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Serena de Ferrari: ‘Mi hanno inventato il mare: ho imparato ad amare me stessa e gli altri’ – Intervista esclusiva

serena de ferrari
The Wom incontra l’attrice Serena de Ferrari per un’intervista che si rivela essere un giro sulla giostra della vita, in cui non mancano emozioni forti, voli ad alta quota e cadute da cui rialzarsi. Nel segno della libertà e contro ogni stigma.

Serena de Ferrari è tra i protagonisti del nuovo film di Giovanni Veronesi, in sala per Vision Distribution, Romeo è Giulietta. Nella storia della giovane Vittoria che per ottenere il ruolo di Giulietta in una rappresentazione teatrale dell’opera di Shakespeare è costretta a fingersi Otto rimediando la parte di Romeo, Serena de Ferrari spiazza tutti interpretando proprio colei che in scena sarà la Giulietta di Otto.

Spiazza tutti perché, a un anno di distanza dall’uscita della sua Viola dalla serie tv Mare fuori, Serena de Ferrari si ripresenta in vesti che mettono in luce tutto il suo talento non solo di attrice ma di artista. Ed è un cambiamento quello che ci presenta che si porterà dietro anche nel nuovo progetto seriale che la vede nuovamente diretta da Carmine Elia, Belcanto, sul set in questi giorni.

E spiazza anche il nostro incontro con Serena de Ferrari sin dal primo momento. Dall’altro lato del telefono, la sua voce appare distesa e serena, un risultato che lei stessa ci confessa essere arrivato grazie alla terapia perché non sempre nella sua vita è stata così. Tutt’altro, come ha modo pian piano di raccontarci nel corso di una chiacchierata che, come un giro, sulle montagne russe offre emozione, commozione, riflessione, rotture di cliché, sfida agli stereotipi e volontà di andare oltre ogni stigma sociale.

A cominciare da quello che ruota intorno alla parola ‘depressione’ che tanto paura incute a chi ancora non accetta di pronunciarla. Serena de Ferrari, come noi di The Wom, ha a cuore che se ne parli portando sul banco la sua personale esperienza.

Serena de Ferrari (foto: Alessandro Peruggi; Press: Simona Pellino @CZ 24 Comunicazione).
Serena de Ferrari (foto: Alessandro Peruggi; Press: Simona Pellino @CZ 24 Comunicazione).

Intervista esclusiva a Serena De Ferrari

“È un orario stranissimo ma ultimamente va sempre così: quando mi chiedono a che ora voglio fare qualcosa, rispondo con orari insoliti ma non mi chiedere il perché”, scherza Serena de Ferrari quando le chiedo come mai ha fissato la nostra intervista alle 17:20 in un mondo in cui tutti invece tendono a chiedere orari tondi. “Mi dà comfort ma non so perché” ma è sin da subito un primo segno di originalità in un mondo in cui tutti quanti si uniformano al condiviso. E sin dalla sua prima risposta Serena de Ferrari sembra rendere omaggio al suo nome: è serena. “Ma non sempre è stato così, c’è voluto del tempo”, ci spiegherà pian piano.

In Romeo è Giulietta, film di Giovanni Veronesi, ti vediamo nei panni di Gemma. Chi è?

Gemma è la vincitrice dell’ultima edizione del Grande Fratello, finita nello spettacolo Romeo e Giulietta perché il produttore Alessandro Haber vuole un volto in grado di richiamare la gente a teatro. Ovviamente il regista Sergio Castellitto mi odia: il teatro è per lui sacro e non può sporcarsi con un volto da reality. Tuttavia, Gemma non corrisponde allo stereotipo che solitamente si ha di chi partecipa ai reality: è tontolona ma non è stupida come si crede, è come se fosse Giulietta non solo nello spettacolo ma anche nella vita. Da non attrice, trasla nella vita reale ciò che sta portando in scena e finisce per l’innamorarsi del Romeo interpretato da Pilar Fogliati. E l’innamoramento è il motivo per cui rimane sempre un po’ scampanata.

Immagino che per te il ruolo abbia rappresentato una bella sfida.

Assolutamente. Anche perché per interpretarla ho vissuto sei mesi d’amore, senza malizia e senza cattiveria. Per vestire i panni di Giulietta/Gemma, ho vissuto in una bolla di amore verso tutto e verso tutti, in quello stato di sospensione che si prova quando si è innamorati soprattutto per la prima volta e ci si dona completamente senza paura della delusione che inevitabilmente arriverà.

