Simona Cavallari, attrice conosciuta per i suoi ruoli iconici in serie televisive italiane, tornerà a emozionare il pubblico in autunno con la seconda stagione di Storia di una famiglia per bene su Canale 5. In un'intervista a cuore aperto, Simona Cavallari condivide con noi momenti intimi e personali della sua vita e carriera. La conversazione tocca molti temi: dalle ispirazioni che hanno segnato il suo percorso artistico, ai momenti più difficili e alle sfide che ha affrontato.
"Interpretare ruoli da eroina mi ha messo in contatto con tantissime persone, soprattutto donne che trovano nei miei personaggi una fonte di ispirazione", afferma Simona Cavallari. Ricorda con orgoglio le lettere delle giovani che, ispirate dal suo personaggio in Squadra Antimafia, hanno deciso di intraprendere una carriera nelle forze dell'ordine. Per Simona Cavallari, questo riscontro rappresenta un potente segnale dell'impatto positivo del suo lavoro. Ed è forse a Squadra Antimafia che bisogna risalire per un altro dettaglio: la valenza del personaggio di Claudia Mares da lei interpretato era talmente forte che anche chi scrive le deve qualcosa, forse il resto del suo stesso percorso professionale.
Era infatti il 28 novembre 2011, quando lavorando per un’altra testata, il sottoscritto ha realizzato quello che al tempo si chiamava “scoop” pubblicando delle foto di backstage che nel giro di qualche ora avrebbero invaso il web, dai siti di televisione a quelli dei quotidiani. Quelle foto anticipavano infatti la morte di Claudia Mares nell’attesissima quarta stagione diventando brevemente un caso mediatico. Simona Cavallari sorride oggi quando le spiego chi ha di fronte nel corso della nostra chiacchierata su Zoom: “Ma come le hai avute?”, chiede divertita ripensando anche al cazziatone rimediato dalla produzione. Ma la risposta rimarrà per sempre solo nostra.
Negli anni, poi, per uno strano scherzo del destino ci si è incrociati spesso a Favignana, isola in cui fino a non molto tempo fa aveva una casa ma mai senza entrare in contatto. La regola d’oro è sempre quella di rispettare la privacy anche dei vip nei contesti non professionali. Ed è bello veder sorridere Simona Cavallari quando per scherzo le chiedo cosa ha provato quando, ritornando in tv con Storia di una famiglia perbene, tutti hanno scritto che tornava a riaffacciarsi sullo schermo dopo sette anni dall’ultima volta. “Come se nel frattempo fossi stata senza far nulla e non avessi affrontato a teatro una lunga tournée”, scherza.
Il nostro incontro prende così il volo esplorando la sua ammirazione per Audrey Hepburn, la crescita personale attraverso l'analisi e il buddismo, e l'importanza della spiritualità. Simona Cavallari riflette anche sui suoi esordi precoci, a sette anni era già sul set di uno spot televisivo, e sulle difficoltà affrontate, come la pressione di dover essere perfetta e le sfide nel conciliare la vita privata e la carriera.
Simona Cavallari si apre sulla sua visione della bellezza e dell'autenticità, sul rapporto con i suoi figli e sull'importanza di sentirsi libera. Rivela dettagli commoventi del suo rapporto con la solitudine e la sua passione per il teatro, e racconta il forte legame con il pubblico che la segue da anni.
L'intervista offre uno sguardo profondo e sincero su una delle attrici più amate dal pubblico italiano, mostrando non solo la professionista di successo ma anche la donna vulnerabile ma al tempo stesso forte e determinata dietro i suoi celebri ruoli.
Intervista esclusiva a Simona Cavallari
“Interpretare ruoli da eroina mi ha messo in contatto con tantissime persone, soprattutto donne che trovano nei miei personaggi una fonte di ispirazione. Ad esempio, molte ragazze mi hanno scritto dicendo che, ispirate da me in Squadra Antimafia, hanno deciso di entrare in polizia e fare carriera in quel campo”, esordisce Simona Cavallari quando le spiego che in fondo ciò che si ama di lei sono le sue eroine senza se e senza ma. Non solo la Claudia Mares che è rimasta nel cuore di tutti noi ma anche la Teresa De Santis di Storia di una famiglia per bene, di cui la seconda stagione andrà in onda in autunno su Canale 5.
