Samuele Carrino, il giovanissimo attore protagonista del film Il ragazzo dai pantaloni rosa diretto da Margherita Ferri e al cinema dal 7 novembre con Eagle Pictures, si mette al servizio di una storia forte e dolorosa che tocca il tema del bullismo con una sensibilità autentica. Il film racconta la vera vicenda di Andrea Spezzacatena, un quindicenne che, oppresso dal bullismo scolastico e dal cyberbullismo, ha compiuto il tragico gesto di togliersi la vita. Samuele Carrino, che interpreta Andrea, è consapevole della responsabilità di portare in scena una storia che invita a riflettere sul devastante potere delle parole e delle azioni violente. Il bullismo, nel film, emerge come un male che si annida nel quotidiano e che può condurre a conseguenze inimmaginabili.
Nel prepararsi al ruolo, Samuele Carrino ha approfondito il personaggio anche grazie all’incontro con Teresa Manes, madre di Andrea, con cui ha costruito un rapporto di profonda empatia. Il confronto ha arricchito la sua interpretazione, aggiungendo un elemento di verità alla rappresentazione del dolore e dell’isolamento che Andrea viveva. La storia del film, narrata attraverso la voce di Andrea "dall'aldilà", è un invito alla riflessione collettiva sulla crudeltà di certi atteggiamenti e sul silenzio che spesso impedisce alle vittime di chiedere aiuto.
Il messaggio del film è duplice: sensibilizzare chi assiste o subisce il bullismo, e fare capire a chi commette atti di prevaricazione il peso delle proprie azioni. Per Samuele Carrino, la pellicola rappresenta un potente monito: le parole hanno il potere di ferire quanto e più della violenza fisica. Proprio per questo Samuele Carrino sottolinea l’importanza del dialogo, soprattutto per gli adolescenti, che dovrebbero trovare il coraggio di parlare con qualcuno di fiducia quando subiscono simili abusi.
Il ragazzo dai pantaloni rosa, che porta una storia vera senza moralismi, si propone di essere uno specchio per il pubblico, capace di innescare un confronto interiore e collettivo, senza dettare giudizi ma spingendo tutti a riflettere sulle proprie responsabilità. La rappresentazione del bullismo in Il ragazzo dai pantaloni rosa è volutamente realistica, senza sfumature consolatorie, e fa emergere l’idea di una società in cui la comprensione e il rispetto per le differenze devono diventare priorità.
È una realtà inaccettabile quella del bullismo, capace di dilaniare e, in alcuni casi, spezzare vite giovani, trascinando vittime indifese in un vortice di sofferenza invisibile. Non si può morire per una differenza, per una scelta personale, per un pantalone rosa: eppure, questo è esattamente ciò che è accaduto ad Andrea Spezzacatena, un ragazzo di appena quindici anni che ha deciso di togliersi la vita sopraffatto dalla violenza psicologica ma anche più recentemente a Leonardo Calcina.
Samuele Carrino, nel raccontare la sua esperienza sul set, sottolinea quanto sia stata importante la collaborazione con il cast e la regia, e come la sinergia con i coetanei Andrea Arru e Sara Ciocca abbia contribuito a creare una rappresentazione autentica delle dinamiche adolescenziali. Il giovane attore, supportato dalla sua famiglia che lo ha accompagnato nella scelta di seguire la strada della recitazione, porta sullo schermo un personaggio che è simbolo di speranza e di una realtà in cui ogni giovane possa sentirsi libero di essere sé stesso, senza temere il giudizio degli altri.
Con il film Il ragazzo dai pantaloni rosa, Samuele Carrino diventa portavoce di un messaggio chiaro: la libertà di espressione e di identità deve essere un diritto inalienabile per tutti. E il cinema, ha il potere di raccontare storie che risuonano nella vita reale e di promuovere un cambiamento sociale necessario e urgente, come dimostrano le recenti cronache.
