Conoscete tutti Sena Santini. O, meglio, la conoscono i cinque milioni di italiani che guardano Avanti un altro!, il programma di Canale 5 condotto da Paolo Bonolis con Luca Laurenti. Sena Santini è uno dei tre giudici del quiz/varietà, l’unica donna del gruppo. Sempre sorridente, Sena Santini appare in video ma partecipa anche alla scrittura del programma, un lavoro dietro le quinte che è cominciato quasi per caso.
Ma non è cominciata per caso, invece, la sua carriera musicale. È appena uscito Toni Servillo, il singolo d’esordio di Sena Santini (che per la musica ha “abbandonato” il cognome) con la produzione di Taketo Gohara. Si tratta di un primo capitolo della sua atipica produzione musicale, contrassegnata da una chiave ironica e onirica. Al centro della canzone c’è il rapporto che lega l’attore Toni Servillo al regista Paolo Sorrentino. La loro coppia artistica è simbolo universale del rapporto di interdipendenza e reciproca necessità che si crea in ogni coppia della vita.
Ironica e onirica, due aggettivi uno l’anagramma dell’altro, sono il modo in cui Sena Santini sceglie anche di descriversi. Se leggete la sua biografia (la trovate in calce per quanto è originale), è difficile capire cosa ci sia di vero e cosa sia frutto della sua volontà di prendersi in giro. Tant’è che quest’intervista che ci ha concesso in esclusiva era cominciata con una premessa: facciamola ironica, ci siam detti.
Ma, come capita per tutte le interviste di TheWom.it, in cui non c’è niente di scritto a priori, la conversazione ha preso presto una piega diversa. Per la prima volta, Sena Santini ci ha parlato della sua idea di musica e del suo essere donna. Delle sue paure e delle sue inquietudini. Della musica e della libertà. E ci ha lasciati piacevolmente sorpresi per la maturità dei ragionamenti espressi, per la lucidità del suo pensiero e per la libertà con cui ha scelto di essere sempre chi è. In televisione, come nella vita.
Intervista esclusiva a Sena Santini
Come nasce Toni Servillo?
Toni Servillo è il mio singolo d’esordio ma in realtà è nato diversi anni fa, dalla visione del film Loro, diretto da Paolo Sorrentino e con Servillo protagonista. Ho cominciato allora a ragionare sull’interdipendenza e sulla necessità reciproca che si crea in una coppia artistica. In qualche modo, si finisce l’uno con il plasmare l’altro, come accade anche nelle relazioni sentimentali e/o affettive. Sono abbastanza appassionata del cinema di Sorrentino (ma anche dei grandi registi italiani), anche se il mio suo film preferito rimane Il Divo.
L’altro tema che affronta è invece legato alla ricerca, in un rapporto, di ferite simili alle nostre nell’altra persona. Lo facciamo sperando di trovare nell’altro una sorta di salvezza su misura che ti aiuti a evadere dalla solitudine.
Non si rischia di perdere di vista la propria identità quando si creano dei rapporti di così forte interdipendenza?
Non è il caso di una coppia artistica in cui il sodalizio si trasforma nella forza del progetto che porteranno avanti insieme. Nei rapporti sentimentali o affettivi, invece, è qualcosa di abbastanza pericoloso. L’importante è che l’interdipendenza rimanga nei limiti della moderazione: non deve mai sfociare in dipendenza affettiva. In quel caso, non ci sarebbe nulla di positivo.
Parli con cognizione di causa?
Mi è capitato più volte. Ho la tendenza a vivere le cose in maniera viscerale e quindi mi è capitato di vivere sulla mia pelle casi di dipendenza affettiva ed è stato difficile uscirne.
Del resto, all’affermazione della propria identità hai dedicato in qualche modo dedicato anche la tua tesi di laurea in Giurisprudenza. È vero che sei una giovane cantautrice al suo esordio e il giudice di un quiz televisivo ma sei anche un avvocato.
Ho anche l’abilitazione per esercitare la professione di avvocato ma non ho mai esercitato. La mia tesi era centrata più sull’identità delle minoranze e sul diritto, in poche parole, a essere uguali a se stessi. C’era anche un capitolo dedicato al tema dell’identità sessuale femminile e, in particolare, sulle mutilazioni genitali femminili.
Hai una passione, curiosa, per gli anagrammi. Tanto che ti definisci ironica e onirica. Qual è la tua dimensione ironica e in che cosa consiste quella onirica?
Entrambe le dimensioni si ritrovano nella mia scrittura.
La dimensione ironica è una costante della mia mente da quando ho accettato di non prendermi mai troppo sul serio. E a tal proposito cito sempre una frase di Pasolini. Lo so, lo citano tutti e spesso anche a sproposito, ma perché non potrei farlo io a ragion dovuta? (ride, ndr). “La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre. Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo!”.