“Questo mi ha sempre riempito di orgoglio, perché significa che attraverso il mio lavoro posso fare la differenza nella vita di qualcuno. È una grande responsabilità, ma è bellissimo quando mi scrivono per raccontarmi che si sono laureate o che hanno raggiunto traguardi importanti grazie alla mia ispirazione. Ogni volta che ricevo una di queste lettere o messaggi, sento una connessione profonda con queste persone. È un ritorno positivo che ti riempie di gioia e ti fa capire che ciò che fai ha un impatto reale nel mondo. Mi sento davvero fortunata ad avere questo tipo di riscontro”.
E tu da chi hai tratto ispirazione?
Quando ero piccola, mi piacevano molto i film di Audrey Hepburn. Ricordo in particolare il film in cui interpretava una ragazza non vedente, Gli occhi della notte. Mi affascinava la sua eleganza, la sua magrezza e il modo in cui è invecchiata. Era bellissima anche da anziana, con un'espressione serena che mi ha sempre colpito. La sua capacità di mantenere una grazia naturale e una serenità interiore, anche con il passare degli anni, è qualcosa che ho sempre ammirato. Mi piacerebbe invecchiare così, con serenità. Ho sempre cercato di portare un po' di quella grazia e tranquillità nei miei ruoli, e spero di riuscire a trasmettere almeno una parte di quell'eleganza e quella profondità che Audrey Hepburn aveva.
E che ne pensi di come stai crescendo?
Penso di star crescendo bene. Ho vissuto tutta la mia vita con canoni estetici di riferimento diversi e ho iniziato ad apprezzare la mia bellezza solo quando stava sfiorendo. Solo ora vedo il valore della mia bellezza passata, a cominciare dalla selvatichezza dei miei capelli, che mi faceva apparire diversa agli occhi delle compagne con le loro chiome sempre perfette e pettinate. Sono poi sempre stata un po’ distratta, una combinaguai e mi sentivo sempre inadeguata rispetto alle persone magari più perfette: la società, gli altri non accettavano il mio essere così diretta e selvaggia.
Quando è avvenuto lo switch che ti ha permesso di accettarti così com’eri?
Sicuramente l’analisi mi ha aiutato a vedere le mie insicurezze da un'altra prospettiva, a capire da dove nascevano le mie insicurezze e perplessità e da dove aveva origine la mia paura di tirare fuori quello che avevo dentro. Ma anche quello dell’analisi non è stato un percorso semplice: per tanti anni, mi sono sottoposta ad analisi utili e ho impiegato tempo per trovare la persona giusta che potesse aiutarmi.
Nel riguardare al tuo percorso, hai mai avuto la sensazione di aver bruciato le tappe? A 14 anni, ad esempio, hai interpretato uno dei ruoli più complessi della tua carriera, quello della piccola Cecilia, costretta dalla madre a prostituirsi, in Pizza Connection di Damiano Damiani.
Sì, ma non tanto per quel tipo di ruolo che forse non comprendevo pienamente. È stato soprattutto per il contatto diretto con gli adulti fin da giovane e per le conversazioni che ascoltavo. Spesso gli adulti non si accorgevano che c'era un bambino presente e parlavano di cose che normalmente non avrei sentito. Ho sicuramente bruciato alcune tappe di crescita, non ho vissuto le esperienze tipiche della mia età e, quando gli altri magari d’estate si divertivano, io dovevo lasciare la Sardegna per spostarmi a Palermo a girare un film o una serie tv. Non avevo proprio il fuoco sacro dentro per la recitazione e, quindi, farlo qualche volta mi è pesato anche tanto.
