Simona Galimberti è così come siete abituati a vederla sui social: allegra, spontanea, diretta. Non le manca mai il sorriso mentre ci racconta del suo lavoro o quando parla degli affetti a lei più cari, dai genitori al compagno. Food influencer da 159 mila followers (Le torte di Simona), Simona Galimberti ha da poco pubblicato il suo primo vero e proprio libro di ricette, Ricette a modo mio – Un anno di golosità dolci e salate, edito da Baldini+Castoldi, arrivato a qualche anno di distanza dal precedente Le torte di Simona, dedicato all’universo dei bambini.
Le ricette di Simona Galimberti, a differenza di altre, sono facilissime, velocissime e, cosa non da poco, buonissime, oltre che attente a tutte le esigenze alimentari, da quelle dei celiaci a quelle di chi è allergico al lattosio. Del resto, la cucina per lei è prima di tutto convivialità: tutti devono sedersi a mangiare e goderne, senza lo stress che la vita quotidiana, soprattutto quando sei donna, ti impone.
Ed è dall’essere donne che inaspettatamente parte la nostra intervista esclusiva. Milanese doc, Simona Galimberti è consapevole di come quello della cucina sia ancora un mondo maschilista ma, nonostante ciò, non si è mai arresa. Con un solo obiettivo in mente: tramandare quelle ricette che, appartenenti alla tradizione della sua famiglia, ha imparato a preparare con passione da quando era una bambina alta “un metro e un barattolo”.
Intervista esclusiva a Simona Galimberti
“Ci tengo al mio femminile, anche perché il mondo della cucina è ancora fortemente maschilista”, esordisce subito Simona Galimberti quando le chiedo quale pronome preferisce che io usi nei suoi confronti. “Noi donne ne abbiamo ancora davanti di strada da fare: non solo per tutelare i diritti conquistati in anni di lotte ma anche per liberarci dai sensi di colpa che si manifestano anche nelle piccole cose. Provengo da una famiglia molto tradizionale, amo occuparmi delle persone che amo, ma esistono ancora dei cliché legati alla donna di casa, solitamente dipinta come pesante con tutti i suoi avvertimenti sullo sporcare”.
“Sono felice di essere donna e di essere un punto di riferimento per tutta ma mia famiglia: è faticosissimo ma mi rende orgogliosa. Ecco perché cerco di tramandare gli insegnamenti di mia nonna e di mia madre”, aggiunge.
Anche perché nel tuo caso si tratta di una questione di scelta: sei libera di scegliere di farlo.
Esatto, anche se per certi versi ci viene importo sempre a tutte. Veniamo cresciute per esserlo. Certo, oggi rispetto a ieri, posso scegliere di lavorare o di stare a casa, di divorziare o di separarmi, tutta una serie di possibilità che effettivamente un tempo veniva negate. Tuttavia, mi rendo conto che molte cose vengono ancora date per scontate e siamo incastrate in pensieri di vecchio stampo, gli stessi che portano a chiedere a una donna a chi lascia i figli quando lavora fuori casa: mai che lo chiedessero a un uomo.
Sono tanti i miti da sfatare. Nel mio caso, lavorando in casa, mi ritrovo spesso a dover sottolineare quanto complicato sia farlo. Agli occhi di tutti, è come se non lavorassi, ignorando come invece bisogna organizzare il proprio tempo per farlo tra mille problematiche quotidiane. Mi fanno sorridere amaramente coloro che dicono: “Ah, ma il tuo compagno ti aiuta con le faccende domestiche: ti ha steso il bucato”… come se il bucato fosse solo mio e non anche suo.
Tra una faccenda quotidiana e l’altra, una ricetta da dosare e gli ingredienti da abbinare, sei riuscita anche a scrivere un libro da poco pubblicato: Ricette a modo mio – Un anno di golosità dolci e salate, che arriva a quattro anni di distanza da Le torte di Simona.
