del resto, è il suo segreto quello di spacciarsi per chi non è: arriverà nelle sue macchinazioni a fingersi anche Sophia Loren, Mara Venier e Maria de Filippi. Non ne risparmia nessuna al solo fine di ottenere ciò che vuole. Si finge la Loren, ad esempio, perché deve trovare dei vestiti adeguati: si sa che un agente deve anche essere vestita in un certo modo in determinate occasioni e, quindi, con la voce di Sophia telefona a una costumista per capire se ha ancora degli abiti che le prestato per gli Oscar.

Ma nei primi episodi è possibile vedere come in realtà Jacqueline sia l’alter ego di Cosima…

Jacqueline è Cosima solo per coloro che la conoscono davvero in Puglia. Al suo ritorno a Roma dalla campagna c’è ad attenderla un vecchio amico poliziotto, lo stesso che le darà ospitalità per i primi mesi, con cui può permettersi di parlare anche barese. Davanti agli altri, torna invece a indossare i suoi tailleur di donna di successo e a sfoggiare le sue ‘origini’ francesi.

È stato divertente recitare in pugliese, la tua lingua d’origine?

Sì, mi ha divertita tantissimo. Ma ciò che trovo più simpatico è il fatto che mi ha permesso di recitare in una lingua che al cinema ha avuto un suo peso: sono cresciuta con quei film di Lino Banfi con la loro accesa pugliesità, film che ci fanno divertire ancora oggi e che sono diventati oramai dei cult.

In un certo senso, al di là di Teresa e di Only Osho, anche Jacqueline nel suo piccolo è una santona.

A loro modo sono persone che, per una ragione o l’altra, diventano dei punti di riferimento o in grado di portare un po’ di felicità nella vita degli altri. Possiamo chiamarli santoni o come ci pare. Jacqueline forse a suo modo lo è anche ma ciò che maggiormente le interessa è il suo tornaconto economico, tanto che dimostra di saper fare benissimo il doppiogioco con i due santoni ufficiali della storia: c’è nata con questa filosofia e non è la sola. Se ci riflettiamo, ce ne sono tanti in giro come lei: tutti bravi a giudicare ma in fondo… Nel mondo dello spettacolo, ne ho incontrati di cialtroni nella mia vita.

Anche agenti?

Uh… capita soprattutto all’inizio quando si è un po’ più ingenui e si crede a tutto ciò che viene detto. Ti stupisci anche e sei incredula di fronte alla possibilità che ti è capitato ma poi scopri che ti hanno venduto solo false illusioni.

E come hai reagito in quei casi?

La mia più grande fortuna è sempre stata quella di avere i piedi comunque per te. Ci sono dei valori importanti con cui sono cresciuta e ai quali non rinuncerei mai, ragione per cui sorgevano dei dubbi che mi portavano a voler vedere chiaro. E i dubbi ti danno una mano e ti spingono a pensare, evitando di avere la testa annebbiata di fronte a ciò che all’apparenza sembra una figata. Sarà che penso troppo ma mi sono sempre trovata bene nel farlo.

Tra l’altro, a noi meridionali insegnano presto che ‘fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio’.

Eh, sì. Non è però per cattiveria: è per senso di protezione. Un senso che è più accentuato se si è sempre stati indipendenti o abituati a pensare a se stessi: ci si deve proteggere in qualunque modo.

Indipendente: quando senti di esserlo diventata?

Sono sempre stata indipendente: lo sono nata. Sono sempre stata così, anche se a volte mi ha causato dei problemi nei rapporti con gli altri, è stato un bene non rinunciare alla mia indipendenza.

Anche nel mondo della danza?

Sempre. Ho sempre puntato a camminare solo sulle mie gambe e a viaggiare con la mia testa. Così facendo, se capita, sbagli tu e ne hai la consapevolezza.

Se lo riportiamo al mondo del Santone, sembra un invito a non seguire guru e a ragionare autonomamente.

Purtroppo, capitano delle situazioni in cui non è così facile: si è più vulnerabili e si ha quindi bisogno di qualcuno a cui attaccarsi. Ma è pericoloso farlo perché le delusioni possono essere dietro l’angolo. E spesso sono più quelle che arrivano che altro.

