Stefano Skalkotos tiene alta insieme a Martina Avogadri la bandiera italiana in Lift, il film original Netflix in uscita in piattaforma il 12 gennaio. In un cast multietnico composto da attori come Kevin Hart, Gugu Mbatha-Raw, Sam Worthington e Jean Reno, nel film Netflix Lift Stefano Skalkotos interpreta Stefano, un agente italiano che si ritrova suo malgrado a essere al centro di un’indagine che da Venezia porta a Londra e Belfast per poi concludersi nuovamente in Italia.
Incontrato lo scorso anno in occasione del film evento di Rai 1 dedicato a Mondadori, Stefano Skalkotos ha voluto che fossimo noi di TheWom.it a raccogliere in esclusiva i suoi ricordi legati alla produzione Netflix e ai compagni di squadra di Lift. Segreti dal set, esperienze con i colleghi, paure e ansie emergono dal suo dettagliato resoconto. Allacciate, dunque, le cinture di sicurezze e fatevi avvolgere dalle sue parole.
Attore ma anche doppiatore, Stefano Skalkotos ha avuto sul set del film Netflix Lift la straordinaria opportunità di recitare in inglese (fortunatamente, per contratto, ha anche potuto doppiarsi nella versione italiana), una lingua che conosceva ma che non aveva mai avuto modo di esplorare così a fondo. Ed è proprio questa che è stata una delle prime difficoltà da affrontare…
Intervista esclusiva a Stefano Skalkotos
“La mia avventura all’interno del film Netflix Lift si è rivelata un po’ straordinaria sin dall’inizio. È stata un’esperienza incredibile e sono contentissimo di poterla raccontare. Facendo l’attore, sono prima di tutto un narratore per cui sono generoso da questo punto di vista”, sono le prime parole che Stefano Stalkotos, attore che avevamo incontrato tempo fa, ci affida per raccontarci cosa ha significato per lui prendere parte a un action all star e multiculturale in giro per il mondo.
“F. Gary Gray, il regista, è una persona meravigliosa dal punto di vista umano. Che sia un grandissimo regista non devo essere io a dirlo ma la storia contemporanea del cinema: ha la capacità a volte unica di attraversare generi completamente diversi tra loro. Ma è dotato anche di un’intelligenza, una sensibilità, un’umanità e una curiosità unica, senza le quali non mi avrebbe mai regalato l’opportunità che mi ha dato”.
Anche perché per Stefano Skalkotos l’avventura nel film Netflix Lift era iniziata in maniera molto diversa da come poi è andata. Il suo personaggio, denominato con un generico “The Italian Agent”, ha iniziato pian piano a prendere sempre più spazio. “Durante le riprese, non è che ci capissi molto”, aggiunge l’attore. “A me e Martina Avogadri, l’altra sola attrice italiana del cast, è successa la stessa cosa: i nostri ruoli sono stati ampliati a riprese in corso. Martina per me si è rivelata di grande supporto sul set sia per l’inglese (vive a Londra da parecchi anni) sia a livello psicologico: stavano cambiando tutta una serie di cose intorno che avrei dovuto gestire e non sapevo se fossi stato all’altezza di farlo. Adesso ho un’amica in più e conosco un’attrice incredibile”.
Come sempre, tutto è partito per te con un provino.
Ero reduce da Love in the Villa, una commedia sentimentale sempre targata Netflix girata in Italia. Era per un piccolo ruolo, quello di un carabiniere sotto copertura che si occupa di Beni Culturali. Erano previste “quattro battute e due reazioni”, niente di più, ma ho voluto sostenerlo ugualmente: lavorare con gli americani era stato fantastico, per cui non ci ho pensato due volte. Tuttavia, per il provino, il regista F. Gary Gray ha voluto che tutti gli attori leggessero anche un monologo molto lungo e bello del protagonista Cyrus. Amando l’inglese e il suo essere dritta come lingua, l’avevo quasi imparato a memoria, ragione per cui mi sono divertito a sostenere l’audizione con un occhio sul foglio e uno a filo macchina. Qualche settimana dopo mi è poi arrivata la conferma che era al regista ero piaciuto.