Sin da subito, Giovanni Veronesi mi ha invitata a rileggere Romeo e Giulietta di Shakespeare, una tragedia che, riletta in età adulta, è molto diversa da quando per la prima volta la incontri: si riescono a cogliere sfumature che prima non si notavano. Ma più che il libro in me ha sortito molto più effetto il riguardare il film Romeo + Juliet di Baz Luhrmann: mi ha fatto capire quanto i due protagonisti siano dei poveri bambini che vogliono soltanto amarsi e nient’altro. La stessa sensazione che ho provato io quando mi sono innamorata la prima volta.

Quand’è stato?

Avevo tredici anni. Era un musicista come me ed entrambi frequentavamo il Conservatorio. E l’amore mi ha travolta. Da persona che è stata sempre un po’ ghiotta, non mi serviva il cibo: mi nutrivo d’amore. Come Giulietta, mi bastava amare ed essere amata. Ma il primo amore anche quello che poi ti cambia completamente: quel tipo di delusione ti segna per tutta la vita e non credo di essere mai più stata in grado di amare come quella volta.

Gemma agli occhi del pubblico diventa inevitabilmente il personaggio che ti permette di allontanarti dalla Viola di Mare fuori. È stato per te facile scrollartelo di dosso?

All’inizio, ho sottovalutato il peso che Viola avrebbe avuto su di me. Quando mi chiedevano se influiva nella mia vita reale, rispondevo di no, che sapevo scindere la sfera personale dal personaggio. Viola però non era un personaggio semplice: era disturbato e interpretarla per tre anni di fila ha finito inevitabilmente per toccarmi.

Anche perché nel frattempo anche tu affrontavi il delicato passaggio che ti avrebbe portato alla giovane donna che sei oggi.

Sono in terapia da ancor prima che nella mia vita entrasse Viola, da quando sono tornata in Italia da New York. Sono cambiata tanto nei tre anni ma Viola è diventata per me un ‘caso’: mi ha permesso nel mio piccolo di creare un movimento di sensibilizzazione verso certe tematiche che, da quel che ho potuto constatare in prima persona, ha funzionato. La storia di Viola racconta una realtà vera che in Italia è quasi sempre taciuta e nascosta, come quella che emerge dalla terza stagione in cui viene in superficie il motivo per cui è sempre stata in un certo modo. Ricordiamoci che c’è sempre un motivo.

Tendenzialmente, ne parlavo l’altro giorno con la mia terapista, sono una persona che tende a portarsi i personaggi nella vita reale: è quasi inevitabile che sia così e devo ancora lavorare su quest’aspetto. Non mi portavo Viola nella mia vita ma sicuramente mi portavo un po’ della sua cupezza.

Si dice che per raccontare un personaggio, si debba prima di tutto conoscere se stessi: per accedere al buio di Viola, dovevi accedere al buio di Serena.

Sono abituata ad affrontare il buio: l’ho sempre riconosciuto, attraversato e vissuto, ma con la terapia ho imparato a gestirlo e a risolverlo. Trasformavo il mio buio, che chiaramente era diverso da suo (non sono una killer!), in quello di Viola ed è forse questo che ha fatto sì che la mia performance sia stata molto apprezzata: ci ho messo veramente l’anima e il sangue. Rispetto ad altri personaggi, a Viola mancava non solo la speranza ma anche la conoscenza che ci fosse un ‘mare fuori’: alla fine della sua parabola, si uccide perché non riesce a vederlo e perché nessuno gliel’ha fatto vedere.

Quel ‘mare fuori’ non l’aveva mai visto, neanche durante l’infanzia. Chi ha seguito la terza stagione sulle piattaforme, sa che ci sono sequenze di Viola bambina che non sono mai andate in onda su Rai 2.

