Una femmina è il titolo del film che Francesco Costabile ha tratto da Fimmini ribelli, un libro inchiesta di Lirio Abbate sulle donne della ‘ndrangheta. È stato presentato con successo al Festival di Berlino 2022 nella sezione Panorama, quella più attenta ai nuovi linguaggi cinematografici e alle storie che esplorano al di là dei generi identitari e delle etichette sociali.
In uscita il 17 febbraio per Medusa, Una femmina è il film, diretto da Francesco Costabile, per cui dovremmo ritornare al cinema. I motivi per farlo sono diversi. Non si tratta solo di aiutare una filiera in difficoltà. Ma anche di aprire una profonda riflessione sulla condizione femminile oggi, a qualsiasi latitudine.
Rosa, la protagonista di Una femmina, è figlia di un contesto patriarcale e maschilista in cui le donne non hanno possibilità di scelta. Le donne della ‘ndrangheta non sono libere di decidere il proprio destino: per loro, decidono altri. Decidono gli uomini ma decidono anche le donne più mature della famiglia di appartenenza, coloro che sono depositarie di un’educazione da perpetuare in saecula saeculorum.
Ecco perché Rosa diventa il simbolo di tutte quelle donne che devono trovare la forza di ribellarsi, di dire no a un percorso scritto. Che sia in Calabria o in Iran, negli Stati Uniti o in India. Di strada ne è stata fatta rispetto a mezzo secolo fa ma ancora ce n’è da percorrere: tocca a noi, generazione 2.0, abbattere i muri e ridurre le distanze.
Ma Una femmina, il film di Francesco Costabile, ha un ulteriore motivo di interesse. Il regista gioca con i corpi e con le identità di genere. Grazie a Rosa, si libera delle imposizioni che una certa cultura, arcaica e archetipica, detta cercando di plasmare i suoi figli limitandone le libertà, il vero io. Ed è così che tutto diventa metafora, passione caravaggesca e canto liberatorio. In attesa di una nuova Pasqua di Resurrezione, di un nuovo domani, di un nuovo mondo.
In occasione dell’uscita di Una femmina, abbiamo parlato del film (e non solo) con il regista Francesco Costabile.
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L’influenza più grossa per la costruzione del personaggio di Rosa è stata Denise Cosco, la figlia di Lea Garofalo.
Francesco Costabile.
- Consigli di lettura
Consigliamo prima dell'intervista di leggere i due diversi approfondimenti che abbiamo dedicato a Una femmina, il film di Francesco Costabile. O di ritornare sull'intervista dopo aver visto il film al cinema.
UNA FEMMINA, UNA DONNA SOLA CONTRO LA ‘NDRANGHETA
UNA CLIP IN ESCLUSIVA DI UNA FEMMINA, IL FILM DI FRANCESCO COSTABILE
INTERVISTA A FRANCESCO COSTABILE, REGISTA DEL FILM UNA FEMMINA
Rosa, la protagonista di Una femmina, è una femmina ribelle, una di quelle che non si riescono a domare, come un cavallo selvaggio che scalpita. È una summa delle figure femminili raccontate in Fimmine ribelli di Lirio Abbate. In particolar modo, sono quattro le storie a cui si fa riferimento: quelle di Giusy Pesce, Maria Concetta Cacciola, Rosa Ferraro e Simonetta Napoli. Come hai lavorato sulle storie e quali sono le linee guida che hai seguito?
Il riferimento reale più grosso è quello alla storia di Maria Concetta Cacciola che ha contribuito alla creazione del personaggio di Cetta, la madre di Rosa, e di Berta, nonna di Rosa e madre di Cetta. Il resto sono tante piccole sfumature che ho preso, abbiamo preso, per comporre Rosa, questa sorta di Frankenstein, un personaggio che vive di tanti pezzetti assemblati di storie diverse.
