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Sofia D’Elia: “Non vergogniamoci di chi siamo, con le nostre paure e fragilità” – Intervista esclusiva

Sofia D'Elia
Partendo dal personaggio della giovane poetessa in Folle d’amore – Alda Merini, Sofia D’Elia si racconta in maniera inedita a The Wom, svelando chi si nasconde dietro i suoi diciassette anni e rivelandosi portatrice di tutti quei valori della Generazione Z (e non solo), su cui tutti puntiamo.
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In un'era digitale dove i legami si tessono tra post e storie, l'incontro virtuale con Sofia D'Elia svela una connessione umana autentica e ricca di scambi significativi. Da un primo scambio su Instagram, motivato dalla menzione di Sofia in un racconto legato al film Folle d'amore – Alda Merini, si è dipanata una trama di comunicazioni che va oltre la superficie digitale, culminando in questa intervista non convenzionale con TheWom.it.

Sofia D'Elia, giovane promessa del cinema italiano, si è distinta per la sua interpretazione di Alda Merini da giovane, in un ruolo condiviso con talenti del calibro di Rosa Diletta Rossi e Laura Morante. L'attrice riflette su questo trascinante percorso artistico, dal profondo sostegno ricevuto sul set alla collaborazione stimolante con i suoi compagni di scena, sottolineando l'importanza dell'unione e dell'ispirazione reciproca nel dare vita a un personaggio così complesso e significativo.

Questo dialogo si estende oltre il racconto di un'esperienza professionale, toccando temi cari alla nuova generazione a cui Sofia D'Elia appartiene. Affronta questioni come il gender gap, il ruolo della donna nella società, e l'impatto sociale e culturale che giovani come lei possono avere, evidenziando un approccio maturo e riflessivo verso sfide contemporanee.

Attraverso il prisma dell'interpretazione di Alda Merini, Sofia D'Elia esplora le difficoltà e le conquiste delle donne, tanto nel passato quanto nel presente, sottolineando l'importanza di un dialogo aperto sulla salute mentale e sul diritto alla felicità e all'espressione personale. La sua storia è un invito alla riflessione su come l'arte possa fungere da catalizzatore per il cambiamento sociale, offrendo una voce a quelle realtà spesso marginalizzate.

In questa intervista, Sofia D'Elia si rivela non solo come attrice di talento ma come giovane pensatrice capace di articolare con sensibilità e intelligenza le sue speranze e visioni per un futuro migliore. Un viaggio tra arte, impegno sociale e crescita personale, che conferma come la libertà di espressione sia il bene più prezioso ereditato da figure ispiratrici come Alda Merini, e come sia fondamentale per le generazioni future continuare a lottare per mantenere viva questa conquista.

Folle d'amore - Alda Merini di Roberto Faenza andrà in onda il 14 marzo in prima serata su Rai 1, una coproduzione Rai Fiction e Jean Vigo Italia. Nel cast, Laura Morante, Federico Cesari, Rosa Diletta Rossi, Giorgio Marchesi, Sofia D’Elia e Mariano Rigillo.

Sofia D'Elia (Foto: Paolo Stucchi; Stylist: Allegra Palloni; Press: Book Media Events di Isabella Bo
Sofia D'Elia (Foto: Paolo Stucchi; Stylist: Allegra Palloni; Press: Book Media Events di Isabella Borghese)

Intervista esclusiva a Sofia D’Elia

“Al di là della loro demonizzazione, è anche vero che con i social si possono instaurare dei rapporti di amicizia o conoscere persone in modo alternativo”, sorride Sofia D’Elia quando le ricordo che da tempo ci seguiamo a vicenda su Instagram, dai tempi in cui, menzionata su una storia per Folle d’amore – Alda Merini, il film di Rai 1 in cui interpreta la poetessa da giovane, l’ha condivisa, stabilendo l’inizio di uno scambio sempre pulito e mai finalizzato ad altro. Neanche quest’intervista: avrebbe potuto nascere come scambio di favore o di cortesia tra me e Sofia D’Elia ma così non è stato: è frutto semmai del solito carteggio di mail con cui gli uffici stampa chiedono un incontro con TheWom.it.