È stato sbagliatissimo non mostrarlo e lo dico senza nessun raccontare. Così facendo, hanno nascosto qualcosa che succede fin troppo spesso e che tutti celano, nascondendo la testa sotto la sabbia. Quello che non hanno mostrato era la storia del perché una ragazza diventa così come la si vede: non si nasce mai ‘malati’, c’è sempre qualcosa che ti distrugge e che ti rende ciò che poi sei. Nel caso di Viola era importante mandare in onda quelle immagini: quando sono state rilasciate le puntate su RaiPlay, sui social un’ondata di gente ha commentato quello che le era accaduto e tra questi c’erano anche tanti giovani studenti di Psicologia e io stessa ho ricevuto tra i tanti messaggi quelli di genitori che mi dicevano come dopo quegli episodi guardavano ai figli con un altro occhio.

Ti da oggi fastidio parlare di Viola?

No. Per me è chiaramente una storia chiusa ma trovo che parlare di lei sia importante per tutte le questioni sulla malattia mentale che solleva. Ed è qualcosa che mi sta a cuore in maniera esagerata.

Serena de Ferrari nella serie tv Mare fuori.
Serena de Ferrari nella serie tv Mare fuori.

Viola da tutti era percepito come un personaggio negativo in quanto una killer. Con tutte le differenze del caso, non era molto lontana da Ciro (sebbene lui non fosse malato ma solo un camorrista). Come ti spieghi il fatto che Ciro è diventato nell’opinione comune, soprattutto del pubblico femminile, un idolo e Viola invece molto spesso veniva inondata di messaggi sprezzanti?

È colpa del gender gap. Purtroppo, viviamo in una società sessista in cui, qualsiasi cosa faccia, un uomo è considerato un dio mentre una donna no. Siamo portate per colpa della società maschilista che piazza standard a ritrovarci rinchiuse in schemi e gabbie che finiscono con il creare anche dinamiche di odio tra donne stesse. Tutte le volte che si ha la minima possibilità di giudicare un’altra donna, cogliamo la palla al balzo per farlo. Di conseguenza, anche per le adolescenti Ciro, esempio anche di maschio tossico, è un idolo anche se uccide mentre Viola era una ‘pazza’, con l’indice puntato addosso. Purtroppo, è crollata l’empatia tra donne ed è qualcosa che agisce a livello dell’inconscio: che sia pazza o santa, bella o brutta, grassa o magra, si trova sempre un’ottima scusa per giudicare una donna e ingabbiarla.

Ti è capitato che il pubblico confondesse Serena con Viola?

Il pubblico di Mare fuori è molto giovane e inizialmente è facile confondere persona con personaggio ma man mano che la storia di Viola andava avanti la situazione è cambiata. A parte l’essere profondamente disturbata, Viola era anche molto affascinante, aspetto che portava soprattutto i ragazzi a essere molto ‘innamorati’ di me. Pian piano, seguendomi sui social dove mostravo chi ero, anche le ragazze hanno cominciato a distinguere me dal personaggio, mostrandomi la loro stima. Con la terza stagione della serie, questo sentimento si è acuito: quando oggi mi fermano per strada, la prima cosa che mi dicono è ‘Sei bravissima: la storia di Viola mi ha spezzato’.

La recitazione arriva nella tua vita dopo anni dedicati al pianoforte e al canto lirico. Non ti bastavano più per esprimere le emozioni e il caos che sentivi dentro?

Ho maturato nel tempo di aver lasciato la musica perché, avendo cominciato da piccolissima, ero stanca di sottostare a un regime dal livello molto, molto alto. Già a quattro anni per la mia prima maestra, che era stata allieva del pianista Arturo Benedetti Michelangeli, qualsiasi cosa io facessi era sempre un ‘no, non va bene: di più, di più, di più’. Come quello della danza, anche nel mondo della musica ti educano al ‘non sei mai abbastanza’, spingendoti a una competizione esagerata per cui devi sempre stare sul pezzo e puntare alla perfezione assoluta.

La musica resta l’arte che più in assoluto amo, mi emoziona e mi dà vita. L’ho lasciata non perché non la rispettassi ma perché non potevo più sopportare quel tipo di educazione che anziché farmela vivere puntava solo allo studio e alla tecnica. È un approccio accademico che stronca e che mette in uno stato di continua ansia prima di un’esecuzione: ero persino terrorizzata dalla possibilità di sporcare anche una sola nota, come se fossi solo una macchina e non un essere umano che prova emozioni. Ricordo che quando mi capitava di ‘sbagliare’, impazzivo e stavo male. Ed è stato quindi il mio amore e il mio rispetto per la musica a farmi scappare da lei, anche se oggi pian piano la sto riavvicinando.

