Il film Una storia nera, prodotto da Groenlandia e distribuito da 01 Distribution, arriva nei nostri cinema da giovedì 16 maggio. Urgente più che mai, è basato sull’omonimo romanzo di Antonella Lattanzi, pubblicato da Mondadori, e ci presenta un profondo e inquietante esame della violenza domestica, un tema che attraversa indistintamente i confini sociali, economici e culturali. La narrazione segue la storia di Carla (Laetitia Casta), una donna intrappolata in una relazione abusiva con il suo ex marito Vito (Giordano De Plano), il cui comportamento geloso e violento distrugge le fondamenta stesse del loro amore e famiglia. Nonostante si separi da lui, l'ombra della violenza rimane una minaccia costante nella sua vita, soprattutto quando Vito scompare misteriosamente dopo una cena per il compleanno della loro figlia più piccola, a cui hanno preso parte anche i figli più grandi, Nicola (Andrea Carpenzano) e Rosa (Lea Gavino).
La vicenda racconta dal film Una storia nera (contrassegnata dall'ottima colonna sonora di Stefano Tarchev e Mattia Carratello, edita da Edizioni Curcio) rappresenta una dolorosa realtà per molte donne che, come Carla, si trovano a navigare le complesse dinamiche della violenza domestica. Il film e il romanzo di Lattanzi non si limitano a raccontare una storia di sopraffazione, ma esplorano le ripercussioni psicologiche e emotive sulla vittima e sui suoi figli, che si trovano divisi tra l'amore per entrambi i genitori e l'orrore per gli atti di violenza a cui sono testimoni. Una storia nera affronta anche la difficoltà di interrompere cicli di abuso, mostrando come Carla lotti per liberarsi dal controllo asfissiante di Vito e per proteggere i suoi figli, in un contesto in cui spesso si sente abbandonata dalle istituzioni che dovrebbero tutelarla.
Il regista del film Una storia nera, Leonardo D’Agostini, e le cosceneggiatrici Antonella Lattanzi e Ludovica Rampoldi hanno lavorato insieme per trasformare la narrativa letteraria in un'opera cinematografica che rispecchia la tensione e il dramma del racconto originale, pur adattandolo alle necessità della scenografia e dell'interpretazione attoriale. Attraverso la loro collaborazione, hanno esplorato nuove dimensioni del racconto, enfatizzando l'isolamento emotivo di Carla e l'ambiguità morale che pervade la storia.
In questo contesto, la scelta di Laetitia Casta come protagonista è particolarmente significativa. L'attrice porta sullo schermo non solo l'isolamento emotivo di Carla ma anche la sua forza e resilienza, elementi centrali del personaggio che emergono progressivamente nonostante le avversità. La narrazione corale del film permette inoltre di esplorare le storie degli altri personaggi, dai figli di Carla, Nicola e Rosa, alle figure di potere che influenzano il corso della giustizia, come il Pubblico Ministero Grazia Alaimo (Cristiana Dall’Anna).
Una storia nera si propone come un intervento culturale importante nel dibattito sulla violenza domestica, mirando a sensibilizzare il pubblico su un problema spesso invisibile e taciuto. La storia di Carla diventa un simbolo delle molte donne che combattono battaglie simili, spesso senza il supporto adeguato. Attraverso la sua narrazione complessa e sfaccettata, il film invita gli spettatori a riflettere sulla gravità della violenza domestica e sulle sfide che le vittime devono affrontare nel cercare giustizia e redenzione. In definitiva, Una storia nera non è solo un racconto di sopravvivenza, ma anche un appello alla società per un maggiore riconoscimento e intervento a favore delle vittime di violenza domestica.
Di ciò e di molto altro abbiamo parlato con la scrittrice Antonella Lattanzi, il cui ultimo libro, Cose che non si raccontano, è tra i finalisti del Premio Strega 2024.
Intervista esclusiva ad Antonella Lattanzi
“Chiaramente è una sensazione bellissima”, mi risponde Antonella Lattanzi quando le chiedo come ci si sente alla vigilia dell’uscita in sala di Una storia nera, il primo film tratto da un suo romanzo. “Il pensiero inevitabilmente corre a dodici anni fa, a quando per la prima volta ho pensato di scriverlo e a tutta la serie di vicissitudini che mi hanno poi portato a decidere di farlo per davvero. Ho poi combattuto per pubblicarlo, è sempre tutto molto difficile, e vederlo oggi trasformato in un film con persone in carne e ossa che danno vita ai miei personaggi è molto bello. È entusiasmante vedere come tutto il lavoro di uno scrittore, che nel bene o nel male è sempre solo, grazie al lavoro di tanti altri sia diventato qualcos’altro ancora”.
