Cercare di etichettare Valentina Lodovini, come attrice e come donna, è un’operazione impossibile. Ogni definizione potrebbe starle stretta: a ogni ruolo interpretato varca la soglia dei suoi stessi limiti e si mette alla prova, regalando prove ora intense ora divertenti. Quando si crede di aver intuito che strada prenderà il suo percorso, Valentina Lodovini devia e segue altri sentieri. Ne abbiamo avuto la prova, ad esempio, quest’anno: ci ha divertiti in Love & Gelato, si ha sorpresi in La terra delle donne e ci ha deliziati in Vicini di casa. E si prepara a farci riflettere sull’amore e sui legami di coppia in Conversazioni con altre donne, film in uscita in sala il 31 agosto con Adler Distribuzione.
Prodotto da 39 Films con Mg Producciones, Conversazioni con altre donne è diretto da Filippo Conz ed è un film sui generis: due soli protagonisti in scena, Valentina Lodovini e Francesco Scianna, nei panni di una donna e di un uomo, volutamente senza nome, che si rivedono a nove anni dalla fine del loro matrimonio. L’occasione per la rimpatriata è data dal matrimonio della sorella di lui (con un’altra donna), a cui Lodovini è chiamata a far da damigella dopo il rifiuto di un’altra amica. Siamo in una splendida villa di Tropea e, qui, nonostante siano impegnati in altre importanti relazioni, i due iniziano una civettuola schermaglia dialettica sul loro rapporto he li trascina inesorabilmente a letto insieme.
Riflessione agrodolce sugli inevitabili adattamenti della vita adulta, Conversazioni con altre donne è un film non sul tradimento ma sulle opportunità svanite e le aspettative insoddisfatte, sul tempo che inesorabilmente scorre in avanti ma mai indietro. E al futuro è proiettata anche Valentina Lodovini, come lei stessa ci conferma, quando spiega il motivo per cui spesso si lascia coinvolgere da progetti di registi esordienti o alle prime opere.
Amante del cinema sia da attrice che da spettatrice, Valentina Lodovini ha fatto della settima arte la sua ragione di vita. Una vita, la sua, spesa per proporsi al pubblico con riservatezza e pudore: per lei, parlano i suoi personaggi e non la sua biografia privata. Restia ad aprire le porte di casa sua ma anche del suo cuore, ci sorprende più di una volta parlando di aneddoti, ricordi e progetti, analizzando il suo rapporto con la fama e confessandoci di sentirsi una donna come tante altre quando si guarda allo specchio.
Anche lei, Valentina Lodovini, che sullo schermo appare irraggiungibile e fatale, ha un lato vulnerabile che tra le righe traspare e lascia più domande che risposte. Ma è anche questo uno dei motivi per cui la si ammira, rendendola a tutti gli effetti una star da 40% di share, come recita l’auditel dell’episodio di Il Commissario Montalbano a cui ha preso parte in passato (Un covo di vipere) o come sottolinea la lunga lista di maestri con cui ha lavorato: Carlo Mazzacurati, Marco Risi, Francesco Patierno, Roberto Faenza, Giovanni Veronesi, Alessandro Piva, Fabio Mollo, Daniele Vicari, Luca Lucini, Anna Negri e Paolo Sorrentino, tra i tanti.
Intervista esclusiva a Valentina Lodovini
Nel “menù della settimana” delle proposte cinematografiche in uscita in sala che sei solita proporre sui tuoi social, questa settimana ci sei anche tu con il film Conversazioni con altre donne. A cosa di deve la tua passione per il cinema?
Io amo il cinema da sempre. Non so ricondurre tale sentimento a un momento o a un aneddoto specifico: è una passione innata che evidentemente avevo già dentro la pancia della mia mamma. Sono poi cresciuta a pane e cinema: quello per la cosiddetta settima arte è un amore tutto mio che non mi è stato trasmesso da nessuno. Che venga riconosciuto il fatto che amo e che conosco il cinema mi dà soddisfazione: per me è fondamentale che ne se conosca la storia. Come cittadina e donna, ci tengo tantissimo alla memoria e alla sua coltivazione: sono terrorizzata dai tempi che stiamo vivendo… stiamo perdendo del tutto la memoria e non potrà essere sostituita da nulla, non vedo all’orizzonte niente di nuovo di così grosso e importante. Da attrice ma anche da spettatrice, dico sempre che guardare vecchi film è fondamentale per comprendere i film nuovi: lo ripeterò all’infinito.