Serena de Ferrari e Pilar Fogliati nel film Romeo è Giulietta.
Serena de Ferrari e Pilar Fogliati nel film Romeo è Giulietta.

Vivendo sin da piccola a tale alto regime, credi che la tua sia stata un’infanzia negata?

Lo è stata, completamente. Oltre al pianoforte, facevo anche canto. Avendo sviluppato sin da molto piccola una voce già da adulta, mi sono ritrovata catapultata a far concorsi e concerti. Non avevo mai tempo per nient’altro e, soprattutto, non sapevo come rapportarmi con gli altri, tanto che alle medie hanno cominciato a bullizzarmi: non sapevo come vivere e non sapevo come comportarmi. La mia vita ruotava solo intorno al canto e al pianoforte: andavo al mattino a scuola, tornavo a casa, trascorrevo tutto il pomeriggio fino a sera al Conservatorio, rientravo, studiavo, dormivo e il giorno dopo ricominciava il ciclo da capo.

Ciò faceva sì che mi confrontassi con gli altri in un modo del tutto fuori luogo: dicevo cose non adeguate al contesto, non sapevo che fare ed ero disagiatissima. Ragione per cui ho subito un bullismo parecchio pesante. E lo dico senza vittimismo.

Ma il desiderio di fare musica era il tuo o era imposto?

È stato un circolo. I miei genitori avevano scoperto che ero brava e hanno cominciato a farmi prendere lezioni. A bravura conclamata, hanno pensato di farmi fare l’esame al Conservatorio per vedere come andava e così via. Chiaramente, tutto nella loro ingenuità, semplicemente perché vedevano che ero brava e promettevo. Una volta dentro quella dinamica, anche tu ne vieni travolta ma l’accademia ti mangia l’anima. Quando l’ho frequentata io, era in vigore ancora il vecchio ordinamento: per dieci anni ho studiato pianoforte e per l’esame dell’ottavo anno ho dovuto eseguire cento pezzi suddivisi in tre giorni… tre giorni di clausura per un esame.

Amavo la musica e me ne ero innamorata perdutamente, tanto che a 15 anni per il mio primo tatuaggio mi sono fatta tatuare in tedesco ‘Abbi pietà delle mie lacrime’, frase di un brano di Bach che più mi sentivo nell’anima. Nel ripensarci oggi, quella bambina mi fa molta tenerezza: le voglio molto bene perché è figo vedere quanto sia sempre e comunque stata innamorata della musica (Serena si commuove, ndr).

Come reagivi a scuola agli atti di bullismo, che non so se definire un mix di stupidità o cattiveria?

Non sono stata mai aggredita fisicamente ma era un continuo scherno nei miei confronti. Non avevo però tempo di pensarci: mi rattristava ma al tempo stesso, anche con un pizzico di superbia da parte mia, passavo oltre. Mi dicevo: “Ok, state anche qui a prendermi per il culo ma io sto già al Conservatorio da cinque anni, domani ho un concorso, dopodomani un concerto”… Subconsciamente, tuttavia, quello che subivo ha lasciato dei segni che mi sono portata dietro: l’adolescenza è per tutti noi una fase delicatissima oltre che importantissima.

Nel definire il bullismo non penso che alla base ci sia cattiveria da parte dei ragazzi: dipende sempre tutto dalla famiglia e dal contesto in cui si cresce. In quella fase della vita, tutto ciò che si vive a casa lo si porta anche fuori, compresa la scuola. Ed è così che ci ritroviamo, purtroppo, di fronte a ragazzi che sono bulli, bullizzati, chiusi nel mutismo, anoressici, sovrappeso, autolesionisti o molto altro ancora: tantissime realtà di cui tutti se ne sbattono. Bambini e ragazzi non vengono seguiti a dovere a causa del tabù della terapia che hanno quei genitori per cui è difficile ammettere che un figlio stia male. E ci sono tanti modo di star male.

Come reazione allo star male, può anche subentrare la depressione com’è accaduto ad esempio nel tuo caso.

La depressione in me si è manifestata a diciassette anni. Prima vivevo nel mondo dei miei sogni: quando non suonavo o cantavo, studiavo o leggevo… il mio universo era fatto solo ed esclusivamente di quello. Ma poi la bolla si è infranta. E trovo oggi necessario parlare della depressione per andare oltre il cliché per cui, se ne soffri, sei uno sfigato o una sfigata totale: nel 2024 è una vergogna che lo si pensi o che si nasconda la propria esperienza.