LEGGI ANCHE - Corrado Fortuna: “La mia paura del giudizio altrui sull’essere umano che sono” – Intervista esclusiva
Intervista esclusiva a Samuele Carrino
“Viviamo a Roma da quasi quattro anni: i miei hanno deciso di trasferirsi qui per far sì che io e mia sorella continuassimo quel percorso artistico che abbiamo scelto, io da attore e lei da cantante”, esordisce Samuele Carrino quando, a inizio intervista, gli si chiede per rompere il ghiaccio dove si trovi. Anche se con Samuele Carrino non servirebbe nessuno stratagemma per farlo parlare: la timidezza non è di certo un suo problema e, nonostante sia alle prime interviste, sa come interfacciarsi con i suoi interlocutori, accompagnando ogni risposta con il sorriso e la gentilezza del suo essere quasi quindicenne.
Sin da subito, l’argomento della conversazione si sposta su Il ragazzo dei pantaloni rosa, il film di Margherita Ferri in cui si ripercorre le vera storia di Andrea Spezzacatena, il quindicenne che il 20 novembre 2012, stanco della continua violenza psicologica a cui era costretto a scuola dai bulli, ha deciso di togliersi la vita. Nel film, presentato ad Alice nella Città durante la Festa del Cinema di Roma, Samuele Carrino interpreta proprio Andrea, sobbarcandosi la responsabilità di dare voce a chi la sua non ha mai più potuto affermarla.
Cosa ti ha colpito maggiormente della sceneggiatura del film?
Più che dalla sceneggiatura in sé, che mi ha preparato su tutto ciò che riguardava la vicenda e reso consapevole del percorso a cui Andrea andava incontro, sono rimasto spiazzato da qualcosa che esula dal film in sé… ovvero, dall’incontro con Teresa Manes, la mamma di Andrea. È stato impattante entrare in contatto con lei e con la forza che ha mostrato in questi anni. La prima volta che l’ho vista l’emozione è stata talmente forte che dopo essermi presentato mi sono bloccato. È andata meglio la volta successiva quando il primo gesto istintivo è stato quello di abbracciarci, ponendo le basi per un rapporto stupendo che ancora oggi dura.
Tornando alla sceneggiatura, invece, ho sempre provato una fortissima emozione e commozione nel rileggerla, soprattutto nell’avvicinarmi alla parte finale: provavo a resistere ma era più forte di me, non ce la facevo e scoppiavo a piangere.
Ti ha ferito l’epilogo?
È inconcepibile che la sua storia sia accaduta realmente. Andrea ha sofferto così tanto per ciò che si è sentito ripetere più volte da non riuscire a reggerne il peso: si è ritrovato schiacciato nonostante fosse un ragazzo solare, tranquillo e sorridente. Ma quel qualcosa che è accaduto ha un nome preciso: bullismo. Ed è la ragione per cui oggi Andrea non c’è più.
Che si conosca o meno la storia reale, si spera che alla fine qualcosa possa cambiare. Ma la cronaca di oggi ci insegna che nulla è cambiato: qualche settimana fa il quindicenne Leonardo si è tolto la vita a Senigallia perché stanco di essere bullizzato. Qual è secondo te il primo gesto che chi è vittima di bullismo dovrebbe mettere in atto?
Parlare. Nel mio caso, lo direi subito a mia madre. Capisco anche che per un adolescente parlarne con un genitore a volte non è così semplice come sembra ma si potrebbe fare anche con la persona che si sente più vicina, che capisce i nostri sentimenti e che anche con un semplice abbraccio riesce a farci sentire meglio.
La cronaca ci dice anche che sugli atti di bullismo nei confronti di Andrea non è ancora stata scritta la parola “fine”. Qual è stato il primo sentimento maturato in te dopo aver appreso che, proprio in ambito alla proiezione alla Festa del Cinema di Roma, siano stati rivolti ancora epiteti terribili nei suoi confronti?