L’influenza più grossa per la costruzione del personaggio di Rosa è stata Denise Cosco, la figlia di Lea Garofalo. È stata incisiva la lettura della sua testimonianza durante il processo: l’amore di Denise verso sua madre, la descrizione della paura di sua madre, la paura di Denise nei confronti del padre, il sentimento di oppressione e violenza psicologica continua che Denise ha vissuto insieme alla madre. È stata la fonte di ispirazione più forte per Una femmina.
Da Fimmine ribelli, il libro di Lirio Abbate, abbiamo preso tante altre piccole cose o suggestioni. Ad esempio, la scena della tumulazione di Cetta. C’è un momento in cui Rosa ritrova il loculo della madre, senza nome. Nel libro di Abbate si parla di un caso di lupara bianca, della scomparsa di una donna. In maniera paradossale, il corpo non viene fatto scomparire ma viene semplicemente nascosto in un cimitero perché l’ultimo posto in cui uno andrebbe a cercare un cadavere è un cimitero. In Calabria, ho trovato tanti loculi senza nome. Ho chiesto un giorno a un custode cimiteriale come mai ci fossero tanti loculi senza nome o solo con le iniziali. Mi ha risposto che erano di persone che nessuno ricorda più, dimenticate.
Nel costruire Una femmina c’è sempre stato un invaso tra il libro di Abbate e la realtà indagata. Le matrici principali sono state Giusy Pesce per la scelta che ha fatto: la sua storia resta un caso felice di collaborazione con la giustizia. Ovviamente, il caso drammatico di Maria Concetta Cacciola ha ispirato il personaggio di Cetta. E la vicenda di Rosa Ferraro ha contribuito con il carico di violenza e rabbia che si porta dietro: la parte dark e violenta della Rosa di Una femmina è ricavata dalla sua storia e dal suo essere una persona fortemente sanguigna.
I personaggi di Una femmina possono essere suddivisi in base al loro genere di appartenenza in due macrosezioni. Da un lato, abbiamo gli uomini. E, dall’altro lato, abbiamo le donne. Donne di vario tipo, succubi degli eventi, ribelli o consapevoli del ruolo che giocano all’interno dell’organizzazione, familiare o criminale.
Una femmina è strutturato su tre donne di tre diverse generazioni che sono un po’ come se fossero degli specchi, delle sfaccettature di un unico universo femminile. C’è la grande madre che è Berta, la nonna; poi abbiamo Cetta, la figlia di Berta che prova a ribellarsi ma cede alla trappola della propria famiglia, venendo uccisa a causa del disonore arrecato; e, infine, c’è Rosa, la protagonista del riscatto finale.
Berta è il simbolo del mondo arcaico in cui vive e incarna un po’ il potere maschile: le donne hanno un ruolo fondamentale nella ‘ndrangheta perché sono coloro che portano avanti l’educazione criminale, i codici d’onore da inculcare e proteggere. Attraverso la sua figura, si evince come esista anche una gerarchia matriarcale in un contesto patriarcale per eccellenza. Donne come Berta sono come una sorta di ancelle: sono al servizio di un potere strettamente maschile ma hanno un forte ruolo, un forte potere.
E ciò viene ben sottolineato quando Berta invita Rosa a sposare Ciccio per “prendere posizione”.
Le dice una frase molto precisa: Senza uomini come questi, noi non siamo niente. E Rosa sembra quasi cedere, rassegnarsi al destino deciso per lei. Si sente in trappola, schiacciata. Sembra quasi accettare quello che è il destino delle donne fino al riscatto finale. Un riscatto che passa attraverso un’altra femmina, quella che sta per nascere. Molte donne hanno deciso di ribellarsi alla ‘ndrangheta per salvare i propri figli, per proteggere i loro bambini e dar loro un’alternativa.
