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Thomas Bocchimpani: “Nella mia normalità, non priva di imperfezioni” – Intervista esclusiva

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Thomas Bocchimpani, giovane talento della musica italiana, si racconta in un'intervista profonda e sincera. Dal suo debutto ad Amici ai successi discografici, fino alla recente sfida di Tale e Quale Show, Thomas riflette sul suo percorso, sull'importanza di rimanere fedeli a sé stessi e sull'equilibrio tra passione, autenticità e il costante desiderio di migliorarsi.

Incontrare Thomas Bocchimpani significa entrare nel mondo di un giovane artista che, nonostante la sua età (appena 24 anni), ha già affrontato un lungo percorso fatto di successi, sacrifici e momenti di riflessione profonda. Parlando con Thomas Bocchimpani, ciò che emerge con forza è una sensibilità unica, unita a una determinazione costante nel perseguire i propri sogni. Ogni parola è carica di un’emozione sincera, frutto di un viaggio artistico che lo ha portato da palcoscenici importanti come Amici di Maria De Filippi fino a sfide attuali come quella di Tale e Quale Show, dove si misura con l’arte dell’imitazione, cercando di mettersi nei panni di icone come Justin Timberlake o Tiziano Ferro.

“È un periodo molto intenso”, ammette Thomas Bocchimpani, ma il sorriso e la tranquillità che da sempre lo contraddistinguono non vengono mai meno, nemmeno davanti a una laringite. Quello che colpisce di Thomas Bocchimpani è la sua capacità di vedere ogni nuova esperienza come un’opportunità per imparare, per “rubare”, come lui stesso dice, qualcosa da altri artisti e farlo suo, arricchendo così il proprio percorso. Sin da bambino, infatti, il canto e la musica erano per lui più di un semplice passatempo: erano una vocazione, qualcosa che ha sempre voluto fare con passione e senza forzature da parte di nessuno. Un amore che è cresciuto con lui, fino a diventare il centro della sua vita.

Dietro l’energia che porta sul palco, c’è un artista che sa riconoscere l’importanza delle critiche costruttive, che ha imparato presto a farsi scivolare addosso i giudizi superficiali e che rimane sempre fedele alla propria visione musicale, senza lasciarsi trascinare dalle mode passeggere. "Sono un giovane nostalgico di epoche che non ho vissuto", dice, parlando con orgoglio della sua formazione musicale e della sua passione per il vintage, un aspetto che lo rende una rarità in un panorama dominato dalla trap e da generi più contemporanei.

Questa intervista non è solo un’occasione per scoprire il dietro le quinte di Tale e Quale Show, ma anche per conoscere un Thomas Bocchimpani più intimo, che riflette su cosa significhi essere artista oggi, su come la sua musica rappresenti una costante ricerca della qualità e su quanto sia importante per lui rimanere autentico, anche quando il mondo intorno sembra spingere in un’altra direzione.

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Thomas Bocchimpani.
Thomas Bocchimpani.

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Intervista esclusiva a Thomas Bocchimpani

“È un periodo molto intenso. L’avventura di Tale e Quale Show mi sta richiedendo un sacco di energie e di entusiasmo: vivo settimane super piene per preparare l’esibizione del venerdì, dietro cui c’è tanto lavoro”, risponde Thomas Bocchimpani quando gli si chiede come sta. Nonostante una laringite che un po’ lo preoccupa in vista dell’esibizione nei panni di Justin Timberlake nella puntata del 18 ottobre del talent di Rai 1 condotta da Carlo Conti, Thomas Bocchimpani non perde mai il sorriso e la tranquillità che da sempre lo contraddistinguono.

È un’esperienza completamente diversa rispetto a quello che ho cercato di fare nel mio percorso, ovvero mettere sempre più a fuoco la mia personalità. Però, la verità è che, come mi hanno insegnato tutti i grandi artisti, tutti noi rubiamo qualcosa agli altri, anche una semplice idea, quando li analizziamo o li studiamo in maniera più approfondita”, continua Thomas Bocchimpani.

