Rai 5 trasmette la sera del 30 settembre il film Sembra mio figlio. Diretto dalla regista palermitana Costanza Quatriglio, il film di Rai 5 Sembra mio figlio racconta la struggente storia di Ismail, un uomo che ha trascorso gran parte della sua vita lontano dalla madre e dalla propria terra natale, l'Afghanistan. Fuggito dalle persecuzioni quando era ancora bambino, Ismail vive ora in Europa insieme al fratello Hassan. Nonostante la distanza e gli anni trascorsi, Ismail non ha mai smesso di cercare la madre, che credeva persa per sempre.
Dopo numerose e inquiete telefonate con lei, la madre non lo riconosce più. Questo doloroso rifiuto porta Ismail a intraprendere un viaggio esistenziale che lo conduce a confrontarsi non solo con il proprio passato e le radici della sua famiglia, ma anche con le profonde ferite lasciate dalla guerra e dalla diaspora del suo popolo, gli Hazara.
Il film, prodotto tra gli altri da Matteo Rovere, racconta l’esperienza di un figlio che, nonostante l’assenza di un legame riconosciuto dalla madre, cerca disperatamente di ritrovare una connessione, simbolo del desiderio universale di appartenenza e riconoscimento. Attraverso questa ricerca, si esplora l’inevitabile confronto con l’insensatezza della guerra, che spezza famiglie e identità, e la storia di un popolo perseguitato.
Costanza Quatriglio, la regista, descrive Sembra mio figlio come un film che si muove tra la realtà e la finzione, costruito su esperienze reali raccolte nell'arco di anni. Il progetto, nato dall’incontro con Jan Mohammad Azad, un giovane afgano fuggito dalla sua terra e che ha ritrovato la madre dopo anni di separazione, è un viaggio nell’interiorità dei personaggi, un viaggio fatto di assenze, di silenzi, e di dolorosi riconoscimenti. Quatriglio utilizza un linguaggio cinematografico che oscilla tra gli spazi vuoti dell’esilio e gli spazi immensi in cui si perde l'identità.
LEGGI ANCHE - Costanza Quatriglio: ‘Il cassetto segreto di mio padre’ – Intervista esclusiva
I Personaggi principali
Protagonista del film di Rai 5 Sembra mio figlio, Ismail è un giovane uomo di origini Hazara, costretto a fuggire dall’Afghanistan durante l’infanzia. Il suo volto pacifico e la sua voce misurata nascondono un profondo dolore, causato dalla separazione dalla madre e dalla perdita della propria identità culturale. La sua ricerca non è solo personale, ma diventa un viaggio per comprendere le sofferenze collettive del suo popolo e per affrontare le ingiustizie che hanno segnato la sua vita. È interpretato dal poeta, giornalista e attivista afghano Basir Ahang.
Una figura chiave, anche se mai completamente presente, la madre rappresenta il legame perduto con il passato. Non riconosce Ismail, creando un vuoto che porta a una riflessione più profonda sulle conseguenze della guerra e della separazione forzata. Il suo personaggio simboleggia l'assenza e la perdita, temi centrali del film, e ha il volto di
Fratello di Ismail, Hassan è anche lui fuggito dall'Afghanistan. Insieme a Ismail, rappresenta una parte importante della diaspora Hazara, un popolo che ha subito continue persecuzioni e violenze. Hassan condivide con Ismail il peso dell’esilio e della ricerca di una connessione con la propria famiglia. Lo porta in scena Dawood Yousefi.
LEGGI ANCHE - Il lato segreto di Liliana Segre: un documentario svela la storia mai raccontata della senatrice a vita
LEGGI ANCHE - Il miracolo di Sharon: nel film su Netflix la storia vera che ha fatto piangere l’Americ
Guerra, identità e madre
Il film di Rai 5 Sembra mio figlio si concentra sulle conseguenze devastanti della guerra per coloro che sono costretti a fuggire dalla propria terra natale. Ismail e Hassan rappresentano i figli della diaspora, che vivono in un costante stato di sradicamento e disconnessione dalla loro cultura e dalle loro famiglie. La storia del popolo Hazara, una delle minoranze più perseguitate in Afghanistan, viene raccontata attraverso la loro esperienza personale, offrendo uno spaccato di una realtà spesso dimenticata.
Un tema cruciale del film è la ricerca dell’identità e del riconoscimento. Ismail desidera disperatamente essere riconosciuto da sua madre, non solo come suo figlio, ma anche come individuo con un’identità culturale e personale che la guerra e l’esilio hanno frammentato. Questo desiderio riflette il bisogno universale di appartenenza, di essere visti e accettati.
Il personaggio di Ismail incarna il dramma del silenzio, del non essere ascoltato. Come membro di un popolo spesso marginalizzato e dimenticato, la sua storia è una delle tante voci soffocate dalla violenza e dalla storia. Il film esplora il tema della parola negata, un silenzio che, finalmente, Ismail rompe attraverso il suo viaggio e la sua ricerca.
La figura materna, invece, assume un significato universale. Non si tratta solo della madre biologica di Ismail, ma diventa il simbolo di tutte le madri che attendono notizie dei figli perduti a causa delle guerre e delle persecuzioni. La madre di Ismail, così come le altre figure femminili evocate nella storia, rappresenta il dolore universale della perdita e della speranza.
Il film, infine, porta alla luce la difficile condizione del popolo Hazara, spesso ignorata dai media internazionali. Originariamente di fede buddista e oggi in gran parte sciiti, gli Hazara hanno subito secoli di persecuzioni e violenze, culminate negli attacchi terroristici da parte dei talebani. La storia di Ismail e Hassan diventa così una metafora della condizione di questo popolo, vittima di un genocidio che continua ancora oggi. La distruzione delle statue di Buddha nel 2001 da parte dei talebani è uno dei simboli di questo annientamento culturale e religioso.
LEGGI ANCHE - The Apprentice: un film ci porta alle origini (controverse) di Trump