Sveva Mariani è la giovane protagonista del film La guerra del Tiburtino III, diretto da Luna Gualano e presentato ad Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma. Produzione Mompracem con Rai Cinema, prodotto da Carlo Macchitella, Manetti bros., Pier Giorgio Bellocchio, La guerra del Tiburtino III uscirà nelle sale il 2 novembre distribuito da Fandango. Protagonisti della storia, scritta da Emiliano Rubbi insieme alla stessa Luna Gualano, al fianco di Sveva Mariani, sono Antonio Bannò, Paolo Calabresi, Paola Minaccioni.
Nel film, impreziosito dalla partecipazione straordinaria di Carolina Crescentini, Pier Giorgio Bellocchio e Francesco Pannofino, Sveva Mariani interpreta Lavinia Conte, una fashion blogger che si ritrova suo malgrado intrappolata nel quartiere Tiburtino III, nell’estrema periferia romana. Qui, un piccolo meteorite caduto dal cielo è stato racconto da Leonardo De Sanctis (Calabresi), il padre di Pinna (Bannò), uno spacciatore del posto. Ciò ha fatto sì che, nei giorni successivi, gli abitanti del quartiere cominciassero a comportarsi in maniera strana, alzando delle vere e proprie barricate attorno al territorio. Pinna decide allora di indagare sul fenomeno insieme ai suoi amici e a Lavinia. Scopriranno così che gli alieni, partendo dal Tiburtino III, hanno intenzione di conquistare il mondo: occorrerà fermarli prima che sia troppo tardi.
In un mix di sci-fi dalle tinte cupe e commedia, La guerra del Tiburtino III permette a Sveva Mariani di mostrarci un altro lato delle sue doti artistiche, dopo aver recitato nei panni drammatici di Luna nella serie tv A casa tutti bene, diretta da Gabriele Muccino o nelle atmosfere horror di Hai mai avuto paura?. Ma ciò non significa che Sveva Mariani abbia preso alla leggera il ruolo di top influencer a lei assegnato: tutt’altro, come ci racconta in quest’intervista esclusiva in cui ci racconta il suo mondo, chi è e le sue paure da ragazza della generazione z.
Nata nel 1997, romana ma di origine siciliane, Sveva Mariani ha dentro di sé un turbinio di emozioni che rivela con delicatezza e maturità. Ma non perde mai di vista quel fuoco della recitazione che le arde dentro sin da quando, poco più che bambina, si è innamorata del teatro e di un mestiere per cui si impegna, a piccoli passi, giorno dopo giorno. Consapevole delle difficoltà a cui potrebbe andare incontro, Sveva Mariani ha fatto della propositività (e non della positività, la differenza è netta) il suo mantra, desiderosa com’è di conoscere gli altri ma anche se stessa.
Intervista esclusiva a Sveva Mariani
“Posso essere sincera? Più che ispirata a qualcuno, ho fatto forse riferimento a un immaginario”, mi risponde per prima cosa Sveva Mariani, quando le chiedo da chi ha preso ispirazione per il personaggio di Lavinia Conte, la fashion blogger che interpreta nel film La guerra del Tiburtino III. “Lavinia è un personaggio a cui ho voluto veramente bene. Ho cercato di capirne le ragioni, la matrice e il ruolo che ricopriva all’interno della storia. Mi sono chiesta se avesse una valenza positiva o negativa e alla fine sono arrivata alla conclusione che era lei la vera aliena della storia”.
Perché aliena?
Perché si ritrova a far parte di un mondo che non le appartiene e che non conosce, quello del quartiere Tiburtino III nella periferia romana. È la sua non conoscenza che la porta anche a sembrare fuori posto o svampita ma ciò che mi premeva era sottolineare la sua natura umana positiva: non ho voluto che fosse o che risultasse antipatica o costruita ma ho fatto sì che avesse una certa dose di ingenuità.
Ingenuità che le si perdona anche sul finale quando si lascia andare a una riflessione non proprio politically correct.