Più che rabbia, ho provato delusione… ma dall’altro lato ho anche compreso meglio quanto questo film sia ancora più necessario di prima. I bulli però questa volta non hanno agito nell’ombra ma sono usciti allo scoperto: sappiamo che ci sono, esistono e vanno affrontati. Il ragazzo dai pantaloni rosa ha quindi una duplice missione: da un lato, spingere i bulli a realizzare che le parole uccidono e, dall’altro lato, aiutare le vittime a comprendere che possono salvarsi sempre grazie alle parole.
Nell’accettare il ruolo di Andrea, non hai mai avuto paura delle eventuali ripercussioni che potevano ricadere anche su di te? Per molti, è difficile distinguere l’attore dal personaggio.
No, non è qualcosa di cui mi sono preoccupato. Da attore, sono stato chiamato a interpretare un ruolo e per farlo, nel rispetto di una storia che sapevo essere vera, ci ho messo tutto il cuore e la mia sensibilità, cercando di attenermi con delicatezza alla sceneggiatura.
Sul red carpet, hai anche voluto indossare qualcosa di rosa che non è passato inosservato ai flash dei fotografi.
Ho indossato uno smoking a cui mia madre ha fatto cucire da una sarta un bordino rosa. Ma ho messo anche un papillon e delle scarpe rosa: era la mia personalissima dedica ad Andrea… e continuerò a indossare quell’abito in tutte le occasioni che potrò per dimostrare che tutti quanti siamo liberi di vestirci e di essere chi siamo senza che il pregiudizio condizioni le nostre scelte. Tutto ciò che dovrebbe valere è l’auto-accettazione, lo stare bene con se stessi al di là dell’orientamento sessuale, del proprio corpo e dei colori che si amano.
Per una strana coincidenza del caso, indossavo proprio una felpa fucsia quando è arrivata la richiesta di provino per il film e mi sono documentato maggiormente sulla storia di Andrea. La conoscevo per sommi capi ma quello stesso giorno ho cercato il servizio a lui dedicato da Chi l’ha visto?, in cui era presente anche Teresa Manes che raccontava del figlio. Mi sono commosso come non mai: ho inviato anche un video a mia madre mentre, piangendo, le facevo notare quale colore avessi indosso io quel giorno.
E ancora oggi non mi spiego come si possa morire per un pantalone rosa: non è possibile che accada. Non trovo giusto che succedano determinate cose: sarebbe ora di smetterla, per Andrea e per tutti gli altri.
LEGGI ANCHE - Margherita Ferri: “Un film pieno di vita come Andrea Spezzacatena” – Intervista esclusiva
Com’è stato condividere il set con i giovanissimi Andrea Arru e Sara Ciocca da un lato e con gli adulti Claudia Pandolfi, Corrado Fortuna e Margherita Ferri dall’altro?
Curiosamente, è stata la prima volta che mi sono ritrovato a recitare con dei giovanissimi attori come me: in passato, ho interpretato film molto drammatici che mi hanno visto interagire soltanto con attori adulti. Non avevo dunque mai lavorato con dei ragazzi e ammetto che è stato molto bello farlo. Si è creato un rapporto di amicizia che va avanti ancora oggi, con Andrea Arru capita anche che si esca qualche volta insieme mentre con Sara Ciocca ci si scrive molto spesso.
Ho lavorato bene anche con gli adulti, soprattutto con Claudia Pandolfi, la persona con cui per ovvie ragioni sono stato più a contatto… Tra l’altro, mi rivedo molto in lei: alcuni lati nostri caratteri si somigliano molto, a cominciare da una certa vena pazzerella. Margherita Ferri si è rivelata poi essere un’ottima regista, sempre pronta a dare una mano in tutto e a fornirci le giuste indicazioni e informazioni. Corrado Fortuna, infine, è stato dolcissimo: lo considero una persona molto speciale per me proprio perché, confrontandoci spesso sul set, mi ha insegnato molto.