“Sono stata molto sul set, ho imparato tante cose e sono molto contenta del risultato ottenuto dalla trasposizione. Ho lavorato alla sceneggiatura con il regista Leonardo D’Agostini e con Ludovica Rampoldi: non è stato facile staccarsi dal lavoro che avevo fatto in precedenza, da alcune caratteristiche dei personaggi e da alcune situazioni che avevo narrato. Avevo dedicato loro quasi cinque anni ma scrivere per un film comporta che alcune parti vadano sacrificate o semplificate: non si può prendere un intero romanzo e trasporlo pedissequamente: diventerebbe un film lunghissimo”.
“Di conseguenza, sono stato apportati dei cambiamenti: pensavo di aver percorso tutte le strade possibili per quel libro e, invece, lavorare con Leonardo e Ludovica mi ha fatto venire in mente che ce n’erano altre. La loro collaborazione è stata importante per farmi entrare nell’ottica di qualcosa di nuovo”.
Da cosa eri partita per scrivere Una storia nera?
A eccezione del mio ultimo romanzo, parto quasi sempre da un fatto di cronaca o comunque da eventi che hanno a che fare con la cronaca. È accaduto così anche per la storia di Carla, che ha richiesto anche tanto studio e approfondimento. Ho incontrato ad esempio diverse donne vittime di violenza domestica e approfondito tutti gli aspetti collaterali.
Il mio desiderio era quello di raccontare di una donna che, senza mezzi intellettuali, si innamora di un uomo violento per capire qual è il meccanismo che scatta in una persona, non ha importanza il genere, che nutre sentimenti nei confronti di qualcuno che si rivela essere diverso da come si prospetta, divenendo oggetto di abusi fisici e di una gelosia devastante che toglie persino il diritto di scelta su ogni piccolo aspetto che la riguarda. Mi piaceva indagare il perché la vittima continui comunque a pensare che la persona che ha di fronte non sia quella che le fa del male.
Ho scelto poi il meccanismo a orologeria del noir per far sì che tutto fosse più concreto e vero possibile.
Uno dei punti sicuramente salienti di Una storia nera è la sua ambientazione in un contesto che possiamo definire borghese. Spesso la violenza domestica si racconta soltanto sullo sfondo di ambienti degradati o comunque poveri.
È stata una scelta ben consapevole e ponderata. Da quando ho pensato alla storia di Carla a oggi, mi sembra che non sia cambiato niente stando alle notizie che ci arrivano tutti i giorni. E questo nonostante ci sia stato un forte movimento teso a denunciare maggiormente i casi di violenza domestica. Se da un lato è vero che si parla maggiormente della questione, dall’altro lato è anche vero che per molto tempo c’è stata la tendenza a descrivere le donne sempre come fragili e a sentirsi in obbligo di insegnare loro come ci si deve comportare in certi casi o cosa fare. Per me, era dunque importantissimo raccontare che non sono solo le donne fragili o senza mezzi economici a rimanere imbrigliate in una relazione tossica: può capitare a chiunque.
E chiunque può ritrovarsi in una condizione di non scelta a causa della grande componente di solitudine intorno: chi è vittima di abusi domestici ha vergogna a parlarne, ancora oggi, o ha paura che di non essere presa in considerazione. Rimane come incastrata in un meccanismo psicologico che la porta a stare con il carnefice. Non c’entra quindi quanti soldi ha a disposizione. Ecco perché credo che libri come Una storia nera servano anche a far sentire meno sole le vittime di violenza domestica e a ricordare loro che c’è sempre una possibilità di scelta.
Una scelta nera: Clip in anteprima esclusiva
Una scelta che nel caso del libro ma anche del film porta a un certo finale, che non spoileriamo per chi non ha letto il primo.
Sia come scrittrice del romanzo sia come co-sceneggiatrice del film, il mio desiderio è che, dopo la storia di Carla, la gente si ponesse una domanda aprendo un dibattito su quanto la sua scelta fosse stata giusta o meno. Confido molto sul fatto che la lettura di un libro o la visione di un film, proprio perché esperienze molto intime o personali, possano aiutare la spinta verso un cambiamento: immedesimandosi con la protagonista, è possibile tramutare la sua esperienza nella propria e quindi anche comprendere e capire meglio ciò che accade e innestare la svolta. È anche una delle ragioni per cui non c’è alcuna polarizzazione di genere: non ci sono gli uomini cattivi contro le donne buone ma solo il racconto di personaggi veri, con luci e ombre.