Mi sono interrogata molto su quella sequenza. Da attrice, nel costruire il personaggio, ho fatto ricorso anche a una buona dose di ironia e autoironia: le frasi pronunciate da Lavinia sono dettate dalla superficialità e dalla non conoscenza dell’altro e della realtà concreta che la circonda. Le viene quasi naturale quella riflessione perché è stata a contatto con qualcosa che in vita sua non aveva mai visto e a cui non è stata mai abituata. Non penso che la sua affermazione (“i poveri sono uguali a noi ma si vestono peggio”) si possa definire giusta, non può essere perdonata ma va trova un’aderenza col personaggio che crede di aver scoperto qualcosa di importante a livello umano, ovvero “tutti siamo uguali”.
Ho cercato di farle pronunciare quelle parole senza alcuna intenzione denigratoria perché, in fin dei conti, Lavinia non è giudicante nei confronti di nessuno: lo dimostra relazionandosi apertamente con la gente del Tiburtino III, rimanendo meravigliata e stupita persino dal valore e dalla forza di un abbraccio. L’abbraccio che Lavinia scambia con Chanel (Francesca Stagni), alla fine di una missione speciale, è indicativo: non sembra abituata a quel tipo di contatto umano.
E che Lavinia sia in generale un po’ fuori dal mondo lo si evince anche dal rapporto di amicizia che ha con Lucilla (Aurora Calabresi), che le fa anche da supporto psicologica: è come una bambina che finiamo per scusare come si scusano un po’ tutti i bambini.
Per quello che conosciamo di te, Lavinia non potrebbe essere più distante di così dal tuo modo di essere.
Lavinia è un personaggio lontanissimo da me ma mi ha regalato molta leggerezza, che non vuol dire superficialità. Per molti versi, è stato per me liberatorio vestire i suoi panni, soprattutto dopo aver vestito quelli molto pesanti e drammatici di Luna nella serie tv A casa tutti bene. Lavinia potrebbe risultare stravagante in qualsiasi contesto al di fuori del suo, quello dei social, e come sappiamo i social pongono comunque una netta distanza tra te e l’altro, una distanza che non può essere colmata da uno smartphone ma da altro. Ho immaginato quindi che potesse essere veramente molto distante anche dalla sua famiglia e dalle amicizie reali: non la vedevo come una ragazza con tante amiche vere intorno o al centro di rapporti puri e genuini.
L’ho vista come una ragazza sola e, volendo, triste: uno dei motivi per cui si comporta in un certo modo è perché le è mancato un confronto con gli altri. È il confronto diretto che fa crescere, sviluppare la tua personalità o il tuo spirito critico e imparare a stare con gli altri: se manca, non può essere sostituito da un telefono, dai follower o da tutti coloro con cui non hai un contatto concreto.
La sua più grande paura è di perdere lo scettro di top influencer.
Nel momento in cui perde quel primo posto, perde tutto ciò che è lei stessa. Viviamo in un momento storico in cui o sei tutto o sei niente. E, se non sei tutto, la parola “fallimento” ti si appiccica addosso. O è 3 o è 33: bisognerebbe invece ricordarsi che occorre concentrarsi sul percorso e sui piccoli passi che portano al raggiungimento di un obiettivo. Non è tutto bianco o nero: esistono tante sfumature di grigio che aiutano anche a sentire meno il peso del momento in cui arrivano le difficoltà vere.
In Lavinia e nella sua paura di non essere più la numero uno c’è tutta l’ansia del dover essere la migliore: è vittima del mondo in cui vive, per cui se perde il primato non vale nulla. E, quando all’inizio la si vede terribilmente affranta, è come una bambina molto piccola che fa quasi tenerezza, con l’amica a ricordarle i numeri incredibili che ha fatto con l’hashtag #CottonFioc. Come tutto il film, anche il personaggio di Lavinia può avere varie letture, ora superficiali ora profonde, che possono aprire molte riflessioni di vario tipo.
Riflessioni anche molto profonde sulla paura dell’altro ma anche sul patriarcato (vittime predilette degli alieni sono i maschi) e sul potere di un primer.