Ai primi di maggio del 2022 sono stato chiamato sul set a Venezia, dove si sarebbe girata la scena di apertura e un’altra con Gugu Mbatha-Raw, attrice straordinaria. L’idea era di rimanerci solo tre giorni, sarei stato anche vicino a Padova e ne avrei approfittato per andare a trovare mia madre. Rientrato a Roma, non ho avuto nemmeno il tempo di mettere piede in casa: mi ha chiamato la mia agente per dirmi che era stata richiesta la mia presenza anche a Trieste, altra città italiana interessata dalle riprese. Senza farmi troppe domande, ho dato la conferma di esserci, anche per un motivo meramente economico, diciamocelo.
E non ti sei posto qualche domanda?
Pensavo si trattasse di una questione più di presenza che di sostanza. Ma dopo un’ora vengo ricontatto per dare la mia disponibilità anche per Belfast e Londra. Qualcosa era evidentemente cambiata e l’ansia ha preso il sopravvento! La mia prima preoccupazione, per istinto di sopravvivenza, sono state le battute: ne avrei avute altre e le avrei dovute imparare a memoria il più velocemente possibile.
Il giorno dopo ero già sul set per le riprese della mattina alla Scuola Grande di San Rocco, una chiesa meravigliosa di Venezia che custodisce lavori di Tintoretto e Caravaggio. Ero in un camerino all’ultimo piano (più che un camerino era un altare con intorno opere d’arte di inestimabile valore), ero stato accolto dalla produzione con il “grazie del tuo tempo” (è assurdo ma nessuno in Italia lo direbbe mai) ma la mia unica urgenza era quella di capire dalla sceneggiatura cosa avessi dovuto fare.
Cercavo il mio “The Italian Agent” ma non riuscivo a trovarlo tra le righe dei copioncini di proprietà di Netflix che avevo in mano. Ho chiesto allora alla produttrice Audrey Chon, dando il via a una situazione quasi surreale, à la Totò. “You’re Stefano”, mi ha ripetuto per tre volte, guardandomi interdetta ma non capivo: “Si, sono Stefano, lo so. Ma dove sono le mie battute?”. Solo quando me le ha indicate anche con un po’ di compassione, ho capito che il mio personaggio aveva ora un nome, lo stesso del mio, e che le mie quattro battute erano diventate una trentina: avevano voluto ampliarlo e svilupparlo.
Sul set del film Netflix Lift ho avuto la possibilità di vedere cosa sia l’industria del cinema americano, in senso stretto, con produttori che investono grandissimi capitali e che mettono tutti quanti, dalla star all’ultima delle comparse, nelle condizioni di lavorare al meglio. Ne avevo già avuto sentore con Love in the Villa, ne ho avuto conferma con questa produzione mega galattica. Sul set, non ho mai ad esempio sentito nessuno alzare la voce, anzi: il regista F. Gary Gray sorrideva sempre ed era prodigo di complimenti, creando un clima di grande serenità e tutele.
Molte delle tue scene nel film sono a fianco di uno degli attori più immensi di Hollywood, Sam Worthington.
Sam è una persona meravigliosa, oltre che un attore di grandissimo talento e con una concentrazione pazzesca. Ho imparato tantissimo da lui e, pur non diventando amici in senso stretto, sul set tra noi si è creato un ottimo rapporto. Abbiamo girato insieme a Trieste ma anche a Belfast e a Londra. Per di più a Trieste, città usata per la residenza toscana del cattivo della storia, abbiamo girato una scena in elicottero, che per un paio di giorni era stata tenuta segreta in sceneggiatura. Non ci credevo quasi: quando mai un civile in Italia sale su un elicottero? È stata ovviamente la mia prima volta sul mezzo e con al fianco Worthington e pochissimi altri componenti della troupe, tra cui il regista, che scherzosamente mi ha regalato un paio di fazzolettini… “È probabile che ti serviranno dopo!”, mi ha detto.
E come si gestisce l’ansia in quel momento?
Quando hanno cominciato a ruotare le pale e l’elicottero si è levato in aria, avevo sì paura ma ho cercato di usarla per la scena mentre Sam, tranquillo, ricordava con nonchalance quando per un altro film aveva girato in Amazzonia con un mezzo persino senza portellone. Sam, tra l’altro, anche nelle pause delle scene insieme mi raccontava spesso delle sue esperienze: prima di far l’attore, faceva il muratore. E, sebbene sia una persona che abbia firmato un contratto per i vari Avatar fino al 2030, è di un’umiltà e di una semplicità incredibili.
