Samara Tramontana raccoglie sui social qualcosa come 2,3 milioni di follower. A parlare per lei sono i suoi numeri: 1,6 milioni di persone la seguono su TikTok mentre su Instagram sono in 700 mila ad accogliere i messaggi di woman e self empowerment che diffonde. Attraverso i suoi contenuti, vediamo Samara Tramontana condannare patriarcato, bullismo e cyberbullismo, e a differenza di molti altri sappiamo che non sta cavalcando un trend per ottenere solo dei vantaggio personali.
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La sensibilità di Samara Tramontana verso tali tematiche è aumentata esponenzialmente nel 2022, quando solo diciannovenne, è stata costretta suo malgrado ad affrontare un’enorme e difficile shit storm sui social: “troia” era quello più ricorrente, in un crescendo di insulti misogini e di atti di cyberbullismo che per mesi e mesi non si è placato. La causa? Una live di una coetanea che l’accusava, come la stessa Samara Tramontana ci racconta, di essere il male peggiore del mondo: l’hashtag che ha scatenato contro di lei arrivò a oltre 20 milioni di click in pochissimi giorni.
…isOVERPARTY era la parte finale di quell’hashtag, una chiamata alle armi, un amplificatore di odio online, per cui, chissà per quale assurda o immotivata ragione, “la festa per qualcuno è finita”. Chi si ritrova sommerso da una mole di insulti che arrivano da sconosciuti molto spesso non la forza di reagire. E neanche Samara Tramontana in un primo momento l’ha avuta. E, memore della sua esperienza personale, ha deciso oggi di mettere la sua storia e non solo al servizio di un podcast, Overparty, scritto con Chiara Pagliaccia e prodotto da OnePodcast.
Dopo aver affrontato la sua storia personale con l’intervento nel primo episodio di Christian Daloi, suo ex fidanzato, Samara Tramontana prosegue il racconto sul cyberbullismo con le storie di tanti ospiti che hanno vissuto esperienze simili, toccando le numerose forme che può assumere l’odio online ed esplorando tematiche tristemente attuali, dal sessismo al bodyshaming, dal razzismo all’abilismo fino all’omolesbobitransfobia.
Tra gli ospiti di Samara Tramontana, tanti creator e attivisti digitali appartenenti alla GenZ, come l’ex fidanzato Christian Daloi, Giada Smania (Vacca Power), Aurora Celli, Kiné Ndoye, Giuliana Florio, Charlie Moon, Iris Di Domenico, Raffaele Capperi, ma anche i genitori di Samara – che racconteranno il loro punto di vista sulla vicenda che l’ha colpita - e Paolo Picchio, padre di Carolina, morta suicida a 14 anni nel 2013 e considerata la prima vittima di cyberbullismo in Italia.
Il cyberbullismo è una piaga da non sottovalutare, un odioso fenomeno sociale che, secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute, interessa i giovani adolescenti con percentuali sempre più preoccupanti. Descritto come “un uso inappropriato della rete, realizzato fuori dal controllo degli adulti, con cui i ragazzi si scambiano contenuti violenti, denigratori, discriminatori, rivolti a coetanei considerati diversi per aspetto fisico, abbigliamento, orientamento sessuale, classe sociale o perché stranieri”, nella fascia di età 11 anni ne risultano vittime il 17.2% dei maschi e il 21,1% delle femmine; i 13enni coinvolti sono il 12,9% dei ragazzi e il 18,4% delle ragazze; gli adolescenti di 15 anni sono il 9,2% dei maschi e l’11,4% delle femmine.
Intervista esclusiva a Samara Tramontana
“Per raccontare come nasce Overparty occorre partire da lontano, da due anni fa, quando una ragazza durante una live sui social dichiara a tutto il mondo che ero una persona terribile e che ero stata con chissà quante persone, dichiarando ovviamente il falso, solo perché ero stata con il suo ex fidanzato”, comincia così Samara Tramontana nel raccontare la nascita del podcast che la vede protagonista per affrontare un tema caldo e attualissimo (da fin troppi anni, ormai) come il cyberbullismo.
