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Tekla: “Un po’ Madre Teresa di Calcutta e un po’ Joker” – Intervista esclusiva

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Tekla è un’artista che ha saputo trasformare le sue esperienze di vita, le sue sensibilità e le sue sfide in una musica potente e autentica. Con una visione chiara e una determinazione incrollabile, continua a esplorare nuovi orizzonti, portando avanti un messaggio di autenticità e coraggio.
Nell'articolo:

Nome d'arte di Francesca Cini, Tekla è un’artista che ha scelto di distinguersi fin dal nome. La "K" nella sua identità artistica non è solo un vezzo stilistico, ma una scelta consapevole per differenziarsi da un nome comune come Francesca, e per rappresentare quella parte di sé che emerge attraverso la musica, una parte più complessa e meno immediata, che esce dalle vesti ordinarie della quotidianità

Il recente singolo Un’altra me in coppia con Ilaria è un viaggio musicale che rispecchia perfettamente questa dualità tra l'artista e la persona. Tekla e Ilaria, collaborando, hanno creato un brano che esplora le profondità della mente umana e accoglie con coraggio le parti più nascoste e oscure di sé.

Tekla, con alle spalle un percorso decennale nella musica, ha recentemente compiuto trent'anni, un traguardo significativo che segna sia un punto di arrivo che un nuovo inizio. Dopo l’esperienza televisiva a The Voice, ha scelto di concentrarsi sulla musica e sulla scrittura, piuttosto che su un mondo televisivo che non sentiva suo. Questo percorso le ha permesso di crescere e maturare, imparando a volersi più bene e ad accettare se stessa.

La durezza che caratterizza Tekla è il risultato di una sensibilità profonda e di un'educazione che l'ha portata a essere molto critica verso se stessa. Ma è anche questa sensibilità che alimenta la sua musica, rendendola autentica e sentita. La scelta di promuovere il singolo Male su OnlyFans è un esempio della sua capacità di utilizzare la propria immagine per lanciare messaggi forti e provocatori, sfidando le convenzioni e i pregiudizi.

Crescere in una famiglia unita e con un fratello maggiore di dieci anni ha influenzato profondamente Tekla. La ricerca di approvazione da parte dei suoi cari e la solitudine provata durante l'infanzia hanno alimentato la sua passione per la poesia e la musica, canali attraverso i quali ha potuto esprimere e gestire le sue emozioni contrastanti, come ci racconta in questa intervista in esclusiva.

Tekla ha rinunciato a molte cose per la musica, tra cui la stabilità economica e una giovinezza spensierata, ma non ha mai smesso di credere nell'importanza della sua arte. Per lei, fare musica è una missione, una scelta di vita che l'ha portata a sacrificare molto, ma che le ha anche regalato una profonda soddisfazione personale.

Tekla (Press: Clarissa D'Avena per Red&Blue Music Relations).
Tekla (Press: Clarissa D'Avena per Red&Blue Music Relations).

Intervista esclusiva a Tekla

Tekla: perché lo ha scelto come nome d’arte?

Tekla con la "K" è nato proprio perché il mio nome originale, Francesca, è estremamente comune. Non volevo essere vittima di un nome così diffuso, poco ricordabile. Ma c’è anche un’altra spiegazione che ha a che fare con l'aspetto artistico: nella mia musica viene fuori una parte di me che non è la prima che mostro e che mi fa uscire dalle mie vesti ordinarie. Tekla è nato anche perché sono stata ispirata da una regista milanese, Tekla Taidelli, che raccontava la Milano degli anni 90 prendendo gli attori dalla strada, un qualcosa che mi entusiasmava molto.

Un po’ quasi in sintonia con il tuo ultimo singolo: Un’altra me. La domanda sorge spontanea: se Tekla è la tua parte artistica, chi è Francesca?