La resa dei conti finale di cui parli avviene in maniera quasi caravaggesca. C’è metaforicamente tutto il sangue del Venerdì Santo e il dolore della Vergine Addolorata prima di arrivare alla Pasqua, alla Resurrezione. I due personaggi in scena, Rosa e nonna Berta, arrivano al loro ultimo confronto con una sequenza in cui si gioca con i corpi e di prossemica.
Rosa e Berta in realtà si dicono pochissimo. È una scena densa di non detto. Annamaria De Luca, l’attrice che interpreta Berta, ha fatto un lavoro straordinario. Ogni attore di Una femmina ha lavorato sulla somatizzazione dei mostri interiori del proprio personaggio. Annamaria ha lavorato sulla bocca perché la figlia Cetta è morta a causa dell’acido muriatico servito a non farla parlare. Nel finale, Berta rivive quella morte che vediamo nella sequenza di apertura. È seduta sulla stessa sedia che abbiamo usato per la morte di Cetta, un dettaglio di cui mi sono accorto solo dopo e, vi assicuro, non voluto. Il soffocamento che lei ha è lo stesso soffocamento della figlia Cetta ma è il anche il momento in cui si libera del mostro, attraverso il canto delle donne in processione. È quasi come se ci fosse una sorta di redenzione.
Lina Siciliano, la protagonista di Una femmina, è un po’ come se fosse il tuo alter ego.
In parte, lo è. C’è tanto della mia storia in lei. Il suo percorso di ribellione, di emancipazione e di autodeterminazione è stato anche il mio percorso di ribellione, emancipazione e di autodeterminazione della mia identità non binaria, di rottura verso schemi maschili patriarcali che non mi appartenevano. Quella rabbia l’ho conosciuta, l’ho vissuta anche sul mio corpo. Lina Siciliano è un mio alter ego: sarà lo sguardo calabrese che ci accomuna. Così come i tratti un po’ orientali, probabilmente. C’è una scena (non riveliamo quale, ndr) in Una femmina in cui Lina Siciliano con la sua Rosa è al centro dell’uccisione del padre, una metafora esistenziale di liberazione da schemi gerarchici e culturali. Siamo due anime molto simili io e la Siciliano ma non l’ho scelta perché ci somigliamo.
Bisogna continuare a combattere per far sì che le prossime generazioni possano sempre portare avanti un’uguaglianza sociale, un’inclusività totale e una parità di genere che sia reale, concreta, e non una concessione della cultura patriarcale.
Francesco Costabile.
Pensi che sia cambiata la Calabria di oggi rispetto a quella in cui sei cresciuto tu?
Si, certo che è cambiata. È cambiato il mondo. Oggi internet ha comunque accorciato le distanze, ha isolato meno le persone. Per un giovane omosessuale è diventato più semplice vivere e costruirsi una rete sociale anche in Calabria. Quaranta, trent’anni fa era molto più complesso per una donna isolata in un contesto criminale. Internet e i social hanno permesso a queste donne di affacciarsi a un altro tipo di mondo. Quindi, sicuramente le cose sono cambiate ma le difficoltà restano.
I drammi sono ciclici, le difficoltà sono sempre cicliche. Le difficoltà che ho vissuto io negli Ottanta e Novanta non sono state peggiori di quelle di oggi: sono diverse ma le persone le vivranno con lo stesso sentimento di sconfitta e oppressione che ho provato io. Non bisogna mai cedere il passo e abbassare la guardia anche se le cose cambiano in meglio. Ogni generazione serve a migliorare le successive e a cambiare il mondo. È compito di ogni generazione individuare quelli che sono i punti di rottura, i muri da abbattere.
È ovvio che le condizioni sono migliorate rispetto a vent’anni fa ma anche vent’anni fa erano migliorate rispetto a quarant’anni fa, per fortuna. Ma sappiamo anche che la Storia è ciclica. Basti pensare che in Iran o Afghanistan cinquanta o sessant’anni fa le donne erano libere di vestirsi all’occidentale mentre oggi sono, invece, in una morsa di oppressione violentissima. Ripeto: non bisogna abbassare la guardia. Bisogna continuare a combattere per far sì che le prossime generazioni possano sempre portare avanti un’uguaglianza sociale, un’inclusività totale e una parità di genere che sia reale, concreta, e non una concessione della cultura patriarcale.
