Un Varon, “Un maschio”, è il titolo del nuovo film del regista colombiano Fabian Hernandez presentato allo scorso Festival di Cannes 2022 nella sezione parallela Quinzaine des Réalizateurs. Primo lungometraggio del regista, nato a Bogotà nel 1985, Un Varon racconta la storia di Carlos, un ragazzo che è costretto a uniformarsi alla mascolinità imperante del suo contesto per dimostrare di essere un vero uomo.
Come in un racconto di formazione di Dickens ma con un tono selvaggio e schietto, Un Varon è dunque una storia di sopravvivenza in un mondo desolato e senza speranza, in cui l’identità di genere deve necessariamente rispondere a criteri imposti da una società sorda e cieca che non accetta differenze o diversità.
Crescere in un ambiente tossico
Carlos, il sensibile adolescente protagonista del film Un Varon, vive in rifugio per giovani al centro di Bogotà, un posto pensato per aiutare i più disagiati a mitigare le durezze della vita. È costretto a vivere lì perché sua madre si trova in carcere e a sorella Nicole vende il suo corpo in maniera precaria per le strade della città. Per cavarsela da solo, Carlos ha imparato ad adottare tutti gli atteggiamenti stereotipati del macho, così come richiede l’ambiente ostile e maschile che lo circonda. Si taglia i capelli e accetta persino di spacciare droga nel rifugio mentre ogni sera esce per andare a trovare la sorella.
Il Natale si avvicina e Carlos ha un solo pensiero per la testa: trascorrere le feste con la sorella e la madre. Tuttavia, la felicità del possibile ricongiungimento si allontana ogni giorno sempre di più, rasentando l’impossibilità. Tutto ciò che desidera il suo cuore mal si sposa con certe espressioni da maschio alfa che ha dovuto mettere in atto per sopravvivere in un mondo ostile e brutale.
“Un Varon è un film ispirato ad alcuni eventi occorsi nella mia adolescenza che faranno sempre parte del mio personale bagaglio”, ha commentato il regista Fabian Hernandez. “Sono cresciuto in una società patriarcale segnata dal machismo e in compagnia di quelli che si definivano veri uomini. Fragilità e paura venivano considerate come caratteristiche femminili, come mancanza di virilità e difetti da cui stare alla larga. Ho dovuto reprimere i miei sentimenti, le mie sensazioni e la mia voglia di esplorare la sessualità. Ho anche cominciato a odiare la poesia e l’arte per cui ero originariamente portato. E ho dovuto tenere alla larga tutto ciò che concerneva sensibilità”.
“Un Varon è un film che racconta un conflitto interiore”, ha continuato il regista. “Il conflitto che interessa tutti quegli uomini che, per le pressioni esterne, sopprimono la loro vulnerabilità per adottare una concezione stereotipata di mascolinità nascondendo la propria vera natura. Volevo però mostrare come esistono delle vie di fuga, anche in un ambiente difficile come quello delle strade di Bogotà. È possibile cambiare, liberarsi da un’identità imposta e sopravvivere. Sarà la ribellione contro il maschismo che farà finalmente crescere Carlos”.
Intervista al regista Fabian Hernandez
Da dove viene l’idea alla base del tuo film, Un Varon?
Il film fa appello ai ricordi della mia adolescenza, vissuta per la maggior parte tra le strade di un quartiere periferico di Bogotà. Ma è anche influenzato dalle storie e dalla realtà dei ragazzi con cui ho lavorato. Il modo con cui hanno espresso i loro pensieri e le loro idee è stato così genuino che non potevo estrometterli dalla sceneggiatura. Ho voluto realizzare il film per mostrare un mondo che ancora oggi considera la fragilità, la tristezza e la paura maschile come debolezza e fallimento.
Che mondo è quello del film Un Varon?
Il film mostra un universo che è ossessionato dal concetto di virilità. In pubblico, si devono seguire le regole del gioco per essere accettati come veri uomini. È nel privato che però emergono dubbi su cosa si vuole realmente.
Che Bogotà è quella descritta nel tuo film?
È una parte di città sconosciuta a molti e lo sembrerà ancora di più per come l’ho descritta. Si tratta della Bogotà dei quartieri marginali, periferici. Ma non ho voluto ricorrere ad alcun cliché usando immagini di violenza, armi o povertà. Volevo semmai mostrare la complessità e l’onestà dei personaggi che la popolano.
Che ritratto emerge dei giovani, soprattutto maschi?
La maggior parte dei giovani con cui sono cresciuto o che ancora vedo nei quartieri ricorrono alla violenza per provare di essere abbastanza uomini per impugnare una pistola, picchiare una donna o urlarle contro. Continuano a perpetuare quei comportamenti che hanno ereditato per cultura: preservano il prestigio del macho e del patriarcato. Ho provato sulla mia pelle cosa significhi. Per tale ragione, ho voluto sottolineare come la vita di ognuno sia segnata da radici sociali e culturali difficili da estirpare che definiscono come debba comportarsi un giovane.
Che immagine della mascolinità viene fuori?
Per me, i concetti di mascolinità e femminilità non sono altro che frutto di convenzioni sociali. È difficile definire cosa sia la mascolinità, semplicemente non esiste. In ogni caso, ho voluto raccontare la storia di un ragazzo che mette in dubbio una mascolinità che esclude il lato fragile dell’uomo stesso. Il film mostra anche come comportamenti e dubbi di carattere sessuale siano nettamente in contraddizione con lo stereotipo del “vero uomo” (in una delle scena, il protagonista sta per essere brutalmente stuprato da alcuni "veri uomini", ndr).