Tu canti e balli da quando eri un bambino. Ma l’avvicinarsi alle due discipline era frutto della tua volontà?

Assolutamente sì, era un desiderio mio. I miei mi raccontano che avevo sette anni il giorno in cui ho palesato la volontà di volerlo fare. Mio padre ha lavorato per tutta la vita come musicista, ragione per cui sono cresciuto con gli strumenti in casa ma mai nessuno mi aveva spinto a considerarli, almeno fino a quando non sono stato io stesso a chiedergli di insegnarmi a suonare due note al pianoforte. La chitarra, invece, è arrivata dopo, all’età di tredici anni.

Ma papà o mamma non hanno mai preteso nulla… sono stati due ottimi genitori, mi hanno poi supportato e accompagnato nelle mie scelte ma senza mai imporre nulla o spingermi a far qualcosa piuttosto che un’altra. Ed è stato molto bello perché solo così ho potuto vivere tutto ciò che è avvenuto dopo in maniera molto sana, nonostante fossi poco meno che adolescente quando ho preso parte alla mia prima trasmissione televisiva, Io canto.

Cantare per me era un gioco: mi piaceva molto e mi faceva stare bene. È stato poi nell’adolescenza che ho iniziato a vedere lo spiraglio per trasformarlo nel lavoro di una vita.

Quale è stata la prima canzone che hai imparato a suonare con tuo padre?

Mi ricordo che gli chiesi di insegnarmi il giro di accordi di I’ll Be There dei Jackson 5. Sin da piccolo, sono sempre stato innamorato di quella canzone ma anche di Michael Jackson, da sempre il mio artista di riferimento: lo considero il più grande di tutti i tempi e ho una stima incredibile nei suoi confronti. È comunque grazie a mio padre e dai suoi ascolti che ho imparato presto ad apprezzare tutta quella musica dagli anni Settanta in poi.

Un tipo di musica che ti ha dato una formazione incredibile ma che ti fa apparire, se vogliamo, come una rarità in un contesto in cui tutti alla tua stessa età si danno al trap.

Sono un giovane nostalgico di anni che non ho vissuto. Ascolto oggi di tutto: non esistono generi belli o brutti… c’è semmai musica fatta bene o musica fatta male, a prescindere dal genere. Da sempre, cerco di evitare quella fatta male, curando particolarmente i miei ascolti e dedicandomi a canzoni che abbiano una qualità diversa. Ed è quella stessa qualità che ricerco in me stesso: da persona auto-competitiva e da professionista, provo in base alle mie potenzialità di riversarla nella mia musica.

Ma ti sei mai sentito fuori tempo?

Parlavamo prima di personalità: viviamo purtroppo in un periodo storico di tali e quali quando accendiamo la radio. Lungi dal far polemica, bisogna ammetterlo: spesso è difficile distinguere chi è che canta cosa. Ma è la storia delle mode, che nella musica si sono sempre ripetute. Quando un genere funziona, la maggior parte degli artisti cerca di esprimersi solo con quello, cavalcando l’onda. Non è il mio caso: musicalmente vengono da un’altra epoca. E sono sicuro che ci sarà presto un ritorno di tante altre cose che trovano connessione con me e con la mia musica. Ho però sempre la mia fan base che mi segue con affetto e mi auguro che col tempo la mia musica possa arrivare anche a sempre più persone.

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Rimanendo in tema di identità, a te come a tanti altri giovani che hanno partecipato a un talent, che sia Amici o X-Factor, è stato tolto quasi d’ufficio il cognome. Non ci sente privati di una parte di sé nell’essere conosciuti solo per nome?

No. Nel mio caso, la scelta è stata dettata dall’avere un cognome lungo e ridondante: è dipeso quindi da una motivazione che potremmo definire estetico-musicale! Mi è sempre piaciuto il mio nome ma vado anche fiero del mio cognome: è quasi una rarità, siamo in pochi in Italia a portarlo e ha origini antiche. Non c’è mai stata la volontà di rinnegarlo: semplicemente, a livello artistico mi sono sempre identificato come Thomas.

Cosa dava il canto a quel bambino che calcava i primi palcoscenici?

