Valerio Lundini torna su RaiPlay dal 12 gennaio (e prossimamente su Rai 3) con Faccende complicate, un programma in dieci puntate fatto di inchieste reali su realtà surreali. Quello che Valerio Lundini affronta in Faccende complicate è un originale viaggio in giro per l’Italia per intervistare personaggi comuni e raccontare storie che riguardano tutti molto da vicino.
Nelle dieci puntate di Faccende complicate (le prime tre online il 12 e le altre il 19 e il 26 gennaio), Valerio Lundini si muove in città come Torino, Napoli e Milano, e in piccoli centri di provincia per testimoniare “faccende complicate” che coinvolgono gli italiani da nord a sud, ma anche al di fuori dei confini nazionali. Tra il nonsense e il surreale, il comico e conduttore romano spazia – indagando a modo suo - la vita degli studenti stranieri in Italia, o come nasce un successo discografico, le tradizioni culinarie italiane e i segreti delle persone di bell’aspetto, ma anche le difficoltà e le peripezie della vita di tutti i giorni. Per scoprire, insieme con il pubblico, storie che nascono complesse e lo diventeranno sempre più.
Original di Rai Contenuti Digitali e Trasmediali e prodotto da Simona Ercolani per Stand By Me, Faccende complicate è interpretato, scritto e diretto da Valerio Lundini, che torna dunque in tv, dopo il successo riscontrato con Una pezza di Lundini, con il suo stile inconfondibile e surreale. E con Valerio Lundini abbiamo avuto modo di approfondire, in esclusiva, la nascita di Faccende complicate ma anche alcuni dei temi delle puntate che vedremo, come quella ad esempio sul Medioevo che trova il suo motore in un caso di discriminazione per orientamento sessuale.
Intervista esclusiva a Valerio Lundini
“Faccende complicate è un titolo che mi divertiva. Non è bellissimo ma è una frase che solitamente si usa chiacchierando e ha il pregio di racchiudere tante sfumature al suo interno. E, poi, non connota per nulla il programma: se si fosse chiamato Faccende sportive, sarebbe stato molto più tematico”, ci spiega subito Valerio Lundini nel parlarci di Faccende complicate, il programma disponibile su RaiPlay dal 12 gennaio e su Rai 3 prossimamente.
“La complicazione è in realtà il punto di partenza di ogni puntata, a cui ho dato un tema e nelle quali io stesso parto all’indagine di temi, appunto, complessi del mondo. Al contempo, mi diverte il fatto che molta della complicazione delle storie che vengono raccontate viene determinata da me. Parto da un’indagine su qualcosa e vado a visitare, con dei pretesti, mondi che non hanno nulla a che vedere con l’incipit. In poche parole, complico quelli che potrebbero essere dei meri reportage da cinque minuti”.
In una conversazione avuta qualche tempo fa, Maurizio Imbriale, il direttore di Rai Contenuti Digitali e Transmediali, aveva definito Faccende complicate un mockumentary. Sei d’accordo?
Sono sicuramente dei documentari. Poi chiaramente “documentario” è un termine troppo alto perché per realizzarne uno c’è dietro un lavoro ben diverso dal mio. Io li definisco dei reportage in cui io cerco di scrivermi prima quello che voglio che succeda, ovviamente senza interferire nelle opinioni e nelle parole delle persone che nei vari luoghi coinvolgo, tutte rigorosamente vere. In qualche modo, in ogni puntata ho scelto di seguire una storia che avevo in testa forzando un po’ la realtà delle cose così da terminare con ciò che avevo in mente e che mi ero prefissato. Uscire da uno studio televisivo è stato molto difficile: mi sono ritrovato, per ogni singola puntata, con tantissimo materiale a disposizione da dover gestire perché spesso, la realtà è molto più divertente di come la si prospetti.
Divertente: cos’è che ti fa ridere e che consideri tale?
