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Valentina Acca: “L’amica geniale e i miei sprazzi di libertà e di ribellione” – Intervista esclusiva

Valentina Acca
Valentina Acca si racconta in esclusiva parlando di Nunzia, il personaggio che interpretata nella serie L’amica geniale, ma anche del viaggio di ribellione e libertà che ogni donna dovrebbe fare.
Nell'articolo:

In questa intervista esclusiva, Valentina Acca esplora la sua esperienza come attrice nella serie tv L’amica geniale, in cui interpreta il ruolo di Nunzia, la madre di Lila, un personaggio che ha contribuito a plasmare con profondità e dedizione per cinque anni. L’interpretazione di Nunzia, donna inizialmente succube e poi silenziosa ma decisa, ha permesso a Valentina Acca, napoletana d’origine, di riflettere su temi personali e universali, legati alla crescita, alla ribellione e al peso di una cultura patriarcale. Questo viaggio psicologico, in cui la ricerca dell’autenticità è centrale, rivela anche quanto sia cruciale, per Valentina Acca, il senso di auto-consapevolezza e libertà, in particolare per le donne che desiderano affermarsi senza vincoli.

Valentina Acca, grazie a una formazione artistica singolare e variegata, ha costruito la propria strada resistendo al conformismo delle accademie e trovando ispirazione nei legami intimi e nelle esperienze che ha vissuto, come quella delle sue nonne che hanno sacrificato le proprie aspirazioni per conformarsi ai dettami sociali dell’epoca. A partire da queste riflessioni, Valentina Acca ha costruito una carriera fatta di scelte coraggiose e indipendenti. La recitazione è per lei un mezzo di emancipazione, che le ha permesso di esprimersi pienamente e di acquisire quella forza interiore che continua a coltivare e rinnovare.

Durante l'intervista, emerge come il ruolo di Nunzia abbia richiesto una profonda introspezione e una particolare attenzione al linguaggio del corpo, uno strumento espressivo fondamentale per Valentina Acca. Interpretare un personaggio che attraversa un arco di sessant’anni di storia, con una progressiva maturazione e invecchiamento fisico e psicologico, ha rappresentato per lei non solo una sfida tecnica ma anche un viaggio intimo che rispecchia l'evoluzione della condizione femminile in Italia. La sua riflessione sulla maternità, un tema centrale anche nella saga di Elena Ferrante, svela una posizione lucida e determinata che non cede alle pressioni sociali.

Valentina Acca non solo incarna i suoi personaggi, ma crea e interpreta con un’intensità che lascia trasparire l’autenticità della sua anima. La sua scelta di non essere madre, mossa dalla volontà di mantenere uno spazio di libertà individuale, riflette una decisione ponderata e consapevole, in una società che ancora fatica ad accettare pienamente questo percorso di autodeterminazione. Questa forza e questa resilienza si riflettono anche nei suoi prossimi progetti teatrali, come il monologo dedicato a Eleonora Duse, dove Valentina Acca si prepara a dare voce a un'altra grande donna che ha sfidato le convenzioni del suo tempo.

Valentina Acca, dunque, non solo vive il suo mestiere come un percorso di crescita continua, ma lo interpreta come uno strumento di liberazione e autoaffermazione. La sua esperienza di attrice e il percorso che ha intrapreso nel teatro, cinema e televisione sono testimoni di un talento versatile e di una voce artistica che, pur accogliendo la sfida delle difficoltà, ha scelto di esprimersi con sincerità e forza.

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Valentina Acca (Foto: Alessandro Cantarini; Press: Alessandro Savoia).
Valentina Acca (Foto: Alessandro Cantarini; Press: Alessandro Savoia).

Intervista esclusiva a Valentina Acca

“Nunzia è uno di quei personaggi che accompagna L’amica geniale dall’inizio del racconto alla fine”, esordisce Valentina Acca quando le si chiede di raccontare chi sia nella serie tv di Rai 1 giunta alla sua quarta e ultima stagione. “Mi ha tenuta impegnata per ben cinque anni e nel fare il conteggio mi emoziono anche: non capita così spesso di avere così ampio respiro in scena, prendendo per mano un personaggio quando è solo una ragazza di 25 anni per lasciarla nonna a 65, percorrendo quarant’anni di storia d’Italia e assistendo a un’evoluzione anche dei suoi costumi. Lo considero anche un bel traguardo personale”.

Quale aspetto caratteriale dell’evoluzione di Nunzia, la madre di Lila, ti ha colpito maggiormente nell’evoluzione del personaggio?

Di fondo, ho lavorato moltissimo su questa donna, che nella prima stagione vediamo succube del marito, e sul suo rapporto con la figlia. Elena Ferrante racconta molto del rapporto madre-figlia tanto da farne uno degli aspetti fondamentali della saga e io sin dalla prima stagione ho individuato come si soffermi sull’ombra cupa delle madri, ovvero su quella maternità narrata come qualcosa che toglie libertà alla relazione. Lo si evince soprattutto all’inizio quando Nunzia non appoggia liberamente le lotte della figlia mentre, con il proseguire della saga, la vediamo aprirsi ai suoi sprazzi di libertà e ribellione.