Gran parte degli insulti che Andrea riceveva passavano anche per i social. Come ti relazioni con i commenti degli haters?
Evito di dare loro troppa importanza: lascio che ognuno esprima la sua opinione senza dare troppo peso a chi vuole pensarla in una determinata maniera. Tra l’altro, al momento condivido il profilo con mia madre, visto che comunque non ho ancora 15 anni… e, se devo dirla tutta, non uso molto spesso i social: preferisco vivermi la vita reale di tutti i giorni, che mi offre decisamente molti più stimoli di uno smartphone. Al telefono, preferisco andare a giocare a calcio con gli amici o a pescare…
Hobby insolito per un adolescente di oggi.
È legato alle mie origini: sono di Gallipoli! Vado molto spesso a pesca con mio zio perché mi rilassa: assemblo la canna, raggiungo il porto del paese e mi libero dai miei pensieri, sentendomi anche meglio dopo.
La tua prima esperienza su un set è stata cinque anni fa quando hai interpretato Domenico in Liberi di scegliere. Cosa ti ha spinto verso la recitazione?
È cominciato tutto per caso. Ero iscritto a un’agenzia di moda quando a questa è arrivata la richiesta di un provino per un film. Mia madre ha inviato il mio all’ultimo momento, oltre il termine ultimo fissato dal casting. Avevo sette anni e nel giro di qualche giorno mi sono ritrovato a Roma a fare la mia prima prova costume: il regista si era “innamorato” di me. Quell’esperienza ha fatto sì che mi appassionassi tantissimo a questo mestiere e che volessi continuare…
Tuttavia, le cronache familiari dicono che la mia prima esperienza d’attore è stata un’altra: appena venuto al mondo, a un mese di vita, ho “interpretato” Gesù Bambino in un presepe vivente. E, sebbene fossi un neonato che piangeva spesso, in quell’occasione sono stato un bambinello buono e calmo: ho dormito tutto il tempo (ride, ndr)!
Non hai avuto paura la prima volta che si è accesa la famosa luce rossa della macchina da presa?
No. Perché forse mi è piaciuto subito quello che stavo facendo… Sul set, mi sono sempre divertito molto e non ho mai avvertito ansie o preoccupazioni. E mi sono divertito anche nell’interpretare storie drammatiche che, per certi versi, mi hanno spinto a maturare anche prima del dovuto e a comprendere determinate cose prima del previsto.
Oggi cosa vedi se ti guardi allo specchio?
Le occhiaie (ride, ndr). Battuta a parte, mi vedo felice sia per come è stato finora accolto il film sia per il momento della mia vita personale che sto vivendo. Sto davvero bene e ho voglia di continuare su questa strada, ragione per cui sto anche studiando per migliorarmi: ho sempre ritenuto che lo studio sia molto importante e gli do molto valore. Sto anche perfezionando l’inglese perché lo reputo fondamentale per questa professione.
E poi non riesco a stare fermo. Oltre a frequentare il liceo, pratico anche ogni tipo di danza, dalla break dance all’hip hop, passando per la classica, il contemporaneo o i balli caraibici. Per non parlare poi del calcio, della boxe, della batteria. L’unica cosa che non ho mai voluto fare è suonare il pianoforte: grazie a mia madre, che invece lo insegna, sono però riuscito a imparare in tre giorni ciò che mi serviva per una delle scene del film!
Non temi che la professione a cui vuoi dedicarti ti tolga anche tanto oltre che a darti?
Si, ma il mio cuore continua a spingermi verso questa dimensione: sul set, mi sento a casa, sto bene e sono contento di ogni cosa. Più che ai sacrifici, penso alle soddisfazioni che arrivano o ai messaggi che posso veicolare: un film come Il ragazzo dai pantaloni rosa può essere utile a tantissime persone che vivono lo stesso calvario di Andrea.