Ero anche di una timidezza estrema tanto che spesso mi chiedo come ho fatto a portare avanti questo lavoro. Ma pare che la timidezza sia una caratteristica di molti attori: evidentemente, dobbiamo a essa e alla riservatezza anche una certa intensità.
La domanda allora è d’obbligo: chi te lo faceva fare?
Un po’ il divertimento di vivere qualcosa che non apparteneva alla mia età e un po’ il caso. Dopo Pizza Connection, sono stata risucchiata da cinema e televisione. Quando ho girato Il sogno della farfalla di Marco Bellocchio, avevo più o meno 21 anni e non mi ero fermata niente. Ero in un vortice continuo tra set, interviste e servizi fotografici, che molto onestamente mi annoiavano ma che facevo solo perché erano parte del mio lavoro. Posavo ma mi sentivo insicura, sempre per via del rapporto con la mia bellezza: la mia comfort zone era il set.
Non hai invece mai dubitato del tuo talento?
Ho sempre avuto insicurezze legate alla bellezza, ma sul talento ho sempre sentito di avere qualcosa da esprimere: non so da dove arrivasse tale certezza. Penso che il mio percorso sia stato segnato anche dall'incontro con le persone giuste al momento giusto, come il regista Damiano Damiani: è lui che ha permesso alla mia carriera di decollare, anche se già nel 1982 avevo recitato nel film per la tv Colomba, diretto da Giacomo Battiato.
Insicurezza è una parola che ritorna spesso. Al di là di quelle legate all’aspetto fisico che sono alla radice, cosa ti rende irrequieta? Guardandoti dall’esterno, si ha l’impressione che tu sia costantemente alla ricerca di te stessa. Ed emerge anche dal tuo sguardo.
Sono sempre stata attratta dalle cose spirituali. Già da ragazzina, leggevo molto in merito e mi ponevo domande. A 22 anni, poi, sono diventata buddista e lo sono stata per tantissimi anni. Quel tipo di meditazione mi ha aiutato a guardare dentro di me: il viaggio più bello da affrontare è conoscere se stessi andando oltre i limiti imposti dalla società per essere ogni giorno la versione migliore possibile.
Tuttavia, a un certo punto mi è mancata la figura di Dio, una trascendenza che il buddismo non mi offriva. Ho ritrovato una connessione con Dio quando mio figlio Pablo Alberto, il maggiore, ha avuto la brillante idea di girare l'Europa da solo in autostop, d’inverno e senza soldi. Mi chiamava poco e io ho vissuto dei mesi veramente terribili: una notte, non sapendo più cosa fare per farlo rientrare, ho cominciato a pregare e recitare il Padre Nostro… la mattina dopo, mio figlio mi ha chiamato per dirmi che si era stancato e che pensava di tornare in Italia. In quel momento, ho sentito come se la mia richiesta fosse stata accolta: non so se il cattolicesimo sia la mia strada definitiva, la mia ricerca spirituale è continua, però ho sentito in quel frangente l’esigenza di cercare quel contatto con Dio che mi mancava.
Pablo Alberto ha anche recitato con te: lo hai avvertito dei pericoli del mestiere?
No, perché a lui non interessa la recitazione. Però, è stata a livello personale una bella esperienza, arrivata dopo un anno e mezzo in cui non ci vedevamo: era rimasto bloccato in Australia a causa della pandemia da CoVid ed era appena tornato. Il pensiero di dover star lontana io per due mesi per via del set mi terrorizzava e invece ci siamo ritrovati a condividere quel tempo insieme e a recuperare tutto del nostro rapporto. Mi è piaciuto vedere da vicino come si muove nella vita e l’uomo, degno di questo nome, che è diventato. Anche perché ultimamente faccio fatica a incontrare persone come lui…
È un mondo così brutto?
Da una parte, sì. Ma dall’altra parte, proprio in questo periodo, sto conoscendo tante anime belle. Sarà che finalmente ho imparato a mettere dei confini. Ci sono dunque persone che si sono allontanate e altre che si sono avvicinate alla mia vita: c’è un bel cambiamento in atto.