Ho allargato la sfera d’interesse delle ricette. Il primo libro era rivolto ai bambini ed era nato dalla mia collaborazione con Cartusia, casa editrice che scrive libri illustrati e fiabe. Il loro desiderio era quello di far avvicinare i più piccoli alla cucina ed è nato così un albo che contiene dodici ricette dolci, accompagnate da illustrazioni realizzate con acquarelli. Era un volume con tutta una sua poesia e non un libro di ricette vere e proprie: l’intento era quello di far rompere il ghiaccio ai bambini con la cucina.
Ricette a modo io è invece un ricettario più completo. Ho scelto le ricette partendo da un presupposto: se cadessi per terra, perdessi la memoria e internet non esistesse più, quali ricette vorrei salvare dal blackout improvviso? Quelle scelte sono tutte ricette che amo profondamente e che sono buonissime, facili, veloci ed economiche in tutti i sensi. Gli ingredienti sono tutti alla portata di mano, ad esempio. La vita è già complicata di suo e per realizzarle occorrono tempi e spazi ragionevoli, ragione per cui le cotture sono rapide e vanno incontro alle esigenze di tutti.
Anche perché, un piatto per essere buono non necessita di fare salti mortali al pari degli artisti di un circo.
Sono tutte ricette legate ai sapori di una volta. È inutile che ci prodighiamo in pietanze elaborate che esaltano solo la critica ma che poi non rispondono alle esigenze quotidiane. Sono le ricette che ancora ci commuovono, quelle della nonna e di quei sapori di casa. Mi piace molto la cucina casalinga, quella volutamente imperfetta ma che profuma tutta la casa: le ricette che propongo sono le stesse che mi permettono di stare con gli ospiti mentre si cucina. Trovo stressante avere commensali e non passare del tempo con loro perché devo stare sempre in cucina a preparare: arrivo distrutta a fine serata e non mangio nulla. Per me, tutto deve essere conviviale.
Ricette che ci permettono di prendersi il sacrosanto diritto di sporcare in cucina?
Anche. Tuttavia, cucinando da quando ero una bambina, ho imparato a non sporcare, non so perché… ma sporcare dà una visione molto più realistica della cucina. Spesso, quando vedo dei video di ricette, mi chiedo come mai non si veda mai una briciola fuori posto: non l’ho mai capito. Anche le ciotole dove si mescolano gli ingredienti sono incredibilmente pulite: perché? È come mai non si brucia mai nulla? Succede a tutti, no?
Tra le ricette che hai scelto di pubblicare, quali hanno i sapori della tua infanzia?
La mia era una famiglia molto curiosa: tutte scarsissime nel preparare i salati e bravissime nei dolci. Motivo per cui ho rubacchiato due o tre ricette di casa, come la ciambella di mia nonna Carla che si prepara anche senza l’aiuto di uno stampo: è forse una delle torte più coccoline che esistano perché è morbida ma anche un po’ biscotto. Adoro quando non necessito di strumenti o attrezzature particolari, ragione per cui mi piace anche preparare il salame al cioccolato, il dolce della mia infanzia. O come la torta di mele e amaretti, una torta fantastica che non ha un impasto ma è fatta solo di mele e una granella di amaretti.
Hai trasformato la tua passione per la cucina in qualcos’altro grazie a un regalo di compleanno di tua sorella.
Avevo già seguito il corso di pasticceria base alla scuola Alto Palato quando per i miei trent’anni mia sorella ha deciso di regalarmi il sito. Si occupava di realizzazione di siti e ha pensato alle Torte di Simona per me: “fanne quello che vuoi”, mi disse. All’epoca, facevo un altro lavoro e pensai di sfruttarlo per realizzare le ricette di quelle quattro o cinque torte che non trovavo a Milano e che avrei invece voluto ritrovare nei ristoranti o a casa in un amico. L’idea ha funzionato e ho cominciato a vendere subito, andando incontro a un grandissimo successo alimentato da un passaparola costante e continuo.
