Ciao Freud è il disco di debutto dei Rosso Marte. Già dal titolo, è evidente come la band romana descriva in maniera ironica il distacco dal mondo della psicanalisi classica per perdersi nei meandri del subconscio umano. Con il loro viaggio sonoro, i Rosso Marte prendono di petto l’ignoto, lo affrontano e ne escono a testa alta.
I brani che compongono l’EP sono cinque e racchiudono bene la poetica della band. Sono stati composti tra il primo lockdown del 2020 e la fine del 2021, un periodo durante il quale i Rosso Marte hanno imparato a lasciarsi andare e ad accettare la vita, confrontandosi con i propri conflitti interiori per agire e cambiare le cose.
Interessati agli argomenti trattati in Ciao Freud, decidiamo di contattare i Rosso Marte. Il loro ufficio stampa ci dice che sono in due, Claudio Marte (C)e Luca Stoppino (L), il chitarrista/cantante e il batterista. Ma quando ci rispondono al telefono siamo travolti dalla novità: il loro alternative rock ha anche una componete femminile, Antonella Silletti (A). E allora da questo partiamo per la nostra intervista in esclusiva.
Intervista esclusiva ai Rosso Marte
Come si inserisce Antonella in quello che in un primo momento era un duo solo al maschile?
C: Il suo inserimento è avvenuto in maniera abbastanza naturale. Abbiamo cominciato a suonare in due e inciso il disco prima di incontrare lei, violinista. Le abbiamo chiesto di fare qualche prova e quello che doveva essere solo un featuring si è trasformato in qualcosa di più duraturo. Ci siamo trovati molto bene e, curiosamente, le nostre canzoni sembravano scritte apposta per il violino.
A: Confermo quanto detto da Claudio. È stato un processo naturalissimo e sin da subito mi sono integrata al gruppo. I loro pezzi sembravano veramente già pensati per lo strumento e, quindi, è stato più facile del previsto. Del resto, io avevo voglio di riprendere a suonare. Mi occupo di tutt’altro nella vita ma da un po’ il bisogno di tornare al violino si faceva sentire.
E come sei entrata nelle atmosfere di Ciao Freud?
A: Avevo avuto la possibilità di ascoltare l’album e di conoscere i ragazzi ancor prima di iniziare la collaborazione. Ero entrata nelle loro atmosfere da un primissimo ascolto: per il primo concerto insieme, abbiamo fatto pochissime prove.
Avete scelto di chiamare il gruppo Rosso Marte. Marte è il cognome di Claudio. E Rosso?
L: In realtà, Marte è il cognome artistico di Claudio e non quello reale. Il nome è nato dalla necessità di trovare un… nome a ridosso di un live. Ci eravamo adagiati sugli allori e non ci avevamo mai pensato, rimandavamo la scelta fino a quando non si è resa necessaria. Anche perché la scelta del nome di una band è molto complicata: comporta il trovare qualcosa che ti rappresenta ma che allo stesso tempo non deve essere banale.
Ci abbiamo pensato e abbiamo deciso di fare leva sulle nostre passioni. Io amo l’astronomia e da lì è venuta la scelta di Marte, un pianeta anche abbastanza simbolico. Soprattutto negli ultimi anni si è parlato di Marte come il pianeta che potrebbe rappresentare la salvezza per il genere umano. “Rosso” lo ha scelto invece Claudio. Suonava bene: Rosso Marte. E così abbiamo deciso nel nostro piccolo di rendere omaggio a tutti quelli che sono i power duo, che spesso nel loro nome hanno un colore (per esempio, i Black Eyes o i White Stripes).
C: Ho scelto Marte come cognome artistico perché il mio è in realtà molto fantozziano e si sbagliano tutti nel pronunciarlo. Con Marte evito il “venghi, Paulizzi, venghi!”.
Claudio ha 43 anni, Luca 29 e Antonella 30. Come convivono in un unico gruppo due generazioni differenti, la X e i Millennial? Non avete riferimenti musicali differenti?