A cosa ti aggrappi quando arrivano le delusioni?

Alla spiritualità con cui sono cresciuta. Mi chiudo in essa e mi rifugio nella preghiera. Penso che sia importante credere in qualcosa senza diventare dei fondamentalisti, per cui ho sviluppato un credo mio. Non potrei ad esempio per la Chiesa far determinate cose ma, anche in questo caso, faccio quello che pare a me: non lascio che qualcuno sulla Terra intralci il mio rapporto diretto con la fede.

Quella del santone potrebbe essere anche una metafora per i tempi che viviamo: non sono dei santoni anche gli influencer?

Decisamente. In quel caso, però, tocca a noi essere intelligenti: se hai dei punti di riferimento che ti fanno star bene e non diventi integralista, non c’è nessun problema a seguire qualcuno o una rubrica. L’importante, ancora una volta, non è eccedere, non farsi prendere la mano e non farsi soggiogare. Purtroppo, viviamo in un’epoca in cui a volte è facile farsi soggiogare da figure che hanno come solo obiettivo quello di fregar soldi.

https://www.instagram.com/p/C37pCmDozRF/?hl=it

Hai un profilo Instagram seguitissimo, ti sei mai sentita un’influencer?

Sinceramente? No. Però, se qualcosa mi ha aiutata nella vita e posso consigliarla a qualcuno, lo faccio volentieri: spetta all’altro decidere se accoglierla o meno. Ma poi che vuol dire influencer? Credo che si stia abusando anche in maniera non corretta del termine: sembra quasi che sia un appellativo da dare in base a un conteggio matematico. Se arrivi a un certo numero di follower, allora lo sei. Possiamo dunque esserlo tutti… anche mia madre: è un’influencer nella mia famiglia e, quando dice qualcosa, tra l’altro, ha sempre ragione.

Che rapporto hai con tua madre?

Stupendo. Mia madre è una di quelle donne che mi ha praticamente aiutato in tutto non imponendomi niente. Sa come sono fatta e, per tale motivo, si limita a esporre il suo pensiero, un pensiero che inevitabilmente mi rimbomba dentro per tutto il giorno. È una tecnica molto efficace oltre che bella il dir qualcosa senza mai imporla.

Il Santone 2 è, come la prima stagione, girata a Centocelle, un quartiere romano che per molto tempo si è portato diversi pregiudizi appresso.

Sono nata a Martina Franca, un posto che definivano pari al Bronx: un’etichetta che mi ha sempre fatto incazzare. Ragione per cui sono contro ogni tipo di pregiudizio e generalizzazione. Forse più che in centro, dove tutti corrono veloci e non si fidano di nessuno, è nelle periferie che incontri a volte gente più genuina e persone che si accorgono di te, come se ci fosse un senso di comunità più forte. Gli abitanti di Centocelle sono diventati anche parte integrante del racconto, in molti hanno anche fatto le comparse, e tutti quanti abbiamo potuto respirare l’aria del quartiere nella sua totalità.

Jacqueline, ovviamente, ti ha riportata alla recitazione. Ma tu non sei nata come attrice…

Non nasco come attrice ma ho sempre frequentato ad esempio seminari, laboratori e workshop di recitazione. Per essere una brava danzatrice, devi anche essere una brava interprete: senza le parole, devi raccontare una storia. E, se vogliamo, è anche più difficile farlo perché si hanno a disposizione solamente delle coreografie in cui devi mettere tutta te stessa… e per riuscirci tutto deve essere verità e non finzione. Non è un caso che la mia musa è stata Alessandra Ferri, grande attrice in scena.

Non ti manca oggi la danza?

No, anche perché con il musical a teatro puoi fare tutto: recitare, cantare e ballare. È differente forse la preparazione perché in taluni casi c’è meno rigidità (dipende sempre dal tipo di spettacolo) ma io continuo sempre a ballare. Non andando in palestra (non mi piace e mi annoio), fare danza tutti i giorni è l’unico modo per tenermi in esercizio e in movimento.

Nel Santone 2, sono tante le donne al centro della narrazione. Credi che stia cambiando qualcosa nel racconto della serialità italiana?

