“La vita è tutto un lunedì: ci penserò per una prossima canzone”, è una delle prime risposte che SvegliaGinevra mi dà quando ci chiediamo rispettivamente come va. Che siano tempi complicati ma anche per certi versi di rivoluzione è una riflessione che prende il sopravvento quando le faccio notare che Nessun dramma, la canzone omonima che dà il titolo all’intero album di SvegliaGinevra, racconta di un manipolatore narcisista, andando in fronte a una contemporaneità quanto mai necessaria. “Siamo fortunate quando riusciamo a renderci conto di avere a che fare con un manipolatore. Prenderne consapevolezza è l’aspetto più difficile: sarebbe fondamentale avere intorno persone sane che sappiano consigliarci bene e aprirci gli occhi quando siamo in certe situazioni. Da soli, facciamo fatica ad accorgercene, figuriamoci poi ad accettarlo e metabolizzarlo”.
“È un discorso che può essere esteso anche ad altre questioni, ai conflitti che sorgono e a tutte le minoranze. Le donne stesse sono una minoranza come le persone appartenenti alla comunità lgbtqia+ e altre decine e decine di gruppi sottorappresentati che non vengono tutelati dalla società”, continua SvegliaGinevra.
Originaria di Benevento, SvegliaGinevra ha da poco pubblicato il suo nuovo album, Nessun dramma per l’appunto (Columbia Records/Sony Music Italy), in cui in dodici tracce differenti racconta di amore in tutte le sue forme con aneddoti di vita drammatici che nascondono lezioni utili a dar forza alle donne. “Purtroppo, non mi leverò mai di dosso il mio essere terrona, nonostante abbia vissuto in Australia, a Roma o a Milano: in qualche modo, il sud ha lasciato un segno incontrovertibile nel mio modo di pensare. A cominciare dal modo in cui consideriamo il cibo un atto d’amore: ricordo le domeniche mattine a far colazione con pane e il sugo preparato da mia nonna, era impossibile resistere all’odore che si propagava per casa già poco dopo l’alba”.
Intervista esclusiva a SvegliaGinevra
Come nasce Nessun dramma? È quello che si definisce un concept album. E ci vuole coraggio oggi per realizzarne uno.
È il mio primo disco che si avvicina di molto a quello che ho spesso voluto fare, ovvero scegliere a livello testuale delle canzoni che potessero affrontare un discorso unico e trasmettessero un messaggio a chi le ascoltava. Non ho voluto che ci fossero nemmeno featuring o collaborazioni, nonostante abbia già cantato o scritto con altri artisti, perché volevo che fosse semplicemente mio e racchiudesse il mio pensiero. Non so se sia difficile fare un concept album o meno ma so che è difficile fare un album: viviamo in un’epoca in cui la velocità di ascolto farà sì che tra un mese sarà già vecchio, nonostante io ci abbia messo corpo, anima, sangue e tempo per realizzarlo.
E ci vuole coraggio anche per guardarsi dentro, come hai fatto tu con i brani in cui esponi molto di te stessa.
Ho sempre ascoltato tantissima musica ma sono anche da sempre un’appassionata di psicologia. Mi è sempre piaciuto leggere articoli, ricerche e studi sul modo in cui l’essere umano si relaziona all’amore e si rapporta ai sentimenti in generale. Ciò mi ha dunque portata a cercare di capire non solo i miei stati d’animo ma anche quelli degli altri. E ciò che ne ho dedotto ho cercato di spiegarlo nelle dodici canzoni: non nascondo però che mi è venuto abbastanza naturale.
E cosa hai scoperto di te riascoltando l’album?
Quando mi è arrivato il master del disco, per avere un primo feedback ho obbligato i miei amici ad ascoltarlo e a darmi con onestà il loro parere. Tutti sono stati colpiti da ciò che scrivevo e che non conoscevano di me, a cominciare da ciò che provavo. Ci sono cose che scrivo anche stupidamente perché amo come suonano le parole e altre che, invece, raccontano anche del mio mondo. Ho scoperto così che la musica esercita un grande potere su di me e sui miei pensieri.
Come ti sei avvicinata alla musica?
La risposta richiede una spiegazione molto lunga. Ho cominciato ad avvicinarmi alla musica sin da piccola: i miei genitori non erano così appassionati di musica da ascoltare di tutto ma, provenendo da una famiglia molto numerosa, ho avuto intorno tantissimi cugini che mi hanno fatto scoprire gli artisti con cui ho sentito maggiore affinità. C’era chi mi portava dei vinili o chi a un concerto e le scoperte fatte hanno illuminato il mio mondo. A 15 anni, quando ho perso mio padre, ho invece preso in mano quella chitarra elettrica che aveva comprato a 13 anni, con la sua prima paga, e che non aveva mai suonato. Forse è da quel momento che ho cominciato a considerare la musica come una forma di terapia.
Negli anni ho poi studiato, ho conosciuto persone e ho girato per il mondo. Ho cominciato a cantare in inglese e mi sono trasferita anche in Australia. È solo dopo essere tornata da Melbourne che mi son detta che avrei dovuto anche cimentarmi con l’italiano. Ci ho messo un anno per ripulire la mia scrittura.