C: I gusti miei e di Luca sono molto simili e per tale motivo, sebbene apparteniamo a generazioni diverse, abbiamo una sintonia incredibile. Anche se poi ognuno di noi ha le sue peculiarità. Tra i miei gusti ci sono il cantautorato, la musica popolare e i capisaldi del rock. Ma sono cresciuto anche col blues, con il grunge, con il punk…
A: Io e Claudio ci siamo conosciuti a un concerto di Nick Cave. Come vedi, i nostri gusti non sono così lontani, nonostante le generazioni differenti.
Chiamate il vostro primo lavoro Ciao Freud. Vorrei capire perché in un’epoca segnata fortemente dalla psicologia, dalla politica alla sfera sociale, in voi c’è il desiderio di discostarvene.
L: Il titolo si presta a una doppia interpretazione. Fa pensare a un discostamento da tutta quella che è la psicanalisi di quel tipo. Ma può essere letto anche come un “benvenuto”. Ci piaceva molto questa ambiguità. Tuttavia, non è frutto nostro ma di una persona esterna che ha seguito da vicinissimo la realizzazione dell’album. Mentre tornavano in macchina dallo studio di registrazione a Ravenna, ci ha suggerito Ciao Freud, era perfetto per racchiudere l’essenza di tutte le canzoni.
Chi è questa persona?
L: È Attilio. Il nostro Attilio Di Turi, amato da tutti ma da una persona un po’ di più: è il compagno di Antonella. Lo abbiamo incontrato in maniera molto casuale ma bellissima. Fa il regista e ha voluto riprendere con la videocamera tutto quello che è stato il processo di registrazione del disco. Ci ha seguito h 24 per quello che è una sorta di documentario: è stato un occhio esterno che ci ha permesso di vedere qualcosa che non vedevamo.
A: Sul Ciao Freud un po’ di merito me lo prendo anch’io. Sono stata io ad avvicinare in qualche modo Attilio alla psicologia perché sono una psicologa!
E voi, Claudio e Luca, cosa fate oltre che suonare?
C: Io sono laureato in musica, faccio il musicista e insegno. E Luca lavora nel mio stesso ambito.
Come Opportunity atterro ora nel mondo di Rosso Marte e vi chiedo di raccontarmi le cinque canzoni che compongono l’album. Partirei dalla più serafica, L’amore è una merda.
C: Io e Luca siamo soliti lavorare insieme ai testi e alle musiche che io abbozzo. L’amore è una merda è forse l’ultimo brano composto per il disco ma lo abbiamo voluto come intro: ci piaceva l’idea di pessimismo cronico che trasmette. L’abbiamo toccata pianissimo, come si dice a Roma. Al di là del titolo, però, c’è una sorta di speranza finale che invita a togliersi di dossi il pessimismo per vivere le gioie di tutto ciò che ci capita.
Ma com’è che due rocker decidono di cominciare un disco parlando di amore?
C: Perché abbiamo pensato: “basta con quest’immagine trita e ritrita del rocker”. Abbiamo anche fatto una grafica tutta celeste e rosa anziché scura!
Chi di voi due pensa che l’amore sia una merda e chi invece è convinto che sia qualcosa di felice?
L: Io e Claudio siamo dei campioni mondiali di delusioni amorose. Probabilmente, ne abbiamo la stessa concezione. Quando è nata la canzone, eravamo reduci entrambi da storie più o meno lunghe e importanti. Quindi, come non potevamo non essere d’accordo su quella definizione? Era rappresentativa di uno sfogo nei confronti di qualcosa che ci ha fatto soffrire.
L’amore è anche quella cosa che ti fa godere e perseverare, se vogliamo. E Godi e persevera è la seconda traccia del disco, quella in cui nel testo entra anche il romano. Quanto per voi è importante usare la vostra lingua madre?
