Il nome di Bessie Mae Kelley non dice molto alla massa ma sicuramente qualcosa ricorda a chi è appassionato di storia dell’animazione femminile e si è interessato alle prime pioniere di un genere che ancora oggi ci permette di sognare, fantasticare e vivere vite altrui in dimensioni differenti. È stata infatti una delle primissime donne animatrici.
I suoi lavori si credevano perduti per sempre fino a quando, nel 2022, Mindy Johnson, storica dell’animazione, ha riscoperto una parte del suo operato e restaurato due suoi film. Mindy Johnson aveva visto il volto di Bessie Mae Kelley in una serie di fotografie che ritraevano alcuni animatori degli anni Venti. Mentre altri storici in passato l’avevano indicata come segretaria o donna delle pulizie, Johnson ha approfondito le sue ricerche portando alla luce come Kelley avesse cominciato a lavorare come animatrice nel 1917 presso i Bray Studios, una scoperta che da lì a poco avrebbe cambiato per sempre la storia dell’animazione non solo al femminile.
Di Bessie Mae Kelley, di ruolo delle donne nel mondo dell’animazione, di storia della figura femminile, di differenze tra Oriente e Occidente e dell’attuale politica in nome della diversity and inclusion operata dai grandi studios, abbiamo avuto modo di parlare direttamente ed eccezionalmente con Mindy Johnson, in Italia per partecipare alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, tenutesi dal 7 al 14 ottobre.
Autrice e studiosa pluripremiata, storica e regista, Mindy Johnson grazie al libro The Women of Walt Disney's Animation (Edizioni Disney), è riconosciuta come la massima esperta di donne nell'animazione. Nel suo libro, infatti, ridefinisce la nostra storia collettiva, gettando nuova luce sulle migliaia di artiste non celebrate che sono alla base dei progressi creativi e tecnici delle forme d'arte dell'animazione del XX secolo. Il suo libro Ink & Paint diventerà, presto, una docu-serie per Disney+.
Ricercata commentatrice, oratrice, conferenziera e relatrice, Mindy Johnson è apparsa in diversi documentari, oltre che nello speciale della ABC trasmesso a livello internazionale Behind the Magic: The Making of Snow White and the Seven Dwarfs. Presentando spesso in numerosi studi, campus, festival e conferenze internazionali, tra cui il World Animation Festival e altri ancora, è anche una pluripremiata drammaturga, autrice di canzoni nominata ai Grammy, musicista e collaboratrice di diverse registrazioni di fama internazionale.
Intervista esclusiva a Mindy Johnson
Cosa la porta alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone?
Sono qui per una recente scoperta che ho fatto inerenti a una delle prime animatrici del mondo del cinema. Vissuta oltre cento anni fa, ha lavorato anche a una delle prime serie di animazione. Il suo nome è Bessie Mae Kelley.
Si tratta di una scoperta molto importante: si è portati sempre a pensare alla nascita del cinema di animazione coniugandolo al maschile. La scoperta di una “pioniera” non riscrive la storia stessa delle donne nell’animazione?
Sono rimasta sorpresa anch’io dall’aver scoperto che già agli albori della storia del cinema di animazione ci fosse un nome femminile. La scoperta cambia tutto quello che sapevamo sul mondo dell’animazione: ci vuole molto coraggio a riscrivere la storia ma finalmente abbiamo una concezione più allargata del ruolo gioco dalle donne.
I suoi studi sulla figura femminile nella storia dell’animazione sottolineano e mettono in evidenza come il ruolo delle donne sia cambiato nel corso degli anni.
Direi che è ottimo: è qualcosa che attendevamo da lungo tempo. Insegno nelle Università degli Stati Uniti e i corsi sono frequentati da molte donne: per loro è importante sapere, già dalle prime lezioni, che sin dalla nascita del cinema ci sono state figure femminili fondamentali di riferimento. È importante per loro ma anche per tutti quelli che frequentano: abbiamo colmato una lacuna che non aveva ragione d’essere.