Rosa Diletta Rossi è troppo gentile nei miei confronti”, mi risponde Sofia D’Elia quando le riporto le parole che l’attrice con cui condivide il ruolo di Alda Merini ha avuto nei suoi confronti e con cui in passato aveva già lavorato nel film Hill of Vision, sempre dirette da Faenza. “Non ho neanche parole per descriverla: il lavoro che fa sul set e il modo in cui prepara il suo personaggio è incredibile. Sin dalla prima prova lettura, mi è stata di grande aiuto: io, lei e Laura Morante avremmo dovuto interpretare un unico ruolo ed era fondamentale che si trovare un punto d’accordo. Non è stato facile, Alda è un personaggio ben definito, di una certa importanza, ma ce l’abbiamo fatta. E senza ombra di smentita posso dire che è stato un piacere essermi ispirata al modo in cui Rosa l’ha immaginata”.

“Mi sono confrontata anche con Laura Morante, ovviamente”, aggiunge Sofia D’Elia. “Ricordo il giorno in cui ci siamo incrociate sul set: io finivo le mie scene e lei doveva registrare le sue subito dopo. Sono rimasta folgorata quando l’ho avuta di fronte: mi ha colpita la gentilezza con cui si è approcciata a me, come se ci conoscessimo da tempo”.

Cosa hai imparato di Alda Merini?

La storia di Alda Merini è molto complessa. È una figura celebre nell’ambito culturale, è considerata un’icona della poesia e la sua voglia di essere una donna libera e diversa ne ha fatto negli anni l’emblema della figura femminile. Tutto ciò mi ha sempre affascinato e incuriosito ma, sin dalla prima lettura della sceneggiatura, purtroppo non ho potuto non pensare come essere una donna ancora oggi non sia facile: in diversi ambienti, non si è sempre tutelate e spesso siamo ostacolate dalla nostra libertà.

Mi sono dunque chiesta quanto, in quel contesto e in quell’epoca in cui ha vissuto, quanto debba essere stato difficile affermarsi in quanto donna al d fuori dalle mura domestiche in giovane età. Alda aveva studiato tra mille difficoltà e sofferenze e già a 15 anni manifestava i suoi primi disturbi in quell’età, l’adolescenza, che per certi versi avrebbe dovuto essere magico e che per lei invece significava essere circondata dalla miseria, dalla fame e dalla guerra.

“In certi ambienti, le donne non vengono tutelate”: fortunatamente così non è stato per te sul set di Folle d’amore – Alda Merini, dove si è stato particolarmente attenti in determinate scene che dovevi condividere con Alessandro Fella.

Assolutamente. Sono stata molto felice di ciò e di lavorare con Alessandro Fella, che sin da subito ha manifestato grande rispetto nei miei confronti, sia come attrice sia come giovane donna. È stato un piacere averlo come compagno di scena: prima delle riprese, abbiamo voluto lavorare insieme per gettare le basi di quello che era il rapporto tra Alda Merini e Giorgio Manganelli e per capire come il loro amore fosse condizionato anche da una visibile differenza di età.

Mi ha colpito particolarmente come agli occhi di Alda la questione anagrafica sostanzialmente non esisteva perché era innamorata di Giorgio soprattutto intellettualmente. Nonostante i suoi genitori non fossero inclini al percorso che lei voleva seguire, Alda ha sempre espresso il desiderio di confrontarsi e di ascoltare tutto ciò che si diceva nei circoli letterari (ed è lì che è avvenuto l’incontro con Giorgio).

Per quanto riguarda le riprese in sé, sono stata agevolata perché ero minorenne e, quindi, non posso che essere felice del tipo di esperienza che in sé avrà sempre un posto nel mio cuore, al di là dell’interpretazione del personaggio e della sua complessità.

Sofia D'Elia.
Sofia D'Elia.

Mi verrebbe da chiederti quanti anni hai di fronte a tanta maturità anche di espressione. Viviamo in un mondo in cui solitamente i giovani vengono descritti come poco attenti senza mai pensare a come in realtà abbiano anche una testa pensante sulle spalle.

Tutti noi giovani della nuova generazione stiamo crescendo con tante difficoltà che gli altri, abituati a guardare solo a loro stessi, purtroppo non notano. Siamo considerati come animati da superficialità, un giudizio che formulano solo perché osservano le nostre foto sui social, quando invece stiamo pagando le conseguenze di chi in passato non ha pensato al nostro futuro… e non parlo solo dal punto di vista ecologico, dove le problematiche sono sotto gli occhi di tutti.

Sono comunque felice di far parte di una generazione che sta vedendo dei grandi processi socio-culturali in atto, soprattutto sul gender gap e sul ruolo della donna. Proprio grazie all’interpretazione di Alda, ho potuto apprezzare la maggior libertà con cui oggi possiamo esprimerci: lo dobbiamo a tutte quelle figure che, come Alda stessa, hanno combattuto per la libertà d’espressione.

