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Samuele Teneggi: “Disarmato davanti alla violenza e all’amore” – Intervista esclusiva

Samuele Teneggi
Fin dai primi passi nel mondo del cinema, Samuele Teneggi dimostra una resilienza emotiva straordinaria, non solo nell'affrontare i ruoli intensi che gli vengono affidati, ma anche nella sua capacità di comprendere e vivere pienamente le sfide della propria generazione.

L’incontro con Samuele Teneggi è un’immersione nell’anima di un giovane attore che rappresenta a pieno le contraddizioni e le sfide della Generazione Z. Classe 2000, Samuele Teneggi incarna una sensibilità moderna, profondamente legata alla comprensione di sé e alla ricerca di autenticità in un mondo che spesso richiede maschere e adattamenti. Nato in Emilia-Romagna, in una piccola realtà di provincia, Samuele Teneggi ha scoperto la sua passione per la recitazione a soli dieci anni, grazie a una compagna di banco che lo ha introdotto al teatro.

Da lì, un percorso in costante evoluzione che lo ha portato al cinema, dall’esordio in Rapito di Marco Bellocchio fino alla consacrazione con il ruolo da protagonista nel film di Paola Randi, La storia del Frank e della Nina, presentato nella sezione Orizzonti Extra della Mostra del Cinema di Venezia 2024 e al cinema dal 3 ottobre grazie a Fandango.

Samuele Teneggi, con una maturità che sorprende per la sua giovane età, non nasconde le sue paure e le sue insicurezze. “Inizialmente mi sentivo totalmente impacciato nei confronti del Frank”, confessa con sincerità, ricordando il suo primo incontro con la sceneggiatura del film. Un personaggio complesso, difficile, denso di sfumature emotive che ha richiesto a Samuele Teneggi un’immersione totale. La paura di non sentirsi all’altezza, soprattutto davanti al primo grande ruolo da protagonista, è stata una costante, ma proprio in questo risiede la forza dell’attore: la capacità di trasformare il timore in crescita personale.

Il Frank, secondo Samuele Teneggi, è un personaggio dalle mille sfaccettature, una figura a tratti insondabile, così come insondabile è la scoperta di sé stessi in un percorso di vita ancora in divenire. “Non ho ancora capito del tutto chi sia il Frank, così come non ho capito del tutto me stesso”, dichiara. È una frase che risuona come un manifesto di quella fase della vita in cui ci si trova spesso sospesi tra l’incertezza e la volontà di trovare un’identità. Per Samuele Teneggi, il lavoro su Frank è stato un viaggio emotivo e intellettuale che ha richiesto di entrare in sintonia con le sfumature più complesse dell’animo umano, ma anche con la semplicità che nasce dall’accettazione delle proprie vulnerabilità.

Parte integrante di questo processo di trasformazione è stata la decisione di decolorarsi i capelli, un cambiamento che Samuele descrive come un momento cruciale non solo per il personaggio, ma anche per sé stesso. “Era qualcosa che sognavo di fare da sempre, ma che per cultura familiare non avevo mai avuto il coraggio di concretizzare”, racconta. Un gesto apparentemente superficiale, ma che in realtà ha segnato un punto di svolta nella sua percezione di sé e del suo rapporto con il mondo esterno. La decolorazione è diventata simbolo di una libertà ritrovata, di un desiderio di rompere con le aspettative familiari e sociali, ma anche un modo per entrare più a fondo nella psicologia del personaggio di Frank, un giovane che vive fuori dalle convenzioni.

E proprio come Frank, Samuele Teneggi ha un rapporto profondo con la conoscenza e lo studio, che vede come strumenti di emancipazione. La sua riflessione sulla cultura è intensa e ricca di spunti: “Lo studio ti dà potere… la conoscenza ti permette di rimodellare a piacere la realtà. I tuoi nuovi alleati diventano i poeti, i filosofi, i pittori, tutti coloro che, attraverso la loro visione del mondo, lo hanno rimodellato prima di te”. In un’epoca in cui la superficialità sembra prevalere, Samuele riafferma con forza l’importanza di una cultura che non è solo nozionistica, ma esistenziale, capace di fornire gli strumenti per comprendere e affrontare le sfide del mondo moderno.