“Quella che poteva essere una semplice discussione tra due adolescenti si è trasformata ben presto in qualcos’altro. La maniera, i modi e le parole scelte da lei hanno fatto sì che chi l’ascoltasse, soprattutto giovani e bambini, mi recepisse da quel suo messaggio come la persona peggiore del mondo, colei che è in grado di ferire cuori, distruggere amicizie e intromettersi in una relazione. Chiaramente, non era andata così ma non bastava la mia versione a placare un’ondata d’odio virtuale che in breve tempo si è trasformata anche in reale”.
Cioè? Ci sono stati gesti che sono andati al di là dello schermo di uno smartphone?
Purtroppo, sì. Hanno cominciato a spingermi o a insultarmi quando mi vedevano dal vivo o per strada. C’è stata gente che mi è arrivata persino sotto casa, minacciando me e la mia famiglia. E tutto questo per circa otto mesi, un periodo molto tosto che inevitabilmente ha finito per segnarmi. Ero appena entrata nel mondo dei social, mi piaceva un sacco come può piacere a qualsiasi adolescente e mi trovavo anche bene, fino a quando quella live mi ha stravolto l’esistenza… ero arrivata al limite.
Mi definisco da sempre una persona forte, affronto generalmente tutto ciò che mi arriva ma in quel caso non ci riuscivo tanto grande era la portata. Sentivo di aver toccato il fondo per mese non ho avuto la forza di far nulla: non uscivo di casa, non vedevo nessuno, non usavo più i social e stavo malissimo. Solo col sostegno della mia famiglia ho ripreso lentamente a vivere e a pormi la più semplice delle osservazioni: se è stato difficile per me che mi reputo forte, figuriamoci per chi ha meno carattere o è un po’ più debole.
Ed è così che è nato Overparty, il podcast: la mia storia e quelle di chi ha subito come me odio gratuito possono essere d’ispirazione a chi non sa come affrontare situazioni simili e si sente solo. “Non sono da solo o da sola”, questo è il messaggio che vorrei arrivasse attraverso il podcast a chi lo ascolta e si riconosce.
Quando parli di chi ha scatenato tanto odio social nei tuoi confronti, non fai mai il suo nome, nonostante ti abbia fatto vivere otto mesi di non vita e terrore.
Sono tanti i motivi per cui non lo faccio. Quello più pratico è perché c’è di mezzo un procedimento legale, fatto di denunce e querele. Evito, poi, di fare il suo nome perché non mi va più di dare visibilità a chi non se lo merita. E, infine, ragione ancora più importante, prevengo un’eventuale shit storm di ritorno: non farei mai a nessuno ciò che è stato fatto a me.
Nel primo episodio di Overparty racconti la tua storia ospitando il tuo ex fidanzato, Christian Daloi.
Con Christian non ci siamo parlati per sei mesi. Ci eravamo lasciati in maniera burrascosa anche per quello che era accaduto, dopotutto era lui in fondo la causa per cui si era originato così tanto odio. Eppure, quando l’ho chiamato per proporgli l’idea del podcast, Christian non ha avuto alcuna esitazione: “Vengo immediatamente” è stata la sua risposta. Anche perché le conseguenze di quell’odio hanno interessato anche lui: si è ritrovato con migliaia e migliaia di commenti sotto ai suoi post con la scritta “Settimo”, ovvero la settima persona con cui ero stata secondo una delle accuse che mi veniva rivolte.
Ed è anche l’offesa che gli ha fatto più male. Nel tuo caso, invece, qual era la parola che maggiormente ti feriva?
Mi facevano male non tanto le parole a me ma quanto quelle rivolte alla mia famiglia. Avrebbero potuto insultarmi in qualsiasi modo, ci avrei sofferto e ci sarei stata male ma non avrebbero dovuto intaccare la mia famiglia. Quello non lo tolleravo: auguravano ad esempio la morte a mia sorella… e mi ha sorella aveva solo otto anni.
Secondo te, cos’è che fa scattare l’impulso all’odio?
Me lo sono sempre chiesta, vorrei capire il perché ma ancora non me lo so spiegare. Non lo farei mai e, soprattutto, non mi verrebbe mai di seguire la massa, quando questa è mossa da sentimenti poco nobili come l’invidia o la gelosia. Non ho la risposta e mi piacerebbe anche chiederla incontrandoli a chi tutti quei commenti li ha lasciati, forti del fatto di stare dietro a uno schermo: probabilmente, molti di loro dal vivo non avrebbero nemmeno il coraggio di insultarmi.