Come tutti i ragazzi della mia età, anch’io sono chiamata a dimostrare la mia maturità precocemente perché è molto difficile vivere nel mondo di oggi: siamo spaventati dall’idea di non avere un futuro. Ed è su ciò che vorrei che noi giovani avessimo più voce in capitolo durante quelle occasioni in cui si parla di tematiche, questioni e dinamiche inerenti a noi giovani, come la tutela dell’ambiente, la violenza di genere e, soprattutto, l’uguaglianza di genere.

Quanto fastidio ti dà chi vorrebbe zittirti solo perché sei “piccola”?

Dà molto fastidio. Ma spesso anche da piccoli si può avere il giusto pensiero. In tal senso, mi è rimasto impresso un aneddoto che mi piace ricordare. Sono amante di Storia dell’Arte, una materia che amo, e il riferimento riguarda Caravaggio e Artemisia Gentileschi. Quando Artemisia vide un quadro di Caravaggio, volle dire come la pensava: i colori erano troppo spenti. Caravaggio non poté fare a meno di annotare come Artemisia già a otto anni avesse capito il rapporto che c’era tra luce e ombra, spingendolo a riflettere sulla sua opera.

Tutto ciò per dire che, quando parliamo con qualcuno, non dobbiamo mai categorizzarlo né in base all’età né in base al genere di appartenenza ma semplicemente come persona di cui rispettare la propria posizione culturale. A 17 anni, saprò meno di adulto e gli porto rispetto, non provo mai a mettermi sul suo stesso piano da questo punto di vista ma ho un mio pensiero e vorrei poterlo esprimere.

Folle d’amore – Alda Merini è un film che accende un ulteriore faro sulla discussione inerente alla salute mentale. È soprattutto la tua generazione ad avere sulle spalle il compito di normalizzare l’idea per cui andare in terapia per pensare al proprio benessere psicologico sia necessario.

Hai usato il termine giusto, “normalizzare”. Si sono fatti molti progressi per la normalizzazione dei disturbi fisici e meno per quella dei disturbi mentali, dimenticando come spesso i secondi implichino anche i primi. Prendersi cura della propria salute mentale significa in primo luogo amare non solo gli altri ma anche se stessi. L’Alda adolescente, quando esordì come autrice, scelse il disagio come sua grande fonte di ispirazione ma non sempre il disagio crea arte: io stessa in un cortometraggio dal titolo Tutù ho affrontato una tematica molto importante come quella dei disturbi alimentari e nel documentarmi ho potuto constatare come questi dipendano dal disagio.

Normalizzare la terapia non è solo una lotta sociale ma anche una lotta con noi stessi e con le convinzioni con cui ci hanno cresciuti: è arrivato il momento in cui nessuno deve vergognarsi più di chi si è e di gettare le maschere che spesso indossiamo ma che non servono a nulla. Se si soffre per qualcosa, occorre condividerlo e cercare l’interazione con l’altro, il confronto umano.

Impersonare il ruolo di una ragazza che soffre di disturbi del comportamento alimentare comporta anche il doversi confrontare con il proprio corpo: chi recita deve conoscere bene il proprio corpo per utilizzarlo come strumento di lavoro.

Fortunatamente ho un buon rapporto con il mio corpo: mangio anche tantissimo ma non perché non do importanza al mio corpo ma semplicemente perché a 17 anni la mia priorità è anche quella di potermi concedere quelle piccole libertà che appartengono solo all’età adolescenziale.

Nel cortometraggio si parla di DCA nell’ambito della danza ma è una problematica che non interessa solo quel contesto. L’anoressia è un dolore che spesso viene vissuto in silenzio: è un dolore che non si urla e che fare stare male non solo la persona che soffre della malattia ma anche chi la circonda. Per me è stato difficile, complesso e impegnativo, interpretare la protagonista ma è stato anche un modo per mettermi alla prova con un personaggio che da un lato avrebbe voluto salvarsi ma che dall’altro avrebbe voluto scomparire nel buio del tunnel della malattia.

Dopo la pandemia, i dati statistici sottolineano come i disturbi legati alla salute mentale siano aumentati proprio tra i ragazzi della tua età.