L’ansia, quando il regista dà il ciak, diventa funzionale alla scena, nel mio caso: è come se scomparisse. L’ansia semmai tornava quando, come nel caso della scena della stazione a Belfast mi venivano cambiate le battute a poche ore dal ciak. Ma le difficoltà in quel caso nascevano dal non avere padronanza della lingua inglese. Per il mio inglese, credo di aver rotto le scatole un po’ a tutti, da Martina Avogadri a un’altra mia amica attrice che vive in Australia, Roxana, che chiamavo via Skype per conoscere la pronuncia delle parole!
Sul set, quando mi trovavo a Trieste, mi è anche stato chiesto se volessi un coach per Belfast e Londra, sebbene sul set che ne avessi già una straordinaria. Ho risposto di no perché, male che sarebbe andata, a Londra vive uno dei migliori amici, Davide Giordano. Non ci crederete ma lo hanno chiamato per farlo stare al mio fianco: la produzione lo ha ingaggiato nonostante io avessi paventato una soluzione di comodo all’italiana (ci saremmo eventualmente arrangiati tra di noi!). Davide, che conosco sin da quando ero adolescente, in breve è diventato il mio assistente personale sebbene nella vita abbia un altro lavoro e di ben altro alto profilo.
Mi ha aiutato anche a gestire i momenti più faticosi, come quello in cui dopo un ciak ho visto nero. Mi era capitata la stessa cosa a 15 anni, la prima volta che ero salito su un palcoscenico per uno spettacolo. Dopo quell’episodio, Worthington è venuto da me per dirmi che gli piacevo come attore perché si vede che penso a tutto quello che devo dire in scena: “Devi farlo in due lingue. Se chiedessero a me di recitare in italiano, staremmo qui fino a stanotte!”.
Non ci hai ancora detto nulla su Kevin Hart, il protagonista del film Netflix Lift.
Kevin Hart sta vivendo un momento incredibile della sua vita professionale, tra l’altro è anche coproduttore del film. È un capocomico, molto simile a quello che si incontra nelle compagnie teatrali. Nel senso più positivo del termine, è un giullare che trasuda un’incredibile energia da mattina a sera: non so come vada a dormire (ride, ndr)! Ha la straordinaria capacità di scherzare e di essere il secondo dopo iper concentrato sulla scena da girare.
La sua vitalità è fuori dal comune e la senti: riconosci che è un big, che ha tutta la sua crew di gente nera intorno e che è una star, ma non ne percepisci il peso perché è un uomo disponibilissimo e gentilissimo con tutti. Forse è un po’ più difficile colloquiare con lui rispetto a Sam Worthington o Gugu Mbatha-Raw, con cui si è parlato tantissimo ad esempio di teatro, o Jean Reno.
Pensi che quest’esperienza possa dare una svolta anche in Italia alla tua carriera?
Quando abbiamo finito di girare la scena dell’elicottero, mi ha avvicinato il regista per chiedermi se fossi contento dell’esperienza. Ovviamente lo sono e l’ho ringraziato per aver creduto in me più di quanto ci credessi io e per la sua curiosità (se non l’avesse avuta, non si sarebbe nemmeno accorto di me). Secondo lui, il film avrebbe svoltato la mia carriera e, preso dall’euforia del luna park che vivevo, ho quasi voluto credere alle sue parole. Ma in Italia nulla è scontato: vedremo come andrà. Di sicuro, quest’esperienza mi ha fatto porre una domanda che tutti gli artisti dovrebbero porgersi: sarò all’altezza? È fondamentale rimettersi in discussione.
Sono cosciente di avere una bella storia da raccontare e mi auguro che quella che ho vissuto sia un’esperienza che possano vivere tutti quelli che hanno sempre voluto fare il mestiere d’attore senza perdere mai la coerenza. “La fortuna non esiste, esiste il momento in cui il talento incontra l’occasione”, come scriveva Mario Calabresi nella copertina di un suo libro. La trovo una gran bella verità: a 42 anni è arrivato per me il momento in cui il talento, ovvero la somma tra la mia passione e le mie esperienze, ha incontrato l’occasione. Se fosse accaduto prima, in altre stagioni della mia vita, non so nemmeno se l’avrei colta o come l’avrei vissuta.
Di certo, so che al momento non ho altri progetti se non quello di prepararmi per la Maratona di Atene: la corsa è diventata negli ultimi tempi un elemento fondamentale della mia vita per una questione non solo di salute fisica ma anche e soprattutto di salute mentale. Va anche a compensare la mia passione per la cucina.