Ci sono personaggi storici che, attraverso il loro eccezionale percorso, costituiscono lo specchio di un’epoca. Simone Veil (1927 – 2017) è una di questi. A lei è dedicato un film diretto da Olivier Dahan, Simone - Le voyage du siècle, in uscita in concomitanza con la Giornata della Memoria. Dalla sua esperienza nei campi di sterminio nazisti alla presidenza del primo parlamento europeo eletto, passando per la sua lotta per la legalizzazione dell’aborto e per il sostegno ai malati d’Aids, Simone ha incarnato da sola le tragedie e le speranze del XX secolo.
Perché un film?
Figlia, sorella, moglie, madre, ebrea francese, europea, magistrato, deputato, ministro, Simone Veil ha avuto tante vite. Portare sullo schermo la sua storia e la sua lotta per la Memoria è stata una sfida. Una sfida che il regista Olivier Dahan, noto per la biografia di Edith Piaf in La Vie en Rose, ha scelto di affrontare nel film Simone – Le voyage du siècle. Si è liberato dal peso della cronologia per cogliere gli aspetti più privati di Simone Veil. Così facendo, ha fatto rimbombare il messaggio di umanità e tolleranza che non ha mai smesso di tramandare.
L’obiettivo è quello di far sì che il messaggio di Simone Veil, più urgente che mai come la cronaca purtroppo ci ricorda, arrivi alle nuove generazioni. Simone - Le voyage du siècle, il film con protagonista l’attrice Elsa Zylberstein, ripercorre il destino di Simone Veil sin dall’infanzia, soffermandosi sulle sue battaglie politiche e sulle tragedie vissute. “Di Simone Veil mi hanno colpito la forza dei suoi discorsi, attuali ora come quando sono state pronunciati, e la resistenza che in varie forme ha portato avanti”, ha sottolineato Dahan.
“Qualunque ruolo abbia ricoperto, Simone è sempre stata avanti con i tempi. Anche dopo la sua morte, le sue parole rimangono moderne e trasmetterle era un dovere. Mostrare le sue esperienze, dai campi di concentramento alle sue attenzioni per i detenuti durante la guerra d’Algeria, serve a capire quale ruolo abbia giocato nella costruzione della moderna Europa e quale impatto abbia avuto sulle scelte che facciamo oggi”.
La rabbia di simone
“Nella mente di Simone Veil, che aveva conosciuto la guerra, c’era la pace”, ha proseguito Dahan, il regista del film Simone – Le voyage du siècle. “Dopo la morte della madre nei campi di concentramento, i suoi insegnamenti sul bisogno di libertà e indipendenza sono per Simone divenuti fondamentali. L’ingiustizia era ciò contro cui combatteva ogni giorno. Ma la sua energia nasceva dalla rabbia legata al suo passato. Niente la piegava e nessuno riusciva a farla desistere dai suoi propositi”.
Come tutti i sopravvissuti alla Shoah, ha maturato rabbia e sofferenza per come la tragedia, la Memoria della tragedia, sia stata per molto tempo ignorata e cancellata dalla memoria collettiva. Trent’anni dopo essere sfuggita alla morte, ha parlato della sua deportazione durante la posa della prima pietra per la costruzione di un nuovo ospedale. Ha sfruttato così le telecamere presenti lanciando una provocazione che ha aperto il dibattito pubblico su un argomento considerato ancora tabù.
Chi era Simone Veil?
Nata nel 1927 a Nizza, Simone Veil, a cui Dahan ha dedicato il film Simone – Le voyage du siècle, era la più piccola di quattro figli. I genitori, il padre André (ebreo assimilato) e la madre Yvonne, si erano trasferiti in Costa Azzurra poco prima della sua nascita. Simone trascorse qui un’infanzia felice grazie all’amore incommensurato della madre, una donna forte e indipendente.
Tutta la famiglia di Simone venne stata arrestata dalla Gestapo nel 1944. La sorella Denise, impegnata nella Resistenza dal 1943, fu anche torturata prima di venire trasferita a Ravensbrück. Il fratello Jean e il padre Andrè morirono assassinati a Kaunas, in Lituania. La madre Yvonne morì per il tifo nel campo di Bergen-Belsen a un mese dalla liberazione. Simone e la sorella Madeleine uscirono vive dal campo di concentramento, rimanendo sempre vicine fino alla morte della seconda in un incidente stradale nel 1952. Anche Denise, l’altra sorella di Simone, uscì dai campi di concentramento viva e, dopo il matrimonio con il giornalista Alain Vernay, preferì prendere il cognome del marito.
L’importanza della memoria
Simone Veil, figura al centro del film Simone – Le voyage du siècle di Olivier Dahan, fu la prima della sua famiglia a essere arrestata per le strade di Nizza, il paradiso in cui la famiglia viveva perfettamente integrata. Aveva appena conseguito il diploma di maturità e a nulla valse l’aiuto dell’amica che in quel momento si trovava con lei di impedire l’arresto dei suoi familiari. La sorella Denise fu l’unica a sfuggire alla retata, rifugiandosi nella boscaglia.
Mentre il padre e il fratello venivano assassinati in Lituania, Simone ritrovò la sorella Madeleine e la madre Yvonne nell’inferno di Auschwitz. A sedici anni era scampata dalla camera a gas e ritrovare la madre le dava sicurezza e forza. Sballottate in diversi campi di concentramento, le tre donne patirono fame e maltrattamenti prima di affrontare una delle terribili marce della morte tra freddo e stenti.
Dopo la guerra, la società si rifiutava quasi di ascoltare i racconti dei sopravvissuti. Simone Veil visse così la stessa tragedia che tutti i deportati sperimentavano.
Nessuno voleva ascoltare le loro parole. Nessuno voleva sentire quello che avevano vissuto. I sopravvissuti alla Shoah dovevano convivere con i loro incubi e i loro più orribili ricordi parlandone possibilmente solo tra loro. Condividere ciò che avevano vissuto fu la ragione per cui Simone trascorse molto tempo con la sorella Madeleine e altri ex deportati, infastidendo il marito (che spesso la rimproverava di voler rivangare il passato).
Fu solo negli anni Ottanta, grazie al lavoro sulla memoria dei coniugi Klarsfeld, che in Francia le parole dei sopravvissuti cominciarono finalmente a essere ascoltate. E a divenire Memoria.
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