Sulla carta Conversazioni con altre donne sembra un film non in grado di decollare: due ex si incontrano e parlano per tutto il tempo senza quasi interagire con nessun altro. Vivono di sensazioni, di ricordi, di segreti e di non detti. Poi, lo guardi e rimani incantato: il tempo sembra quasi essere sospeso, tanto da volerne sapere di più e di più.
Tempo è una delle parole chiavi della storia di quest’uomo e quest’anno donna che si rivedono dopo tanti anni. Ma si possono dire tantissime cose su Conversazioni con altre donne. Innanzitutto, che è un film sull’intimità della memoria affettiva: si può risvegliare anche a distanza e tutto può diventare un pretesto per cercare di cacciare il desiderio. Gli spazi sono parte integrante del racconto e contribuiscono anche alla dimensione temporale, che scorre in maniera lineare, senza ellissi o flashback. Alla fine, il film non è altro che i due protagonisti e l’emozione del loro racconto: non dispensa tesi e non ci sono regole, esiste solo il sentimento di due anime che vivono la stessa emozione ma con due sensibilità diverse.
Filippo Conz, il regista del film, è un esordiente. Ancora una volta, ti affidi a un giovane regista. Cosa porta un’attrice come te, che avrà mille progetti diversi tra cui scegliere, a voler lavorare nelle opere prime? Cosa ti spinge a dare fiducia ai giovani?
I giovani sono il futuro. Prima di tutto, io mi considero in eterno movimento: adoro esserlo ed è una delle poche cose che salvo di me stessa. A me non interessa la copertina di Linus: mi stimola di più la strada che non conosco, quella per cui devi chiudere gli occhi e buttarti. In più, con i giovani spesso cambiano i linguaggi, un aspetto che mi affascina sempre tantissimo: si può raccontare l’amore (lo si racconta dalla notte dei tempi) ma si possono trovare sempre idee nuove, un nuovo linguaggio e un nuovo modo di percepire. E i giovani hanno, a prescindere dal loro talento e dalla loro genialità, un modo diverso di percepire le cose, compresi i rapporti umani e il cinema, essendo cresciuti in un’epoca diversa.
In un’epoca come la nostra in cui si tenta di classificare tutto, nessuno è mai riuscito a incasellare Valentina Lodovini, attrice in grado di spaziare da un genere all’altro senza soluzione di continuità.
E io ho anche fatto di tutto per non essere incasellata. Non mi piacciono le etichette, credo che siano limitanti: lo stereotipo va sempre combattuto. Ho avuto la fortuna di crescere sin da piccolina in una famiglia che non ha pregiudizi e non ha mai dato giudizi. Ciò ha contribuito tantissimo a far sì che io stessa, di conseguenza, non abbia mai vissuto con pregiudizi e giudizi.
Hai studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia. Cosa ne pensi di tutto ciò che sta avvenendo politicamente intorno al CSC?
Faccio parte di UNITA, l’associazione di attori e attrici che tutela la dignità professionale dei propri associati e promuove iniziative di informazione e formazione per lo sviluppo del settore dello spettacolo. Abbiamo una chat attiva in cui ci scriviamo su ciò che accade in questi giorni: non so come andranno a finire le cose ma di mio appoggio la lotta degli studenti che stanno chiedendo un confronto con una maggioranza che continua a ignorarli. E questo non deve accadere.
E dello sciopero degli attori in corso negli Stati Uniti?
Chiaramente sono d’accordo: gli attori scioperano per difendere i loro diritti. Non soffermiamoci alle star, che comunque anche loro hanno dei diritti, ma pensiamo a tutti gli attori più piccoli e a tutte le comparse. Siamo tutti operai del cinema e necessitiamo tutti di vederci riconosciuti un rispetto e una dignità per il nostro mestiere.
Hai citato la parola “star”. Come ci si sente a esserlo o a essere l’attrice che ha contribuito al 40% di share di un episodio del Commissario Montalbano?