A me fa piacere che ultimamente si ponga più attenzione sulla questione, soprattutto nelle scuole. Da studentessa, posso confermare come i professori sensibilizzino molto sul tema, anche grazie il ricorso a cineforum o a contenuti multimediali: il cinema è un mezzo di informazione, un grande contenitore e distributore di messaggi, che può aiutare a comprendere il disagio e il dolore. Per Tutù, ad esempio, mi sono ispirata molto all’interpretazione di Natalie Portman in Il cigno nero, ad esempio, in grado di rappresentare con la sua prestazione sia l’ossessione per la danza sia il desiderio di perfezione.

Hai visto l’ultima stagione di Skam, che ha come tema proprio i dca?

Si, l’ho vista e sono felice di come abbia raccontato bene i disturbi mentali, rompendo quella tradizione per cui sono rappresentati sempre come qualcosa di triste. Chi soffre di depressione, di anoressia, di bulimia e di qualsiasi altro disturbo della salute mentale, spesso sono le prime persone che si mostrano spensierate creandosi lo scudo di quel sorriso che si tolgono dalla faccia solo quando sprofondano nella loro solitudine.

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Hai oggi 17 anni ma è da quando hai 9 anni che hai cominciato ad avvicinarti a questo lavoro. Cosa ti ha portato ad essere affascinata dal canto, dal suono e dalla recitazione?

Ho sempre gravitato intorno a cinema e musica ma tutto è partito in realtà quando ho iniziato a guadare i film di Tim Burton: mi è piaciuto il modo in cui parte dalla diversità per rendere i suoi personaggi uguali agli altri. Piacendomi l’immedesimazione in quei ruoli, ho chiesto ai miei genitori di poter seguire corsi di recitazione e musica, altra mia grande passione da sempre. Mentre della musica mi piace il modo in cui con le proprie emozioni si possono creare armonie solo tue, della recitazione amo il poter esternare pensieri e compiere azioni che nel quotidiano non avrei forse mai il coraggio di fare. A oggi, le due arti sono le mie ancore di salvezza.

Perché non avresti mai il coraggio?

Forse perché a volte temo il giudizio. Ho paura magari di piangere di fronte agli altri o di esternare le mie emozioni ma ci sto lavorando e sono molto fiera del fatto che la recitazione e la musica mi stanno aiutando molto. Sto imparando a non avere timore di sentirmi me stessa o di mettermi a nudo: recitando, devo farlo per evitare che il personaggio risulti finto…

Recitare comporta anche il riconoscere i propri lati oscuri per poterli canalizzare al meglio.

È infatti grazie alla recitazione che ho scoperto lati del mio carattere che non avevo mai conosciuto prima. Mi sono sempre reputata una ragazza molto sensibile e sicuramente estroversa: sto scoprendo ora di avere anche un grande coraggio di cui non mi ero mai accorta.

Questo coraggio ti ha aiutato a relazionarti con gli altri, soprattutto con i tuoi coetanei? Solitamente chi alla tua età sceglie la via della recitazione viene percepito come l’alieno della situazione.

Coraggio e resilienza aiutano sempre e ancora di più nel percorso attoriale: sono agli inizi e so essere molto duro. Con i miei coetanei, fortunatamente, ho un buon rapporto, siano essi compagni di classe o amici. Sono tutti incuriositi dal lavoro che ho intrapreso e mi fanno molto domande in merito. Ma i miei compagni di classe sono anche disponibilissimi nei miei confronti, sempre pronti a passarmi i loro appunti quando devo recuperare quelle lezioni che ho perso per via degli impegni professionali.

Così come lo sono i miei professori, consapevoli di come per me la recitazione e la musica siano discipline che scorrono in parallelo con quelle della scuola: hanno lo stesso peso. Non è un caso che l’interpretazione di certi personaggi porti anche a uno studio sociale, culturale e storico, come è stato per Alda Merini.

Sofia D'Elia e Alessandro Fella nel film Folle d'amore - Alda Merini.
Sofia D'Elia e Alessandro Fella nel film Folle d'amore - Alda Merini.

Che scuola frequenti?

Sono al quarto anno di liceo scientifico. L’ho scelto perché mi piaceva il tipo di formazione che mi avrebbe dato, in perfetto equilibrio tra le discipline scientifiche, appunto, e umanistiche. Di sicuro, non è la matematica la mia materia preferita: preferisco la Storia dell’Arte e la Letteratura Latina. Lo studio storico degli autori classici mi sta aiutando molto a livello attoriale.

