Un mondo in più, prodotto da Play Entertainment, è il primo film diretto da Luigi Pane. Arriva al cinema dal 19 aprile e racconta una storia di formazione e integrazione nel segno di Pier Paolo Pasolini. Protagonista della storia è Diego, un ragazzo sulla soglia della maturità. Diego vede il suo mondo cambiare grazie all’amicizia con una giovane con un segreto da nascondere e un gruppo di immigrati.
Diego e Franco
La storia di Un mondo in più, film diretto da Luigi Pane, ci mostra sin da subito Diego (Francesco Ferrante), un adolescente all’ultimo anno di liceo con la passione per la fotografia e la periferia. Ha da poco perso la mamma, un dolore che non è riuscito a metabolizzare e che lo accompagna nelle sue giornate. Ne sente ancora la voce ma ancora di più la mancanza.
Anche perché, dopo la morte della mamma, Diego è stato sradicato dal padre Franco (Francesco Di Leva), strappato dalla sua Napoli e portato a Roma, nel quartiere Prenestino. Deve il suo nome all’unico grande Diego che Napoli abbia mai conosciuto: el Pibe de Or, Maradona. Ma di calcio Diego non si interessa. La macchina fotografica è l’unico strumento con cui riesce a relazionarsi con il mondo che lo circonda.
Il padre Franco è scappato dalla città campana e ha provato a ricostruirsi una nuova vita a Roma. Sfoga la sua passione per il calcio con le partite alla PlayStation con i nuovi condomini del palazzo in cui si è trasferito. Ha anche aperto un bar. Qualcosa, però, sin da subito ci fa capire che il mondo in cui Franco vive è contrassegnato da segreti legati a un passato non ancora risolto.
Tuttavia, nonostante l’apparenza del duro, Franco è un uomo che ha un disperato bisogno d’amare, un bisogno che urlerà in maniera silenziosa in faccia a tutti. E lo farà quando deciderà di rendere palese la sua storia d’amore con Naja (Tezeta Abraham), un’immigrata africana che tutti guardano con sospetto e odio.
Nel segno di Pasolini
Con la violenza non si ottiene mai nulla è quello che Franco insegna al figlio Diego. Serve come da monito per un futuro integrato e inclusivo quando nel complesso in cui vive scoppia una sommossa contro un gruppo di immigrati. La colpa di questi è quella di aver occupato un casermone popolare che un tempo il Comune avrebbe di sicuro destinato a un gruppo di italiani. L’altro, il diverso, si è appropriato di uno spazio che non gli spetta scatenando una guerra tra i vinti d’Italia e i vinti del mondo.
Il riferimento a Pasolini nel film Un mondo in più, opera prima di Luigi Pane, e al suo mondo dei vinti non è del tutto casuale. Un manifesto di Accattone campeggia nella stanza di Diego. E la sua passione per la fotografia nasce dal desiderio di immortalare, come il regista friulano, le zone di periferie, il regno del popolo suburbano ed emarginato. Spesso le periferie sono considerate le zone di maggior degrado dei grandi centri urbani. Occorre, però, ricordare come altrettanto spesso siano quelle da dove si muovono le rivoluzioni, sociali e culturali.
Tra un casermone e l’altro, è possibile notare nella periferia di Diego sprazzi di colore, gesti e volti, che fanno sperare in un domani nuovo. Un domani che non sostituisce un mondo vecchio ma che lo allarga, protendendo le mani verso sentimenti nuovi come la speranza e la resilienza.
La violenza del vecchio mondo
Ma quella di Un mondo in più, film di cui Luigi Pane ha scritto anche la sceneggiatura, è anche una periferia inevitabilmente segnata dalle piaghe del XXI secolo. In un contesto in cui tutti sono ultimi, si cerca di dominare l’altro ricorrendo in primo luogo alla violenza. È l’unico atto di supremazia che conosce ad esempio Glauco (Claudio Segaluscio), compagno di classe di Diego, per imporsi sugli altri. La usa per bullizzare Diego, per mettere alle spalle un anziano professore (Renato Carpentieri) e per ricattare, attraverso un viscido ricorso al porn revenge, la fidanzata Veronica di cui Diego subisce fascino e turbamenti (Eva Cela).
La violenza è anche l’unica forma di potere che conosce don Salvatore Abbagnale (Gigio Morra), camorrista poeta napoletano che si nasconde protetto dai suoi scagnozzi. Franco è in qualche modo connesso al boss ma non ci viene mai svelato l’origine di tale legame. Sappiamo solo che non può astenersi dal concedergli favori. Non può dire no al più grande che gli viene chiesto: nascondere in casa propria Tea, testimone oculare del tentato assassinio del figlio del boss. Quelli di Abbagnale sono i metodi violenti di chi usa la forza in maniera coercitiva creandosi un microcosmo di norme e leggi da rispettare. Chi le viola, paga con la morte, senza sconto alcuno.
E alla violenza ricorrono anche i condomini del Prenestino in cui Franco e Diego vivono. Quello del condominio è una micro società che sembra aver dimenticato il proprio passato, vivendo nell’ottica di escludenti luoghi comuni. Eppure, è da quello che dovrebbe ripartire per aprirsi e fondare le basi di un domani diverso, accogliente e solidale. Il gruppo di immigrati che ha in Naja la sua leader non è così lontano dal mondo in cui i condomini vivono. Un mondo fatto dagli stessi problemi, dalle stesse esigenze e dagli stessi bisogni.