Ma, come ammette, la realtà non è sempre facile da plasmare. Le sue parole sulla violenza, la paura e l’amore mostrano una consapevolezza rara per un giovane della sua età. La violenza, non solo fisica ma anche emotiva, e l’arroganza sono temi che Samuele Teneggi ha affrontato sia nella sua vita privata che professionale, trovandosi spesso “disarmato”. In particolare, l’amore è un campo dove si sente vulnerabile e privo di difese: “Non riesco ancora a capire perché mi si scombussola il cervello e non riesca a mantenere quella lucidità che ho invece in altri contesti”.

La riflessione sull’amore porta a una delle sue paure più grandi: quella di non riuscire a vivere pienamente nel presente, di essere intrappolato tra le aspettative future e i rimorsi del passato. Un timore condiviso da molti giovani, costantemente in bilico tra il desiderio di realizzazione e la paura di fallire. “Ho paura della solitudine e di fare la scelta sbagliata”, ammette con una trasparenza disarmante, dimostrando come, dietro la sua determinazione professionale, si nasconda un giovane che, come molti, cerca ancora di trovare un equilibrio tra le proprie ambizioni e i dubbi esistenziali.

Eppure, nonostante queste paure, Samuele Teneggi si mostra determinato e consapevole delle proprie capacità, soprattutto in ambito professionale. Grazie alla guida della regista Paola Randi, ha imparato a fidarsi di sé e a trovare una nuova sicurezza sul set. “Non avevo paura di non essere riuscito in una scena… guardavo la regista e mi fidavo del suo annuire”. Questa fiducia nel processo creativo è ciò che lo ha aiutato a dare vita a un personaggio così complesso come il Frank, e rappresenta una lezione di vita che Samuele sta cercando di applicare anche alla sua sfera personale.

La dicotomia tra la sfera professionale e quella privata è un tema che emerge spesso nelle sue parole, e Samuele Teneggi non nasconde di avere ancora molte cose da scoprire su di sé. I rimorsi del passato non riguardano tanto il suo percorso professionale, quanto piuttosto le strade non intraprese a livello personale. “Ho forse tralasciato un po’ di coltura della persona”, confessa, ammettendo che, concentrandosi così tanto sul proprio sogno artistico, ha perso alcune opportunità relazionali che avrebbero potuto arricchire ulteriormente la sua vita.

Alla domanda su cosa rappresenti per lui il sogno, Samuele Teneggi risponde con una riflessione profonda che rispecchia il suo animo inquieto e romantico: “Sto vivendo un sogno, ma c’è qualcosa che ancora mi manca… voglio continuare a fare film, migliorare, perfezionare”. Per lui, sogno e desiderio sono indissolubilmente legati, parte di un processo continuo di crescita e scoperta.

Samuele Teneggi è un giovane attore che vive la sua arte come una missione personale, un modo per esplorare se stesso e il mondo che lo circonda. La sua sensibilità, la sua apertura mentale e la sua capacità di mettere in discussione ogni aspetto della sua vita lo rendono non solo un interprete di talento, ma anche un simbolo di una generazione che cerca autenticità in un mondo sempre più complesso.

Samuele Teneggi (Foto: Jarno Iotti; Press: Lorella Di Carlo).
Samuele Teneggi (Foto: Jarno Iotti; Press: Lorella Di Carlo).

Intervista esclusiva a Samuele Teneggi

“Inizialmente mi sentivo totalmente impacciato nei confronti del Frank”, risponde Samuele Teneggi quando gli si chiede qual è stato il suo primo pensiero nell’avere tra le mani la sceneggiatura del film La storia del Frank e della Nina. “Sulla carta, mi sembrava così complesso, difficile e profondo. Ed essendo anche il mio primo ruolo da protagonista non potevo che avvertire una certa responsabilità per cui non mi sentivo per niente all’altezza. Lo switch è avvenuto grazie alla regista Paola Randi, che mi ha permesso di capire che non dovevo provare una venerazione dogmatica nei confronti del personaggio che lei aveva scritto: dovevo semmai far sì che il Frank diventasse mio”.