Il quinto anno è all’orizzonte: hai cominciato a chiederti cosa vorrai fare dopo?

Sono ancora in fase di valutazione, non lo nascondo perché è comunque giusto prendersi del tempo per il riflettere: il futuro è una cosa molto seria. Mi piacerebbe sia intraprendere un percorso che mi possa consentire di avere una piena formazione professionale, come nel caso delle accademie, ma mi piacerebbe anche intraprendere un percorso universitario che segua le materie che già conosco. E quindi ho ancora molta indecisione: mi piacerebbe studiare Cinema ma anche Storia dell’Arte o Filosofia.

Ti aiuta la scuola nel processo di orientamento?

Lo fa. Ma penso che la scuola debba aiutare anche con il supporto morale e una migliore gestione dei programmi: io ho capito ad esempio solo lo scorso anno quanto la Letteratura Latina servisse molto per la formazione attoriale, studiando Virgilio… è proprio il modo in cui Virgilio parte dalla costruzione sociale di un personaggio per poi arrivare alla piena consapevolezza degli stessi che mi aiutato quando ho poi girato Folle d’amore – Alda Merini.

Vivi sempre in Puglia?

Si, abito in Puglia, anche se in questo momento mi trovo a Roma, a casa di mia sorella. Faccio continuamente la spola ma, finito il liceo, conto di trasferirmi nella capitale.

Non ti costa in questo momento fare avanti e indietro?

Non mi costa perché da sempre adoro viaggiare. Mi piace il viaggio e tutto ciò che c’è dietro, conoscere nuove cose e approcciarmi a nuove culture. L’ho sperimentato negli anni scorsi con viaggi diversi con destinazioni molto più lontane: ho adorato ad esempio le Filippine, con la loro atmosfera del tutto lontana da quella che posso vivere tutti i giorni.

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Quando sei su un set e si accende la luce della macchina da presa qual è il primo pensiero o la prima emozione che ti passa per la testa?

Non nascondo che c’è molto timore, soprattutto il primo e ultimo giorno di set.

Il primo, perché devi interfacciarti per la prima volta con la camera con il tuo personaggio: hai paura in qualche modo di sbagliare, nonostante tutto ciò che hai studiato o per cui ti sei documentato… per me, ogni set è un modo per guardarmi dentro e misurarmi con l’emozione che richiede il mio personaggio.

L’ultimo, invece, perché a prendere il sopravvento è la malinconia: l’avverti, sai che stai lasciando il personaggio e quella sensazione per cui hai vissuto con lui un’altra vita… è vero che lo porterai per sempre con te sebbene sia altro da te ma è altrettanto vero che per interpretarlo hai messo al suo servizio parte di te: è quello che mi insegna il metodo Stanislavskij. Lo studio con la mia insegnante e l’aspetto più bello è dato dal partire dalle proprie emozioni per costruire un personaggio diverso da se stessi e per evitare che risulti finto.

Cominciando presto a recitare, hai mai avuto paura delle aspettative?

Da parte mia, sì: ho avuto il terrore di non essere all’altezza di un ruolo così come quello di non saper interpretare bene una scena. Non si tratta di ambire alla perfezione, è una parola che bandirei, ma di desiderio di essere all’altezza da un punto di vista etico e morale: l’interpretazione di un ruolo richiede tanto lavoro prima e, forse proprio per la mia età, mi sono spesso detta che devo ancora imparare tantissimo.

Tuttavia, credo anche che, per quello che mi è stato finora richiesto, io abbia affrontato le mie paure, senza pensarci troppo. Anche perché più si pensa più è alto il rischio di sbagliare: meglio affidarsi al regista che ti ha scelto ed essere consapevole che, se sei lì, è perché ti ha scelto e ha voluto che fossi lì. L’interazione tra attore e regista è per me importante: si costruisce insieme qualcosa…

Avendo però anche la libertà di poter dire ‘no’.

Sì, anche se ancora ovviamente non è mai capitato di dirne uno perché non ne ho sentito la necessità. Ragione per cui conservo nel cuore tutti gli insegnamenti dei registi con cui ho lavorato, soprattutto quello di Roberto Faenza. Con lui ho parlato molto del personaggio di Alda Merini: mi diceva sempre di far parlare gli occhi perché Alda era una ragazza che guardava in verticale, una grande sognatrice che guardava sempre dritto.

E tu sogni?