Quando mi viene posta questa domanda, faccio sempre fatica a rispondere: ci sono migliaia di artisti o film che mi divertono. Però, ho capito che forse mi diverte vedere qualcuno che si diverte mentre sta facendo qualcosa: a divertirsi deve essere lui o lei in primis, a prescindere dallo stile o dall’elaborazione di ciò che crea. Ho notato che ciò che più mi diverte non sono solo le cose comiche ma tutte quelle situazioni in cui chi fa qualcosa la fa liberamente non pensando all’eventuale beneplacito del pubblico. Un po’ quello che cerco di fare io.
Stando alla tua definizione di divertimento, ti sei divertito nel realizzare Faccende complicate?
Mi sono divertito ma ci sono state effettivamente un paio di situazioni che, mentre venivano riprese, non mi convincevano per nulla. In quest’ottica, ho deciso ad esempio di non usare un’intera puntata che si svolgeva in un circo ma la colpa non è del circo in sé o delle persone incontrate: non mi attirava e avevo come l’impressione che non ne uscisse nulla di buono.
Racconti spesso che Faccende complicate è un programma che nasce anche dalla tua pigrizia. Eppure, nel sentirtelo raccontare, tutto sembra tranne che tu sia pigro.
Infatti, mi sono pentito amaramente: speravo di fare un programma in cui, andando in un posto con la telecamera, realizzavo due cazzate e veniva fuori un capolavoro. In realtà, invece, ho peccato di presunzione: c’è stato dietro un lavoro di scrittura incredibile. Non si trattava di mettere nero su carta una sceneggiatura o un copione da seguire come accade quando si scrivono degli sketch da inserire all’interno di un programma.
In questo caso, dato che ci sarebbero stati degli incontri reali, più in là del canovaccio non si andava: scrivevo quello che avrei voluto che succedesse. Metterlo poi in pratica non è stato semplice: ogni puntata ha richiesto almeno una settimana intera di lavoro, altro che pigrizia… Il prossimo programma sarà in uno studio televisivo con due bravi autori non permalosi, a cui poter dire anche le cose che non piacciono! (ride, ndr).
In una delle puntate di Faccende complicate, rivivi gli anni Ottanta. Sono quelli che oggi si rivivono con nostalgia. Tale sentimento attanaglia anche te o ti sei lasciato guidare dalla mitizzazione che l’affabulazione fa di quel periodo?
Sicuramente, ha influito una certa mitizzazione: non abbiamo molta conoscenza di quel periodo, se ci pensiamo. Io sono nato nel 1986 e, non avendo ricordi dei miei primi quattro anni di vita, non so come sono stati gli anni Ottanta, però mi sono arrivati tutti i riverberi di quel periodo. Ho incontrato per la puntata un ex paninaro che mi mostra dei memorabilia di quegli anni, tutto un immaginario fatto di un certo tipo di colori e di disegni.
Sono anche un disegnatore nel mio piccolo e sono affascinato da quei colori anche un po’ fluo di allora, accesi e poco pastellati, che caratterizzavano le grafiche, dai giornaletti degli anni Ottanta agli adesivi che vedevi sul retro delle automobile. È un immaginario che ha finito un po’ per forgiarmi.
Credo che la nostalgia e la malinconia siano dettati dal fatto che gli anni Ottanta rappresentano l’ultimo decennio della Storia del mondo di cui si comincia ad avere poche testimonianze: ne abbiamo di più rispetto al passato ma molte di meno rispetto agli anni Novanta e Duemila, in cui tutto è molto più filmato grazie alle molte più telecamere presenti nelle case. Trovare un filmato amatoriale di un matrimonio risalente agli anni Ottanta non è impossibile ma non è facile. Un bambino nato dagli anni Novanta in poi quando sarà grande avrà video e foto di tutta la sua vita mentre io, così come quasi tutti quelli nati negli anni Ottanta, non ho video di me a tre anni.
In un’altra puntata di Faccende complicate, invece, ti vediamo in abiti medievali. Cosa sei andato a fare in quel periodo così lontano da noi?