E chi è diventato il Frank per Samuele?

Un essere complesso che ancora non ho capito, come ancora non ho capito me stesso nella vita. La difficoltà maggiore sta dall’acquisire la fiducia necessaria per lasciarsi trasportare dalla complessità e trasformarla in sinonimo di semplicità. Emozionalmente parlando, mi piacerebbe lasciarmi trascinare da quello che viene.

Per entrare fisicamente nei panni del Frank hai dovuto prima di tutto decolorare i tuoi capelli. Un cambio violento, se vogliamo.

In realtà, era qualcosa che sognavo di fare da sempre ma che per cultura, anche familiare, non avevo mai avuto il coraggio di concretizzare. Tanto che, quando è successo per questioni di lavoro, la prima persona che ho videochiamato per mostrarmi è stata mia madre, che mi ha dato istantaneamente del ‘cretino’ in maniera scherzosa. Seppur violento come cambio, è stato molto bello perché mi ha aiutato a diventare qualcuno di apparentemente così diverso da me: mi ha spinto a creare nella mia testa l’immagine di un personaggio di cui potessi essere amico. Senza decolorazione, non sarebbe nato il Frank.

Il Frank, come la Nina e il Gollum, ha un certo rapporto con lo studio e con la conoscenza, elevandoli a strumento di emancipazione. Che rapporto hai tu con lo studio?

Il Frank frequenta il Politecnico perché animato da sete di conoscenza. Anche per me lo studio è molto importante perché, come ho capito ancora meglio grazie al film, ti dà potere… la conoscenza ti permette di rimodellare a piacere la realtà: i tuoi nuovi alleati diventano i poeti, le poetesse, i filosofi, gli architetti, i pittori e le pittrici, ovvero tutti coloro che tramite la loro visione del mondo hanno provveduto a farlo prima di te. Ma è quando la realtà è molto difficile da accettare che il dolore è inevitabile.

Per il Frank, la Nina e Il Gollum, la conoscenza e, quindi, il rimodellare la realtà rappresenta un’arma molto potente contro la violenza. Gollum è vittima di bullismo, la Nina di violenza domestica e il Frank di se stesso e del suo passato segnato da problemi psichici. Per tutti, la conoscenza diventa una specie di arma per la pace.

La storia del Frank e della Nina: Le foto del film

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La conoscenza come forma di potere: quando nel tuo percorso di vita o professionale ti sei sentito impotente?

Il mondo non è fatto solo di cose positive. Non è bello accettare le bruttezze del mondo ma lo è studiarle e capire come a volte siano inevitabili. Mi sono trovato impotente di fronte a situazioni violente, non in senso fisico: penso ad esempio all’arroganza, anche fuori dall’ambito professionale. Mentre il Frank con la sua conoscenza riesce a rimodellare la violenza, io mi sono sentito disarmato. Come mi sento tale di fronte all’amore come concetto. Non tanto davanti a quello familiare o amichevole ma a quello sentimentale: non riesco ancora a capire perché mi si scombussola il cervello e non riesca a mantenere quella lucidità che ho invece in altri contesti. È come se in amore mi venissero a mancare tutte le mie armi di conoscenza e rimanessi a volte inerme a terra.

Paura di rimanere forse fregato dall’amore?

Anche. Ma è un insieme di paure a farmi paura. La maggiore è quella di non riuscire a essere nel presente e di finire sballottato tra le aspettative del futuro e i rimorsi del passato. Così come ho paura della solitudine o di fare la scelta sbagliata.

Paura del giudizio o del fallimento?

Ho la fortuna di essermi, forse per indole, circondato da persone che mi supportano e che mi fanno sentire libero, senza sentirmi giudicato: sono poche ma sono preziose perché rare. Ho semmai paura del mio stesso giudizio nei mio confronti, che deriva dall’immagine di me stesso che sognavo: è un confronto continuo con l’attore e con la brava persona che sognavo di diventare.