C: Per me, molto: è fondamentale. Sono cresciuto da ragazzino con mia nonna che cantava gli stornelli romani. E da lì ho cominciato ad apprezzare molto la tradizione della musica popolare, capendo che non è scollegata dalla musica italiana o dal blues. Godi e persevera è uno dei tanti brani che ho scritto in romano, anche se è l’unico finito nel disco. Ma solo perché era quello più inerente agli altri pezzi. All’inizio, volevamo anche scartarlo e abbiamo persino provato a tradurlo in italiano ma la resa era pessima, si perdeva del tutto il suo significato. Lo abbiamo allora tenuto nella sua versione originale, in romano. Personalmente, sono molto legato a Gabriella Ferri e a tutta la tradizione delle canzoni della mala: penso sia importantissimo conservare le proprie radici, riscoprirle e rielaborarle per trovare nuove soluzioni di composizione.
Abbandonati alle cose è la terza traccia. Quali sono le cose a cui vi abbandonate?
C: Si ritorna al discorso di prima. Sicuramente all’amore e ai sentimenti. Possono spaventare ma devono sempre essere affrontati: alla fine, vale sempre la pensa vivere ogni esperienza. Il testo nasce da una sorta di collage di vari pezzi scritti mentre la musica è figlia di un riff di Luca.
L: Molto brevemente, sai quando ti metti dietro a uno strumento e decidi di lasciarti andare? Ecco, è nata così: mi sono abbandonato alla batteria ed è venuto fuori qualcosa che mi è subito piaciuto. L’ho mandata a Claudio, così come faccio sempre, ed è piaciuta anche a lui. La cosa bella di noi due è proprio questa: l’intesa musicale. Quando penso a qualcosa, la suono e la registro pensando già a cosa Claudio potrebbe metterci sopra e viceversa. E Abbandonati alle cose è stato il primo brano scritto effettivamente a quattro mani.
E nella canzone c’è forse il messaggio psicologico più importante dell’intero disco: è un invito a non chiudersi in sé e a far uscire ciò che si ha dentro. Quanto la musica vi aiuta a esternare ciò che avere dentro?
C: Beh, senza musica credo che sarei morto. È vitale per me.
Credete quindi nel potere terapeutico della musica?
C: Assolutamente sì. La musica agisce a livello psicologico ma questo può spiegarcelo meglio Antonella.
A: Anche perché mi occupo anche di questo, ovvero di capire come funziona la musica a livello fisiologico, neuronale. La musica può avere i suoi effetti e portare dei benefici. Mi rendo conto che ha quest’effetto anche su di me che in prima persona mi occupo di canalizzare tutto lo stress della quotidianità attraverso la musica.
Non pensavo di doverne parlare mai in un’intervista ma come ti spieghi i risvegli di gente dal coma dopo aver sentito della musica?
A: Senza entrare troppo nel dettaglio, la musica va a toccare dei sistemi dopaminergici legati proprio a questioni fisiologiche. Durante un ultimo studio condotto, ad esempio, ci siamo anche resi conto che la musica, quella live più di quella registrata, in alcuni pazienti in trattamento emodialitico aveva effetti particolari su certi parametri fisiologici, come la pressione sanguigna o la frequenza cardiaca. Capiamo tutti che tipo di rivoluzione può fare o ciò che può scatenare la musica o quello che io definisco intervento musicale.
Ritornando alle canzoni, la musica live da Antonella citata non è la musica alla radio in cui cantate in Surrealismo sinistro. Se continui a non capire è perché ascolti i successi alla radio…
C: In quella canzone c’è una citazione di The Ballad of a Thin Man di Bob Dylan. Lui è sempre stato un grande provocatore. Il riferimento era all’ascolto passivo di tutta la musica che passava alla radio. Non vuole certo essere una condanna alle radio e alla musica che passano.
Da cosa nasce questo surrealismo sinistro che porta a negare anche la realtà stessa?