Da quell’esperienza, è nato il laboratorio che ho aperto in seguito e in cui ho lavorato con mia sorella. Per tanti anni, ci siamo divertite ma anche ammazzate di lavoro. Poi, è arrivato il momento di cambiare ancora una volta direzione per tutta una serie di circostanze, prime su tutte la morte di mia madre e l’inondazione che ha allagato il laboratorio stesso. Occorreva cambiare tutto ma forse non avevamo né l’energia né la motivazione per farlo. L’arrivo della pandemia legata al CoVid e l’obbligo di stare chiusi in casa sono stati quasi dei segnali forti che provenivano dall’alto.
La scomparsa di mamma mi ha portata a riflettere su un ulteriore fatto: quando un giorno non ci sarò nemmeno io che fine faranno le nostre ricette? È nata così la spinta a voler tramandare le ricette, non più a venderle: dovevo e volevo trasmettere agli altri tutto ciò che sapevo e che avevo imparato.
Una voglia di condivisione che ti ha portata a stare anche molto attenta alle esigenze altrui, a cominciare da quelle di chi soffre di celiachia.
Ho un rapporto quotidiano e diretto con chi mi segue. Non ho di mio alcuna intolleranza ma conosco molto bene quali sono le esigenze di tutti, a partire dal senza glutine. La celiachia interessa sempre più persone (mia cognata e il mio figlioccio sono, ad esempio, celiaci) e ho elaborato dei modi semplicissimi per sostituire la farina 00 con la farina di riso, di mandorle o di nocciole. Non occorrono chissà quanti passaggi in più per ottenere un buon risultato: al palato di chi è tollerante, si avvertirebbe la leggera differenza ma vuoi mettere la gioia di far felice una persona celiaca con una ricetta buonissima?
La mia attenzione è rivolta un po’ a tutte le intolleranze. Penso ad esempio a quella al lattosio, che tanti problemi provoca. Mettere l’olio al posto del burro, un passaggio semplicissimo, rende fruibili le ricette anche a chi al lattosio è allergico.
Hai anche una passione particolare per la Grecia e le sue ricette. A cosa si deve?
L’ho scoperta grazie a mio marito. Ci siamo trovati un po’ tardi: lui viveva ad Atene e già sin dalla seconda volta che sono arrivata in Grecia mi sono innamorata dei Greci, un popolo che sorride sempre e che, anche se a poco, ti accoglie sempre nel migliore dei modi. Lo hanno dimostrato di recente anche a Rodi: nonostante l’incendio che ha devastato l’isola, nessuno ha perso gentilezza e sorriso. La Taverna di Simona, lo spazio che dedico alle ricette greche, è nato proprio dal dolore che provavo ogni volta che dovevo lasciare la Grecia: nel mio piccolo, provo a realizzare ricette che ho imparato a conoscere lì con ingredienti che possiamo comunque trovare qui, da noi. Il termine “taverna” serve a rendere quell’atmosfera di convivialità, quell’ambiente meraviglioso che si crea quando, con un po’ di vino e qualcosa anche semplice da mangiare, ci si mette tutti a proprio agio.
Un’altra tua rubrica particolarmente apprezzata sui social è La Dolce Domenica. Com’erano le domeniche di Simona Galimberti bambina?
Erano veramente dolci. La domenica era il giorno in cui io e mia sorella preparavamo i plumcake, con la ricetta che si trova oggi anche nel libro (chiaramente modificata). Ci svegliavamo sempre un po’ più tardi rispetto ai nostri genitori e, affascinate da tutto ciò che era americano, usavamo quei preparati che permettevano la magia, polveri magiche che solo dopo abbiamo scoperto che erano un mix di farina, zucchero e lievito. Ma i dolci americani, quelli sofficissimi dove si usa l’acqua al posto del burro, mi hanno sempre affascinata, sarà perché dalla quarta elementare in poi ho conosciuto quella che sarebbe diventata una delle mie più care e migliori amiche: sua mamma cucinava sempre dolci, a differenza della mia!
Cosa ti ha detto tua mamma la prima volta che ti ha visto pasticciare in cucina?
Era contentissima perché comunque era anche molto golosa. Era una donna fenomenale che gioiva di ogni mia iniziativa. Non che mio padre non lo facesse ma era chiamato a far da cavia: all’epoca dei plumcake, che io e mio sorella cucinavamo dalla mattina alla sera, non ne poteva più di mangiarne centinaia e centinaia. Un giorno, gliene abbiamo preparato uno finto per prenderlo in giro: mi sono emozionata nel vedere di recente come ancora lo conservi nel suo studio.