Non mi sento una star ma ogni volta che vengo riconosciuta la vivo come un qualcosa che mi emoziona in maniera veramente profonda: lo considero come un atto d’amore gigante nei miei confronti. Quando accade, è sempre per me una sorpresa meravigliosa. Grazie all’episodio di Montalbano, il riconoscimento è avvenuto anche al di fuori dei confini nazionali: mi trovavo a Parigi, camminavo con un’amica e parlavo al telefono, rivolta verso la Senna… alcune persone si sono fermate a guardarmi perché mi avevano riconosciuto dalla sola voce. In Italia è più usuale che accada ma non mi aspettavo certo di essere riconosciuta a Parigi: è stato wow! Ho sempre ricevuto solo tanto rispetto da chi mi ferma, per cui – a maggior ragione – è un qualcosa di cui mi non mi sento grata ma di più: capire che ho un pubblico leale che mi sostiene e che mi supporta mi commuove.
Hai un pubblico leale perché anche tu sei stata leale con il tuo pubblico?
Sono sempre stata io, lo riconosco, nel bene o nel male e il pubblico ha imparato anche ad accettarmi per come sono. Dopo Benvenuti al Sud, il film che mi ha fatto conoscere maggiormente dal grande pubblico, c’è stata un’esplosione d’amore nei miei confronti: la gente voleva sapere tutto di me quando io di me non do mai niente perché credo nell’anonimato dell’attore. Quando ho percepito che la gente avrebbe voluto ancora rivedermi in qualche modo nei panni di Maria, le ho dato subito altro portando a teatro la storia di Darina Al-Joundi in Quando Nina ha smesso di cantare e girando per il cinema La verità sta in cielo sul caso di Emanuela Orlandi o I Milionari su un clan criminale napoletano.
Ho sentito inizialmente il senso di disorientamento del pubblico ma poi si è aperto in chi mi apprezza come uno sguardo nuovo: anche quando vengono in teatro, non sanno mai cosa li attende, se beccheranno qualcosa di comico, di storico o di drammatico, se sarò in lingerie o coperta da una tuta da sci. Ho sempre creduto in ogni progetto che ho scelto, anche quando poi sono arrivate le critiche negative: teatro e cinema sono arte e come tale dipendono dai gusti personali ma anche da tanti altri fattori. Ogni critica ti insegna qualcosa: tra l’altro, in teatro hai subito modo di capire se una sera qualcosa non è girato per il verso giusto, impari che hai sbagliato tu e che ciò che ha funzionato la sera prima non è detto che funzioni nuovamente perché chiaramente ogni pubblico è diverso.
È una relazione veramente speciale quella che ho con il mio pubblico, a cui sono tanto, tanto, tanto grata e che mi spinge ogni volta a scegliere pensando al pubblico, fosse anche solo una persona. L’ho imparato con il tempo e con l’esperienza: nelle scuole di cinema non ti insegnano come relazionarti a esso, pratica e teoria sono due cose differenti.
Non disorienti solo il pubblico ma anche gli addetti ai lavori quando nel ricevere i famosi comunicati di inizio riprese ti troviamo in progetti agli antipodi, come possono essere ad esempio Vicini di casa o La terra delle donne.
Pensa che ho girato Conversazioni con altre donne nel 2021: quell’anno non ho avuto un giorno libero da gennaio a dicembre. Ho aperto l’anno con Love & Gelato, una commedia Netflix, sono poi passata a Vicini di casa, subito dopo è arrivato La terra delle donne e infine Conversazioni con altre donne: sono stata fortunata nel non prendere all’epoca il CoVid, sarebbe stato un giorno di ritardo per mandare tutto all’aria. Erano tutti progetti bellissimi a cui non avrei potuto rinunciare, così come non ho potuto dire di no allo spettacolo teatrale Tutta casa, letto e chiesa, portato per le strade di Genova sopra un camion grazie a Tir – Teatro in Rivoluzione: è stato magnifico raggiungere anche le periferie e vedere la gente affacciarsi alle finestre con un testo di Dario Fo e Franca Rame.
Non ti allontana da te stessa tutto questo lavoro?
Mi aiuta, invece. Tutti i miei personaggi mi danno sempre qualcosa: mi aiutano a capire o a far crescere Valentina. Mi metto sempre da parte, tendo a fare un passo indietro e lascio che avanti vadano i personaggi ma alla fine, lavorandoci, scopro che mi aiutano a vivere. Conversazioni con altre donne mi ha permesso di guarire da una mia vecchia storia personale. Solitamente non lo faccio ma per la prima volta ho fatto ricorso alla mia vita personale: quando mi sono ritrovata a vivere determinate sensazioni per copione, volendo dare più verità al personaggio ho attinto al mio privato. E si è rivelato quasi terapeutico: c’era qualche ferita ancora aperta che ora si è del tutto cicatrizzata… mi sono liberata da qualcosa che era angosciante: il perdono verso me stessa e verso l’altro. Da donna libera non posso non perdonarmi o non perdonare, bloccherebbe la mia stessa libertà.