Credo di sì e spero che continui ancora a cambiare. Siamo stati abituati da sempre a vedere racconti con tanti ruoli maschili diversificati tra loro ma qualcosa è in atto, figlio anche del momento storico-culturale che viviamo: si sta andando verso un’apertura maggiore e a una giusta equiparazione.

Ovviamente, non sempre negli anni della tua carriera è andata così: qual era la cosa più difficile per te da fare per renderti credibile agli occhi degli uomini?

È sempre molto difficile farlo ma ho puntato sul parlare e sul farsi conoscere. A meno che di fronte tu non abbia uno stupido, non è difficile comprendere chi sei.

Anche far capire che oltre al fisico c’era una testa pensante?

Sono sempre stata talmente sicura di me da non prendere nemmeno in considerazione cosa pensasse l’altro o quale fosse il suo giudizio nei miei confronti.

Tutti i giorni possiamo ascoltarti in radio, a RDS. Cosa rappresenta per te la radio?

La radio è spontaneità all’ennesima potenza. È il luogo in cui non puoi mentire: devi regalare tutta te stessa gli altri. Ecco, la radio è condivisione, almeno è quella la radio che piacerebbe a me da ascoltatrice seguire.

Com’è nata l’imitazione di Sophia Loren?

La facevo già da piccola. Quando qualcosa mi piaceva, la guardavo, la studiavo e la imitavo. La Loren, in particolare, mi è sempre piaciuta per varie ragioni: è il nostro orgoglio all’estero e mio padre l’adorava. Forse la fascinazione nasceva proprio da quello, dal fatto che noi figli tendiamo a sposare i miti che ci presentano i nostri genitori… Ricordo che ne facevo l’imitazione anche da sola, a casa, davanti allo specchio.

Vi siete mai incontrate?

No. Ci siamo però incrociate una volta: era ospite a C’è posta per te e c’ero anch’io come postina. Ma non ha visto la mia imitazione (ride, ndr).

https://www.instagram.com/p/C4DA214Mmsr/?hl=it&img_index=1

C’è posta per te è stato per diverso tempo la tua casa. Un programma dal carico emotivo molto forte: era facile per te assistere alle storie dal vivo?

La carica emotiva e la sincerità continuano a essere la forza del programma. Chiaramente, noi postini assistevamo alle storie ma non c’era il tempo di pensarci troppo sopra perché ne arrivava subito dopo un’altra, anch’essa con tutto il peso delle sue emozioni.

Hai poi lasciato sia la Posta sia Amici: mai avuto rimpianti?

Nessuno, se non quello di aver lasciato una famiglia, gente che chiaramente non vedi più con la stessa frequenza: ero pazza di tutti perché comunque stavamo sempre molto bene insieme… ma avevo bisogno di fare nuove esperienze, un’esigenza che cedo faccia parte del percorso artistico e personale di tutti. Volevo fare l’attrice e volevo provare a far teatro: rimanendo lì, dove oggettivamente si lavora tantissimo e a un certo livello, non avrei potuto.

La decisione di lasciare la scuola di Amici mi ha anche fatto stare molto male ma ho dovuto farlo: ogni volta che decido che qualcosa è giusta per me, devo andare avanti. Però, mi sono mancati tantissimo tutti quanti. Tant’è che ogni tanto torni a spiare ciò che accade…

 Tra le tante esperienze professionali che hai vissuto, cosa ti manca ancora?

Che ti devo dire? Vorrei impersonare Sophia agli Oscar (ride, ndr). Battuta a parte, non lo so. Non ne ho idea, anche se ormai mi è chiaro che mi piace interpretare dei ruoli anche molto forti. Mi piace diventare qualcos’altro da me, per cui non mi dispiacerebbe studiare un personaggio forte che mi permettesse di allontanarmi da ciò che sono.

Forse è legata come aspirazione ai giochi e alle imitazioni di bambina?

Ho iniziato davvero presto a farlo… giocavo sempre perché comunque, ritrovandomi da sola a casa, ero chiamata a fare appello alla mia fantasia per giocare. Non c’erano allora tutte le possibilità di oggi e occorreva ricorrere all’immaginazione.