Spesso sentiamo dire che viviamo tempi brutti, aggiungendo che neanche nel Medioevo si viveva così. Nella puntata, incontro un ragazza che è stato vittima di una discriminazione, non gravissima, per il suo orientamento sessuale. Lui lamentava che viviamo in un periodo storico che ricorda il Medioevo e per togliere alcuni stereotipi su quei secoli lo porto a riunificarsi con quegli anni per capire se fossero realmente così brutti come si raccontano o se è semplicemente quello un modo di dire. Ciò che scoprirà sarà sorprendente.
In un altro episodio, vai alla ricerca del segreto delle persone di bell’aspetto: è qualcosa che ti interessava da un punto di vista personale?
Oddio, no. Sicuramente ci tengo sempre a non apparire impietoso alla vita degli altri ma non è un’ossessione, non mi interessa particolarmente. Lo spunto della puntata viene da un’intervista a Sharon Stone che mi aveva colpito per una delle sue risposte: “il segreto della bellezza è avere una famiglia bella”, per cui belli si nasce. Cerco allora nella puntata di ricreare una famiglia bella per vedere se, cambiando i connotati, cambiavano anche delle cose. E posso anticipare che ha funzionato.
Una faccenda complicata è anche gestire le conseguenze del successo. Prima di Una pezza di Lundini nessuno associava il tuo nome a un volto (e viceversa) mentre oggi sì. Non ha complicato le riprese la tua notorietà?
Per Faccende complicate, ho cercato ove possibile di andare in mondi e contesti in cui non è che fossi particolarmente noto, vuoi anche per motivi anagrafici o sociali. A livello personale, il mio livello di notorietà non mi porta a vivere situazioni particolarmente stressanti: non sono Amadeus o Elodie, che non possono quasi nemmeno andare in giro. Vengo ancora fermato da quelli che mi vogliono un po’ di bene e non sa quelli che, riconoscendomi, devono rompere le scatole a prescindere.
Ti abbiamo visto di recente affiancare Sergio Castellitto al cinema nel film Il più bel secolo della mia vita, diretto da Alessandro Bardani. Che rapporto hai oggi con il cinema?
Far cinema è divertente ma anche faticosa perché si aspetta tanto tra una ripresa all’altra. A differenza di quanto avviene per un programma come Faccende complicate, per cui abbiamo girato fondamentalmente quasi sempre, anche perché si poteva puntare sull’improvvisazione. Al cinema, invece, devi aspettare molto per girare cinque secondi di scena che, se il risultato non è bello, ti tocca ripeterli e ripeterli. Non sono ancora pronto per quel mondo.
Ma sei comunque impegnato nella scrittura della sceneggiatura per un film.
Ho interrotto la scrittura per dedicarmi alla realizzazione del programma. Sto per rimettermi buono buono a scrivere ma ho cambiato quella che era l’idea di partenza: ne ho un’altra che mi auguro migliore della precedente. Non è facile scrivere una sceneggiatura e non ho alcuna presunzione quando vado al cinema: anche quando vedo film che non mi piacciono, mi dico sempre che quell’idea io non l’avrei mai avuta. Per vedere i difetti è necessario che qualcosa già esista… ecco, potrebbe essere per me divertente fare la correzione dei film anziché scriverli dal nulla.
Ti abbiamo visto cimentarti anche in musica. E proprio in una delle puntate di Faccende complicate vai alla scoperta di come nasce un successo musicale. Hai realizzato qual è la formula magica che trasforma una canzone in una hit?
Per la quantità di materiale raccolto che mi divertiva e che mi dispiaceva tagliare, quella sarà una puntata doppia di Faccende complicate. Però, non so quale sia la regola per sfornare un successo: l’avrei altrimenti già messa in atto e sarei in rotazione in tutte le radio. Di mio, voglio continuare a pensare che non esista una regola: esistono artisti che hanno fatto successi con generi musicali che per molti erano fuori moda, con canzoni dalla durata non standard e con versi non commerciali. Di tutti quei successi che spesso funzionano oggi voglio vedere cosa resterà tra dieci anni e quali ci ricorderemo.