Le persone che si allontanano o si avvicinano modulano ognuno a modo loro il nostro rapporto con la solitudine. Che rapporto hai con lo star sola?
Ho sempre amato la solitudine. Mi ricarico quando sono da sola. Anche quando stavo con Daniele (Silvestri, ndr), ogni tanto dicevo che avevo bisogno di un weekend per me e lui capiva. La solitudine mi aiuta a riflettere, a vedere cosa non mi piace di me e a lavorarci su. Quando affronto le mie battaglie per conoscermi e per capire cosa non mi piace di me, ho bisogno di stare da sola.
Cosa ti piace invece di te?
Mi piace la mia empatia, soprattutto ora che ho imparato a mettere dei confini. Mi piace il mio cuore, il mio istinto naturale di aiutare gli altri. Cerco sempre di aiutare chi sta peggio di me e spero che anche gli altri facciano lo stesso con me. La mia empatia mi permette di connettermi profondamente con le persone, di capire i loro sentimenti e di offrire il mio sostegno come spero che loro facciano con me. Anche perché spesso è più facile accorgersi delle difficoltà degli altri che delle proprie.
Ti piace rivederti in scena?
Anche in questo caso, è qualcosa che ho imparato ad apprezzare nel tempo. Sono sempre stata molto critica: tutte le volte in cui mi rivedevo, non mi piacevo mai. Forse è proprio per tale ragione che mi è sempre piaciuto molto il teatro: si può sempre migliorare. Sono una perfezionista ma disordinata…
Della serie che nel tuo disordine c’è un ordine?
In questi giorni mi sono messa per esempio a riordinare casa, a pulirla e buttare tutto ciò che era superfluo: vorrei arrivare ad avere l’essenziale in casa e liberarmi di ciò a cui per tanti anni sono stata attaccata, a un passato che non riuscivo a buttare.
Non è un po’ come liberarsi dai pesi che ti sei portata per troppo addosso anche psicologicamente?
Sì, anche. Guardandola a ritroso, anche la mia separazione da Daniele avrebbe ad esempio potuto avere tempi un po’ più veloci ma mi ero aggrappata a quell’immagine di famiglia che, una volta infranta, mi ha anche fatto stare male, pure troppo.
Aggrappata a quell’immagine perché avevi paura del fallimento?
No. Più che altro ho avuto la sensazione che, quando Daniele se n’è andato, mi fosse stata portata via una parte di me. Avevamo dei conflitti, faticavo a gestire due figli nati a poca distanza l’uno dall’altro ma quella sensazione mi ha fatto star male (non al punto di pensare al suicidio come qualcuno in malafede tempo fa ha scritto travisando le mie parole).
Se si potesse tornare indietro, me ne libererei prima, consapevole di come poi col tempo il nostro rapporto si è aggiustato trovando un suo equilibrio: quando ho qualche difficoltà, so che posso contare su di lui, nonostante come tutti gli uomini, a mio modesto giudizio, sia un po’ troppo dedito al lavoro.
Conservo anche un bellissimo rapporto con sua madre, che vedo spesso e ha un bellissimo legame con i miei figli. Non siamo certo la famiglia allargata che parte insieme per le vacanze ma so che posso contare su di lui e che ci vogliamo bene.
Volersi bene: che rapporto hai avuto con tua madre?
Mia madre è una donna che ha sofferto molto. Mio nonno negli anni della Seconda guerra mondiale era comunista e ciò ha fatto sì che la sua famiglia fosse molto povera e affrontasse vicende talmente dure che per noi adesso sono inimmaginabili. Mia madre in qualche modo ne ha risentito: seppur amorevole, le difficoltà l’hanno resa un po’ più dura e un po’ più centrata su se stessa, come se si fosse schermata. Con il tempo, però, tutto si evolve e oggi è una nonna fantastica per i miei figli.
Nel tuo caso, l’essere stata dura con te stessa quanto si è riversato sulle tue scelte professionali?