In quegli otto mesi, hai scelto di non usare i social.
In un primo momento, leggevo ma non rispondevo e non postavo nulla. Ma poi è arrivato un momento in cui mio padre m’ha preso lo smartphone e m’ha detto “basta, ora leggo e rispondo io”. Si è, poverino, beccato tutto l’odio che stavo ricevendo per proteggermi e credo che per lui sia stato straziante leggere determinate cose sulla figlia.
Da allora, sono passati due anni. Agiresti oggi in maniera diversa?
No, mi comporterei così come mi sono comportata. Perché poi è anche quello che mi ha portato alla pubblicazione di un libro (Sette, edito da Mondadori, ndr) e oggi di un podcast in cui posso raccontare quella maniera sbagliata di relazionarsi agli altri.
Tra le persone che hai incontrato per Overparty, chi ti è rimasto più impresso?
Tutti ma ognuno per un motivo diverso. Sicuramente la puntata con i miei genitori è stata a livello intimo una delle più forti: ho visto per la prima volta piangere mia madre e c’è stato tra di noi un confronto a cuore aperto, bellissimo oltre che utilissimo. Ma anche l’incontro con il papà di Carolina Picchio, la prima vittima di cyberbullismo riconosciuta in Italia, è stato fortissimo: ascoltare la storia di quella ragazzina che a 13 anni si è suicidata mi ha lasciata un bagaglio di sensazioni ed emozioni che è inspiegabile e che mi auguro arrivi anche a tutte le persone che l’ascolteranno. È quasi surreale pensare a come ci si possa togliere la vita solo perché qualcosa si prende la briga che deve andare così.
Avere come te 2,3 milioni di follower comporta una grossa responsabilità?
In passato, credevo di non averne alcuna. Ma quando due anni fa è accaduto tutto quel casino che mi ha riguardata ho potuto constatare con mano quanto certi numeri non fossero “virtualità” ma “realtà”. Nei casi delle live, il dato arriva anche a moltiplicarsi all’infinito soprattutto quando quel contenuto esce dalla cerchia dei tuoi follower. A oggi, anche prima di scrivere un semplice ‘Buongiorno’ presto molta attenzione a non ferire la sensibilità di nessuno.
Hai paura dell’attenzione che hai puntata addosso?
Ora sì, dopo quello che è successo mi spaventa. È stato per me un trauma: sono ancora sotto shock e ho paura che ogni mio comportamento o frase possa dare adito ad altro. Non è semplice ritornare alla normalità: non ho ancora chiuso i conti con lo stress post traumatico, anche se dovrei.
Quando hai vissuto quei mesi di allontanamento dallo smartphone, c’è stato qualcuno del mondo social che ti è stato vicino a livello privato?
Le uniche persone che mi erano vicine, lo ribadisco, sono state la mia famiglia e il mio ex fidanzato. Tutti coloro che avevo vicino sui social o che amavano farsi vedere insieme a me si sono allontanate per paura di eventuali ripercussioni: l’onda era talmente grossa che travolgeva chiunque mi si avvicinasse. In quel periodo, chiunque fosse stato amico di Samara sarebbe stato automaticamente una persona terribile.
Nel momento in cui l’onda è scemata, si sono ripresentati gli altri alla tua porta?
Sì, ma non ho aperto: la porta è rimasta chiusa: quando avevo bisogno di loro, nel momento in cui ero sola e stavo male, non c’erano e non si erano rivelati amici. Una parola a cui oggi do molto peso: ho sicuramente meno persone vicino ma almeno so che sono mosse da altri sentimenti e valori, non dalla fatturazione. Molto banalmente, si sono allontanate da me anche alcune persone con cui alla Stardust (la factory di talent di cui fa parte, ndr) condividevamo tutto. L’agenzia, invece, si è comportata diversamente da loro, supportandomi, proteggendomi e difendendomi in qualsiasi modo possibile.
Cosa ti auguri per il podcast, tra l’altro fatto in maniera del tutto gratuita?
Che possa arrivare al maggior numero di persone possibile. Ma non mi interessa il numero in quanto tale ma l’effetto che può avere in chi lo ascolta: se anche solo due persone capissero quanto male fa l’odio che si riceve sui social o una sola capisse di non essere sola, avrei raggiunto ugualmente il mio obiettivo.