Francesca è la parte più pura di me, molto ingenua di natura. Sono una ragazza nata in provincia di Bologna, quindi molto a tutte quelle dinamiche di paese. Appartengo a famiglia i cui componenti non svolgono lavori che hanno a che fare con la musica. Francesca è, quindi, la parte più introspettiva e riflessiva, che devo proteggere. Tekla invece è la corazza, quella parte più dura che mantiene un'immagine di sé e fa entrare solo determinate persone: non si può essere empatici con tutti e non si può permettere a chiunque di sporcarci dal nostro viaggio o di ferirci anche con poco. In altre parole, Tekla è la parte più dura che però mette insieme tutte le riflessioni che sono interne a Francesca come individuo.

Tipico da gemelli, quale tu sei.

Sono gemelli ascendente scorpione: un abbinamento dalla gestione complessa. Vivo momenti di binomio tra l’essere Madre Teresa di Calcutta e Joker. Non è una cosa semplice, ma mi piace più di quanto si creda.

Ho un po' paura della mia mente è uno dei versi di Un’altra me che più colpiscono.

Io e Ilaria per scrivere la canzone siamo partite dalla concezione di parlare della Terra e dell’Aria: non a caso abbiamo scelto anche Lanzarote come location, perché è un luogo che contaminato dai due elementi che più ci rappresentano. Nel brano, abbiamo voluto esporre pregi e difetti dell’uno e dell’altro. Per ritornare all’astrologia, la frase "ho un po' paura della mia mente" è tipica dei segni di Terra, che pensano di riuscire a gestire e programmare tutto, di essere dei pilastri per gli altri, scordandosi di se stessi spesso e volentieri. E che, quando si fermano a guardarsi dentro scoprono tutt’altro.

Hai compiuto da poco trent'anni. La consideri una soglia importante?

Assolutamente sì, soprattutto per una ragazza che da 10 anni investe la sua vita nella musica in diverse forme, dal talent di The Voice nel 2015 fino ad oggi, nonostante di esperienze televisive non ne abbia avute più per scelta e perché non mi gratificavano certe situazioni. Trent'anni sono un punto di arrivo, ma anche di partenza. Pensavo peggio, ma il giorno del mio compleanno sono stata in pace: ho l'assurda convinzione che ognuno di noi abbia un orologio interno per cui le cose accadono quando devono accadere.

Ovviamente c'è malinconia e paura nel confrontarsi con un'industria musicale sempre più legata all'immagine e ai trend dei giovani, ma a trent'anni sono più sicura di me rispetto a quando ne avevo venti. A quell’età non stavo bene: avevo un’insicurezza di fondo che oggi non ho ed ero molto dura con me stessa.

A cosa si deve la durezza?

In maniera razionale, la durezza deriva dalla sensibilità ma anche dalla propensione all’auto giudizio: mi giudico molto ma allo stesso tempo odio chi giudica. È un comportamento che è figlio dell'educazione e del periodo in cui sono cresciuta. Negli anni '90, con modelli come Christina Aguilera e Britney Spears, gli standard culturali e musicali di riferimento erano alti: seppur consapevole di non poter essere uguale a loro fisicamente, dovevo fare del mio meglio per raggiungere una sorta di livellamento almeno canoro.

L’essere molto critica con me stessa è un tratto che devo anche alla mia famiglia, che amo e adoro. In maniera del tutto innocente, si sviluppano in casa delle modalità che si portano avanti con il tempo e che rimangono dentro noi per sempre: non sono, ad esempio, competitiva e non mi sono mai voluta particolarmente bene. Anche se adesso, da giovane donna sto facendo dei passi in avanti: mi voglio decisamente più bene, come dimostrano anche i miei capelli lunghi, una rarità, che non taglio da 5 anni. Questo significa proprio che mi sto amando e che mi vado bene.

Tekla.
Tekla.

Non ti abbiamo vista più in tv, come dici tu, un po’ per scelta e un po’ perché non ti erano congeniali certe situazioni. Cioè?