La dimensione onirica invece la si riscontra spesso nel mio rimanere in sospeso nella scrittura, nel guardare al mio lato più interiore. E, poi, diciamoci la verità. Tutto è partito dalla mia passione per gli anagrammi. Ho anagrammato ironica ed è venuto fuori onirica. Come aggettivo si addiceva anche alla mia scrittura e l’ho fatto mia!
Da dove nasce questa passione per gli anagrammi?
Non lo so. Ne sono sempre stata appassionata. Sin da bambina, mi sono piaciuti i giochi di parole. A scuola mi facevano organizzare spesso giochi di parole a premi perché ero brava a inventare. Sono talmente appassionata di anagrammi che qualche anno fa avevo cominciato a tenere anche una sorta di rubrica sugli anagrammi dei nomi delle persone. Tuttora, quando ho tempo, sui social c’è ancora chi manda il proprio nome o quello di qualcun altro per farselo anagrammare, sempre in maniera ironica e un po’ surreale.
E la passione per i giochi di parole ti ha portata come concorrente nel quiz di Rai 1, Reazione a catena, condotto allora da Amadeus. È stato possibile notare anche lì la tua dimensione ironica quando, nella manche dell’Intesa vincente, per far indovinare al tuo compagno di squadra la parola “schiuma” hai fatto riferimento a un celebre episodio occorso in diretta tv ad Antonella Clerici.
Era il periodo in cui mi stavo per laureare. Frequentavo l’università in un collegio di Pavia e avevo dei compagni di avventura che come me erano sotto pressione per gli esami e amavano i giochi di parole. Un giorno in cui non avevamo particolare voglia di studiare, ci siamo messi a guardare la tv in una sala comune e siamo incappati nel quiz. Sembra strano ma io non guardavo molta televisione allora. Tuttavia, Reazione a catena mi ha colpita perché era divertente e legato alle parole.
Abbiamo mandato una mail alla redazione del programma e dopo una settimana siamo stati contattati. Abbiamo partecipato e siamo stati campioni per due settimane di fila: non abbiamo vinto nemmeno un euro, siamo stati sfortunati! L’aneddoto della schiuma ha dell’incredibile, quasi. La sera prima della registrazione della puntata ci stavamo allenando tra di noi e avevamo scelto tra le parole da indovinare proprio “schiuma”. Ci siamo detti che se fosse capitata nel programma il primo riferimento sarebbe stato all’episodio della Clerici. Ed è stato così che abbiamo puntato alla gloria eterna!
Curiosamente, poi, hai portato il tuo spirito divertente in un altro quiz, Avanti un altro!, su Canale 5. Non da concorrente ma da giudice, passando dall’altro lato della barricata.
Anche quest’esperienza nasce un po’ per caso. Mi ero appena laureata ed ero rimasta in contatto con uno degli autori di Reazione a catena, Christian Monaco (autore anche del programma di Canale 5). Christian sapeva che scrivo testi e mi ha proposto di mettermi alla prova dal momento che una delle ragazze che scriveva per il programma doveva andar via per maternità. Ero in una fase in cui non sapevo che direzione dare alla mia vita e ho accettato. È andata bene e ho cominciato a lavorare dietro le quinte.
Dopo un anno, la vecchia giudice che andava in video ha dovuto lasciare per ragioni familiari. Poiché nessuno voleva andare in video (è questa la cruda realtà!), l’hanno proposto a me. Mi son detta: “Ho 25 anni. Beh, che mi frega? Sarà sicuramente un’esperienza divertente!”. Pur continuando anche a scrivere per il programma, continuo e continuerò ad apparire seduta nella mia postazione.
È più pesante rispetto a prima, anche per via dei ritmi di registrazione, ma ogni volta che vado al lavoro penso a quanto sia bellissima come esperienza: sono pochi quelli che possono dire che si divertono lavorando o che si mantengono svolgendo un lavoro creativo. In quel programma c’è un clima unico. Paolo Bonolis è una vera macchina da guerra: ho imparato tantissimo anche vedendolo soltanto in azione. Non sbaglia mai un colpo, non si ferma mai e ha sempre la battuta pronta. È un uomo intelligente e ironico.
La tua presenza in video non passa inosservata. Ti dà fastidio se qualcuno ti giudica solo per la tua bellezza e non per le tue capacità?
Avanti un altro! rimane sempre un varietà. È chiaro che devo essere truccata per andare in video ma mi ritengo una ragazza abbastanza normale, non particolarmente avvenente. Non mi ha però mai dato particolar fastidio se guardano alla mia bellezza, io so che comunque il mio ruolo nel programma è legato alla scrittura. Anche la troupe mi ha sempre reputata più capace che avvenente!