Rosa, la protagonista di Una femmina, non riesce mai a vivere l’amore in quanto tale. Viene privata dell’affetto materno, viene privata dell’affetto dell’unico uomo che ama. Tuttavia, riesce a essere se stessa e affermarsi nel momento in cui è capace di provare un amore inedito per lei, accorgendosi di essere incinta. Cos’è per te l’amore?
Per me, l’amore è una forza straordinaria di cambiamento. È una forza che viene dal profondo, che viene da una connessione non semplice da raggiungere con la nostra parte più autentica nascosta. Rosa inizia a cambiare vita quando ascolta due forze irrazionali. La prima è l’inconscio: nel momento in cui il suo inconscio inizia a risvegliarsi e a rielaborare quello che è stato il suo trauma, Rosa comincia a svegliarsi e a prendere consapevolezza di quello che è successo. L’altra forza è proprio l’amore: quando ascolta l’amore e si lascia guidare da esso, trova la forza per liberarsi in maniera definitiva. Il primo istinto d’amore è quello per Gianni, ma il vero amore, profondo, che le dà la spinta finale è quello per la femmina che porta in grembo.
Ha influito per Una femmina l’aver visto altri film che parlassero di Calabria. Ci sono momenti in cui si ha l’impressione che sia una sorta di risposta al femminile penso ad Anime nere di Munzi, un film di uomini della ‘ndrangheta. Sono film completamente differenti, con linguaggi differenti. Ma parlano di due metà dello stesso universo.
Anime nere è un film che ho amato tanto. È il primo film che parla realmente di quello che la ‘ndrangheta è. Sicuramente, è stato un riferimento importante. Tra l’altro, il casting di Una femmina è stato curato da Italo Lorenzoni, che ha curato anche quello di Anime nere. Ho conosciuti anche Munzi, ci siamo confrontati. Però, è vero: Munzi indaga sempre una questione familiare legata a equilibri maschili. In Una femmina, invece, abbiamo un’indagine analoga, sempre una questione familiare, ma la cui narrazione è portata avanti dalle donne.
Parlando di Una femmina, mi piace sottolineare che non siamo davanti a un prodotto à la Rosy Abate, per intenderci.
Quelli sono prodotti commerciali in cui si usa il tema mafia perché, dopo pizza e spaghetti, è la parola più nota al mondo. Si usa dunque quel contesto per fare anche un po’ di spettacolarizzazione. Non voglio fare il moralista ma è un altro linguaggio. Una femmina è un film un po’ più universale: trascende lo sfondo della ‘ndrangheta per parlare a tutte le donne. È un film sulla violenza sulle donne. Ho fatto una scelta ben precisa: ho mantenuto il contesto sullo sfondo perché mi interessava altro e perché mi piaceva che il pubblico riempisse da solo dei vuoti. Lascio a voi spettatori il compito di interpretare alcune dinamiche.
Quali sono, se ci sono stati, i modelli cinematografici a cui hai fatto riferimento per Una femmina?
Non ce ne sono stati in maniera consapevole. A livello inconscio, invece, rivedendo il film, ce ne sono diversi. Sono dei riferimenti legati al mio percorso di formazione, ai film che amavo da ragazzino, ai registi che in qualche modo mi hanno accompagnato nel corso della mia formazione e crescita cinematografica. Una femmina si muove su un equilibrio molto sottile tra realismo e iper realismo in una commistione di generi cinematografici molto diversi. Vi troviamo dentro il melodramma, il thriller, il revenge movie, mi hanno detto western e c’è dell’horror psicologico.