Vedremo che letture verranno date. Ma sicuramente il tema dell’alieno è fondamentale: che cosa è alieno e cosa no? Quali sono i diritti da tutelare? Perché l’altro ci fa così tanta paura? La guerra del Tiburtino III è come se fosse una grande matrioska, di cui la regista aveva chiari i contorni e il contenuto.
Rispetto a Lavinia, tu hai un rapporto con i social molto differente, quasi prossimo allo zero se lo paragoniamo alla scala del personaggio.
Sono una persona molto riservata: so che fa quasi strano vedere una ragazza della Generazione Z come me avere un rapporto complicato con i social ma la riservatezza è da sempre uno dei miei tratti peculiari. Devo ancora capire che tipo di utilizzo fare dei social: spesso sono un’arma a doppio taglio che, lasciandoti esporre, ti espongono anche a molte critiche. Spesso ho voglia di condividere la mia vita o il mio percorso lavorativo ma forse non ha ancora una forte consapevolezza di me stessa: dovrei prenderla con più leggerezza ma non sopporto l’idea di dover essere sempre performante o apparire perfetta.
Forse dovremmo tornare tutti a interrogarci sul concetto di bellezza in maniera diversa: ne siamo tutti attratti e i social non fanno che mostrarci cose belle facendo passare in secondo piano quanto la bellezza estetica sia un fattore relativo e altamente soggettivo. Si punta a risultare perfetti a tutti i costi dimenticando che invece dovremmo, secondo me, concentrarci sulla bellezza interiore, sull’armonia e sull’empatia verso l’altro. I social dovrebbero essere usati non come mezzo di confronto con gli altri ma come un modo per conoscere gli altri e imparare ad amarsi. Per me, la vera bellezza consiste nell’amarsi, nel volersi bene e nell’accettare le proprie imperfezioni.
Non voglio apparire come una boomer, sia chiaro. Vedo anche tantissima bellezza nei social: ci sono tantissime pagine, come la vostra ad esempio, che promuovono l’inclusività, l’unicità, l’accettazione e la rottura di alcuni tabù e stereotipi che non hanno ragione di esistere. Sono quelle le cose che mi piace seguire e che si avvicinano a me e al mio pensiero. Troverò prima o poi la chiave giusta per farmi conoscere, superando quella paura che mi spinge a non usare i social per timore di non riuscire a mostrare chi sono davvero.
Mi piacerebbe attraverso i social farmi conoscere meglio ma anche conoscere gli altri ed entrare in relazione con loro. È stato molto bello quando, finita la seconda stagione della serie tv A casa tutti bene, molti ragazzi e molte ragazze mi hanno scritto su Instagram rispetto al lavoro che avevamo fatto: è stato un importante momento di confronto che mi ha dato tantissimo e mi ha arricchito. Ecco, è questa la mia idea dei social: devono contribuire all’arricchimento di qualcosa che non si conosce, dall’arte alla cultura, passando per le persone, i libri e le ricette di cucina.
La tua formazione da attrice è curiosa per certi versi. Mentre quasi tutti si spostano da sud verso nord per studiare recitazione, tu hai fatto il percorso inverso: da nord verso sud, scegliendo Siracusa.
Siracusa è uno dei miei posti del cuore: occupa un ruolo importante nella mia vita. Ho origini siracusane e ho vissuto tutte le mie estati di bambina in Sicilia, dai nonni, fino a quando anche loro non si sono trasferiti a vivere a Roma. Verso quella terra, ho sempre avuto un attaccamento forte, già da molto prima che una serie di coincidenze e situazioni mi portassero a Ortigia per motivi di studio.
Ho capito che volevo far l’attrice a diciotto anni, quando frequentavo il liceo e ho tentato, quindi, l’iscrizione all’Accademia sia di Roma sia di Siracusa, le mie due città. E la vita stessa ha scelto per me: non sono stata ammessa a Roma ma all’Accademia d’Arte del Dramma Antico voluta da Giusto Monaco e Fernando Balestra. Ho trovato lì quello che stavo cercando in quel momento… oltretutto, mi sono ritrovata in quell’ambiente che mi riportava agli anni in cui da bambina i miei genitori mi portavano a vedere le rappresentazioni classiche del Teatro Antico di Siracusa, un tipo di esperienza che volevo da sempre vivere e che ho avuto la fortuna di vivere almeno una volta (non ho potuto fare i due cicli previsti a causa del CoVid e del lockdown che hanno bloccato tutto).