Ti rendi conto di aver raccontato per la prima volta qualcosa di te stessa: fatto più unico che raro.
Lo so ma l’ho fatto consapevolmente: mi sa che ora ho creato il precedente ma non succederà di nuovo (ride, ndr). Ci ho pensato molto se dirla o tenerla per me: sono restia a parlare di me perché ho sempre paura che possa riflettersi in trasparenza nel lavoro: non vorrei mai che la gente sedendosi al cinema, dopo un’intervista in cui racconto i fatti miei, non veda più il film ma si ricordi solo di ciò che ha letto. Dire che per la prima volta ho usato un’esperienza della mia vita spero che non tolga nulla alla storia del film… spesso le amiche mi rimproverano per la mia riservatezza, “dovresti raccontare un po’ di più”, ma è qualcosa che non mi appartiene: al pubblico regalo l’esteriorità, il resto lo tengo per me.
Prendi il paragone con le pinze: un po’ come Moana Pozzi, che pur di non far trapelare nulla della sua vita privata stava rinchiusa in casa tutto il giorno.
La capisco. Stimo molto il personaggio di Moana e ho avuto anche l’opportunità di vederla in uno dei suoi spettacoli leggeri: mio fratello, che ha 13 anni più di me, mi ci portò… e devo dire che non ho mai visto una donna così bella e magnetica: ero piccola ma riesco ancora a ricordarne un carisma e un’eleganza incredibili che non ho mai più rivisto, fino a oggi, in nessun altro essere umano. E dallo spettacolo si percepiva anche la sua estrema intelligenza.
Giochi spesso per lavoro con la tua immagine. Che rapporto hai con il tuo corpo?
Complesso, come tutte le donne. Non ho mai troppo tempo per mettermi di fronte allo specchio e pensare a quanto sono brutta o bella. Lo vivo alla giornata, come qualsiasi altro essere umano: più degli uomini, noi donne siamo sicuramente influenzate da mille altri fattori per cui ci sono giornate in cui mi piaccio e altre in cui non capisco cosa gli altri vedano in me. Ma questo non inficia il mio lavoro: recito in lingerie perché in quel momento sono il personaggio e non più io. Se sul set ti chiedo di sentir freddo, ne restituisci la sensazione ma dopo lo stop il freddo scompare… e ciò per me vale anche relativamente al caldo, alla fame, alla sete e anche al corpo: viene prima il personaggio e non Valentina.
Hai citato prima tuo fratello. Hai anche una sorella maggiore con cui c’è più di un decennio di differenza d’età.
Per certi versi, a volte mi sento figlia unica perché comunque tra me e i miei fratelli c’è una generazione di mezzo: non abbiamo vissuto insieme l’infanzia e non abbiamo condiviso le stesse esperienze d’infanzia. Giocoforza, i loro interessi o sogni erano diversi: c’era come un allontanamento, non so come dire, che non ci portava alla condivisione.
Sarà per questo che hai cominciato ad amare presto il cinema?
Possibile. Il cinema per me è sempre stato tanta roba. Lo definisco spesso il “primo” di ogni cosa, anche il mio primo fidanzato, anche solo per il tempo che ci ho trascorso e chi trascorro tuttora insieme, per l’emozione che mi ha dato e per la formazione che contribuito a darmi. Mi sono letteralmente formata con il cinema: tutti i film o registi sono stati sempre degli incontri che mi hanno permesso di sviluppare una mia coscienza politica, una coscienza civica e una civile. E, quindi, come la letteratura, il cinema e il teatro sono stati per me un rifugio.
E il cinema ti ha mai tradita?
Mai, mai, mai. Né da spettatrice né da attrice. Amo molto il mio mestiere e non lo do per scontato: ho la consapevolezza di appartenere alla minoranza di coloro che possono dire di amare il proprio lavoro ma anche quella che possa finire tutto da un momento all’altro. Il fatto stesso che il mio sogno sia diventato realtà non era per nulla scontato. Lo amo così tanto che non mi pesa affatto farlo: sul set dicono che sono un caterpillar (è per me un grandissimo complimento)! E da spettatrice, anche quando qualche film mi delude, la considero una delusione costruttiva.
Hai recitato più di una volta all’estero. Ti piacerebbe il grande salto?