Per me era quasi istintivo cantare: ciò che più desideravo era salire su un palco e poter stupire gli altri, divertendomi. Sentivo che era quello il mio posto: anche perché non avevo altri hobby o passioni, come poteva essere il calcio… sono sempre stato super focalizzato sulla musica: era la prima cosa che volevo fare appena sveglio oppure appena uscivo da scuola. Non vedevo l’ora di andare a lezione di canto o di danza durante la settimana o di accompagnare mio padre in giro con la sua band nei weekend. E non poteva essere diversamente: per me, l’approccio alla musica deve essere dettato da amore e creatività ma anche dalla stessa spontaneità dei bambini.

Eppure, per un bambino non è sempre semplice andare a danza: certi pregiudizi faticano a morire.

Purtroppo, ancora oggi c’è gente che non riesce a cogliere il bello degli altri e delle loro scelte che, pur apparendo diverse, non fanno male a nessuno. Anzi, in certi casi fanno addirittura del bene: chi da bambino mi criticava perché facevo danza e non giocavo a calcio è lo stesso che si presentava ai miei spettacoli per cercare quei momenti di evasioni che così bene fanno all’anima.

Ho imparato presto a farmi scivolare certi giudizi addosso, a capire quali fossero le critiche costruttive e a cosa non dare peso. E in qualche modo ciò ha anche finito per forgiare il mio carattere: molto banalmente, ad esempio, ho sempre vissuto i social in maniera ambivalente. Se da un lato sono un mezzo per stare vicini agli amici o alla propria community, dall’altro sono una condanna: ti espongono all’attenzione di milioni di individui e, di conseguenza, di critiche che spesso nulla hanno a che fare con chi sei o con che cosa fai. A differenza di altri colleghi, non ho mai dato troppo peso agli haters: certi commenti negativi li avevo già affrontati da bambino…

Questo non significa però che non rimanga aperto alle critiche costruttive. Ho dovuto imparare presto a scindere quelle che lo erano da quelle che invece venivano fatte per tentare di nuocere a me e a quello che stavo facendo.

Chi è la persona che ha più creduto in te?

Sicuramente i miei genitori: mi supportano tutt’ora e sono stati i primi a farlo. Ci sono nel mio nucleo intimo diverse persone che fortunatamente hanno creduto in me ma mai tanto quanto i miei genitori: mi hanno insegnato a fare le cose per bene e in un certo modo, assicurandosi sempre che mi divertissi e che fossi felice. Per loro, era la cosa che più contava.

C’è stato mai un momento in cui il canto è diventato per te fonte di preoccupazione?

Sì, ed è naturale che ci siano i momenti no, che comunque non sono strettamente connessi con la musica: fortunatamente, è sempre rimasta una costante della mia vita a prescindere dalla carriera. Le difficoltà nascono quando impari a conoscere il bene e il male che caratterizzano il percorso che hai scelto: nello showbusiness, non è tutto oro ciò che luccica… ci sono stato momenti no, possono esserci anche ora e altri ce ne saranno in futuro ma l’importante è imparare a riconoscerli e a gestirli.

Che sensazione si prova dal passare dalla cima delle classifiche di vendita a un telefono che non squilla più?

È una sensazione che conosco bene perché ho vissuto la situazione. Al di là del telefono che non squilla, quella situazione diventa limitante quando tu sei pronto e produttivo ma sei costretto a rimanere fermo. Devi allora studiare un’alternativa, creare e quindi spostarti in un’altra realtà. Cosa che io ho fatto: mi sono spostato e ho ricominciato, partendo da ciò che per me era più giusto: la musica.

Se tornassi indietro rifaresti il percorso che hai fatto? Punteresti ad entrare in un talent?

Sì, perché comunque i talent oggi sono soprattutto per i giovani una delle vetrine più grandi a disposizione. Io, quando s’è presentata l’opportunità, vi ho partecipato anche per quello, per inseguire quella fame, quella grinta e quella voglia che caratterizzava il mio sogno. E, se tornassi indietro, lo rifarei senza pensare alle conseguenze. È vero che i talent sfornano vincitori ogni anno e che non tutti rimangono sulla cresta dell’onda ma non dipende dai programmi in sé: sono tantissimi altri i fattori in gioco.