Sulle mie scelte ha influito maggiormente la mia ricerca personale. Il mio ambito privato è sempre stato più importante del lavoro, forse anche troppo: avrei dovuto avere un po’ più di leggerezza nel rapportarmi con gli altri e senza palesare costantemente le mie idee e il mio desiderio di verità. A volte i compromessi aiutano e avrei dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Da questo punto di vista, non sono stata molto furba…
A parte le soddisfazioni che mi dà oggi il teatro, mi sarebbe piaciuto approfondire il mondo del cinema. Ma in quel caso c’è stata anche un po’ di emarginazione negli anni: gli attori di televisione non venivano considerati bravi. Devo la mia partecipazione al film di Bellocchio alla sua aiutoregista, che ha insistito molto per farmi sostenere quel provino a cui poi sono stata presa. E per lo stesso pensiero tante volte non sono nemmeno arrivata a fare un provino.
Ti ha fatto soffrire essere etichettata come attrice televisiva?
Un po’, sì. Ma soffro le etichette, in genere. Anche quelle che concernono il teatro: si pensa che un attore scelga il teatro perché non abbia altro da fare. È un pensiero tutto italiano: basta andare a Londra per vedere come anche premi Oscar stanno in cartellone per mesi con i loro spettacoli. All’estero c’è grandissimo rispetto per la poliedricità di un attore, non lo si incastona sempre negli stessi ruoli e lo si trasforma: il limite nostro è che invece per ognuno di noi si decide un ruolo che, nel bene o nel male, ripeterà all’infinito. In questo modo, si rischia poco…
È anche per questo che ti sei ritrovata dopo Squadra Antimafia a interpretare un’altra poliziotta in Le mani dentro la città?
Io stessa ero perplessa e manifestai i miei dubbi ma si andò dritti per quella strada.
Con il pubblico che non gradì particolarmente, sentendosi come tradito: lasciavi un personaggio di quel tipo per abbracciarne un altro che, seppur con le dovute differenze, erano molto simili.
La verità è che sarei comunque dovuta ritornare in Squadra Antimafia ma poi si cambiò idea. Non dovevo nemmeno andare via ma, come capita a tutte le donne moderne, nel fare un figlio ho perso il lavoro. Con la scomparsa di Claudia Mares sono rimaste in sospeso molte domande che non hanno mai trovato risposte, al punto che ancora oggi la gente mi scrive per sapere se il figlio fosse di Calcaterra o no.
È normale che accada: la serie è ciclicamente replicata e diverse sono state le imitazioni di dinamiche e persino personaggi in altri prodotti.
Valsecchi, il produttore, ha avuto il merito di sdoganare in tv il racconto di donne forti e protagoniste: oggi ci sono poliziotte ovunque ma è stato lui con Distretto di polizia prima e Squadra Antimafia dopo a puntare sui personaggi femminili. Occorre dargliene atto.
Ti ha travolto il successo di Squadra Antimafia?
Mi ha travolto di più quello di La Piovra ma era inevitabile: l’ultima puntata della quarta stagione detiene ancora il record d’ascolto per una serie tv, 17 milioni di media e picco di 20. La gente mi riconosceva e mi fermava per strada quando ancora io continuavo ad andare a scuola, a studiare e a relazionarmi con i miei coetanei. Timida com’ero, mi sono ritrovata ad avere un’aurea sopra la testa che attirava chiunque: chiaramente non era qualcosa che mi faceva piacere… c’è chi fa questo lavoro solo per essere riconosciuto ma non io, ragione per cui è stato uno shock esserlo.
Ha influito quel successo nelle relazioni con il gruppo dei pari?
Inevitabilmente sì proprio perché, come accennavo prima, vedevo delle cose non avrei voluto o dovuto vedere.
Del tipo?