Oggi, assistiamo a nuovi processi di scrittura in cui i personaggi femminili hanno finalmente un ruolo più forte, deciso e importante. Tutto viene declinato in chiave d&i. Hanno destato però scalpore le immagini dal dietro le quinte del live action di Biancaneve, in cui i sette nani sembrano rispondere a nuove logiche politically correct. L’attenzione alle minoranze avvicina o allontana il pubblico?
Bella domanda a cui non c’è una risposta univoca. La narrazione viene da sempre adattata ai tempi che viviamo. Pensiamo alle storie dei fratelli Grimm: di fondo, rimangono sempre uguali, ma sono soggette a continui aggiustamenti rispetto all’epoca in cui vengono trasposte sullo schermo. È una peculiarità della narrazione stessa e credo sia giusto così.
Da studiosa della storia dell’animazione al femminile, qual è il primo nome femminile forte che ricorda?
Personaggio o animatrice? La prima animatrice, a cui va il mio pensiero, è di sicuro Helena Smith Dayton, che si è occupata di animazione in stop motion già intorno al 1916: non sopravvivono suoi lavori ma la speranza è sempre quella di ritrovarne qualcuno in futuro. Ma voglio ricordare anche Lotte Reiniger che, esperta della tecnica della silhouette, diresse nel 1926 Achmed, il principe fantastico e che divenne famosa per le sue fiabe. Così come Leontina “Mimma” Indelli, la prima animatrice donna italiana: lavorò come animatrice a Parigi ma, purtroppo, anche di lei non ci rimane nulla. Di donne ce ne sono sempre state e la lista è corposa.
Ripassando velocemente in mente tutta la storia dell’animazione, direi che, come personaggio femminile, mi piace particolarmente Cenerentola, un esempio di gentilezza e attenzione umana. Ma sono appassionata di tutte le fiabe.
Trova che ci sia nella animatrici maggior attenzione e sensibilità verso i cosiddetti “temi femminili”?
Le donne prestano maggiore attenzione ai personaggi e alle storie: nei loro lavori, c’è più charme e sofisticatezza. Curano nel dettaglio la narrazione e le animazioni sono più neutro rispetto alla questione gender. Già nei primi lavori realizzati anche per i grandi studios, ci sono meno battutine ma ciò non implica che siano meno divertenti dei loro colleghi uomini.
Ha anche studiato le differenze tra animazione occidentale e animazione orientale.
Molto. Ho studiato l’animazione in Giappone, Cina e Indonesia, sin dall’esordio ma… fino agli anni Cinquanta non si trovano tracce di animatrici. Il dato curioso è che il primo film d’animazione cinese fu incentrato proprio su un personaggio femminile, La Principessa Iron Fan, che uscì al cinema nel 1941. Quindi, nonostante la storia dell’animazione orientale cominci molto presto, nessun nome femminile è balzato alla ribalta fino a metà Novecento.
L’animazione giapponese ha vissuto in Italia tra gli anni Ottanta e i Novanta un periodo di grande successo, grazie a manga ed anime in cui i personaggi femminili (da Mimì a Lady Oscar, da Candy Candy a Maya) erano quasi sempre voltati al sacrificio. C’è, dunque, tutta una generazione di donne cresciute con l’idea che per affermarsi serva sacrificarsi.
È un tema alquanto complesso e potente: è interessante capire dove ci porterà tutto ciò. È un’area per me troppo contemporanea su cui non ho ancora avuto modo di soffermarmi per via del mio principale interesse verso i primi anni dell’animazione. Porto rispetto per la tradizione di manga e anime, che trovo anche molto intriganti e che catturano l’interesse dei miei studenti: le nuove generazioni sono colpite e intrigate dal genere e, spesso, è proprio questo che li ha portati a studiare animazione. Dovremmo forse approfondire maggiormente gli studi in quest’ambito.
Porta la sua testimonianza di studiosa dell’animazione in un documentario in uscita negli Stati Uniti, di cui è anche produttrice: Pencils vs Pixels. Bel dilemma: cosa colpisce, dal suo punto di vista, maggiormente il pubblico? Il disegno a matita o quello digitale?