Quel sesto posto rimediato ad Amici è lo stesso che poi mi ha lanciato discograficamente, mi ha fatto ottenere due dischi d’oro, mi ha permesso di tenere i miei concerti e di avere quella fan base che ancora oggi mi segue… sì, lo rifarei.

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Lo scorso settembre è uscito un tuo doppio singolo, Guarda come si fa e Salto mortale.

L’idea era quella di proporre una sorta di 45 digitale, riprendendo la mia passione vintage per il vinile, caratterizzato da un lato A e da un lato B.

Giocando con uno dei due titoli, quand’è stato il momento in cui ti sei cimentato con un salto mortale?

Tutte le volte in cui mi sono lanciato in qualcosa di nuovo… da un lato mi sentivo pronto, dall’altro non sapevo a quale incognita sarei andato incontro: non sai mai dove appoggerai i piedi quando ti lanci. È successo di recente quando ho deciso di ripartire ex novo e di lasciare la mia vecchia etichetta discografica. Ma anche l’esperienza a Tale e Quale è un triplo salto mortale: mi sto cimentando in un programma di imitazioni quando in vita mia non avevo mai imitato nessuno.

Ed eri pronto ad accettare le eventuali cattiverie di certi giurati?

Fa parte comunque dello spettacolo. Ma faccio appello al discorso che facevamo prima sulle critiche: accolgo le costruttive… ciò che per me è più importante è arrivare al pubblico sia in sala sia a casa. E finora il riscontro è positivo e di questo sono molto contento.

Saresti pronto a imitare Michael Jackson?

Sarebbe per me un onore immenso rendergli omaggio. Quando mi cimento nei panni di un artista, non penso al paragone: lo escludo a priori. Cerco semmai di rendergli omaggio con il massimo rispetto possibile. Che sia Michael Jackson, Tananai o Tiziano Ferro, tutti grandi artisti dotati di un certo carisma e personalità, posso provare a ricostruirne la magia… ma la magia non si costruisce, è un dono. Parto dunque consapevole di ciò e cerco di far la miglior interpretazione possibile.

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Uno dei tuoi brani del passato si chiama Normalità. Cos’è la normalità per Thomas?

La normalità è costituita dalle imperfezioni. Dipende da cosa si intende poi per normalità… sono una persona molto semplice a cui piacciono le cose altrettanto semplici. Non mi definirei come un ragazzo dinamico o con passioni sfrenate ed è in questa normalità che essenzialmente mi coccolo, una normalità non priva di imperfezioni. Ma quelle esistono ovunque, anche nella musica: da perfezionista, per quanto cerchi la perfezione, alla fine ottengo sempre un lavoro imperfetto che, per quanto bello, non corrisponde all’idea che avevo in mente. Ed è lì che ti rendi conto di come la bellezza risieda proprio nelle imperfezioni.

Bellezza… Tale e quale vi richiede di privarvi del vostro corpo per entrare in quello di un altro. In che relazione è Thomas con il suo corpo e l’accettazione delle proprie imperfezioni?

Credo che la cosa più importante da questo punto di vista sia piacere a se stessi e volersi bene. Così come sono un perfezionista della musica, cerco anche di migliorarmi come persona pensando al bene che c’è in me da condividere anche con gli altri. E in questo bene il corpo gioca un grande ruolo: ci ballo, ci creo e ci sto molto attento. Ho sempre paura di fargli male, poveretto!, perché mi è molto utile. Cerco quindi di prendermene cura il più possibile, mangio sano e mi alleno ma non sono severo con me quando sgarro: sono un golosone…

Forse qualche anno fa non avrei risposto così: avevo la mia buona dose di insicurezze in più perché mi ponevo degli obiettivi, anche fisici, da raggiungere. Allenandomi poi con costanza e con impegno, ho poi notato come il mio corpo abbia preso però una forma diversa rispetto a quella che mi aspettavo… eppure, mi piace di più!

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