Beh, le relazioni frivole e superficiali che si creavano su un set, ad esempio. Osservare determinati comportamenti mi faceva essere un po’ più disillusa dei miei amici, così come ascoltare le bugie. Ma ho recuperato dopo: adesso ho molti amici molto più giovani di me che mi permettono di rientrare in contatto con la mia parte bambina. Cerco anche di dare loro i consigli che avrei voluto ricevere io e non ho avuto.
Essere donna e far l’attrice, due mondi che spesso non collimano. Oltre ad aver perso il lavoro quando sei rimasta incinta, quali altre sfide hai affrontato?
Al di là di quali siano state le sfide, ho visto molte passarmi ad esempio davanti per meriti extra artistici, sono sopravvissuta come tutti andando avanti e superando le frustrazioni. Sono così arrivate le belle occasioni, non sempre aiutate dalla stampa anche italiana più interessata agli scoop, al gossip o alle vite tormentate. Ho fatto ad esempio dei film bellissimi che non sono stati nemmeno visti. Penso ad Amor nello specchio, con Anna Galiena e Peter Stormare: fu selezionato al Toronto Film Festival ma la stampa preferiva parlare delle feste mondane anziché dell’unico italiano in cartellone quell’anno in una delle rassegne più importanti del mondo. Un po’ mi ha intristito.
Ieri la stampa guardava alla mondanità, oggi ai social. Che rapporto hai con questi mezzi di comunicazione?
Sono passata da Facebook a Instagram perché, da appassionata d’arte, ho trovato delle pagine che sono una continua fonte di ispirazione. Seguo anche degli influencer che mi piacciono, mi divertono e mi fanno ridere.
Ti senti una donna libera?
Sì, ho fatto sempre quello che mi sentivo proprio perché il mio carattere non mi permette di stare imbrigliata. Un esempio stupido: con le guerre in corso, mi sono sentita di aiutare la gente colpita e di starle vicina affiancandomi ad altre attiviste, anche se tutti me lo sconsigliavano per evitare ripercussioni sul lavoro. Per ritornare ai social, mi piace usarli per lanciare messaggi di umanità, di calore e amore, e quindi cerco di rispondere a tutti coloro che mi scrivono, mi chiedono consigli o affrontano problemi di varia natura.
Mentre parliamo, tocchi spesso i tuoi capelli. Sono stati un po’ la tua copertina di Linus?
Un po’, sì. Ricordo che quando li ho tagliati per Le mani dentro la città mi sentivo come una strega che aveva perso i suoi poteri. Un mio amico, anche lui attore, che li porta molto lunghi dice che sono delle antenne. Ed è vero: spesso devo legarli per non sentire troppo quello che viene da fuori. Da piccola, non mi piacevano per niente: stavo sempre ad allisciarli…
In questi giorni, sta andando in onda Viola come il mare 2. Come mai non ti abbiamo vista nei panni di Claudia Foresi, la direttrice di Sicilia Web News?
Eh, bisognerebbe chiedere ad altri. La verità è che non lo so: non mi hanno neanche contattata per dirmi che non ero più nel progetto. Ci sono rimasta male, così come gli altri ragazzi che hanno deciso di sostituire in maniera secondo me brusca senza dare ai personaggi la possibilità di raccontare la loro fine. Sebbene avessi un ruolo meno intenso e che mi dava meno soddisfazioni rispetto ad altri, mi permetteva di cimentarmi in un registro per me inedito, quello leggero: mi divertivo e invece amano solo farmi piangere (sorride, ndr).
Sembra quasi che non ci sia alternativa…
E infatti riprendo la tournée teatrale a dicembre di Dialogo di una prostituta con il suo cliente di Dacia Maraini. Penso che rappresenti l’apice della sofferenza: cosa c’è di più sofferente della condizione di una prostituta, in questo caso intelligente, laureata, molto consapevole della vita e delle sue dinamiche e conscia della sua debolezza? Speriamo che dopo venga una bella commedia.
Ma prima ci sarà Storia di una famiglia per bene 2, una sorpresa per tutti quanti.