E come ti vedono i tuoi compagni di scuola?
Come un ragazzo come tanti altri. Anche perché non ho mai fatto pesare il mio lavoro, non me la sono mai tirata e mai lo farò: sono convinto che occorra rimanere umili e con i piedi per terra in ogni caso. E poi a scuola sono Samuele, quello pazzerello che riesce a inventarsene sempre una per stupire tutti, e non l’attore.
Hai citato più volte tua madre. Com’è il vostro rapporto?
Fatto di alti e bassi com’è giusto che sia a quest’età… ma, scazzi generazionali a parte, abbiamo un legame molto sincero, forte e puro: a lei racconto tutto ciò che mi accade e da lei mi faccio consigliare in caso di problemi o di dubbi. Mamma mi accompagna nelle mie scelte: le ha sempre sostenute invitandomi però al massimo dell’impegno e lasciandomi libero di prendere quelle che io reputo più vicine ai miei desideri. E non posso nemmeno mentirle: per quanto mi dica che io sia un bravo attore, riesce a sgamarmi subito!
I tuoi hanno scelto di trasferirsi da Gallipoli a Roma per seguire le aspirazioni dei figli. Siete consapevoli del sacrificio richiesto?
In genere, sono i figli che seguono i genitori nelle loro scelte di lavoro o di vita. Per noi, è accaduto il contrario ma loro non l’hanno mai considerato un sacrificio, anche perché c’erano tutte le condizioni per incastrare i loro impegni anche professionali con i nostri desideri. Ci ripetono sempre che è stato il loro modo per dare a noi una possibilità: lo hanno fatto con tutto il cuore.
LEGGI ANCHE - Stefano Chiantini: “I miei supereroi dall’approccio antieroico alla vita” – Intervista esclusiva
Il ragazzo dai pantaloni rosa: Le foto del film
1 / 17Di cosa ha paura Samuele?
Di non riuscire a far valere la mia autodeterminazione e la realizzazione di me stesso. Lo so che per riuscirci serve impegno ma non mi spaventa: il mio sogno rimane quello di continuare a fare l’attore anche da grande. Male che vada, ci avrò provato con la consapevolezza di essere andato fino in fondo e di avercela messa tutta. Uno dei nomi a cui mi ispiro maggiormente è Pierfrancesco Favino: mi piace la sua capacità di interpretare ruoli completamente diversi l’uno dall’altro e di passare dal dramma alla commedia senza mai perdere credibilità… è molto versatile.
Per risultare credibile, nel film tv La stoccata vincente hai rasato a zero i capelli. Cosa hai pensato quando hai visto riflessa di te un’immagine molto diversa da quella a cui eri abituato?
…di avere la testa quadrata (ride, ndr)! Sebbene io abbia portato quasi sempre i capelli un po’ lunghi, non ci ho pensato due volte: “tanto poi ricrescono”, mi son detto.
La parola “amico” ha un peso molto forte nella storia di Andrea Spezzacatena. Cosa rappresentano gli amici per Samuele?
L’appoggio degli amici, quando sono veri, è necessario. Non sempre però è facile trovarne di sinceri: posso dire di contare sulle dita di una mano i miei amici veri ma sono coloro che sanno tutto di me, con cui mi trovo bene e che si trovano bene con me. Sono anche i miei confidenti, quelli a cui posso anche sfogarmi senza temere il giudizio.
Ma uno dei miei amici più cari rimane il mio cane, Coco: una meticcia che abbiamo scelto da un rifugio dopo che l’anno scorso se ne è andato Achille, un altro cane che ha accompagnato la mia infanzia e che avevamo salvato dall’autostrada. Dopo la sua morte, mi mancava come un pezzo di me: Coco, arrivata qualche giorno prima di Natale, ha riempito quel vuoto, nonostante rosichi anche i muri di casa!