Altra ottima domanda ma tutto dipende dalla storia che si vuole narrare. Ci sono fattori che aiutano a raccontare meglio la storia che si vuole portare al pubblico: la scelta del colore o della matita, a prima vista questioni che possono sembrare banali, è fondamentale. L’industria di Hollywood, a un certo punto, ha detto basta al disegno a matita per puntare al digitale ma il corso degli eventi ha dimostrato che occorreva far vedere ancora il tratto dell’artista, che con il suo tocco arricchiva il racconto. I film della saga di Spider-man, ad esempio, ricorrono a diverse tecniche ma anche Jim Capoblanco, l’artista dietro Ratatouille, per il suo ultimo film The Inventor (presentato ad Alice nella Città 2023, ndr), ha usato la stop motion, l’animazione vecchio stile e il digitale, ricorrendo a un mix di tecniche a seconda di ciò che voleva esprimere.
“Pensa. Scrivi. Crea. Ripeti” sono i quattro verbi che aprono il suo sito internet.
Sono una creativa: scrivo, faccio film, compongo musica, insegno, racconto… è un ombrello molto ampio di attività sotto cui mi riparo e che mi porta a pensare, scrivere, creare e ripartire di nuovo: è come cercar di far ribollire tutto ritornando alle basi da cui sono partita!
Ink & Paint è il titolo di uno dei suoi ultimi libri. A che punto è il progetto di trasformarlo in una docuserie per Disney+?
Ci sono molte difficoltà al momento. L’industria sta attraversando un momento di grande transizione per cui, fino a quando non si calmano un po’ le acque, siamo fermi. Si assume nuove personale, si stanno ridefinendo diverse logiche ed è in corso uno sciopero che complica il tutto.
Può l’animazione al femminile aiutarci a comprendere meglio le community sottorappresentate?
Può e deve. Sia a livello sperimentale o autoriale, nei progetti da presentare ai festival, sia a livello commerciale. Maggiore rappresentazione serve a far capire a chi ancora si ostina a non capire cosa significhi sentirsi soli e, al contempo, a rompere quella coltre di solitudine, incomunicabilità e abbandono, di cui sono spesso ricoperte le minoranze.
È facile essere credibili da donne in un mondo così maschilista come quello del cinema?
Quando si apportano delle novità, è sempre difficile risultare credibili sin dal primo momento. Occorrono del tempo e gente illuminata in grado di capire che il mondo non va in una sola direzione. C’è però interesse e curiosità nei confronti dello sguardo femminile. Schopenhauer diceva che quando riveli una verità sono tre le azioni successive messe in atto da chi l’ascolta: la prima è negarla, la seconda è negarla vagamente e la terza, infine, è accettarla come se fosse sempre stata così. Siamo ancora nella seconda ipotesi ma pian piano arriveremo al momento in cui si dirà che le donne animatrici ci sono sempre state e hanno avuto la stessa importanza degli uomini. Dobbiamo solo essere pazienti con chi nega mentre si evolvono!
C’è un dato che non sono riuscito a verificare in nessun modo prima di questo nostro incontro: c’è mai stata una d’animazione con disabilità?
C’è una lunga storia di persone con disabilità nella storia dell’animazione. I primi nomi che vengono in mente sono sempre maschili ma ci sono, tuttora, animatrici con difficoltà motorie anche alle mani o con problemi dello spettro autistico. Una mia carissima amica, che ha appena compiuto cent’anni, Enid Denbo Wigzig, negli anni Quaranta lavorò nello studio che è poi diventato la Warner Bros. Si occupò di animazione durante la Seconda guerra mondiale ed è da sempre sorda: invece che portarla in un istituto com’era d’uso spesso ai tempi, i suoi genitori le insegnarono il linguaggio dei segni e a leggere il labiale. Lavorò molto a lungo tra gli altri con Chuck Jones e a oggi è molto amica dei produttori dei film di Spider-man: è molto attiva e si occupa di sostenere i ragazzi sordi.