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Valentina Polinori: “Volersi bene, la più complicata delle ombre” – Intervista esclusiva

valentina polinori ombre
Le Ombre è il titolo del terzo album di Valentina Polinori, cantautrice romana che torna con otto tracce di cui è autrice e produttrice artistica. Le ombre sono quelle che segnano il buio di ognuno di noi e mostrarne le sfumature è stata una bella sfida vinta.

A tre anni dal precedente album, Valentina Polinori ha appena pubblicato il suo terzo lavoro discografico, Le Ombre (Believe), disponibile su tutti gli store digitali. Dopo una serie di concerti in Italia in apertura a nomi come Cristina Donà, Vasco Brondi e Lo Stato Sociale, nelle otto tracce di Le Ombre Valentina Polinori restituisce una personale mappa del buio, raccontandone le diverse sfumature e mostrandone il fascino più segreto.

Per la prima volta produttrice artistica, Valentina Polinori ha curato tutti gli aspetti di Le Ombre, dalla scrittura dei brani alla melodia, affidandosi a frasi brevi, dolcezza e pop elegante. Romana, Valentina Polinori preferisce la sintesi all’essere prolissi, motivo per cui ad esempio di fronte alla brevità delle risposte che troverete in quest’intervista in esclusiva ci si è chiesti se fosse timida o meno.

Parlare di Le Ombre senza cadere necessariamente nel pessimismo è quello che Valentina Polinori riesce a fare, anche quando si sente un’aliena nei confronti del mondo che la circonda. Un mondo di cui non tollera la prepotenza e le mode diffuse.

Valentina Polinori.
Valentina Polinori.

Intervista esclusiva a Valentina Polinori

Le Ombre è arrivato a tre anni di distanza dal tuo ultimo lavoro. Sono stati tre anni di CoVid, di chiusura e di inattività per molti artisti. Quanto questo ha influito sul tuo lavoro?

In questi ultimi tempi mi sono resa conto di quanto in realtà per me sia stato un periodo quasi positivo. Sono una persona che non riesce a stare ferma e, nel periodo del lockdown, ho iniziato a lavorare sui programmi di produzione dell’album. Nell’attesa di ritornare alla normalità, ho sfruttato il tempo “libero” per sperimentare e scrivere parecchio: da un punto di vista creativo, è stato un periodo abbastanza utile. Ma sono riuscita anche a suonare live nei momenti di allentamento delle restrizioni: non muovendomi con chissà quale seguito, trovavo anche situazioni più consone alla mia dimensione tanto da fare tantissime date.

E dal punto di vista dei testi di Le Ombre non credi che abbia influito? È facile pensare che sia frutto di quel periodo.

Forse sì: è stato sicuramente un periodo in cui forse tutti abbiamo ammesso le nostre fragilità in maniera più onesta. Eravamo tutti, più o meno, nella stessa situazione e di conseguenza è stato più facile ammettere di non stare sempre bene. A me è servito anche per essere un pochino più coraggiosa e “onesta” nello scrivere i testi, arrivando a tirare fuori emozioni che potevano anche essere non sempre positive ma che si sono rivelate utili per poi riuscire a stare meglio.

C’è stato in te un momento di depressione durante questo percorso di avvicinamento a Le Ombre?

Non so se definirlo momento di depressione. Tengo a fuggire sempre dal down, sono molto reattiva alla tristezza e, quindi, se l’ho vissuta l’ho combattuta facendo tante cose. Faccio tanto sport e quello a volte mi aiuta anche a non pensare troppo.

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Qual è stata l’ombra più difficile da tirare fuori per quest’album che è tutto fuorché triste o paranoico?

Il volersi bene. A volte ci si critica troppo e ci si giudica sempre. Almeno io ho questa tendenza e dimentico che anche quando non sempre si è al massimo occorre accettarsi e accettare che la vita è fatta anche di momenti in cui non si è al 100%.

Tu insegni Storia dell’Arte alle superiori. Hai notato differenze generazionali nel confrontarsi con le ombre?

Tra i giovani della Gen Z c’è molta più facilità a parlare di buio e di momenti di difficoltà. Anche se non so effettivamente quanto a volte sia frutto della “moda” del periodo: sembra quasi che se non hai vissuto un momento di buio tu sia diverso dagli altri. Nonostante ciò, trovo che sia un bene parlarne, dire di stare male e accettarsi anche se non si è in completa forma.

Cosa ne pensano i tuoi allievi dell’insegnante musicista?