Che non ci sia polarizzazione di genere è molto evidente, considerando soprattutto la varietà di personaggi femminili in scena: oltre Carla, interpretata da Laetitia Casta, abbiamo una pm portata in scena da Cristiana Dell’Anna e la sorella del marito violento impersonata da un’incredibile Licia Maglietta. Corrispondono le attrici e gli attori in generale del film a come avevi immaginato i tuoi personaggi nel romanzo?
Sono molto contenta delle scelte fatte: ogni attore è riuscito a entrare nel personaggio. Hanno voluto leggere anche il romanzo e non solo la sceneggiatura per avvicinarsi maggiormente ai personaggi. Ma, allo stesso tempo, sono riusciti a dare anche qualcosa di loro anche grazie al lavoro del regista Leonardo D’Agostini, che ha sempre cercato un punto di incontro e non è mai stato in opposizione: ha unito la personalità dell’attore a quella del personaggio raccontato sia trovando punti di contatto sia portando i primi a scoprire lati nuovi di sé.
Perché Laetitia Casta come protagonista?
È una scelta di cui sono felice. Eravamo alla ricerca di un’attrice che potesse restituire l’isolamento non solo emotivo di Carla, che non ha parenti intorno a sé. La prima volta che l’ho vista ho pensato che fosse perfetta anche per la dimensione enigmatica del personaggio.
La storia affronta anche come le conseguenze dei comportamenti dei genitori e delle dinamiche familiari influenzino e modellino le personalità dei figli stessi, interpretati nel film da Andrea Carpenzano e Lea Gavino.
Uno degli assi più importanti del romanzo era evidenziare come un ambiente violento finisca per creare delle persone danneggiate e come queste, si esplicita maggiormente nel romanzo, possano eventualmente guarire da una violenza psicologica o fisica. Il punto di svolta sta nel riconoscere quanto il modello avuto sia deleterio e sbagliato, anche se nel caso dei figli diventa più complesso per via dei legami affettivi. Nicola e Rosa, i due figli di Carla e Vito, sono due personaggi a cui sono particolarmente legata proprio perché da adolescenti che non hanno ancora creato niente si ritrovano in una situazione totalmente fuori dalla loro portata, combattuti tra la violenza a cui hanno assistito e i loro sentimenti.
Studiando certe situazioni, ho potuto constatare come i figli abbiano spesso sentimenti contrastanti nei confronti di chi non vorrebbero mai vedere morto ma che è anche capace di tanta violenza. È per loro molto difficile avere un giudizio netto: laddove la razionalità spinge verso il desiderio di liberarsi dal dolore, il subconscio spinge in altra direzione portando a non separare nettamente in bene dal male.
A differenza del romanzo, il film Una storia nera mostra pochissima violenza, fatta eccezione per un paio di flashback.
È un passaggio su cui in fase di sceneggiatura abbiamo lavorato molto. Leonardo non ha voluto che la violenza fosse palese: facendo vedere il mostro in azione, questi fa meno paura. È la ragione per cui una delle scene di violenza inserite nel film è caratterizzata da rumori che i figli sentono e da dettagli che si intravedono come fossero creature che si muovono nell’oscurità. Chiaramente, il film non poteva permettersi i tanti flashback che nel romanzo sono presenti e, quindi, abbiamo lavorato nel crearne di nuovi che potessero raccontare in toto ciò che avveniva tra le pareti di quella casa.
Non è la prima sceneggiatura a cui lavori e in cui al centro ci sono dei giovani. Hai scritto anche Fiore di Claudio Giovannesi e Il campione dello stesso D’Agostini. Cosa ti affascina così tanto del mondo dei ragazzi da sentire l’esigenza di sondarlo?
Per quanto riguarda Fiore, Giovannesi mi ha proposto un’idea che mi sembrava interessantissima: una storia d’amore à la Romeo e Giulietta in un carcere minorile, dove i ragazzi sono tenuti separati dalle ragazze e due persone innamorate non possono né toccarsi né incontrarsi. Era una realtà mai raccontata e, soprattutto, mai mostrata. Con Claudio e il cosceneggiatore Filippo Gravino abbiamo poi trascorso molti mesi a stretto contatto con il carcere, rendendoci anche conto di come quella sua una dimensione molto diversa da come la si immagini: i detenuti erano dei ragazzi, alcuni anche molto piccoli, che però per arrivare fino a lì avevano vissuto condizioni di disagio molto forti, superando anche le fasi intermedie di affidamento o ospitalità in una casa-famiglia. E a noi interessava raccontare quel disagio.