Rivedendolo, ci trovo dentro un film di David Lynch, un autore che ha lavorato tanto nella mia vita. In particolare, Fuoco cammina con me: è stato uno dei primi film che vidi al cinema da ragazzino e che mi impressionò. Fuoco cammina con me è un film che in qualche modo parla di violenza sul corpo delle donne, di abusi sessuali anche all’interno della famiglia, con una chiave che scava nell’inconscio, estraendo e divenendo quasi sovrannaturale. Tocca corde emotive molto profonde. Rosa e la sua famiglia richiamano un po’ quel mondo lì.
E poi ci ritrovo l’amore per le facce, che sono un po’ la mia fissazione, che aveva Pasolini. Sono un grande amante della figura di Pasolini, gli ho dedicato un documentario, In un futuro aprile. Nella storia di una famiglia e nel finale, che richiama il teatro e la tragedia greca, ci rivedo Luchino Visconti. Non voglio sparare paroloni. Non sono stati riferimenti consapevoli: oggi, a una certa distanza, posso ritrovarci delle cose che ho amato durante il mio percorso.
Nota a margine: l'assurda censura ai minori di 14 anni
A intervista pubblicata, ci giunge notizia dell'assurdo e insensato divieto ai minori di 14 anni apposto a Una femmina, il film di Francesco Costabile, dal Ministero della Cultura - Direzione Generale Cinema e Audiovisivo.
Una decisione che coglie di sorpresa perché destinata a limitare la visione di un'opera che racconta le difficili e coraggiose scelte di donne che decidono di ribellarsi a organizzazioni criminali di stampo mafioso, una delle piaghe più terribili del nostro Paese.
Donne che, con incredibile forza e sfidando ricatti e paure, decidono di opporsi a un destino già segnato e che con il loro esempio dimostrano che c'è sempre la possibilità di scegliere un'altra via, anche se a volte in alcuni contesti sembra quasi impossibile.
Un film che si pone dunque come un'importante testimonianza di etica e coraggio, rivolta soprattutto alle fasce più giovani di contesti ad alto rischio, che rischia però di essere bandita proprio in quelle realtà nelle quali ce ne sarebbe più bisogno.
Costabile ha così commentato: "Con rammarico e dispiacere apprendo che la commissione per la classificazione delle opere cinematografiche ha ritenuto che il nostro film non fosse idoneo ai minori di 14 anni. L’abolizione della censura nel nostro Paese dovrebbe restituire alle famiglie il diritto costituzionale di poter scegliere quali contenuti e come accompagnare i propri figli alla visione di determinati film. Soprattutto se si tratta, come nel caso di Una Femmina, di un film che denuncia la mafia e la violenza sulle donne. È immorale limitare la circolazione di determinati messaggi. L’arte deve liberarsi definitivamente da limitazioni di questo tipo, è un atto dovuto per la crescita morale del nostro Paese e dei nostri cittadini".
Alle parole del regista, fanno eco quelle di Lirio Abbate, autore del libro Fimmine ribelli: "Questo è un film che ha come protagonisti gli adolescenti. Ragazze e ragazzi che devono emanciparsi dal pesante dominio di famiglie della ‘ndrangheta. Vietare la visione di Una Femmina ai minori di 14 anni significa impedire di raggiungere quella parte di spettatori che avrebbero più bisogno di un aiuto per comprendere in quali situazioni si trovano, e ad altri fornire strumenti per ribellarsi. Ciò avviene proprio nel momento in cui nelle scuole si parla di mafia cercando di far nascere una nuova consapevolezza contro la ‘ndrangheta. Tutto questo appare come un sinistro monito, tanto più grave perché arriva dal ministero della Cultura: basta parlare di mafia".
UPGRADE: Fortunatamente, in data 18 febbraio è stato accolto il ricorso della produzione e della distribuzione del film circa la classificazione del film. Adesso Una femmina è un film per tutti.