Ho imparato che, se non avessi raccontato anche la mia di depressione, gli altri non avrebbero capito il messaggio che si celava dietro alla storia di Viola: lei non ce l’ha fatta mentre io Serena sì e, quindi, potete farcela anche voi che ne soffrite a casa. Parlarne e cercare aiuto non è sinonimo di debolezza ma di forza, una lezione che nel mio caso ho capito un po’ tardi. E la ragione per cui mi sto impegnando molto in tutto ciò che in proposito faccio è il desiderio di trasmettere l’idea per cui è possibile vivere felici e curarsi, non si può e non si deve morire di depressione come è successo a Viola e come succede purtroppo a tanti, troppi, anche nella realtà di tutti i giorni.

Si è la depressione annidata nel rapporto che avevi con il tuo corpo?

Sì, accade sempre così. Quando si soffre di un disturbo della salute mentale, per uno o una adolescente è più facile gettarla sul materiale, guardarsi allo specchio e dirsi di essere orribile. Si innescano reazioni come i disturbi alimentari, le disfunzioni fisiche o, come accaduto nel mio caso, l’ipocondria. È curando la testa che rimetti in sesto il tuo corpo.

Serena de Ferrari e Pilar Fogliati nel film Romeo è Giulietta.
Serena de Ferrari e Pilar Fogliati nel film Romeo è Giulietta.

Cos’è per te oggi la felicità?

La vitalità, la voglia di fare un milione di cose, di vivere la vita ogni giorno, di fare arte, di far musica, di recitare… di amare me stessa e di amare gli altri: è questa la felicità. La terapia mi ha ridonato la voglia di vivere e la gioia per le piccole cose. Di recente, ascoltavo Meraviglioso di Domenico Modugno: “Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto… ti hanno inventato il mare”. Eppure, sembra che le persone non riescano più a godersi nulla o si siano stufate della bellezza che c’è intorno a noi.

Sorrido: condividiamo il parlare con la ‘musica’.

Ma la musica parla tanto. Penso al tatuaggio che mi sono fatta a 15 anni: a quell’età già non stavo bene, io non lo sapevo ma il mio subconscio sì. Stava chiedendo aiuto attraverso la bellezza immensa della musica.

‘Abbi pietà per le mie lacrime’: per cosa sono oggi le tue lacrime?

Ce ne sono poche ma non ci sono più quelle di allora: sono di felicità.

Hai trovato un equilibrio nei rapporti di amicizia?

Prima di curarmi, avevo rapporti molto, molto, molto morbosi, con le amiche. Oggi è completamente diverso e ho trovato pace proprio nei miei spazi e nella mia solitudine. Ma questo non vuol dire che non mi diverta con le amiche: sono un clown a cui piace circondarsi di persone che non si prendono sul serio e con cui divertirmi di me, divertirmi di loro e ridere tanto.

Romeo è Giulietta: Le foto del film

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Ti definiresti oggi libera dalla gabbie, di qualsiasi natura esse siano?

Da quasi tutte. Ma c’è ancora una grande gabbia contro cui sto ancora combattendo: la religione. Sin da piccoli, la società religiosa in cui viviamo ci costringe a vivere una vita di espiazione dei nostri peccati e connotata dal senso di colpa per lo stare bene. Tutte le volte in cui ci si sente di star bene o di essere felice, c’è quella voce di Dio in un angolo che dice che ‘non è possibile, non può essere: siete tutti peccatori”. Ci insegnano che essere felici è impossibile: non puoi amare, non puoi scopare e non puoi fare niente senza che poi non intervenga il senso di colpa. E per evitarlo vivi di privazioni incredibili, sottostando a obblighi dettati da altri.

Come può crescere un bambino con questa roba in testa? Purtroppo, vedo ancora oggi tante coppie anche giovani che decidono di mandare i propri figli alle scuole cattoliche con conseguenze che si riversano su tutti quanti. Basti pensare come ad esempio per una donna sia complicato abortire per via di ospedali tutti cattolici che vanno sia contro la medicina sia contro il benessere non solo delle donne ma anche degli uomini.

Serena de Ferrari.
Serena de Ferrari.
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