In parte, ha sorpreso anche noi per via del fatto che considerassimo conclusa la storia. Però, è andata così bene la prima stagione che ritorniamo con una vicenda ancora una volta molto forte d’amore. Alla vigilia della messa in onda due anni fa, nessuno ci avrebbe scommesso molto: non c’era azione ma solo la storia d’amore di due bambini e per molti addetti ai lavori non avrebbe funzionato. E invece la gente l’ha amata moltissimo, tanto da vincere la concorrenza indiretta con altri prodotti più blasonati: segno che a volte la qualità premia anche senza nomi da milioni di followers nel cast, senza nudi e con una storia semplice.
Ha dimostrato che agli italiani piacciono sempre le storie che raccontano del nostro passato. Credo che al riscontro abbia influito molto il racconto della Puglia e la fascinazione per una determinata epoca.
Abbiamo accennato ai tuoi figli: cosa rivedi di te in loro?
In Pablo, purtroppo per lui, rivedo tutta la mia sensibilità, la mia fragilità e le mie insicurezze ma anche la mia stessa combattività e forza: dei tre, il suo è l’animo più simile al mio, anche se poi tra noi ci sono notevoli differenze.
Santiago, come tutti i secondi figli, è più forte e strutturato e sa come gestire la sensibilità: scrive canzoni, anche se ancora non ha deciso di fare il grande passo perché, in qualche modo, la figura del padre incombe. Del resto, non c’è fretta: intanto, scrive, scrive, scrive e ciò l’aiuta. E poi, rispetto a me e al fratello maggiore, è molto più spigliato e amichevole: sono molto sarda in questo, diffidente se vogliamo, e ho bisogno di tempo per capire se posso aprirmi agli altri o meno... ma dopo spalanco le porte!
Levon, il piccoletto, è terzo come me. E i terzi sono sempre quelli un po’ più scaltri: hanno l’esempio degli altri due e sanno come prendere le misure. In lui, rivedo la mia stessa determinazione e credo che sarà chi si prenderà cura di me nella mia vecchiaia (ride, ndr).
Impieghi molto ad aprirti agli altri. Eppure, in quest’intervista lo hai fatto senza pensarci due volte.
Da sempre, credo che per le interviste sia inutile pensare alle strategie comunicative da attuare. Non ne sarei capace e non le conosco nemmeno, ragione per cui secondo me occorre essere la più vera possibile, anche a rischio di dire cose che non dovrei.
La sensibilità è stata per te un pregio o un difetto?
Sicuramente, un pregio. Il lavoro mi ha aiutata molto a trasformare la sensibilità, la suscettibilità e la delicatezza estrema in altro. Sarei altrimenti impazzita: alla fine mi è andata bene, no? Sono qui, anche se non volevo nemmeno far l’attrice da piccola… sognavo di far la ballerina ma me l’hanno impedito: dicevano in famiglia che camminavo con i piedi a papera. È stato uno dei primi dolori che ricordo: avevo 9 o 10 anni, avevo fatto uno spettacolo in teatro (ricordo ancora tutto, dal profumo del talco al vestito da ballerina) ma i miei hanno detto no. Dove andavo con quei piedi? Mi suggerirono allora di fare nuoto, a me che sono freddolosa e con i capelli che non si asciugano mai!
Quella è stata la prova di uno degli errori che solitamente da genitori facciamo: non guardiamo mai i nostri figli per quello che sono o che desiderano nel profondo in base alle loro inclinazioni o attitudini. I figli hanno bisogno di essere visti per quello che sono ma io sono cresciuta in una famiglia che non aveva ben compreso chi ero. Mi ritenevano la pecora nera perché facevo casini ma nessuno ha capito che dietro alla mia ribellione c’era comunque il desiderio di capirmi e di stare in pace.
Se mi avessero insegnato trent’anni fa cos’era il self-empowerment, mi sarei evitata tanta cadute e tante botte di culo a terra. Le battaglie che oggi i giovani, con le loro ansie e timori, portano avanti in realtà non sono altro che quelle che la mia generazione avrebbe dovuto portare a termine.