Assolutamente sì. Sono apertissima ai mercati esteri perché, come dicevo, mi piace mettermi in situazioni che non conosco e sperimentare altre sensibilità con cui confrontarmi: l’arte non deve avere confini. Le esperienze avute finora mi sono piaciute molto perché, comunque, mi hanno messa di fronte a una metodologia diversa di lavoro.
Ma Valentina Lodivini fa ancora i provini?
Si, certo. Rispetto anche chi non li fa o risponde solo alle chiamate dirette: è una questione di scelte e io credo molto nel valore delle scelte. Ho scelto un lavoro che dipende da altri che decidono per me, quindi accetto anche i no, anche se a volte mi dispiace tantissimo. Ma non tutti i film sono i tuoi film, ci sono fattori su cui non si può avere il controllo e anche i rifiuti servono.
In Conversazioni con altre donne, il tuo personaggio scopre un’amara verità da un’altra donna, leggermente stronza…
Ma lo stronzo è lui, il personaggio di Francesco Scianna: spettava a lui raccontare quella verità. Il personaggio di Chiara Baschetti ha una personalità un po’ marcata ed è amica di Sara, la fidanzata di Scianna, per cui è quasi normale che stia sulla difensiva.
Era un’intro per chiederti se anche a te è capitato di ricevere verità amare da altre donne, in barba a ogni complicità femminile.
Almeno non palesemente, non me ne sono mai accorta. Poi, se è accaduto nel privato con altri, non so. Per natura, tendo a fidarmi delle persone, anche se a primo acchito non sembra: non fa parte della mia umanità togliere niente a nessuno, scavalcare qualcuno o pensare di venir prima degli altri. Già dalla stretta di mano, si capisce che sono una persona che si fa i fatti suoi e che non ha nessuna voglia di fregare l’altro in nessun modo.
Mamma sarta e papà gestore di un negozio di elettrodomestici hanno mai provato a ostacolare il tuo percorso?
Mai. Mi sono sempre sentito molto amata dalla mia famiglia e i miei sono molto orgogliosi. Ho apprezzato molto la libertà che mi hanno sempre dato: libertà di scelta e di espressioni, un valore gigante, enorme e mai scontato. Capisco da una sguardo se sono d’accordo o meno con un progetto a cui ho preso parte o a cui ho detto di no ma non hanno mai posto ostacoli o veti: “La vita è tua”, mi hanno sempre detto, “e nessuno meglio di te può sapere ciò che vuoi”.
Hai vinto le tue insicurezze?
Ci lavoro. Lavoro molto con me stessa e per me stessa quotidianamente. Con il tempo, di alcune insicurezze mi sono liberate mentre per altre siamo work in progress. Ma ogni mio più grande nutrimento viene sempre dall’arte… nell’ultimo mese, ad esempio, sono stata a Londra a teatro a vedere Un tram chiamato desiderio, uno spettacolo straordinario con attori magnetici (tra cui il bravissimo Paul Mescal), poi a Wembley al concerto dei Blur (suonavano a casa loro, si riunivano dopo vent’anni, eravamo in 90 mila a sentirli e l’emozione è stata unica sia per loro sia per noi, che eravamo tutti fratelli e sorelle) e, infine, a Vienna a vedere due volte Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan (non potevo aspettare il 21 agosto, data di uscita italiana!), e nell’attesa tra uno spettacolo e l’altro sono anche stata in visita all’Albertina Museum.
È qualcosa che ad altri può apparire folli e che mi rendo conto che ho la fortuna, per il tempo libero ma anche economicamente, di poterlo fare ma mi sento un’altra persona, nel bene o nel male, rispetto a quella che ero prima di partire. Ma mi nutro letteralmente di arte, anche quando mi spinge a riflettere e mi lascia dolore, rabbia e tanti punti interrogativi, come nel caso del film di Nolan: è veramente il film del secolo, come scrivono in tanti, che non solo mi ha fatto riflettere su quanto raccontato ma anche sul lavoro degli attori, sulla regia e sulle differenze con quello che mi offre il mio Paese.
Hai visto Barbie?
Non ancora (l’intervista è stata realizzata a pochi giorni dall’uscita del film in sala, ndr) ma andrò con le mie nipoti e mio padre, novantenne. A livello personale, sono interessata alla visione di tutto quel femminismo decantato da alcuni (tutti dicono tutto e il contrario di tutto) ma c’è qualcosa di straordinario che Barbie sta facendo: sta dimostrando che il cinema è vivo. È bellissimo vedere in tutto il mondo gente vestita o colorata di rosa come a Londra come a Roma: ma figata ha fatto Greta Gerwig? Si ha come l’idea di partecipare a un evento collettivo, condiviso da tutti quanti.