Paradossalmente, sono più clemente nei confronti degli altri, a cui mi viene più facile elargire consigli in ogni campo che con me stesso. Mi sono trovato spesso a dire che non si può non fare qualcosa solo per paura del fallimento: non farla significherebbe confermare a priori quel fallimento che si teme. Ma non sono in grado di applicare la stessa filosofia su me stesso: dovrei forse ascoltare di più i miei consigli soprattutto in ambito privato.

Dal punto di vista professionale, invece, sono molto determinato e riesco a mettere in pausa il giudizio e avere più fiducia in me stesso. O, per lo meno, così è stato sul set con Paola Randi: non avevo paura di non essere riuscito in una scena… guardavo la regista e mi fidavo del suo annuire. E facevo bene. Nella vita privata è un po’ più complicato però giuro che ci provo!

“Rimorsi del passato”: quali sono per un ragazzo di 23 anni come te?

I rimorsi del passato sono le vie non ho intrapreso. Non ho rimorsi in campo professionale, di sicuro certe strade potevano portare altrove o proseguire diversamente ma sono grato ai risultati che ho raggiunto finora, a quello che mi sta succedendo e agli incontro che ho fatto. Concentrandomi però tanto nel mio sogno, ho forse tralasciato un po’ di coltura della persona: non ho coltivato molto me stesso e le mie relazioni amorose (eh, torna l’amore…). I rimorsi sono dunque legati anche al mio modo di essere a volte impulsivo a livello emotivo, atteggiamento che ha fatto sì che perdessi persone che avrebbero potuto essere mie amiche o compagne di vita tenendone altre che invece mi interessavano di meno.

Samuele Teneggi.
Samuele Teneggi.

Cos’è il sogno per Samuele?

Strana coincidenza: è una domanda che mi sto ponendo molto in questi giorni. Io sto vivendo un sogno: se ripensassi a quello che avevo da bambino, potrei dirmi realizzato perché sono stato su un set con un ruolo da protagonista girando scene d’azione, d’amore, violente o divertenti. Tuttavia, c’è qualcosa che ancora mi manca… è come se fossi insoddisfatto: voglio continuare a farne tanti altri di film. Una visione un po’ da sturm und drang romantico: sogno di raggiungere e perfezionare qualcosa.

Più che sogno, sembra desiderio…

Dividere sogno e desiderio significherebbe accettare che quello che sogni è irraggiungibile. Per me, invece, sono connessi: il desiderio è il processo del sogno.

Quando hai capito che la recitazione o comunque l’arte (canti da tenore e suoni il pianoforte) era il tuo sogno? Ho come l’impressione che sia entrata nella tua vita come un fiume in piena, nonostante il piccolo posto di cui sei originario.

Oggi sono orgoglioso di essere venuto da Castelnuovo ne’ Monti, un paesino di diecimila abitanti dove si produce l’unico Parmigiano Reggiano al mondo dal latte di mucche libere al pascolo. Ma è un orgoglio che è maturato in me negli anni perché ho voluto scappare via di lì molto presto: ho frequentato il liceo classico a Reggio Emilia per aprire la mia mente e le mie strade. Solo di recente ho riconosciuto a me stesso che il mio spirito artistico è figlio di quella realtà e del contesto familiare in cui sono cresciuto.

Mia madre è un’insegnante di scuola elementare mentre mio padre è un cooperatore di comunità ma entrambi, per un qualche motivo forse anche loro di retaggio familiare, hanno un animo profondamente sensibile… femminile, se vogliamo parlare per convenzioni o stereotipi. Io e le mie tre sorelle abbiamo avuto un’infanzia ricca di stimoli artistici.

Ricordo, ad esempio, le recite teatrali in casa in cui mio padre era il mago cattivo, una delle mie sorelle la principessa ed io l’eroe che arrivava a salvarla. Così come i lavoretti manuali che facevamo con mamma seguendo Art Attack in tv o leggendo Focus. Ma anche le lezioni di musica seguite per anni o gli sport praticati: da figli, siamo stati educati alla sensibilità.

E per me è stato bello vedere come crescendo quello che era uno stimolo esterno si sia trasformato in un’esigenza interna, una spinta personale che mi ha portato prima ad avvertire la necessità di scrivere cose, di recitare per la prima volta in una scuola di musical nel mio paese, di andare oltre quel mio universo e di essere ammesso all’Accademia Silvio d’Amico a Roma. La mia chiave di lettura del mondo è sempre stata artistica sotto ogni aspetto. Mi sembra sempre di poter restituire tutto in poesia, racconti, musica o immagini disegnate.