Quella del Teatro Greco di Siracusa è stata la tua prima esperienza professionale da attrice, anche se leggenda vuole che la prima volta che hai calcato un palcoscenico fossi molto piccola e recitassi in un’opera di Shakespeare…
Sì, è un po’ una leggenda e non la considererei tanto un’esperienza lavorativa: è stata semmai un’esperienza importantissima dal punto di vista formativo perché ha acceso in me la miccia della recitazione, un’epifania che mi ha fatto vedere chiaramente quale sarebbe stato il mio scopo. Ha dunque Shakespeare rappresentato la mia presa di consapevolezza ma la prima esperienza professionale sono state, nel 2019, Le troiane di Euripide con la regia di Muriel Mayette-Holtz.
Gli alunni dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico vengono molto responsabilizzati lavorando a fianco di importanti attori e registi e venendo trattati come professionisti. Ricordo ancora le sensazioni provate entrando al Teatro Greco di Siracusa: avevo come rituale quello di salutare lo stesso teatro e di mettermi, dopo il soundcheck, al centro della cavea… mi guardavo intorno e sentivo come se il teatro stesso dialogasse con me anche in un silenzio che non ho ancora ritrovato altrove. È davvero un luogo magico, in grado anche di farti sentire sia molto piccola sia protetta, a casa: un contrasto che mi auguro di rivivere presto.
La guerra del Tiburtino III: Le foto del film
1 / 14Teatro e cinema sono per te amori diversi?
Se mi chiedessero di scegliere, mi troverei in difficoltà. Sono amori uguali ma diversi alla stesso tempo, entrambi attrattivi e forti. Del cinema, amo che mostri anche una verità profonda: anche il lavoro fatto con Gabriele Muccino era nel segno dell’autenticità, dovevo necessariamente cerca qualcosa di Sveva all’interno di Luna e viceversa. O che si racconti storie che portano alla creazione di mondi meravigliosi. Del teatro, invece, amo il patto diverso che si fa con lo spettatore.
Ragione per cui desidero fare entrambi: desidero essere un’attrice e fare questo lavoro per tutta la vita, a piccoli passi, cercando di scoprirmi, di crescere e di modificare anche me stessa. Gli attori lavoriamo su noi stessi: siamo come dei contenitori, che portano al servizio dei personaggi tutto ciò che hanno dentro, comprese le paure. Non considero le paure un limite ma una benzina che, prendendo fuoco, ti dà la possibilità di far anche cose belle.
Di cosa ha paura oggi Sveva Mariani?
Ho paura di ascoltarmi. A volte ho paura anche delle mie potenzialità o delle aspettative mie o degli altri, che non devono mai rallentarci. E poi ho paura di non essere accettata per quello che sono ma ho imparato che quella si può vincere solo superando l’unica vera e grande difficoltà: accettare me stessa e volermi bene. Se sto bene con me stessa, non ho bisogno del confronto o del giudizio esterno.
Sono consapevole di quanto tutti abbiamo paura delle nostre fragilità e di quanto possiamo essere anche molto severi con noi stessi. L’essenziale è non perdere mai la propositività: anche quando qualcosa non va come vorresti è perché deve accadere qualcosa di più bello o giusto per te. Come mi ha detto un mio amico, “quando porti il sole dentro, non occorre che non piova”.
Ammettere di avere paura è ciò che ci porta a progredire anche come esseri umani. D’altronde chi non si pone domande o si mette in discussione? Sarebbe sbagliato non farlo. Ma cerchiamo di non vivere proiettati nel futuro e con l’ansia per cui se non facciamo qualcosa oggi potrebbe sfuggirci: godiamoci il presente e ciò che accade oggi per capire cosa ci rende felici. Ricerchiamo la felicità oggi, non domani: la vita e il suo percorso possono anche portarci in posti che pensavamo di non voler nemmeno esplorare, non pretendiamo di avere tutto sotto controllo.