Non lo so perché non lo chiedo. Sono convinta che occorra mantenere per quanto è possibile separate le sfere della musica e dell’insegnamento. Per quanto sia difficile farlo, quando sono in aula rappresento qualcos’altro per loro. Ovviamente, sanno quello che faccio, mi seguono sui social e non nascondo loro quello che faccio.

In Le Ombre si parla anche di amore e gli aggettivi per riferirsi alla persona amata sono declinati ora al maschile ora al femminile. Scelta consapevole?

Assolutamente sì. Nasce dal desiderio di non voler parlare solo alle ragazze o solo ai ragazzi. Per quanto io cerchi a volte di immedesimarmi nell’altra persona, lascio che le desinenze siano libere in modo che tutti possano riconoscersi nella mia musica.

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Una delle canzoni si chiama L’amore è una cosa di cui non si parla. Cos’è l’amore per Valentina Polinori?

A volte, come volevo comunicare nella canzone, è meglio non parlare di certe cose o definire un sentimento. Meno se ne parla meglio è, l’importante è che ci sia.

Anche perché altrimenti si corre il rischio di dire cose a cui l’altro non crederebbe, come suggerisce il titolo di un’altra traccia: Ci crederesti.

Quella canzone è venuta fuori ragionando su quanto sia difficile fidarsi o porre delle domande quando ci si lega a qualcuno.

Tu ti sei mai sentita un alieno?

Frequentemente. Devo dire che è una sensazione che provo quasi quotidianamente. Nasce anche dalla generalizzazione su tutto ciò che uno dovrebbe sentire o come mostrarsi: sono una persona molto discreta e non amo le sovrastrutture.

E per seguire le mode degli altri si corre il rischio di andare a sbattere la testa. Un pensiero che emerge da Alieni e che può essere traslato alla vita di tutti i giorni di tutti.

Chiaramente, non è solo un pensiero relativo a una relazione sentimentale. Si può estendere in generale alla moda di seguire le decisioni altrui ed è una “problematica” che sento sempre più attuale.

Sei timida?

Non eccessivamente, dipende molto dai contesti.

Te lo chiedo perché noto come le tue risposte siano molto sintetiche.

In realtà, da persona riservata sono molto essenziale. Le risposte che do sono già state riassunte nella mia testa: è un po’ quello che tendo a fare anche nei miei brani. Mi piace esprimere concetti generici ma ricorrendo a poche parole.

Le Ombre si chiude con due pezzi che sembrano comunicare tra loro: Tunnel e Un buco. Un verso di Un buco dice che se ti impegni dimentichi le persone. Quali sono invece le persone che non riesci a cancellare?

In realtà, non riesco mai a cancellare nessuno. L’intento di quella frase è “provocatorio” ma per me è impossibile cancellare qualcuno anche se mi impegnassi nel volerlo fare. Una frase del genere è sempre figlia di un caos emotivo che ti porta a dire determinate cose che poi razionalmente non fai.

Cos’è che scatena più odio in te? In Sintetico, canti “odio tutto”…

Odio è un parolone grosso, sarebbe meglio parlare di insofferenza. Molto banalmente mi viene scatenata dalla prepotenza o dall’egoismo.

Nel tuo percorso c’è stato chi si è mostrato prepotente nei tuoi confronti?

Cerco di evitare quel tipo di figure: non appena le percepisco, le allontano. Credo di avere un buon fiuto per stanare certi atteggiamenti e di certo non mi tengo vicino chi li metta in pratica. Non vale solo sul lavoro ma anche nella vita privata: si tratta di dinamiche che non riesco a tollerare.

Musicista e storica dell’arte, due percorsi tra loro apparentemente distanti…

In realtà, no. Fanno entrambi parte dell’Arte, ovvero di quella futilità necessaria. L’Arte è qualcosa che ci serve ma non è una funzione vitale come il mangiare, il bere o il dormire.

E come ti sei avvicinata alla musica?

Ero molto piccola quando ho iniziato a studiare il pianoforte, una scelta che non è stata del tutto volontaria. Non ricordo esattamente com’è andata ma non è stata una passeggiata, soprattutto al conservatorio: ho abbandonato dopo un anno. Avevo quattordici anni ma già non sopportavo i metodi rigidi: torna un po’ il discorso sulla prepotenza che facevamo prima.

Cosa vedi oggi quando ti guardi allo specchio?

Sono abbastanza contenta di come sono. Sono in movimento e non tendo a guardarmi mai indietro. Ogni tanto provo a farlo e mi rendo conto che potrebbe essere utile solo per darsi uno slancio in avanti e non per rifletterci staticamente.

Valentina Polinori.
Valentina Polinori.
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