Tua mamma è ancora la sola che apprezza le tue canzoni? Ovviamente è un riferimento alla tua biografia scritta in maniera ironica.
A proposito mi è capitato un episodio divertente. È di recente uscito un articolo su un giornale locale. Mia madre è stata fermata da una vicina che l’aveva letto per dirle che era bello il riferimento alla mamma che apprezza tanto il mio lavoro. Non aveva capito l’ironia.
Tra un po’ ti chiederanno anche di cosa raccontava Ti rubo un po’ di popcorn.
In quel caso c’è un po’ di verità. Ricordo ancora il testo e la musica di quella canzone, la si trova anche su internet se cercate bene. A essere sinceri, mia madre apprezza abbastanza la mia musica ma ciò mi mette a disagio. Sono sempre molto intima nelle cose che scrivo e tendo a non farle ascoltare mai prima. Quando vengono pubblicate, paradossalmente mi vergogno. Forse per paura che le persone vicine possano esprimere un giudizio sui miei pensieri o sulla mia vita. Non so se è più timore o una questione di “immagine”: ho sempre avuto la tendenza a non volermi mostrare e a non farmi leggere totalmente dalle persone vicine.
Come sottolinei tu, è paradossale. Tra il serio e il faceto, scrivi canzoni per consolarti e per esprimerti.
Per me la scrittura è sempre stata un’attività terapeutica: era il modo più efficace che avevo per esprimermi. Se ne avessi trovato un altro, sarei ricorsa ad altro ma per ora ho trovato questo (ride, ndr). Sono felice se la mia canzone colpirà anche una persona sola, un’unica persona che arriva a leggerci dentro, a riconoscersi o a farla propria.
In Toni Servillo c’è un verso che dice: “di questi tempi ci si sente soli”. Ti sei mai sentita sola?
Tutti i giorni. È un po’ una condizione esistenziale. Forse ho una visione distorta ma mi sembra una sensazione abbastanza comune nella mia esperienza di vita quotidiana. Il senso di straniamento rispetto a quello che accade intorno è preponderante: mi capita di non avere ben chiaro ciò che mi sta accadendo intorno e di non ritrovarmi in esso. Con il tempo impari a conviverci: è come una sorta di vecchia amica, sempre presente. Sembra strano ma non va via con il tempo.
Credo sia una delle caratteristiche quasi ontologiche insite in me sin da bambina. Sono sempre stata una persona molto riflessiva e molto sofferente anche per le piccole cose, ipersensibile. Come dico io, sono una “complicatrice di cose semplici”. Nell’adolescenza pensavo che con il tempo sarei migliorata ma non è accaduto: care e cari giovani non è vero che si migliora quando si cresce. Semmai si peggiora! Paradossalmente, più passano gli anni più le insicurezze e le inquietudini si amplificano.
Nella tua biografia, ironica ricordiamolo, citi la passione per la musica neomelodica napoletana.
Era per puro cazzeggio, per fare una crasi tra nu metal e musica neomelodica napoletana. Anche se, mi capita di ascoltare i neomelodici. Ci sono delle melodie che sono molto bene ma non sono i miei riferimenti principali. Ascoltavo per esempio Gianni Celeste ancor prima di Povero gabbiano, tra le sue canzoni la mia preferita è Senza e te non pozz sta per il concetto di “proprietà” che esprime. Ma non indaghiamo il perché, finiremmo per parlare di patriarcato tossico!
Nel video di Toni Servillo, disponibile dal 30 settembre, hai coinvolto in apertura un’icona come Maria Giovanna Elmi.
L’idea è venuta ai registi del video, Claudia Pasanisi e Peppe Tortora. Volevano restituire un’immagine scanzonata degli anni Ottanta, non decadente ma un po’ colorata e accesa. Hanno così pensato a un’icona di quel periodo, le “signorine buonasera”. Tra queste, hanno scelto una delle più rappresentative, Maria Giovanna Elmi. Tramite un giro di conoscenze in comune siamo arrivati a lei. Le è piaciuta la canzone: in pochi lo sanno ma sia Maria Giovanna sia suo marito sono appassionati di musica. Il marito organizza anche un festival musicale molto importante in Friuli, il No Borders Music Festival. Io sono veramente felice e onorata di avere un’icona del genere nel mio video.
Ironicamente, sappiamo che la canzone doveva chiamarsi Banfi Lino.
È qualcosa che dico sempre ma non ci hanno concesso il permesso di usare il nome! Ovviamente è una battuta ma avrebbe potuto far rima con Sorrentino, anche se si tratta di due tipi di cinema differenti. Senza nulla togliere a Banfi, mi piaceva l’idea di cantare di un tipo di cinema da puzza sotto il naso. Banfi è invece il simbolo della commedia un po’ più popolare: esattamente l’opposto di Servillo.
Come cura i lividi, di cui canti, Sena?