Curioso come prendi in mano la chitarra quasi alla stessa età in cui tuo padre l’aveva comprata… come hai vissuto il crescere senza una figura genitoriale così importante?
Bellissima osservazione, quella sull’età, su cui non avevo mai riflettuto. Perdere un genitore a 15 anni significa confrontarsi subito con l’idea che le persone a noi vicine possono andare vie da un momento all’altro. È qualcosa che non possiamo controllare o decidere ma accettarlo a quell’età non è semplice. La mia fortuna è stata quella di avere avuto una mamma e una famiglia che non mi hanno mai fatto mancare nulla in termini di sostegno e amore: c’era nonna ma c’erano anche gli otto fratelli di mia madre.
Mia madre mi ha sempre spronata all’indipendenza, insegnandomi come nella vita occorre sempre rimettere insieme le proprie forze per ottenere ciò che si vuole ma anche tutti quei valori belli che ho sempre cercato di riportare nelle mie relazioni con gli altri. Perdere mio padre ha comunque lasciato degli strascichi che trovano eco nelle relazioni che vivo, segnate dalla paura dell’abbandono o dal non avere totalmente fiducia nell’altro per timore che vada via.
L’indipendenza è un valore fondamentale per una giovane ragazza che cresce al sud, un sud spesso descritto come patriarcale e maschilista.
La cultura patriarcale si ritrova tanto al sud quanto al nord. Ma mia madre è stata sempre una donna indipendente. Ho trascorso tanti anni nel negozio di vestiti in cui lavorava: era un’appassionata di moda ma non aveva avuto la possibilità di studiare per quello per cui si sentiva portata. Ecco perché quando ha visto la mia passione per la musica ha cominciato a spronarmi, invitandomi a credere in quello che facevo e a non lasciarmi influenzare dal giudizio altrui.
Cosa ti ha portata invece in Australia?
Mi sono diplomata e poi laureata in una università inglese che ha sede a Roma. Dopo la laurea, ho sposato il progetto di un mio amico e cominciato a suonare roba elettronica e funk ma ci sentivamo musicalmente fuori da ciò che c’era in Italia in quel momento. Abbiamo allora deciso di andare all’estero: potevamo scegliere Londra ma ci andavano tutti e, quindi siamo volati dall’altra parte del mondo, agli antipodi. Claudio, il mio amico, aveva il doppio passaporto ed era anche più facile per me avere il visto.
Siamo partiti con uno zaino in spalla e, in tutta sincerità, non sono stati facili quei due anni e mezzo lontana da tutto ciò che avevo lasciato a casa, dalla famiglia agli effetti e agli amici. Ho però scoperto aspetti che non conoscevo di me, come la forza di carattere che mi contrassegna e che mi fa ripartire ogni qualvolta accade qualcosa di spiacevole. Per quanto difficile, come esperienza mi ha fortificata.
Quasi per uno strano scherzo del destino, le tue prime canzoni pubblicate in italiano sono finite nella colonna sonora di due progetti Netflix che hanno fatto il giro del mondo, Summertime 2 e From Scratch.
È incredibile come la vita sappia sempre come sorprenderti. Tra l’altro, nel guardare From Scratch ho versato tante di quelle lacrime da averci lasciato metà cuore. Non vedo l’ora che venga realizzata la seconda stagione, confermata dalla piattaforma.
Le dodici tracce di Nessun dramma raccontano storie d’amore. Tutte tue o anche immaginate?
Nei brani ci sono tanti miei pensieri e tante emozioni non solo mie ma anche di persone a me molto vicine che mi hanno raccontato le loro storie. Il disco nasce per dare forza alle donne perché sono donna ed è quello il punto di vista che conosco: so quali sono i problemi che ci interessano, che significa guardarsi allo specchio o accettarsi, o che peso ha il giudizio. Per tutti sono stata anche quella matta che voleva far musica o che è andata in Australia per farlo quando tutti mi chiedevano che lavoro vero volessi fare. Ma il mio lavoro vero è sempre stata la musica anche quando lavoravo al bar o fatto altri lavori, che poi ho smesso quando mi allontanavano troppo dalla musica. L’autodeterminazione è qualcosa che cerco di far trasparire anche dalla copertina dell’album stesso, che si ispira a Patti Smith.
Dopo queste dodici canzoni che ha capito dell’amore?
Che l’amore non ha regole: siamo tutti nella stessa barca. Non c’è una regola precisa da seguire e ciò ci fa scervellare: tutte le volte che pensi che stia andando bene arriva la mazzata e viceversa.
Il 13 dicembre terrai un concerto live a Roma, dopo quello dello scorso 24 novembre a Milano. Che rappresenta per te la dimensione live?
È il motivo per cui realizzo un disco: il palco è la prova del nove della tua musica e di come è arrivata alla gente. Ho imparato, anche solo guardando i grandi artisti di cui ho aperto i concerti, che a ogni live devi dare tutto se stesso, come se fosse sempre l’ultimo della tua vita.