Mamma e papà, due animi femminili. Tu sei in pace con il tuo lato femminile?

Lo sono sempre stato. Non amo fare distinzioni che ormai credo siano solo convenzionali. Sono in pace con la mia identità biologica, con quella di genere e con tutto ciò che mi riguarda. Come tutti quanti, ho dei lati che sono considerati convenzionalmente maschili e altri che vengono reputati femminili ma non amo distinguerli proprio perché è arrivato il momento di andare oltre. Sono grato anche all’essere nato in un’epoca in cui c’è in atto un processo mentale e culturale così grande: se un giorno avrò dei figli, non perderò tempo a spiegar loro le differenze di genere… dovranno semplicemente sentirsi liberi di essere e di fare come vogliono.

Hai mai pensato che la tua sensibilità potesse renderti oggetto dei pregiudizi di qualcuno minando la tua identità o le tue certezze?

Mi ci hanno fatto pensare molto. E uso apposta tale forma grammaticale: fosse stato per me o per come mi hanno cresciuto i miei genitori, non mi sarei fatto nessuna domanda sull’essere vulnerabile o sensibile. Viviamo in un mondo che purtroppo spesso va avanti a passi più lenti dei nostri, fatto di convenzioni per cui la mia gentilezza o la mia sensibilità sono state a volte associate allo stereotipo di chi deve interrogarsi sul proprio orientamento. Ma, sinceramente, non è mai stato un mio cruccio: se lo avessi legittimato, avrei in qualche modo fatto il volere degli altri.

Samuele Teneggi.
Samuele Teneggi.

Il corpo per un attore è strumento di lavoro, come hai dimostrato anche con il cambio di colore dei tuoi capelli per il Frank. In che relazione sei con il tuo corpo?

Sono fiero di avere problemi con il mio corpo: ci sono delle parti che mi piacciono tantissime e altre che mi fanno schifo. A volte, mi guardo allo specchio e vorrei anch’io che l’immagine riflessa restituisse gli stereotipi di bellezza che ho in testa: vorrei vedermi muscoloso, con dei bicipiti in bella mostra… è quello a cui aspiro o che mi piacerebbe essere ma per cui, in verità, non è che faccia poi così tanto: forse perché questo è il mio corpo e, se non fosse così, non sarebbe più il mio.

Se non avessi un aspetto fragile o non fossi magrolino, molto probabilmente non avrei le stesse possibilità che ho oggi per determinati ruoli. Il mio corpo mi ha sì aiutato ma non posso dire di esserne felice: in passato, è stato causa di molta sofferenza. Ricordo le tante estati al mare il cui mamma provava a farmi togliere la maglietta ed io che, non sentendomi a mio agio, resistevo per non mostrare la “fragilità del mio petto”.

Gli attori nel recitare scoprono anche lati di loro che non pensavano di avere. Hai scoperto qualcosa di te che non ti piace?

Ho scoperto la mia paura di non apparire agli altri come vorrei: ho la propensione a restituire ciò che gli altri vorrebbero che io fossi. Grazie al Frank, ho capito invece che di determinate cose non dovrebbe fregar proprio nulla. A partire dall’aspetto fisico: ha quei capelli lì, usa la colonia del nonno come profumo e indossa i vestiti che ruba dall’armadio sempre del nonno… ed è la sua anarchia totale a conferirgli un’identità ineccepibile e precisa, non come si rapporta agli altri o cosa gli altri pensano di lui. È stato bello realizzare come si può essere fedeli a se stessi quando si è sinceri.

Cosa ti manca per essere felice?

Se lo sapessi, non sarebbe più divertente… Non mi sento infelice ma allo stesso tempo sento che mi manca qualcosa per non esserlo, anche se una parte di me non vuole scoprire cosa. In questo momento, però, sarei felice con un pacchetto di patatine: mi andrebbero un sacco!

Samuele Teneggi.
Samuele Teneggi.
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