Anch’io come Alda sogno tantissimo. Ma sono un po’ contraddittoria: sono anche fin troppo razionale, un lato del mio carattere che sto cercando di limare perché è giusto che alla mia età io sia una sognatrice com’è giusto che sia libera da tutte le costrizioni che a volte mi autoinduco.

I tuoi genitori hanno mai pensato per te una strada diversa?

No: ho due genitori con una mentalità straordinariamente aperta. Sono due persone favolose che mi hanno sostenuto nella mia scelta e che mi hanno sempre consigliato bene qualunque fosse la strada da intraprendere. Sono i miei due fari e hanno un grande rispetto per qualsiasi forma d’arte. E ciò mi rende felice, oltre che farmi sentire sicura.

Mamma mi ha sempre accompagnata a ogni provino, così come papà. Ho ereditato molto del loro carattere e mi hanno insegnato a non abbattermi mai… spero di non deluderli mai.

Cosa di te stessa potrebbe deludere te?

Il non essere felice. Ciò che più apprezzo di me è la mia felicità: me la pongo sempre come obiettivo. Se qualcuno mi chiedesse quale sia il mio desiderio per il futuro, non esiterei sulla risposta: non permetterei a nessuno di distruggere il mio piccolo mondo di gioia. Affronto ogni piccola o grande difficoltà sempre con il sorriso e farlo mi aiuta a vivere la vita serenamente. Come diceva Platone, abbiamo tutti gli strumenti per essere felici…

Quale commento sul tuo essere attrice in Folle d’amore – Alda Merini potrebbe invece urtare la tua sensibilità?

Alla mia età, nulla potrebbe darmi fastidio proprio perché ho ancora tanto da imparare. Forse quello più deludente per me stessa sarebbe il leggere che non ho interpretato al meglio la poetessa, un personaggio che tutti conosciamo… potrebbe farmi male ma è qualcosa a cui non ho ancora volutamente pensato: di sicuro so che non ci saranno solo commenti positivi e tengo in conto quelli negativi. A fare la differenza, in ogni caso, è sempre il modo in cui i negativi vengono posti: andrebbe sempre conservato il rispetto per l’essere umano.

Tra le tante poesie di Alda Merini, quale hai fatto più tua?

Ci sono tante sue poesie che mi piacciono. Ho studiato la sua produzione anche a scuola e la prima che sicuramente mi viene in mente è Sono nata il ventuno a primavera: verso per verso, Alda Merini è riuscita a toccare l’anima di tutti.

Cosa rappresenta per te la primavera che sta arrivando?

Per me, è sempre simbolo di rinascita… è come se fosse la vigilia di un’aria nuova e fresca, del momento in cui magari le persone cambiano i loro atteggiamenti, diventano più buone e si spendono maggiormente dal punto di vista morale.

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La nostra conversazione è cominciata nel segno della parola “libertà”. Qual è la più grande libertà che le donne come Alda ti hanno lasciato?

Quella di potersi esprimere liberamente apprezzando anche la semplicità.

Alda ha addomesticato il suo disturbo attraverso le sue poesie e ogni suo verso era un grande insegnamento: grazie all’unione di mente, penna e carta, è riuscita a farci riflettere su quante delle cose spontanee e su quanti sogni partano dalla semplicità. Noi viviamo oggi in una sorta di “età dell’oro” nella quale non apprezziamo il valore della semplicità.

Siamo liberi di esprimere la nostra opinione ma non ci siamo mai chiesti grazie a chi lo siamo: diamo tutto per scontato. La storia di Alda ci insegna quanta strada, invece, si è dovuta fare prima di esprimere liberamente il proprio pensiero.

Se avessi a disposizione carta e penna cosa vorrebbe disegnare la tua mente in questo momento?

A me piace molto disegnare. E se c’è qualcosa che disegno sempre sono gli aquiloni: sarò infantile ma mi piace pensare tutto in una chiave positiva. Per me, sono il simbolo, oltre che della gioia, del lanciare al vento i propri desideri con la speranza che qualcuno li possa avverare prima di accorgersi che questo grande compito spetta a te.

Ti sentirai spesso dire di non essere né donna né bambina. Cosa farebbe sorridere la Sofia bambina e cosa invece farebbe lo stesso con la Sofia donna?

La Sofia bambina sorriderebbe di fronte a un mondo di sorrisi e di aquiloni… e la Sofia adulta per la consapevolezza di avercela fatta, di essere riuscita ad avere un suo equilibrio personale e una sua serenità.

Folle d'amore - Alda Merini: Le foto

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