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L'amica geniale 4: Le foto

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Da donna, quando hai capito nella tua vita che avevi gli strumenti per ribellarti dalla cultura etero patriarcale che ti circondava?

Credo sia stato quando ho cominciato a dire a me stessa di non tradirmi mai, un qualcosa che può avvenire soltanto facendo una grossa operazione di auto consapevolezza, di formazione e di dialogo costante non solo con se stessi ma anche con altri, instaurando una rete di relazioni tenere che comprenda tutti senza alcuna distinzione di genere, sulle dinamiche di potere. Ciò mi ha permesso di prendere le distanze, di proteggermi e di imparare a dire “no”.

Per interpretare Nunzia, nell’approfondire la sua linea narrativa, mi sono ispirata a realtà che ho conosciuto da vicino, come quella ad esempio delle mie nonne che, provenendo soprattutto da parte materna, da una famiglia molto umile hanno dovuto sottostare a certi dettami valutando come unico futuro possibile il matrimonio. Ho, dunque, visto da vicino cosa significasse rinunciare ai desideri più profondi e non avere il coraggio di seguire le proprie passioni. Ecco perché ho dovuto impormi di non tradire me stessa, qualsiasi cosa questa espressione voglia dire.

È stata per te la recitazione un mezzo per non tradirsi?

Sì, anche nei momenti di difficoltà o di rilancio del mio percorso: la passione per il teatro, per la recitazione, per il cinema e per la cultura in generale mi hanno letteralmente salvare. D’altronde, che l’arte possa aiutare la vita non è una novità: l’incontro con il teatro, avvenuto quand’ero molto giovane, mi ha aiutata a trovare il mio mezzo d’espressione e a capire che un’altra formazione era possibile per raggiungere territori in cui mi sentivo anche più libera.

Mi ha aiutata ad acquisire fiducia in me stessa e rendermi conto che avevo le potenzialità per essere qualsiasi cosa. Ma mi ha spinta anche a essere più coraggiosa nei confronti della vita stessa, perseguendo quelle idee e quegli obiettivi che maturavo. Ho capito anche quali fossero i miei limiti e i miei difetti e a giudicarmi con meno severità, riducendo quel grande senso del dovere che mi portavo appresso e raggiungendo quel livello di profonda leggerezza che permette di accettarsi pienamente.

Quanto ha pesato in questo percorso il giudizio degli altri?

Molto, soprattutto agli inizi, ma è stata una grande spinta perché mi ha portata a guardarmi ulteriormente dentro e a cercare di migliorare me stessa. Mi ha fatto comprendere come questo lavoro sia fatto di tanti no, di molto studio e di continuo spirito di ricerca. Ma non mi preoccuperei più di tanto del giudizio degli altri: lo andiamo a cercare, lo accogliamo ma non facciamoci destabilizzare da esso.

Come dire, “ti ascolto ma francamente me ne infischio”, per citare uno dei titoli teatrali da te interpretati di maggior successo che ti ha portata a vincere il Premio Ubu come miglior attrice. Un premio è sempre una conferma del percorso che si è scelto: cosa hai pensato quando lo hai ricevuto?

Per indole, sin dall’infanzia sono stata alquanto irrequieta: dubito sempre il necessario di me stessa per continuare ad andare avanti e accettare le nuove sfide che verranno, senza adagiarmi sugli allori. Chiaramente, un premio è un grande attestato delle tue potenzialità e fa sì che si mettano da parte anche le difficoltà con cui ci si confronta lungo il percorso. Ma in quel caso il mio primo pensiero sono stati la condivisione, era frutto di una compagnia che aveva ben lavorato, quella di Antonio Latella, e spinta a non accontentarsi, ragionando sul mio talento e su come riuscire a sbloccarlo maggiormente.

Valentina Acca (Foto: Hannes Caspar; Press: Alessandro Savoia).
Valentina Acca (Foto: Hannes Caspar; Press: Alessandro Savoia).

C’è qualcuno che negli anni ha cercato di mettere in dubbio la consapevolezza che avevi sul tuo talento?

Sì, certo. I miei esordi non sono stati semplici: non ho avuto la migliore delle formazioni dal momento che ogni mio tentativo di ammissione alle Accademie non andava mai a buon fine. Ho dovuto quindi di volta in volta cercare gli strumenti che mi servivano, scegliendo da sola i miei maestri sia in Italia sia fuori. È stato un cammino irto di ostacoli ed è solo pian piano ce ho conquistato, andando avanti, fiducia in me stessa ma ciò che mi sono imposta era di non lasciare limitare a nessuno la mia autonomia artistica.

Quando è arrivato il momento in cui, guardandoti allo specchio, ti sei detta di “avercela fatta”?