Disagio che in maniera diversa interessa anche Christian, il protagonista di Il campione. È un giovane che potrebbe in teoria avere tutto ma che nel concreto non ha niente. Un po’ come ricordava in un’intervista Gene Anthony Ray, attore della serie tv Saranno famosi morto a quarant’anni, per cui per tutti era Leroy Johnson e non Gene Anthony, Christian è per tutti il giocatore e non più una persona, ha smarrito la sua identità.
E Antonella Lattanzi come ha vissuto la sua adolescenza a Bari?
Sono nata e cresciuta a Bari ma a 18 anni ho cominciato a girare l’Italia: quella realtà mi stava particolarmente stretta. Mi sono trasferita per motivi di studio a Roma molto presto e, quindi, non so dire come ho vissuto la mia adolescenza in Puglia. Di sicuro, penso che sia stata come quella di tutti quanti, piena di errori e piena di momenti belli, sicuramente avventurosa.
Quando hai capito che la scrittura sarebbe stato il tuo principale tratto identitario?
Molto presto. Sono cresciuta in una famiglia in cui si è sempre letto molto. Ed è leggendo che capisci quanto i libri ti salvino, ti raccontino e ti spieghino chi sei: illuminano quelle parti di te che non conosci o che non comprendi, qualcuno trova le parole (o le immagini nel caso di un film) per raccontare una parte che è insita in noi ma che non riusciamo a spiegarci. Già nel primo tema a scuola scrissi che da grande avrei voluto fare la scrittrice.
Ricordi la prima storia che hai scritto?
Un po’ me ne vergogno ma ormai è andata in prescrizione (ride, ndr). Mi ero appassionata ai libri di Stephen King e per un certo periodo ho scritto solo storie horror molto cruente.
L’horror è anche un modo per raccontare in chiave metaforica la realtà che ci circonda. Era così terribile la tua?
L’adolescenza è complicata per tutti quanti proprio perché è tutto molto più complicato. Sicuramente, è più horror il mondo di adesso: non avevamo internet o gli smartphone, eravamo più “isolati” ma siamo sopravvissuti lo stesso perché avevamo più tempo per concentrarci.
Da scrittrice, hai visto i tuoi libri tradotti in varie lingue e pubblicati in mezzo mondo. Hai avuto dunque modo di relazionarti con le diverse percezioni nei confronti di un tema. Cosa ti ha particolarmente colpito dalle diversità di pensiero da latitudine a latitudine?
Quando Una storia nera è stato pubblicato in Spagna, ho preso parte a un piccolo tour promozionale. Mi ha colpito vedere quanto gli spagnoli avessero a cuore il tema delle violenze domestiche: aveva, purtroppo, a che fare moltissimo con la loro società e con la loro attualità. Le storie, come sempre, sono poi di chi le legge e le fa proprie: raccontano d’amore, morte e paura, aspetti umani che toccano chiunque.
A cosa stai lavorando in questi giorni?
Sono particolarmente concentrata sulla promozione del film e del mio ultimo romanzo, Cose che non si raccontano, candidato al Premio Strega. È un momento quasi magico per me, quello per cui vorresti godere di tutto, dare il meglio di te stessa su ogni fronte e sperare di farcela. Ma ci sono anche altri progetti di sceneggiatura all’orizzonte.
Si dice spesso che i premi non cambino la vita ma cosa rappresentano per uno scrittore?
Il coronamento della storia d’amore che si ha con i libri. Ma, in generale, i premi danno la possibilità di farsi conoscere a un pubblico molto più ampio rispetto a quello che si ha già.
Una storia nera sta per arrivare in sala: non temi che il film possa suscitare rabbia o polemiche?
Non ho mai paura da questo punto di vista: non temo ciò che può accadere perché sono convinta che ci siano lettori o spettatori molto più intelligenti di quanto pensiamo. Spero semmai che possa essere d’aiuto a chi certe situazioni le vive. Certe storie erano sempre state raccontate in maniera troppo manichea e il che era un danno verso quelle donne dipinte come incapaci di reagire, di pensare e di avere una spinta propria. La cronaca ci ha consegnato negli ultimi anni anche dei modelli di donne che hanno reagito o che per farlo hanno perso la vita, anche a causa di un vuoto legislativo che andrebbe colmato.
È facile dire “rivolgetevi alla polizia” quando nel concreto accade poi poco o nulla. Dopo la denuncia, molte donne sono costrette a scomparire dalla faccia della Terra per proteggersi dalle ripercussioni ed è profondamente ingiusto che chi non ha commesso nulla debba rinunciare a tutto, a partire dalla propria libertà, ritrovandosi in uno stato di solitudine angosciante. E il caso di Lea Garofalo ne è stato forse l’esempio più lampante.