Dopo una volta in cui vai in televisione, capisci se fa per te o meno. Caratterialmente sono estremamente timida e certe dinamiche non mi appartengono: quando tornavo a casa dopo le esibizione per The Voice e mi chiedevano com’era andata, rispondevo sempre che avevo sfilato più che cantato. Vedere che c’era tanta televisione e poca musica è stato per me deludente: io che pensavo che avrei ogni giorno studiato o lavorato al mio album con qualcuno che avrebbe saputo indicarmi dove direzionare la mia energia, mi sono ritrovata a vivere in prima persona il periodo in cui i talent facevano da scouting per le etichette.

Non rivedevo mai le esibizioni a casa perché sapevo cosa c’era dietro, tutta la costruzione del racconto che prevedeva prove d’abito, interviste o set fotografici. So che fanno parte del contenitore ma a 19 anni speravo che si investisse su altri aspetti. Sono tornata a casa senza nessuna formazione pratica, con proposte discografiche di gente che prometteva oro quando io non ero in grado nemmeno di valutare cosa fosse lo zinco. Mi sono ritrovata sommersa da cose che non comprendevo, come i contratti da far leggere agli avvocati, che più la portavano alle lunghe più costavano.

Per la Francesca ingenua è stato un frontale a tutti gli effetti. Ed è il motivo per cui quando mi hanno proposto di tentare altri talent, come X-Factor o Amici, non ce l’ho fatta a spostare nuovamente il focus: a me piace scrivere e cantare e non calcolare cosa vendere o come vendersi. Tant’è che ho fatto molti passi indietro, preferendo anche il lavoro di solo autorato a quello di cantautrice.

Certo, la tv mi ha fatto crescere. Però, spesso si cresce anche grazie ai traumi e non solo per le cose belle che ci accadono. Ricordo il dover rispondere da sola ai commenti che arrivavano dopo le mie esibizioni, da quelli negativi a quelli positivi, qualcosa a cui non ero preparata… non sempre è vincente tutto ciò che dal di fuori consideriamo luccicante.

Il fraintendimento è sempre dietro l’angolo. Ed è per puntare il faro sul fraintendimento che per lanciare Male, il tuo singolo che racconta di una relazione tossica, hai scelto OnlyFans…

In fondo, sono una provocatrice: nel momento in cui subisco qualcosa, progetto già a come restituirtela esponenzialmente più forte, a livello di messaggio e non di vendetta. Nel mio piccolo, sono una giovane donna che fa musica e da sempre, al di là dell’entrare in empatia con chi mi segue o mi supporta, ho dovuto confrontarmi con le pressioni di chi mi voleva esteticamente diversa o meno vestita. Con un passato da singer e ballerina in diverse discoteche, ho sempre dovuto fare i conti con l’immagine e con come questa arrivasse prima di ogni altra cosa, anche dell’esperienza musicale stessa.

Nel momento in cui dovevo far uscire Male, che raccontava di un amore tossico chiuso sei anni fa, nel pensare alla copertina, che di suo doveva essere una provocazione dei rapporti, mi sono chiesta quale fosse la perversione che tutti quanti additiamo come tale, concentrandomi sui legami di sottomissione e dominanza. La mia mente è dunque volata al BDSM, con tutto il suo immaginario, e ho visto davanti a me un’immagine forte che avrebbe destato reazioni e commenti sia negli estimatori sia in coloro che non mi amano.

Sarebbe stata in ogni caso uno shock: come gestirlo? Se ci fossi riuscita, avrei avuto anche la meglio sulle mie paure, insicurezze e timidezze. Ed è lì che ho aperto un canale OnlyFans, avvertendo il mio management e il mio ufficio stampa di non far trapelare nulla sull’uscita del singolo. Lo shooting della foto è stato persino casalingo (ho fatto costruire la gabbia da mio padre) ed ero paradossalmente più vestita che mai…

“Mi preferite padrona o schiava?”, ho scritto sul canale attivando già le dinamiche del brano. E le reazioni sono state le più assurde: in 7 giorni, avevo già 400 abbonati, tra chi sosteneva di sapere che prima o poi avrei aperto un OnlyFans e chi, seppur non condivideva la mia scelta, si era iscritto per supportarmi. Avevo quindi dall’estimatore al finto moralista… ma per una volta sono stata io a utilizzare la mia immagine come volevo e per lanciare un messaggio, finendo con il ricevere tantissimo sostegno femminile proprio perché il tutto rientrava in una dinamica che ogni donna vive sentendosi dire in continuazione cosa deve fare, come o quando.