Il desiderio di casa, un tetto sotto cui vivere ma anche un posto in cui sentirsi al sicuro e protetti, è comune a qualsiasi latitudine. La mancata accoglienza e lo scontro culturale sono solo retaggi di un certo primitivismo che fatica a morire, di una difesa dei confini che nulla a che vedere con il domani. E lo capirà, a sue spese, anche Walter (Alessandro Bernardini), il maggiore degli oppositori.
L’Odissea di Tea
Con l’arrivo di Tea (Denise Capezza) in casa di Franco e Diego, Un mondo in più di Luigi Pane si trasforma in piccola e grande storia di formazione e iniziazione, come nella miglior tradizione dei film indipendenti americani. Tea ha solo qualche anno in più rispetto a Diego ma, nonostante ciò, sembra conoscere meglio come va la vita.
È una ragazza tanto disinibita quanto disillusa. Conosce il mondo dei grandi e tenta di cavalcarlo con la sfrontatezza di chi, oramai, non ha più nulla da perdere. Come Ulisse, è un’anima errante che desidera riappropriarsi di ciò che gli è stato tolto: una famiglia. È stata testimone oculare di un tentato omicidio ma non sembra particolarmente turbata o scossa dall’evento. Nei suoi occhi non si legge paura ma coraggio.
Tea ha il coraggio di rivoluzionare il mondo di Diego e di farsi rivoluzionare. I due pian piano, complice l’età, si avvicinano, si studiano e cominciano a fondersi. I principi di Tea colpiscono Diego, che comincia un lento ma corposo processo di trasformazione. Per lei, il colore di pelle di Naja e del suo gruppo non ha rilevanza, conosce cosa significa partire alla deriva senza un porto in cui fermarsi e ne conosce le sensazioni. Nel quartiere, è colei che guida la spinta verso l’apertura, verso l’integrazione che trasforma gli invisibili in visibili e i vinti in vincitori.
È stata messa con le spalle al muro dalla vita stessa ma non lo rivela a nessuno, se non prima del finale. Nel suo segreto sta la ragione che la porta ad abbracciare la tristezza e a trasformarla in allegra, solare, travolgente. Come un manto caritatevole che tutti abbraccia, Tea è la prima ad aprirsi all’immigrato invasore con una festa a suon di babà e pietanze etniche condivise. Ma è anche la prima a mostrare a Diego come la vita, seppur nel segno del passato, abbia bisogno di guardare al futuro. E solo grazie a lei (e in parte grazie al professore Valenti) che Diego imparerà a gestire i suoi conflitti interiori e a capire che la rivoluzione è un sentimento.
Un carico di speranza
Un mondo in più, opera prima di Luigi Pane, è un film di speranza. La speranza è quella che al nostro mondo, afflitto da piaghe e problemi, ne subentri uno parallelo, uno nuovo, in cui le divisioni smettono di essere tali per divenire forza, unione e punto di contatto. Per capire come porre fine a soprusi, cicli di violenza, razzismo e atavici problemi di potere, occorre mettersi in cammino. “Viandante, non c’è cammino, il cammino si fa andando.
E non è un caso che uno dei momenti più toccanti del lungometraggio sia affidato alla poesia Viandante, non c’è cammino di Antonio Machado. Il viandante non è solo colui che proviene da un luogo fisico e lontano geograficamente. Il viandante siamo tutti noi che abbiamo bisogno di guardare alla nostra interiorità per capire quale sia la strada giusta da imboccare e percorrere a testa alta.
Così come la speranza passa anche con tutto il suo carico attraverso un ballo spensierato sulle note di Ragazzo triste, un momento che ricorda a mo’ di omaggio un frammento dello splendido Io e te di Bernardo Bertolucci. “Nessuno può star solo, non deve stare solo quando si è giovani così… Dobbiamo stare insieme, parlare tra di noi, scoprire insieme il mondo che ci ospiterà” recitano i versi della canzone di Patty Pravo, sottolineando l’importanza dell’aprirsi all’altro senza riserve o remore.
Va dato adito al regista Luigi Pane di aver maneggiato con delicatezza l’evolversi della storia senza mai perdersi in divagazioni. Per tutta la durata del film Un mondo in più, Luigi Pane si concentra sui personaggi principali restituendone luci e ombre, a partire da quelli di Diego e Tea, sorprendentemente credibili, sofferenti e amabili con i volti puliti e teneri di Francesco Ferrante e Denise Capezza. A Francesco Di Leva, uno dei più grandi attori napoletani in circolazione, affida il ruolo di Franco, facendogli sposare un personaggio i cui chiaroscuri si trasformano in punti di luce e di forza.
Un merito in più della sceneggiatura è quello di aver usato come riferimento spazio-temporale il qui e ora, con l’attualità che entra prepotente nella storia. Siamo nel periodo post primo lockdown da CoVid e la paura della pandemia e gli effetti dell’isolamento forzato non vengono celati. Sono manifesti e hanno lasciato segnali nei protagonisti, soprattutto in Diego. E forse è proprio la pandemia a doverci spingere a guardare il mondo con occhi curiosi e a non rinchiuderci in noi stessi, in retaggi culturali che a nulla portano o in violente chiusure di cuore che niente promettono.