Dalle tue parole, emerge l’attaccamento che hai avuto e che hai nei confronti dei tuoi genitori.
Sono molto riconoscente ai miei genitori, a come mi hanno cresciuta e al molto che mi hanno regalato. Devo a loro se oggi sono una donna molto felice e serena. Oggi papà è orgogliosissimo di me: non pensava che sarei riuscita a trasformare la mia passione in lavoro. Lo preoccupava la mia mancanza di spirito di competizione, eppure piano piano ce l’ho fatta. Anche grazie ai social, che mi permettono di essere me stessa, di usare un linguaggio tutto mio: scanzonato, allegro, semplice. Non mi piacciono le costruzioni: sono come mi vedete. Non mi appartiene il mostrarmi diversa: contro tutto e tutti, a volte giro video e reel in cui sono completamente struccata senza preoccuparmi del giudizio altrui.
Siete ormai in tante a cucinare sui social o in tv. È importante la solidarietà femminile nel tuo lavoro?
I rapporti tra donne sono sempre complicati. Ho fatto molta fatica a trovare tanti appoggi femminili: possono contare solo un paio di figure, anche molto importanti, che non hanno mai avuto problemi a usare i loro social per promuovere me. Io non vedo dove possa stare il problema ma sono davvero poche le volte che ho incontrato donne che la pensano come me: mi sono ritrovata in situazioni dove davvero la gentilezza non era di casa. Ma non è un problema di Eva contro Eva: non faccio distinzioni tra i due sessi e posso estendere il ragionamento anche agli uomini. La solidarietà per me è importante: ecco perché mi circondo di persone molto belle, da cui posso trarre anche degli insegnamenti.
In tutti questi anni di ricette, c’è ancora qualcosa che non sei riuscita a preparare?
L’aspic: è un mio cruccio. Era uno dei piatti preferiti di mia madre proprio perché neutro - può essere sia dolce sia salato – ma non mi riesce proprio farlo. Ma considera che ci ho messo anche molto tempo a preparare un budino come si deve: avrò un problema con tutto ciò che è gelatinoso (ride, ndr).
Tra le varie critiche che possono arrivare via social, qual è quella che ti dà maggiormente fastidio?
Non ne ricevo per fortuna molte ma mi infastidisce quando mi scrivono “Che palle… tutti con questa cucina”. È vero che oramai siamo in tanti a cucinare ma ognuno di noi ha dietro la propria storia: lo faccio da quando sono alta un metro e un barattolo e non perché va di moda farlo. Non funziona così: nel mio caso, ci ho creduto e ci ho investito tempo, lavoro e fatica. Trascorrevo 12 ore di fila in un laboratorio… Ci vuole un po’ più di rispetto per chi non è improvvisato e continua ancora ad alimentare la sua passione.
Si avvicina il Natale: prepari tu il panettone?
No, preferisco comprarlo. Non ho ancora affrontato la sfida dei lievitati perché so che poi mi ritroverei a mangiare quello che preparo e diventerebbe faticoso non lievitare anch’io. Preparo però la crema al mascarpone con cui accompagnarlo: la ricetta si trova nel libro ma io ne raddoppio o triplico le dosi. Il trucco per ottenere crema sofficissima consiste nel montare le uova fresche all’infinito per poi mescolarle al mascarpone a temperatura ambiente.
Ci ho messo un bel po’ per trovare la quadra e non occorre di certo andare a ricercare il mascarpone fresco prodotto da mucche che mangiano solo chissà che (sarebbe anche molto più grasso e servirebbe rivedere la ricetta): ne basta uno buono da supermercato che non costi un occhio della testa. Quello economico è un aspetto da tenere in considerazione quando si prepara qualcosa: alla bacca di vaniglia che oggi costa tra i cinque e i sei euro, sostituisco la scorza di limone… darà un’impronta diversa ma non inciderà sul portafogli.