(Mentre parla, Rossella Brescia si interrompe: davanti a lei, c’è una donna con un bambino a cui chiede se ha bisogno di una mano. “Ma, dai, è normale per me. In questo momento è trend la gentilezza solo perché sembra una novità quando invece dovrebbe essere la consuetudine. È la vita, a me fa piacere aiutare gli altri quando posso: vedi che avere una spiritualità non è un male? Fa crescere bene”, mi risponde sorridendo di fronte al gesto di cui sono testimone diretto, ndr).

Cosa immaginava quella bambina?

Ero molto creativa, non riuscivo a stare mai senza far niente. Mi rinchiudevo, ad esempio, in camera di mia madre, aprivo i cassetti della biancheria, fingevo di avere una merceria e vendevo le mutande o tutto ciò che trovavo nei cassetti. Oppure, stavo in bagno e facevo finta di essere una parrucchiera.

Per la gioia di mamma che doveva rimettere in ordine?

No, sistemavo tutto io dopo, altrimenti mi faceva la festa: era ed è una sceriffa! Sono cresciuta sullo sfondo del matriarcato (buono) della mia famiglia: papà lavorava e mamma, con una metafora, faceva la commercialista. Da sarto, papà aveva ottenuto il famigerato posto fisso in ospedale per realizzare i camici ai medici ma, essendo impiegato statale, aveva uno stipendio che era sempre lo stesso e che mamma doveva amministrare per mantenere una famiglia di tre ragazze. Non so come faceva ma riusciva a far quadrare tutto. Non avevo grandi agiatezze ma non mi è mai mancato niente.

Cosa hai comprato tu con i primi soldi guadagnati da professionista?

Una macchina. Il mio sogno era quello di poter essere indipendente anche da quel punto di vista e la macchina mi dava la possibilità di muovermi autonomamente. Era un’utilitaria, anche di seconda mano: lo stipendio di una ballerina non è così faraonico come molti immaginano.

Il Santone 2: Le foto

1 / 33
1/33
2/33
3/33
4/33
5/33
6/33
7/33
8/33
9/33
10/33
11/33
12/33
13/33
14/33
15/33
16/33
17/33
18/33
19/33
20/33
21/33
22/33
23/33
24/33
25/33
26/33
27/33
28/33
29/33
30/33
31/33
32/33
33/33
PREV
NEXT

Ti sei mai sentita un sex symbol?

Figurati…

Eppure, lo sei.

Lo sono ma ti assicuro che non mi ci sono mai sentita. A volte, quando rivedo gli spot di un noto marchio di orologi, mi chiedo chi è quella ragazza lì: non mi riconosco. Però, mi ricordo benissimo la sensazione che ho provato mentre lo giravamo: mi sono vergognata per tutto il tempo tant’è che non riuscivo a performare come dovevo. Di fronte alla minaccia di star lì fino al giorno successivo, mi sono adoperata.

Quello spot si ispirava al film True Lies di James Cameron con Jamie Lee Curtis: abbastanza impegnativo.

È stato per me un bel punto di rottura. Venivo sempre dallo chignon e dal body rosa…

Non ti ha spaventato la rottura?

No. Anche perché in quel caso, avevo fatto ciò che volevo. Era vero che ero sensuale e tutto il resto ma per me era come recitare in un film: anche Jamie Lee Curtis in True Lies lo era stata, ad esempio. Ognuno deve essere consapevole dei pregi o dei limiti del proprio corpo, no?

Tu quando hai imparato ad apprezzare il tuo corpo?

Ci ho impiegato tanto per riuscirci. Tutte quelle caratteristiche che altri pensano che siano un dono spesso si tramutano in difficoltà quando si è piccoli, perché a volte siamo anche un po’ contorti e ragioniamo male. Nel mio caso, ho imparato ad apprezzarle da adulta.

Cosa ti piace di te oggi quando ti guardi allo specchio?

Niente in particolare: l’importante per me è star bene e, soprattutto, che ci sia la salute. Forse è una risposta un po’ da anziana…

Perché da anziana?

Nonostante faccia sempre tutto con la stessa energia di prima, capisco che il corpo cambia. È un fattore biologico e non psicologico: l’importante è sempre essere in equilibrio con se stessi.

Rossella Brescia, Francesco Paolantoni e Carlotta Natoli.
Rossella Brescia, Francesco Paolantoni e Carlotta Natoli.
Riproduzione riservata