E grazie a film come Barbie o ad attori come Tom Cruise (che sta facendo la qualsiasi per riportare la gente al cinema dopo la pandemia) che qualcosa finalmente si muove e ci fa capire come la gente abbia voglia di vedere determinate cose.
Anche tuo padre verrà vestito di rosa?
Le mie nipoti glielo hanno chiesto. Mio padre ha novant’anni ma di testa e di corpo non gliene daresti più di cinquanta: le mie nipoti si divertono a fare le cose insieme a lui perché è comunque sui generis. Ma quello di dimostrare meno anni che si hanno è una caratteristica che sembra appartenere ai geni di famiglia: vedendo il dna della mia famiglia, potrei essere molto fortunata considerando anche che sono la più sregolata: fumo, bevo e mangio la qualsiasi, non vivo in campagna ma in città…
A proposito di storie al cinema, ti abbia vista spesso in tantissimi remake.
Lo so, che palle!: ogni tanto chiedo anch’io qualcosa di originale. Forse non abbiamo più autori in grado di scrivere storie originali…
Ma vedi i film che sei chiamata a rileggere?
Considerando il rapporto che ho con il cinema non li vedo quando me li propongono perché li ho già visti! A volte, basta che mi diano un minimo accenno di trama per individuare subito l’originale… comunque, non studio mai il lavoro che è stato fatto da altri, finirebbe in qualche modo per influenzarmi. Preferisco sempre andare di mio perché gli adattamenti hanno poi tanto a che fare con la cultura del Paese in cui sono ambientati e devono adeguarsi ai famosi usi e costumi del pubblico.
Lo stesso vale per il teatro: per Tutta casa, letto e chiesa ho sì rivisto lo spettacolo di Dario Fo e Franca Rame ma ho fatto sì che nella mia interpretazione non ci fosse nulla che potesse ricordare o imitare Franca Rame perché lei era ed è unica. Ho rivisto tre volte il dvd e ho preso delle cose che erano della Rame perché ho voluto capirle tanto che il finale era un omaggio a lei che chi la conosceva ha compreso. Ma ho reso mio lo spettacolo: per me fare il mio mestiere non significa copiare, imitare o scimmiottare qualcun altro.
Sei toscana. Eppure, risulti credibile nella parte della meridionale tanto che sono in molti a pensare che tu sia veramente del Sud.
Per Benvenuti al sud, ho avuto quindici giorni di tempo per entrare nel personaggio prima che cominciassero le riprese. Ho studiato quindi il napoletano, anche se ne avevo un’infarinatura: alla scuola di cinema si fa molta dizione, si lavora il primo anno sulla pulizia dell’italiano, il secondo sui principali dialetti basandosi sui testi degli autori classici e il terzo sul proprio dialetto d’origine, un lavoro bellissimo che ti permette di andare anche alle tue radici. Sono stata attenta a non far nulla che potesse ricordare la maggiore icona del mondo napoletano, la signora Loren, segnandomi persino cosa non fare. Ma proprio per la stima e il rispetto che ho per lei.
Ti abbiamo di recente vista in veste di conduttrice a fianco del Mago Forest nel nuovo programma della Gialappa’s Band. Ti sei divertita?
Molto ma portavo un personaggio, non di certo me stessa: era recitazione. Il programma ha una sua struttura teatrale, altrimenti non sarebbe stata roba mia la televisione. Ero lì per fare da spalla a un comico, come mi è capitato di fare nei film.
Mai avuta la tentazione di passare dietro la macchina da presa?
No. Sono ancora in tempo per cambiare idea ma non rientra nei miei propositi. Come dicono anche i miei amici, sono molto rigida: per me l’attore deve recitare, il regista dirigere, lo scrittore scrivere e il cantante cantare. Lo trovo un sistema marcio quando si comincia tutti a far tutto, quando il proprio mestiere iniziale comincia a diventare quasi secondario. Occorre consapevolezza dei ruoli: più ognuno fa il suo, più un film ha l’opportunità di venir fuori bene. Fosse per me, introdurrei nuovamente la figura dei dialoghisti, come una volta! Di mio, recito e cerco di farlo meglio che posso.