C: Il surrealismo sinistro cerca di svecchiare ciò che si è ancorato nella cultura e nei pensieri. Invita ad andare oltre il pragmatismo dell’interpretazione causa-effetto. È una sorta di droga psichedelica legale: la canzone è un viaggio mentale all’interno di un disco che parla di stati d’animo del proprio inconscio e, se vogliamo, dunque, della psiche.
A che età avete cominciato a suonare?
C: Avevo 12 o 13 anni quando i miei finalmente hanno capito che forse ‘sto ragazzino dovevano mandarlo a lezione di chitarra. Ma già a 7 o 8 anni mi mettevo davanti al giradischi e mi “esibivo”: pretendevo che tutti mi guardassero. Il palco è sempre stato il luogo in cui mi sono sentito sempre più a mio agio.
L: Ho iniziato molto presto. Ho delle foto in cui mi si vede da bambino con in mano delle bacchettine di legno che, portate via da un ristorante cinese, battevo su una vecchia poltrona di mia nonna. Avrò avuto sei o sette anni ma era palese la voglia di percuotere qualcosa. Mio padre è sempre stato un appassionato dello strumento, anche se nessuno in famiglia suonava: è lui che mi ha stimolato la curiosità. Ho iniziato a prendere qualche lezione verso i 12 anni ma ho poi continuato da autodidatta.
A: Io ho cominciato intorno ai 10 o 11 anni. Vengo da una famiglia di musicisti, anche se nessuno di loro ha effettivamente continuato con lo studio della musica. In un certo modo, ho voluto riscattare questa famiglia di musicisti autodidatti studiando musica. Anche se, l’unico strumento che non volevo suonare era il violino!
Mi sono ritrovata a sceglierlo perché costretta: a un test di ammissione a scuola, chiesi di suonare la chitarra o il pianoforte. E invece mi presero per suonare il violino: la mia carriera di musicista era partita proprio male”. E, invece, poi a continuato a suonarlo. Mi sono diplomata anche in Conservatorio sei anni fa e stavo ormai per appendere lo strumento al chiodo quando per fortuna sono arrivati i Rosso Marte.
Ciao Freud si apre con una canzone dedicata all’amore e si chiude con una dedicata alla morte, A guardare la morte. È una canzone senza ritornello. Da quale suggestione è nata?
C: La canzone coniuga tre idee differenti che si sono incastrate naturalmente tra loro. Ci piaceva l’idea di chiudere con una sorta di suite scomposta che tratta di temi diversi con tonalità diverse. Si apre con una sorta di dissolvenza per descrivere lo svanire delle cose: è un invito a vivere in maniera più consapevole il momento. C’è poi un ragionamento centrale e, una volta compresa la consapevolezza di sublimare tutto, si finisce con una specie di canto tribale quasi a esorcizzare tutto prima di chiudere con lo stesso riff iniziale. È un modo per riflettere sul senso ciclico della vita: la morte è solo una rinascita.
A voi fa paura la morte?
L: Per natura sono una persona che pensa spesso. E la morte è qualcosa a cui ho pensato. Più che la morte mi spaventa il passare inesorabile del tempo, il sapere che questo momento non tornerà più indietro. Ecco, mi spaventa sapere che il tempo è come una freccia che va avanti, non torna mai indietro e porta inesorabilmente alla morte. Mi mette ansia perché sei del tutto impotente, non puoi fare assolutamente nulla.
A: Forse più della morte, mi spaventa l’idea di invecchiare e di non avere tra trent’anni la possibilità di fare ciò che siamo capaci di fare oggi.
C: Io non ho paura di invecchiare. Mi spaventa semmai l’idea di morire prima di invecchiare, di non riuscire a fare tutto quello che voglio fare.
Porterete la musica di Ciao Freud in giro?
Abbiamo già cominciato. C’è anche stata di recente una serata sold out a Roma e ci stiamo organizzando per altre date nel migliore dei modi. Abbiamo voglia di farci ascoltare in tutti quei posti che ci accoglieranno ma anche di partecipare a quanti più festival possibili. Noi siamo una band principalmente da live.