Hai portato la tua esperienza anche nelle scuole. Qual è stata la reazione dei ragazzi?
È andata bene: i ragazzi sono i primi a capire la gravità della questione, pongono domande, cercano risposte e accolgono con amore ogni mia testimonianza. La maggior parte degli insulti che ho ricevuto arrivavano da giovani ed è a loro che va insegnato come usare o meno i social.
Sei reduce da un 2023 che ti ha visto fare due esperienze per te nuove: l’RDS Summer Festival e Aspettando Ciao Darwin.
Dopo un anno bruttissimo come quello che avevo passato, è arrivata una boccata d’aria fresca. Come un’araba fenice, sono risorta dalle ceneri e ho ricominciato a lavorare incontrando persone fantastiche come Paolo Bonolis e giornalisti bravissimi, persone che credono in me per le mie capacità e non per altri motivi. A livello di esperienze, è stata una figata… e puoi anche scrivere così (ride, ndr). In più, il Summer Festival mi ha permesso di girare per varie città d’Italia, permettendomi di incontrare dal vivo anche chi mi seguiva: una dimostrazione in positivo di come dietro ai numeri ci siano sempre persone reali e non solo entità digitali.
Ti dà fastidio che i media, soprattutto i siti internet o le pagine social, si interessino alla tua vita privata in maniera quasi eccessiva?
Se ciò che scrivono corrisponde a verità, no. Quando accade il contrario, contatto anche la pagina o chi di dovere per chiedere il perché o cosa non ha capito di me, quale informazione in più posso dare per evitare che circolino false notizie. Esempio stupido: di recente qualcuno ha scritto che avevo trascorso il mio ventesimo compleanno con il mio migliore amico quando invece quello in foto con me era il mio gemello. Evito dunque che si facciano magre figure: a volte trovo dall’altro lato persone super comprensive, altre invece dei muri quando basterebbe capire semplicemente l’errore, parlarne e sistemare tutto.
Cosa hai provato quando il tuo primo contenuto digitale è andato virale?
Il primo contenuto virale faceva letteralmente schifo, pure troppo (ride, ndr). Ancora oggi mi chiedo perché è successo: era un semplice balletto, un trend. A volte è facile che un contenuto diventi virale ma poi sta al creator avere qualcosa da dire che lo differenzia dagli altri, si rischia altrimenti di essere delle nuvole passeggere. E, per scongiurare tale rischio, sta al creator evolversi e crescere presentandosi in maniera originale, unica, rispetto agli altri.
Chi vedi quando ti guardi allo specchio?
Come tutti, ho i giorni no per cui è meglio che non mi guardi e altri in cui penso di essere una strafiga. Ma mi vado bene così: non c’è nulla di me che cambierei.
Sessismo, bodyshaming, razzismo, abilismo, omolesbobitransfobia: sono soltanto alcune delle tematiche che emergono da Overparty. Ce n’è una tra queste che reputi più importante di altre?
No, non farei nessuna scala delle priorità: ogni tema è importante per chi lo subisce e genera reazioni. Sono tutte forme d’odio che fanno male allo stesso modo e che vanno al di là del digitale. Io stessa quando frequentavo le medie avevo avuto già un primo assaggio della cattiveria della gente: avevo cominciato a usare l’app che poi si sarebbe trasformata in TikTok, realizzavo i miei primi (imbarazzanti!) video e ogni giorno andare a scuola era un incubo. Anche in quel caso, sono dovuti intervenire i miei genitori: ero piccola.
Adesso sei “grande”?
Rispetto a dieci fa, ho maggiore consapevolezza. Anche per via di quanto è poi accaduto, ho imparato a dare un valore aggiunto a tutto quello che ho intorno: lavoro, amicizie e famiglia. Da adolescenti, sottovalutiamo tantissimo la famiglia, dimenticando come nella maggior parte dei casi sia proprio questa a poterci essere d’aiuto. Non dovremmo avere paura a rivolgerci ai nostri genitori o a riporre fiducia negli adulti: possono esserci d’aiuto con quell’esperienza che a noi manca, non teniamoci tutto per noi.