Con la scrittura sicuramente. Dopo tanti anni di convivenza, ho imparato a gestire certe sensazioni e certe inquietudini. Ci si fa il callo: occorre non crogiolarsi ma conviverci come se fossero dei vecchi amici, come dicevo anche prima.
Ti senti una donna libera? In che cosa consiste per te la libertà?
Si, assolutamente, mi sento libera di essere uguale a quello che sono. La libertà consiste nel capire chi si è e nel poter essere se stessi. È facile a dirsi ma non è difficile capire cosa si è veramente. Forse solo dopo un lungo percorso.
Anche se io forse non saprò mai cosa sono, mi considero in continuo divenire ed è anche bello non incasellarsi, non rientrare in delle categorie fisse. L’importare è riuscire a esprimersi liberamente, nonostante ci siano alcuni stereotipi, soprattutto sulle donne, e pregiudizi che faticano a scomparire.
Rispetto a quando sono cresciuta io qualcosa sta finalmente cambiando. La generazione successiva alla mia ha una libertà maggiore su determinate questioni considerate tabù, come ad esempio quelle legate alla sessualità femminile. Non ho vissuto chissà quali traumi. Ci sono persone che hanno invece sofferto di discriminazione o che si sono viste negare le loro libertà: non è il mio caso ma crescere in una realtà provinciale e piccola come la mia non era come crescere a Milano. In una grande metropoli, difficilmente ci si chiede quale sia la normalità. E parliamo di una realtà che non è lontanissima nel tempo.
Sei alla soglia dei trent’anni. Possiamo fare un primo bilancio. Che cosa ti aspetti dal domani? Come proseguirà questo tuo percorso musicale?
Il bilancio è abbastanza positivo. Quando cinque anni fa mi sono laureata, mi sembrava di avere una pista già tracciata da percorrere. E, invece, ho percorso tutt’altra strada, magari un po’ più tortuosa ma con più panoramiche. Nonostante le curve, ho potuto godermi il paesaggio intorno e non potrà mai avere rimpianti per la scelta fatta.
Ho aspettato tanto per debuttare nella musica. Non contemplavo nemmeno l’idea che le mie canzoni uscissero dalla mia cameretta: le scrivevo per me e basta. Ora qualcuno ha dato a una mia canzone una dignità esterna a cui non avevo mai pensato ma io non mi ero mai vista come un’artista. Non mi ci vedo neanche adesso: artista sembra quasi un’entità fantomatica, una parola usata troppo spesso a sproposito.
Tuttavia, ho raccolto nel cassetto tantissime canzoni, una cinquantina, che pian piano ho voglia di far sentire. Alcune le abbiamo già prodotte insieme a Taketo Gohara, un mega produttore la cui attenzione mi ha onorata e mi onora. Ha lavorato con tutti i grandi big della musica e il fatto che si sia prestato a lavorare a un progetto così “piccolino” come il mio mi lusinga. Usciranno seguendo un piano editoriale abbastanza serrato: sono combattuta nel far conoscere qualcosa che prima era solo mio ma è bello poter condividere ciò che scrivo.
Sena è serena?
Come tutte le persone infelici, riesco a vivere stadi anche di serenità.
La biografia (ironica e onirica) di Sena Santini
Sena nasce nel 1993 − già col nome d’arte “Sena” per una scelta commerciale dei suoi genitori − e muore un po’ ogni giorno. Si fa conoscere dal grande pubblico nel 2000 al suo primo saggio di musica dove si esibisce in una versione piano e voce di Ti rubacchio un po’ di pop-corn. L’esibizione raccoglie il favore di pubblico e critica, nonostante una momentanea paresi delle mani dovuta all’ansia da palcoscenico.
Amplia i suoi orizzonti musicali esplorando il cantautorato italiano, l’alternative rock britannico, le prime generazioni di indie italiano e la corrente nu metal dei neomelodici napoletani. All’età̀ di 19 anni entra nel pericoloso tunnel della giurisprudenza da cui esce, stremata e avvocata, dopo un lungo percorso riabilitativo.
In questi anni bui inizia a scrivere le sue prime canzoni, molto apprezzate da sua mamma, e inizia ad esibirsi in fortunate tournée presso tutte le camerette, soggiorni e baretti di amici e parenti entro il terzo grado. Per anni scrive per il programma televisivo di Canale 5 Avanti un altro!, in cui compare in qualità di giudice, anche se non riesce a giudicare nessuno, a parte se stessa (e in modo impietoso). Siccome ha il vizio di anagrammare i nomi e le cose si autodefinisce “ironica” e “onirica”.
Scrive canzoni perché́ è l’unico modo che finora ha trovato per consolarsi e per esprimersi, per dire cose che forse non interesseranno a nessuno, ma speriamo che a qualcuno sì.