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Tu quando hai capito di essere padrona di te stessa?

Ho un carattere apparentemente molto forte e incisivo. Non sono quindi mai stata succube, nemmeno da bambina. Ciò mi ha portata a vivere molti scontri, anche violenti, con mio fratello più grande di me di dieci anni: avevo la mia testa e i miei pensieri e, a prescindere dall’età e dalle dinamiche, ero abbastanza radicale su ciò che sentivo e volevo. Tuttavia, c’è un solo grosso difetto che hanno le donne con il mio stesso profilo: a tale sicurezza corrisponde una certa debolezza in amore. Nel momento in cui amiamo, tutto è concesso, nei limiti che ognuno di noi si pone. Abbassiamo dunque la testa in determinate circostanze e confondiamo l’amore con l’io resisto… ma a chi, perché, a cosa?

Mi sono accorta di tali dinamiche solamente due anni dopo che era finita la storia di cui canto in Male. Non avevo interiorizzato quanto tossica fosse quella relazione semplicemente perché avevo sposato la causa per cui si vince e si perde insieme. Mentre la vivevo, non riuscivo a essere lucida come lo sarei stata in altri contesti. Nell’autodefinizione, non ho mai avuto problemi se non in coppia.

A 12 anni infatti avevi già deciso chi saresti stata: hai vinto un concorso canoro e già tempo ti eri avvicinata alla musica e alla poesia. Cosa rappresentavano per la te bambina?

Dopo molti anni trascorsi e diversi altri di terapia a riguardo, sono consapevole di avere avuto la fortuna di crescere con un fratello più grande di dieci anni e di avere due genitori estremamente presenti e uniti tra di loro (stanno insieme da 45 anni). Tuttavia, ciò ha comportato anche una certa richiesta di approvazione da parte loro: non ho partecipato al concorso per poi dire agli amici di guardare la tv per vedermi… no, l’ho fatto per dire “Mamma, papà, Samuele: guardate. Siete contenti? Vi piace? È una cosa che va bene?”.

Ero una bimba molto sola e le dinamiche di cui spesso e volentieri parlavo non erano le mie ma quelle di mio fratello. Facevo fatica a legare con i coetanei, mi annoiavo perché li trovano estremamente infantili e mi isolavo molto, ragione per cui la poesia è sempre stata una chiave di lettura che mi permetteva di canalizzare l’estrema emotività che avevo. Riuscire a renderla a parole mi dava sollievo: dentro di me c’erano sempre emozioni contrastanti.

La mia sensibilità era tanta e non riuscivo a gestirla. Una volta, smisi anche di mangiare per un paio di mesi perché un bambino era stato male a scuola dopo aver mangiato: “E se capita anche a me?”, era la mia domanda. L’over thinking mi massacrava… La poesia e la musica sono stati il canale che mi ha permesso di evitare una nevrosi. Credo che possano convertire tutto ciò che dentro di noi ha una radice pesante, tossica o malvagia, in qualcosa di armonico o in bellezza.

La connessione con le due arti è, quindi, nata in maniera estremamente naturale: le sentivo vicine e per di più erano comprensibili alla mia famiglia, facendomi sentire maggiormente connessa.

A cosa pensi di aver rinunciato per la musica?

Sicuramente alla stabilità economica, ai viaggi, alla giovinezza spensierata e agli sfizi. Per la musica, ho abbassato la testa e lavorato sodo, investendo su me stessa. Questa scelta ha limitato me ma anche le mie relazioni, perché preferisco investire i soldi nella musica piuttosto che in vacanze costose. Ma credo che nulla nella vita sia casuale: forse non mi sarei davvero divertita se fosse andata diversamente. Per me, fare musica è estremamente importante e, quindi, va bene così.

Tekla.
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