Non so se mi sono mai detta di avercela fatta ma sicuramente so qual è stato il frangente in cui mi sono sentita realizzata: quando Pericle il nero di Stefano Mordini, di cui ero coprotagonista, è stato scelto in concorso al Festival di Cannes. Avevo già girato Esterno sera di Barbara Rossi Prudente, avevo avuto altri grossi ruoli a teatro e accumulato esperienze al cinema e nella serialità, tentando di far scorrere in parallelo le due strade, ma quella partecipazione al Festival arrivava dopo una lavorazione anche molto, molto dura e, in qualche modo, tutto ciò arrivava. Avercela fatta, invece, mai: è sempre un continuo divenire.

C’è del pianto in queste lacrime… titolo di un altro spettacolo di Latella che però porta a un’altra domanda: a quanti sacrifici sei andata incontro per affermarti come attrice?

Sacrificio non è una parola che utilizzerei, non la legherei alla mia strada e al mio percorso. Di sicuro, mi è stata richiesta una grande tenacia perché non dimentichiamo che il lavoro di attore di mette di fronte a due condizioni non facili: il precariato e la non continuità, che diventano a loro volta condizioni dell’esistenza stessa. Parlerei quindi di grande impegno e di capacità di gestione dei momenti di maggiore difficoltà, che con il tempo ho imparato a gestire e a capire che fanno parte del processo stesso.

Chi come me ama profondamente questo lavoro deve metterne in conto i problemi e persino la possibilità di non raggiungere immediatamente l’obiettivo che si prefigge, conquistando consapevolezza e capacità di reazione agli alti e bassi che comporta. Ed io sono ora in una fase in cui voglio vivermi tutto con gioia e leggerezza.

Quindi, se mettessimo il tutto sul piatto della bilancia, la recitazione ti ha più dato o tolto?

Dato. L’Amica geniale, ad esempio, è stato un dono prezioso in questo percorso.

Valentina Acca nella serie tv L'amica geniale, tra prima e quarta stagione.
Valentina Acca nella serie tv L'amica geniale, tra prima e quarta stagione.

Che ruolo ha giocato il tuo corpo nel tuo percorso? Nei panni di Nunzia, nella quarta stagione, vediamo persino il tuo volto trasfigurato e invecchiato.

Essere in ottimo rapporto con il proprio corpo è fondamentale per approcciarsi a questo lavoro dato che è uno degli strumenti d’espressione che abbiamo a disposizione, non lo dico di certo io… La recitazione ci parte di sperimentare con il nostro corpo e di vivere altre esperienze umane. Per Nunzia, ho vissuto ad esempio l’esperienza dell’invecchiamento che si è rivelata essere un’esperienza di sostituzione del mio corpo stesso nel senso più crudo del temine, potendo contare sull’aiuto di tutto lo staff tecnico e artistico che ha fatto un ottimo lavoro di protesi ed effetti speciali.

L’Amica geniale parla anche di maternità, lo dicevamo in apertura. E la maternità qualcosa a cui hai rinunciato volontariamente o la rinuncia è stata dettata dal tuo lavoro?

Si tratta di un tema molto forte che risuona con la mia esperienza di vita ma anche con quella di tante altre donne, che in Italia (ma non solo) per essere definite tali hanno bisogno di raggiungere l’identità di “madre”. Io ho scelto di non essere madre e per molti anni, dai 25 ai 35, la domanda principale che mi veniva posta anche in maniera diretta e violenta era “Perché non fai un figlio?”. Fondamentalmente, credo che si abbia paura di una donna che non è madre perché implica quanta consapevolezza e autodeterminazione abbia nel suo essere tale.

La mia, torno a ripetere, è stata una scelta ma di contro vedo come in ogni ambiente lavorativo non ci sia nulla che vada incontro a quelle donne che invece decidono di essere madri, spingendole spesso a un ultimatum che limita la loro stessa esperienza umana.

Scegliere di non essere madre non è stato semplice perché io per prima ho dovuto ristrutturare tutta una serie di pensieri e concezioni che avevo perché tramandate da una cultura profondamente patriarcale e tradizionalista. Ma, quando ho realizzato che la vita è anche una grande improvvisazione, non mi sono sentita a mio agio al pensiero di mettere al mondo un’altra vita.

Cosa ti aspetta adesso?

Due progetti teatrali che si inseriscono nel mio percorso più autoriale. Il primo è Parole di Pace: scritti, poesie, pensieri e riflessioni di  autrici e autori per costruire la pace, che rischiarino lo spirito e siano balsamo in tempi di guerra. Altro progetto per la prossima stagione teatrale è poi un monologo su Eleonora Duse, immensa attrice e capocomica che ha rivoluzionato il teatro di fine ‘800 incarnando le inquietudine e le contraddizioni della donna moderna.

Valentina Acca (Foto: Hannes Caspar; Press: Alessandro Savoia).
Valentina Acca (Foto: Hannes Caspar; Press: Alessandro Savoia).
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